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Autore: sitael85    26/03/2010    3 recensioni
E' la prima fanfiction che scrivo e nasce dal tentativo di unire delle immagini abbozzate dalla mia mente in vari momenti. Non so ancora come evolverà la storia, ma tratta soprattutto di Jared e di come percepisce il mondo esterno dal mio punto di vista..ovviamente ci saranno anche Shannon e Tomo, con dei ruoli importanti, e una certa persona che entrerà a poco a poco. DISCLAIMER: ovviamente non conosco i 30 Seconds to Mars, non ho la minima idea di come siano caratterialmente, non scrivo a scopo di lucro e i fatti sono puramente inventati (tranne eventuali riferimenti a concerti e/o interviste...). Non mi resta che augurarvi buona lettura..
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Jared Leto, Nuovo personaggio, Shannon Leto, Tomo Miličević
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Direi che prima di tutto un ringraziamento è d’obbligo, perciò grazie a tutti quelli che hanno letto il primo capitolo e a Nicole che l’ha anche recensito.
Mi scuso per averci messo tanto a postare quello nuovo, ma con gli esami di aprile alle porte il tempo per scrivere non è molto.
Boh, che altro dire.. semplicemente buona lettura e aspetto commenti!! Mi farebbe piacere sapere cosa ne pensate dei personaggi che compaiono tra poco.
Ciao ciao!!


Capitolo 2

La luce filtra leggera dalla finestra posandosi inevitabilmente sul mio viso e gli occhi, ancora chiusi per il sonno, mi mostrano uno strano mondo di sfumature che vanno dal rosso al nero, dove però non si distinguono forme. Tutto sommato non mi dispiacerebbe rimanere in quel luogo, mi sembra sicuro e accogliente, ma sono consapevole che non è reale e comunque non c’è niente che attiri la mia attenzione o la mia sfrenata voglia di conoscere e quindi mi stancherei presto.
Istintivamente sposto il braccio in modo da coprirli e proteggermi dal nuovo giorno, ma è inutile… entro trenta secondi Shan entrerà nella mia camera buttandosi a pesce sul letto e schiacciandomi, come fa tutte quelle rare mattine in cui riesce a svegliarsi prima di me. Sorrido inconsciamente. Dopo tutto il tempo che viviamo assieme in questa casa, non si è ancora accorto del piccolo scricchiolio che precede la sua comparsa e che più di una volta mi ha salvato da altri lividi, perché, diciamo la verità, non è propriamente un peso piuma.
E infatti ecco la porta che si spalanca e il mio caro fratellone che con un urlo mi dà il buongiorno e mi costringe a spostarmi per fargli spazio.
“Buongiorno principessa! Direi che è ora di alzarsi visto che ci aspetta una giornata intensa piena di interviste e servizi fotografici… ah, prima che mi dimentichi, ha chiamato Emma dicendo che stasera ci sarebbe l’inaugurazione di un locale e vorrebbero che suonassimo qualcosa in acustico. Le ho detto che ne avremmo parlato, ma ho già sentito Tomo e lui è d’accordo con me, quindi la maggioranza vince fratellino!” e con questo mi toglie il braccio dalla faccia.
Sento che mi sta osservando dato che ha smesso di parlare di colpo, perciò apro gli occhi con fatica e incrocio il suo sguardo. C’è qualcosa che lo preoccupa, perché in questo momento la sfumatura nocciola ha preso il sopravvento diventando il colore prevalente nelle sue iridi, e posso anche provare a indovinare di chi è la colpa… mia.
“Ti sei fatto di qualcosa ieri sera per caso? Hai una faccia tiratissima e gli occhi lucidi, gonfi e contornati di rosso. Sembri un vecchio malato, senza offesa eh, ma non mi piace per niente questa cosa” così dicendo appoggia la sua fronte alla mia e si sposta subito.
Deve aver capito che ho la febbre, ma è strano che non se ne sia accorto prima… sono due giorni che prendo pastiglie per farla abbassare e tenermi attivo, perché siamo pieni di impegni ogni giorno e non voglio che siano rimandati per causa mia. Poi dobbiamo anche partire per New York prima di arrivare finalmente in Europa con il tour.
“Si può sapere da quant’è che stai così?” continua imperterrito.
“Ciao anche a te Shan. Senti, ti puoi spostare che mi devo preparare se vuoi che Emma ci trovi pronti entrambi quando arriva?” rispondo stancamente e con questo sposto le coperte di lato e mi metto seduto sul bordo del letto. La sensazione di freddo quando i piedi toccano il pavimento si espande per tutto il mio corpo e la pelle d’oca fa la sua comparsa seguita da un brivido appena accennato.
“Rispondimi e smettila di fare il cretino Jared. Sai meglio di me che non puoi permetterti di scherzare su cose come questa. Vai in bagno, fai quello che devi fare e torna subito a letto… io vado a chiamare Emma e le dico di annullare tutto per oggi e domani, a meno che non siano interviste che possiamo fare tranquillamente io e Tomo e dove la tua vita sentimentale non interessa”.
Riesco a sentire la rabbia nella sua voce, sovrastata però dalla preoccupazione per me. Annuisco semplicemente senza voltarmi, non riuscirei a sostenere la forza dei suoi occhi in questo momento, e mi alzo con fatica. Prima di sparire dietro la porta gli lancio un’occhiata furtiva e lo vedo scuotere la testa e passarsi una mano sul viso.
“Scusa fratellone…” e con queste parole sussurrate chiudo la porta alle mie spalle.

Osservo l’acqua del lavandino scorrere mentre piccole gocce lasciano il mio viso per ricongiungersi a quel flusso vorticoso. Non faccio neanche la sforzo di alzare lo sguardo sulla mia immagine riflessa, tanto so già che cosa vedrei e non mi piace per niente. Se c’è una cosa che proprio detesto è sentirmi debole, ma soprattutto dipendente dagli altri. Non l’ho mai sopportato. Anche da bambino, piuttosto di chiedere aiuto preferivo farmi male per raggiungere ciò che volevo, avere ematomi su gambe e braccia, ma non mi sarei mai abbassato a chiedere una mano… sono sempre stato troppo orgoglioso… forse è anche per questo che tendo ad allontanare le persone.
Nel momento stesso in cui la mia mano gira la manopola del rubinetto e l’acqua si blocca, mi giunge forte la voce di Shannon. E’ sicuramente al telefono con Tomo perché, da quello che riesco a capire dalla conversazione, mi sembra che si stia mettendo d’accordo su orari e luoghi di ritrovo per le due interviste del pomeriggio. Poi segue un lungo sospiro e quella che credo essere la risposta a una domanda posta dalla persona all’altro lato del telefono.
“Non so che gli passa per la testa negli ultimi giorni Tomo… sembra sempre distante, con la testa da un’altra parte e non mi dice niente…” poi una pausa, e la voce che improvvisamente cambia tono “… come cazzo faccio a saperlo? Purtroppo non sono ancora entrato in quella sua testaccia dura! Ci provo da quarant’anni ma niente, sai benissimo anche tu che se vuole tenere qualcosa per sé non c’è modo di cavarglielo fuori. Sì ok… ti aspetto qui tra un paio d’ore allora… ah, senti Tomo… scusami… è che a vederlo così non mi abituerò mai… sarà il complesso del fratello maggiore che ti devo dire. Va bene, a dopo”. Un altro sospiro e poi avverto solo il silenzio provenire dalla stanza accanto.
Trovo la forza di alzare gli occhi dal lavandino ormai vuoto e, forse per la troppa velocità del gesto, la vista mi si appanna e l’unica cosa che vedo è un manto nero che avvolge tutto, poi il corpo che sfugge al mio controllo, le ginocchia che cedono improvvisamente, le dita che tentano invano di stringere il bordo del mobile lì accanto e poi un colpo violento.

… freddo… non riesco a percepire niente, tranne questa sensazione di freddo che si insinua piano piano in quello che dovrebbe essere il mio corpo, ma che non riconosco come tale in questo momento… sembra quasi che io sia uno spettatore folle che osserva in disparte la scena che si svolge nella stanza. Se ce la facessi mi metterei a ridere per l’assurdità della situazione.
La porta si apre di scatto e sbatte contro la parete. Una voce alterata dallo spavento ripete incessantemente il mio nome e so che attende una risposta, ma le parole non lasciano la mia gola, c’è qualcosa che le blocca. Due mani forti e gentili al tempo stesso mi sollevano la schiena e la testa dal pavimento, facendo diminuire il gelo che mi circonda, e un attimo dopo iniziano ad accarezzarmi i capelli e darmi dei colpi leggeri sul volto. Lentamente riacquisto padronanza dei movimenti, sbatto un paio di volte le palpebre e cerco di mettere a fuoco quegli occhi, tanto strani come forma da ricordarmi un gatto a volte, che non lasciano i miei e che mi stanno porgendo una serie infinita di domande silenziose.
“… non preoccuparti… sto bene adesso… è stato solo un attimo, un movimento brusco e nient’altro… solo un capogiro che…” la mia giustificazione inizia così, ma non ho il tempo di proseguire che lui subito comincia a parlarmi sopra. La rabbia ha preso il sopravvento sul panico e adesso sono sicuro che mi aspetta una ramanzina con i fiocchi.
“Mi hai fatto prendere un colpo brutto idiota! Ma ti rendi conto che potevi restarci se sbattevi la testa da qualche parte? Va bene che ce l’hai dura come una pietra, ma non è indistruttibile… e neanche tu Jay… cristo, ho perso dieci anni di vita per colpa tua, i quaranta mi sembrano stupendi in questo momento... forza, ti riporto a letto, poi chiamo Tomo e gli dico che annulliamo tutto almeno per oggi. Non ho la minima intenzione di lasciarti a casa da solo in queste condizioni. Conoscendoti saresti capace di strisciare fino alle scale se ti viene in mente qualcosa da fare e non voglio di certo ritrovarmi figlio unico, quindi resto a controllarti che è meglio” e detto questo cerca di alzarmi.
Mi prende il braccio destro e se lo passa sulle spalle, mentre mi afferra per la vita e mi aiuta a tirarmi su. Il corpo dolorante non agevola di certo la situazione, tant’è che trattengo un gemito per non fargli capire che sono veramente a pezzi; lentamente, un passo dopo l’altro, raggiungiamo il letto e mi lascio cadere sul materasso. Avrei voglia di urlare, di liberarmi da tutto quello che mi opprime, di sparire per un po’, ma non posso permettermelo… per lui e per tutti quelli che mi vogliono bene.
Le coperte riprendono il loro posto sul mio corpo e sento Shan dirmi che non devo preoccuparmi, che andrà tutto bene perché sistemerà tutto lui, perché lui è qui e ci sarà sempre per me… come se avessi bisogno di sentirmelo dire.
Gli ultimi rumori che sento sono i suoi passi che si allontanano da me per uscire dalla camera e la porta che si chiude, infine il familiare scricchiolio del pavimento.

La testa mi pulsa, sicuramente dev’essere per la botta che ho preso. Devo cercare di dormire se voglio guarire e recuperare le forza in fretta, perciò distolgo lo sguardo dal soffitto scuro e tento di rilassarmi. Morfeo non ci mette molto a trovarmi e portarmi con sé nel mondo dei sogni, ma prima di perdere lucidità del tutto il suo viso fa capolino tra i miei pensieri. E’ un’immagine nitida e perfetta, come se fosse qui davanti a me e mi bastasse solo allungare una mano per sfiorarle la pelle. Mi rivolge quel suo sguardo particolare, quello che ha catturato la mia attenzione fin dalla prima volta che sono entrato in quel bar, quello che riservava solo per me. Questa allucinazione non le rende pienamente giustizia, perché è impossibile ricreare la complessità delle sue iridi. Hanno sempre detto che i miei occhi sono come una calamita e che posseggono un colore che spazia tra le mille sfumature dell’azzurro, ma non hanno mai visto i suoi. La prima volta che li ho incrociati credevo semplicemente che fossero grigi, ma quando si è avvicinata mi sono perso nella loro complessità: sembrava che fossero fatti di piccole scaglie che andavano dall’azzurro al grigio, passando per il verde e in qualche punto anche un nocciola chiaro.
A un tratto i contorni del suo viso diventano sfocati e il sonno comincia a farsi sentire in modo insistente, chiamandomi tra le sue braccia, ma prima mi lascia ascoltare di nuovo quella voce che pensavo di aver dimenticato… vedo le sue labbra muoversi veloci e riesco ad afferrare una sola parola … “forse…”.
  
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