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Autore: Soul Sister    28/03/2010    3 recensioni
Un Edward tormentato, malinconico e addolorato profondamente, che non crede nell'amore. Una Bella dalla famiglia disastrata, ma nonostande tutto, che ancora sogna e crede nell'amore vero. Riusciranno ad amarsi, tra i fuochi delle due famiglie in lotta tra loro?
Genere: Romantico, Sentimentale, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Coppie: Bella/Edward
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo I
Lei
Viveva nella piccola cittadina di Forks, una ragazza.
Lei, dai folti e boccolosi capelli mogano, che aveva gli occhi di un marrone caldo come il cioccolato, era considerata la più bella ragazza del posto.
Era la figlia del migliore amico del capostipite della famiglia Black, Charlie Swan.
Il suo nome era Isabella Marie, ed aveva già diciassette anni.
Suo padre desiderava che si fidanzasse con qualcuno, era sempre stata sola, non era una ragazza molto estroversa ed espansiva.
Ma a lei piaceva la solitudine, faceva parte di lei, pensava sempre.
E non aveva intenzione di legarsi a qualcuno per due validi motivi:
- per prima cosa, era troppo giovane;
- secondo, non aveva simpatie per nessun ragazzo.
Ad essere sincera, lei detestava proprio il genere maschile. Certo, anche i suoi occhi gioivano davanti ad un bel fusto, ma non desiderava conoscerlo.
E poi, conoscere cosa? Tutti i ragazzi del ventunesimo secolo erano profondi come delle pozzanghere, pensavano solo a divertirsi con le ragazze, e le facevano solo soffrire. Non si poteva instaurare un rapporto vero, con loro non si poteva fare un discorso importante, o parlare di un futuro, perché prima di formulare il pensiero, ti avevano già fatto le corna.
Ovviamente, sapeva che c’erano anche dei soggetti del genere femminile che si comportavano da calzature, ma non importava, si stava parlando dei maschi.
Perché chiamarli uomini era come una barzelletta: al massimo si potevano definire bambini, i suoi conoscenti del sesso opposto.
Ma non era che lei volesse rimanere zitella per sempre, perché Isabella desiderava sposarsi, comprare una casa, avere dei figli… insomma, il suo sogno era di creare una famiglia.
Però desiderava troppo dalla vita, il suo uomo ideale si era estinto secoli fa.
Isabella Marie voleva un uomo vero, romantico, dolce, sensibile.
Che sapesse ascoltarla, e che sapesse capirla.
Che l’amasse veramente, che non desiderasse nessuna se non lei.
Desiderava una specie di principe azzurro.
Lo sognava bello, possibilmente, ma si sarebbe accontentata anche di un rospo, pur che avesse tutte le altre caratteristiche.
In realtà desiderava una specie di Romeo, che desse anche la vita per lei.
Con cui bastasse uno sguardo per trasmettersi tutto l’amore.
Eh già, desiderava forse un po’ troppo dal genere maschile.
Ma era nata col mito dei principi azzurri delle favole, ed era sempre stato il suo sogno incontrare l’uomo giusto.
E sognava di avere delle avventure come i protagonisti delle sue letture preferite.
E come la loro, appunto, immaginava di avere una storia d’amore che avrebbe sconfitto l’impossibile, di cui leggenda si sarebbe tramandata ai posteri.
Lei era una donna molto romantica, anche se poteva apparire il contrario.
Ed era una sognatrice incallita: fortunatamente però, non si perdeva nelle sue fantasie quando c’erano altri nei paraggi.
********
Scese giù, nella piccola cucina di casa sua.
Suo padre era seduto al tavolo, che sorseggiava il suo caffè contenuto nella tazza gialla, e leggeva un giornale.
- buongiorno - salutò la ragazza, iniziando ad armeggiare con i fornelli per prepararsi qualcosa da mangiare.
- ‘Giorno, tesoro – fece il padre, alzando lo sguardo dalla rivista e posandolo
sulla figura di sua figlia. – oggi vado a pesca con Billy, torneremo domani mattina. – la informò il padre.
Isabella si diede della stupida: come aveva fatto a dimenticarsene? Quel giorno era un sabato, e avrebbe potuto dormire! Invece aveva puntato la sveglia, e si era alzata presto. Sbuffò, per poi sbottare un ‘okay’ al padre. Be’, ormai era sveglia e… e stava bruciando le frittelle!
Fortunatamente, una se ne salvò. Fece colazione con essa ed un bicchiere di succo d’arancia.
- vado, ci vediamo domani Bells. – salutò Charlie, dandole un bacio veloce sulla fronte.
- si, ciao… - rispose, per poi incominciare a sistemare il disordine nella
stanzetta. Poi passò alle altre camere, la sua e quella di suo padre, il bagno, ed infine sistemò il salotto. Be’, aveva migliorato il perfetto, si poteva dire.
Casa Swan era quasi sempre in ordine. Isabella era una tipa piuttosto disordinata, ma si trovava male nello sporco, per cui s’impegnava a sistemare i macelli che combinava.
Ed ora che faccio? Si chiese, sbuffando. Il sabato pomeriggio, quando il padre se ne andava, per lei era sempre una noia mortale. Non aveva molti amici, se si potevano considerare tali.
Per questo, si trovava meglio sola. Di sé stessa poteva fidarsi, degli altri non troppo. E poi gli esempi che aveva davanti a sé le dimostravano quanto avesse ragione.
Sua madre aveva tradito suo padre con un altro più giovane, quando lei aveva solo cinque anni. All’ora non aveva capito.
Povero Charlie, lui si era fidato incondizionatamente di Renèe, eppure lei gli aveva fatto le corna, e poi era scappata.
Isabella non odiava sua madre, benché sapesse quanto fosse stato ripugnante il trattamento di Renèe verso Charlie.
Però… benché il loro amore fosse stato un cattivo esempio, Isabella Marie ci credeva.
Aveva speranza nel vero amore. E s’augurava di trovarlo presto.
Salì in camera per prendere la sua vecchia copia di ‘Cime tempestose’ ed una coperta , e poi andò nel giardino sul retro della piccola casa.
Stese il plaid a terra, in pieno sole.
Sorrise: era strano che ci fosse sereno a Forks.
Ma in quei pochi giorni, Isabella era felicissima. Si sdraiò a pancia in giù, e cominciò a rileggere il libro da dove l’aveva interrotto l’ultima volta, accarezzata dal leggero venticello che soffiava.
Finalmente la primavera sembrava arrivare. Erano già a maggio, ed erano rari i giorni come quelli.
Ben presto si annoiò di leggere.
Si rotolò supina, e incrociò le braccia dietro alla testa.
Guardava il cielo, stranamente azzurro, incantata. In quelle nuvole bianche, all’apparenza soffici, vi vedeva tante immagini.
Si ritrovò a pensare a come sarebbe stato toccarle, ma si ricordò che era solo aria, e che non avrebbe mai potuto tastarle.
Allungò un braccio verso l’alto, come per accarezzare una nuvola che aveva preso le sembianze di un bellissimo viso, quasi angelico. E immaginò fosse il suo principe.
Lo riabbassò, dandosi della stupida.
Stanca di star lì, si rialzò raccogliendo le sue cose, e riportò tutto in casa.
Poi prese il giubbetto di jeans: non si sapeva mai che scendesse il freddo.
Dopo aver chiuso tutto, s’incamminò verso il centro, che distava poco da lì.
Forks era davvero molto piccola.
Arrivò dopo qualche minuto alla sua meta. Ma come sempre, era arrivata nel momento meno opportuno.
Ovviamente, le due famiglie avevano ricominciato a litigare.
La piazza centrale era spesso e volentieri palcoscenico delle risse tra Cullen e Black. Bella sbuffò.
I componenti di entrambe le famiglie avevano una certa età, ma si comportavano peggio dei poppanti.
- succhiasangue, muori! – esclamò quello che le parve Quil, un ragazzo della riserva, parteggiante dei Black, ovviamente. Era un ragazzo molto alto e muscoloso, dalla pelle ambrata, e dagli occhi e dai capelli scuri.
Mi raccomando, fatevi sentire dal resto della piazza! Pensò la ragazza, che assisteva alla scena con occhio critico.
Il ragazzo Quileute diede uno spintone ad un ragazzo nerboruto, e molto muscoloso, dalla pelle diafana. Aveva dei fitti ricci scuri, e da quel che la sua vista da umana le permetteva di vedere da quella distanza, il ragazzo aveva un viso bellissimo e tenero da bambino, che era una contraddizione alla sua stazza.
Era un vampiro, sicuramente.
Ma aveva la grossezza di un licantropo.
Il Cullen non la prese molto bene, come nemmeno il resto della sua banda. Un altro pallido ed alto ragazzo, dai folti ricci biondi, si fece avanti con una faccia non troppo amichevole.
- ma va' a farti una doccia, cane, che puzzi! – esclamò una fantastica voce femminile. Apparteneva ad una splendida ragazza bionda, alta e con un fisico assolutamente mozzafiato. Anche lei bianca come il latte. Appoggiò una mano sulla spalla del vampiro moro.
- Rose, stanne fuori! – le intimò lui, ringhiando.
Isabella, a differenza di suo padre, non parteggiava per nessuno delle due famiglie. Secondo lei, non erano fatti che le riguardavano. Gli affari tra esseri mitologici non dovevano interessargli,gli umani non dovevano immischiarsi in situazioni come queste. Se avevano problemi, se li sarebbero risolti da soli, senza il bisogno di suo padre.
Anche se ormai c’erano dentro fino al collo.
- perché tu profumi vero, sanguisuga? – le fece beffa Embry, un altro ragazzo della riserva.
Qui la cosa si faceva pericolosa.
La ragazza bionda fece per saltargli al collo, ma il ragazzo biondo la bloccò, mentre fu l’altro ad attaccare il ragazzo-lupo.
Fortuna che i licantropi erano forti anche se non si fossero trasformati… infatti la loro natura impediva di essere feriti da un vampiro anche in sembianze umane. Quindi Embry non era tanto in pericolo.
I due clan iniziarono a far rissa, e ben presto i ragazzi umani parteggianti dell’ una e dell’altra famiglia si unirono a loro.
C’era il caos totale.
Isabella era davvero stufa.
- basta! – urlò con tutto il fiato che aveva in gola, con il magone. Odiava vedere le persone che si facevano del male.
Le veniva da piangere per la rabbia, si sentiva infuriata con tutti.
Lei non andava mai al cinema per vedere film di guerra, li seguiva sempre in diretta nella piazza di Forks!
E come se non bastasse, il cielo s’era oscurato e stava per piovere.
A quel punto, l’umore di Isabella era proprio sotto le scarpe.
Mandò poco gentilmente a quel paese vampiri e licantropi, con tutti i loro patemi mentali, e stringendosi nel suo giubbottino, s’incamminò verso casa.
Erano le sette di sera quasi, e si mise a preparare la pastasciutta per sé, sempre imbronciata.
Mangiò poco e niente, poi sbattendo i piedi a terra salì in camera sua, senza nemmeno pulire le stoviglie. Prese il suo beauty e andò in bagno, arrabbiata al massimo.
Lei era incavolata per due motivi:
1) perché era arrabbiata;
2) non ne capiva il perché!
E questo la innervosiva ancora di più.
Accese lo stereo, e fece lo stesso con l’acqua della doccia. Si spogliò, e entrò nel box. Cercò di rilassarsi sotto il getto dell’acqua, accompagnata dalle note di ‘Claire de Lune’ di Debussy. Ma nulla: uscita dalla doccia si sentiva ancora più nervosa, poichè non le era passato nulla.
Si rivestì, e tornò nella sua stanza con la leggiadria di un elefante.
Si buttò sul letto, facendo più rumore possibile.
Già, tipico di lei farsi paranoie che non esistevano né in cielo né in terra.
Prese il suo telefono, e guardò l’ora.
Le nove e mezza, del 12 maggio. Si ricordò solo in quel momento che l’indomani Charlie avrebbe dato, insieme a Billy, una festa per il compleanno di quest’ultimo.
E ci sarebbe dovuta andare… per forza.
E avrebbe dovuto sopportare tutte le avances dei ragazzi di La Push.
Quei testoni non si mettevano in testa che lei non li voleva.
Ma a quanto pareva, i ragazzi erano piuttosto cocciuti, e più lei diceva che non voleva nessuno, più loro la importunavano.
E con questi orribili pensieri finì per addormentarsi.
  
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