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Autore: BigMistake    28/03/2010    2 recensioni
I PARTE: Vi ricordate dove eravamo rimaste in Grey Day in Darkness? Non l'avete letta, ma allora cosa aspettate? (necessario leggere prima quella) Nessie e Jake sono felicemente sposati, con due splendidi bambini. Riuscirà la nostra coppia preferita a superare la crisi del settimo anno? Spoiler dal capitolo XVI: < Perché ti ho data sempre per scontata? Pensavo che la nostra vita insieme sarebbe stata perfetta. Non dovevo. La perfezione non esiste, nemmeno per due anime complementari come noi … > Buona lettura! II PARTE: Passano gli anni e la vita continua. Per stabilizzare gli equilibri bisogna ancora agitare il bicchiere. EJ e Sarah crescono e si scoprono ragazzi, affrontando le problematiche annesse. Dal Capitolo X: - Lui vampiro ed io licantropo, ma con un po’ dell’uno nell’altro. Il freddo e laconico Yin, l’autunno della vita, il nord, il ventre buio dell’animo umano rischiarato da un punto di luce dello Yang che dall’altro lato della collina sorride al sole seppure con una parte oscura di lui nascosta agl’occhi di chi non guarda, alle orecchie di chi non ascolta, agl’animi che non esistono. La perfezione. L’equilibrio. Perfetti e completi solo se insieme. - Buona lettura!
Genere: Romantico, Avventura, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Jacob Black, Renesmee Cullen | Coppie: Jacob/Renesmee
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'GREY DAY IN DARKNESS'
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CAPITOLO XII: Chi? Come?Dove?

Ormai conoscevo tutti i loro nomi. Quello a cui mi ero affidata nelle ore restanti non aveva più senso di appartenermi. Bella, la Stella. Edward, il Dio. Jacob, l’Angelo. Cancellai quasi immediatamente quei soprannomi, seppur gli appartenevano. Mi portarono su di un aereo con cui avrei raggiunto la mia vera casa, dove avrei potuto ricordare chi e cosa ero in passato. Dovevo procacciare ovunque, ogni angolo remoto del mio cervello. Dovevo scandagliarlo come un radar per trovare cosa era scomparso. Forks, stato di Washington. Qui era il mio trascorso. Altri due ragazzi irreali ci accompagnarono nel cuore della foresta. Uno alto, bruno, con le spalle larghe aria sbruffona ma un velo di mestezza che copriva le iridi dorate. L’altro magro slanciato, con una folta chioma leonina ad incorniciare il viso alienato.  Attraverso un vialetto arrivammo una villa immersa nella vegetazione nascosta al mondo concreto. Certo, nessuno poteva accettare la nostra natura bizzarra. Loro esseri glaciali senza un cuore, dalla pelle di diamante e con gl’occhi dell’ambra. Ed io minuta fanciulla dotata di una forza immane e dai sensi evoluti.

“Dove siamo?” chiesi al ragazzo che si trovava alla guida accanto a Jacob, che non aveva alcuna intenzione di lasciarmi sola. Incrociai il suo sguardo attraverso lo specchietto, in quell’espressione imperturbabile era passata una stilettata.

“Questa è la casa dove sei nata e cresciuta!” da come ne parlava forse non vi abitavo più. Allora perché mi stavano conducendo lì? Forse avrei scoperto qualcosa di nuovo? Lasciai cadere l’argomento, non volevo incappare nelle vacuità delle reminiscenze che non riuscivo a costruire. Scesi dall’auto. Venni travolta da una morsa gelida che mi fasciava il collo. Una ragazzetta bassa mi stava abbracciando. Mille parole a raffica.

“Nessie, non posso credere che tu non ti ricordi! Siamo noi la tua famiglia, ti prego dimmi che è uno stupido scherzo …” si discostò giusto lo spazio per guardarmi, ma quello che trovò scritto fu solo frustrazione, caos, subbuglio, vuoto.

“Alice, dov’è Carlisle?”

“È nel suo studio, vi sta aspettando Jake …” quanti nomi da imparare. Carlisle, Alice. Il ragazzo che guidava la baciò a fior di labbra, avevano entrambi un’espressione sconvolta e preoccupata.

“Vieni …” Jacob aveva afferrato la mia mano. Era stupefacente come riuscisse a capire il momento esatto in cui intervenire, donandomi quella sicurezza che avevo totalmente perso assieme alle mie memorie passate. Mi condusse attraverso la casa. Muovevo incerta i passi tra i vari ambienti, spaventata dal persistente nero che non faceva riaffiorare nulla.

“Vi dispiacerebbe lasciarci soli?” un uomo alto dall’aspetto avvenente ci aspettava all’entrata di una stanza che profumava di cellulosa. Quell’odore mi dava un senso di pace non indifferente. Alzai la mia testa e proprio dove me l’aspettavo trovai una croce in legno. Un coltello fendente l’immagine ripercossa nella mia mente e poi di nuovo il nulla. Esaminai la stanza, il suo stile era sobrio e professionale con parecchi scaffali colmi di libri alcuni dall’aspetto prezioso ed antiquato, altri sembravano manuali più moderni che davano l’idea di essere trattati di medicina. Tra il legno ed il bianco imperante notai una parete ricoperta da tantissimi quadri. Uno però attirò la mia attenzione in maniera particolare: una tela coloratissima con una cornice semplice bianca dove vi erano impresse mani come mille farfalle variopinte di diverse dimensioni; somigliava ad una fantasia infantile ed allegra totalmente diversa dal resto molto più altisonante e antico. Serrai la mia mano in quella del mio Angelo, lo imploravo con lo sguardo, di non lasciarmi. La mia luce nelle tenebre.

“Non ti preoccupare, aspetterò qui fuori!” baciò la mia fronte. Il contatto con le sue labbra bollenti fece partire una forte scarica elettrica che attraversò il mio intero corpo. Poco dopo scomparì dietro la porta lasciandomi sola. O quasi. Quel ragazzo distinto continuava a studiarmi. Come tutti coloro avevo incontrato fino ad allora la natura lo aveva dotato di sembianze che rasentavano la perfezione, ma con un qualcosa di totalmente diverso. Una dolcezza infinita, un profondo rispetto, un aspetto indecifrabilmente umano, in un universo che di umano ne aveva ben poco. Mi ispirava fiducia.

“Tu devi essere Carlisle immagino!” decisi di rompere il ghiaccio forse lui mi avrebbe dato qualche indizio in più. Ma il mio modo freddo di parlare faceva male persino a lui. Scrutava le mie mosse, con una nota di amarezza che sembrava ferirlo. La stessa che nutrivo io sentendo gl’altri agonizzare per la mia lacuna. Incrociai le braccia al petto riparandomi dal suo sguardo indagatore, che distolse quasi immediatamente vedendomi sulla difensiva.

 “Si, sono Carlisle, Renesmee!” il tono calmo, pacato, sofferente ma allo stesso tempo rassicurante. C’era di più che una semplice apparenza ed io dovevo andare oltre. Mi guardai attorno cercando di capire attraverso ciò che lo circondava il suo ruolo. Mi soffermai su di un appendiabiti su cui vi era un lungo camice bianco. Lo studiai a fondo notando una strana sagoma attraverso la tasca. Sembravano degli auricolari, con un oggetto circolare. Un oscilloscopio.

“Sei un medico?” si era voltato mi dava le spalle mentre sollevava le maniche della camicia fino ai gomiti. Alzò per un attimo i suoi occhi verso di me per poi passare al camice che stavo guardando. 

“Sei un’arguta osservatrice …” aveva un sorriso angelico, che rendeva il suo aspetto ancora più gradevole.

“Voglio solo sapere chi sono e cosa mi è successo!” dissi ferma e seria. Quello era il mio scopo e non avevo intenzione di ritirarmi dalla mia battaglia personale.

“Anch’io, piccola mia. Vieni accomodati!” indicò un lettino dove presi posto. Come Edward e Bella, le sue mani erano ghiacce donavano una piacevole sensazione di formicolio. Le posizionò sotto la mia mascella all’altezza delle ghiandole salivari, tastando con delicatezza la mia pelle. Spostò la mia testa da un lato e dall’altro “Senti qualche dolore in particolare?”

“Come ho già detto ad Edward a parte uno strano  mal di testa non ho niente, perlomeno niente di fisico …” prese una penna che invece si rilevò una piccola torcia, con cui misurò la reattività pupillare.

“Puoi spiegarmi meglio il tuo malessere?”

“All’inizio era un dolore continuo che si acuiva nei momenti in cui provavo a ricordare, ora invece è un semplice fastidio che diventa una fitta lancinante ogni volta che mi sforzo di ricordare” la visita generale continuò per qualche minuto alcune cose più consuete altre meno. Mi spiegava ad ogni passo l’esame di turno ed il perché me lo stava applicando con parole semplici. Mi toccava ed io non sentivo che un freddo tepore familiare. Era come se tutto quello che stavo facendo rappresentasse un’abitudine.  Poi al controllo fisico seguì quello psicologico. Poche domande giuste lasciandomi libera di parlare. Si vedeva che era un ottimo medico. Sapeva mantenere un contegno professionale unico ma al tempo stesso non intimoriva, anzi mi metteva a mio agio. E così, senza neanche rendermene conto, mi trovai a raccontare la mia corsa extracorporea attraverso l’oscurità, come la voce di Jacob mi aveva guidato fino alla luce, il mio risveglio.

“Quindi non ricordi cosa ti è accaduto prima di perdere conoscenza?”

“Vorrei ricordare ma non riesco! Nemmeno un flash, nulla buio assoluto!” ero decisamente affranta. Tenevo la mano a reggere una testa vuota ma allo stesso tempo piena di una pesantezza immane.

“Capisco …” sedevo sulla poltroncina davanti alla scrivania mentre scriveva su di un taccuino appunti che mi riguardavano. Immagino che la mia condizione dovesse risultare interessante se non  eccitante per un dottore, invece sembrava decisamente distrutto. Chiuse l’elegante penna e l’abbandonò sui fogli distrattamente. Poggiava i gomiti sui braccioli della seduta e congiungeva le mani con le prime falangi in segno di riflessione scoraggiata. “Credo di avere un quadro generale, di quello che ti è accaduto!” si alzò elegantemente superando la scrivania. “Ma per ora penso che tu abbia solo bisogno di riposare! Alice!” come avrebbe potuto sentirlo stava parlando ad un tono infinitesimale. Ma la porta si aprì e la brunetta si affacciò sorprendendomi alquanto.

“Si, Carlisle?”

“Fai accomodare Renesmee nella camera di Edward e Bella! E fai venire qui Jacob devo parlargli!” Alice si spostò velocemente venendomi accanto e prendendomi le spalle mi invitò fuori. Ero stordita, confusa ancora di più.

 

Era da un po’ che mi giravo e rigiravo nel letto, tutto quello che stavo vivendo mi sembrava fittizio. Eppure io ero una ragazza con un passato a me oscuro per non si sa quale ragione, con persone che mi amavano di cui non ricordavo nulla, che sentiva di avere milioni di legami che però non potevo vedere. Maledetto vuoto che aveva deciso di cogliermi. Dovevo trovare una soluzione. Quel bel ragazzo biondo, mi aveva detto che ero cresciuta in quella casa. Casa, riduttivo definirla tale, meglio dire villa extralusso. Dovevo essere molto ricca. Osservai la stanza, dal mio materasso potevo vedere una grande cabina armadio dei quadri appesi alla parete, un bagno personale. Una lieve immagine saettata. Dei macchinari medici che segnavano con un ripetuto e velocissimo rumore il monitoraggio di qualcuno. Le tempie iniziarono a pulsare violentemente, ma la loro sofferenza terminò con la mia brevissima visione. Mi alzai dal letto, il solo osservare una stanza mi aveva concesso seppur breve, un ricordo. Dovevo trovarne altri, tra quelle mura io avevo vissuto il mio passato. Cominciai a gironzolare per i corridoi.

< Dio, se solo gli oggetti fossero animati e potessero parlare! >

Il colore predominante: bianco. Ogni camera era un piccolo specchio di chi ci viveva, regnava un ordine quasi maniacale. Cercavo in ogni dettaglio quello che si nascondeva. Ma non si stava ripetendo l’esperienza di prima, e così mi ritrovai a girovagare sempre più freneticamente fra le stanze ma nulla. Probabilmente chi aveva scelto i mobili doveva essere un arredatore o un architetto, perché lo stile era indiscutibilmente impeccabile. Aveva l’aria di una di quelle case che si vedono sui cataloghi di alto livello.  Arrivai in una grande sala quadrata. Sembrava essere posticcia rispetto la pianta originale, come se ricavata aggiungendo in un secondo momento. Era ampia costeggiata da molte finestre a metà parete, leggermente infossata rispetto al livello 0. Al suo centro un maestoso pianoforte a coda si ergeva in tutto il suo splendore, lustro, nero circondato da divanetti e poltrone. Entrai sospinta da una forza che nemmeno io saprei come interpretare. Ero attratta magneticamente da lui ma prima di raggiungerlo mi guardai attorno. Il pianoforte non era l’unico strumento: ad un angolo vi era una rastrelliera dove erano sistemate delle chitarre ed accanto due custodie nere. A giudicare dalla forma dovevano essere una viola ed un violino. Ero totalmente incantata da quello sfarzo regale di suoni. Mi avvicinai alla rastrelliera ed afferrai il fodero più piccolo. Adagiandolo a terra lo aprì delicatamente. Un odore fortissimo di lucido per legno arrivo alle mie narici disorientandomi con il suo intenso profumo. Afferrai tra le mani il suo leggero peso, bilanciato alla perfezione. Presi l’archetto ed analizzai i crini ben tesi. Non so come ma conoscevo esattamente le condizioni in cui doveva essere. Dopo poco guidata dal semplice impulso naturale, lo posai sotto il mio mento pizzicando le corde. L’archetto scivolò lentamente su di esse, emettendo uno dei suoni più soavi che mai si possono udire.

<  Solo la voce di un Angelo del buon Dio, di cui parla sempre il nonno … > nonno? Una fitta molto forte attraversò la mia testa bloccandomi dal suonare. Ma come sapevo farlo? Non m’interessava. Ripresi a muovermi appena il dolore si dissolse. Tornai alle note melodiose che uscivano dirette dal centro del petto dilatandosi lungo i miei arti diventando quella musica armoniosa. Non ero sola. Al piano qualcuno aveva iniziato ad accompagnarmi con la mia stessa strabiliante capacità. Edward illuminato solo dalla grigia e flebile luce del giorno che penetrava dalle finestre era seduto con le mani intente sui tasti d’avorio e d’ebano nel produrre quell’ incanto. Mi avvicinai continuando a suonare con una semplicità innata, come se era quello che facessi da sempre. Non avevo nessuna intenzione di fermarmi, chiusi gli occhi ascoltando il nostro duetto, travolta dall’effetto sublime che suscitava nel profondo della mia anima. Ero estasiata da noi, da quello che riuscivo a fare. Ma come era iniziato tutto finì. Le palpebre si alzarono lentamente e mi ritrovai alle sue spalle, entrambi riflessi nella vernice lucida come specchio. Lasciai cadere le mie braccia e l’archetto per potermi toccare il viso, non credevo a quello che vedevo. La nostra somiglianza rasentava due sosia di diverso sesso. La mia bocca appena socchiusa in un gesto di palesato stupore.

“Noi due …” non riuscivo a parlare lucidamente ma il confronto era così lapalissiano da spaventarmi “… siamo identici!” mosse appena visibilmente la testa, in un si indistinto “Siamo fratelli?” alla mia domanda affievolita, negò con un cenno lieve “C- Come è possibi … le!” cadde anche il violino dalle mie mani, dedicate solo a stringere il capo dolente. Mille aguzzi spilli appuntati sul mio cervello che faceva scorrere veloci le immagini di Edward che mi accoglieva tra le sue braccia, di una me bambina che salivo sui suoi piedi, il violino tra le mie mani mentre suonavo con lui che mi guardava sorpreso. Non poteva essere. Avevano al massimo vent’anni entrambi, lui non poteva essere …

“Papà …”

< Nessie che ti succede? > le ginocchia cedettero stavolta il dolore fu straziante e il mio corpo non resse. L’urlo agghiacciante che ne trassi da tutta quella sofferenza era disumano ed io non riuscì più a sentire altro la sua voce melodiosa netta dritta dentro la mia mente. E poi più nulla.

 

 

POV Jacob

Non ricordava assolutamente nulla. Non ricordava i genitori, gli zii, i figli , me. Ogni volta che mi guardava smarrita mi sentivo morire. Mi mancava il coraggio persino di ascoltare cosa si stavano dicendo nello studio, mi ero allontanato proprio per quello. Stavo fuori nel patio, in cui lei giocava a scacchi con lo zio. L’avevo spiata così tante volte mentre inveiva contro Jasper, sapevo benissimo quanto l’irritava il suo modo di fare enigmatico. Ed ora tutto apparteneva ad un passato scomparso. Cosa avrei dovuto fare? Forse dovevo stare accanto ai nostri bambini, cercare di fargli pesare il meno possibile la mancanza della madre. Ma come potevo abbandonarla, quando prima mi aveva guardato con quello sguardo immenso e spaventato pregandomi di restare. Ero in limbo bianco. La sentivo piccola e fragile come non mai.  E pensare che avevo desiderato di averla così per sempre, dipendente dalla mia presenza in quella maniera assoluta. Invece ora avrei voluto la mia bella e combattiva Renesmee, quella che non prega nessuno che non aveva bisogno di me. 

“Jacob, come stai?” non mi ero accorto della presenza di Gabriel, troppo assorto nei miei pensieri. Mi teneva una mano sulla spalla, cercando di dare un conforto che non avrei trovato neanche con il potere di Jasper.

“Uno schifo, grazie comunque …” mi seccava averlo vicino. Nemmeno con sette anni di matrimonio e un debito di vita ero riuscito a superare la sua corte spietata verso Nessie. Sinceramente lo ritenevo ancora troppo appiccicoso, e m’insospettiva il suo modo svenevole di rapportarsi a mia moglie. “Dove sono gli altri?”

“A casa vostra con i bambini, ma Edward sta tornando. Jake mi dispiace tanto per quello che state vivendo!” sembrava sincero, ma la sua costernazione non mi faceva sentire meglio. Abbozzai un sorriso solo per lei, perché sapevo quanto ci tenesse ai nostri buoni rapporti.

“È dura!” ci raggiunse anche l’emotivo. A quel punto la mia irritazione superava i limiti. Non solo per la loro asfissiante presenza, ma soprattutto per i nervi a fior di pelle che avevo da quando Renesmee si era svegliata.

“Non sai nemmeno quanto …”

“Lo so invece. La mia era un affermazione non una domanda! Ti ricordo che sento ogni cosa state provando: il suo stordimento, il tuo terrore, l’angoscia di tutti. Convivo con le vostre sensazioni dilatando le mie! E non riesco a capire questo tuo forte senso di colpa che ti opprime …” la sua voce era spezzata, sicuro se avesse potuto sarebbe scoppiato a piangere. Deve essere terribile assimilare le emozioni altrui, cercando di domare le proprie soprattutto in situazioni drammatiche come quella che stavamo vivendo.

“L’ultima volta prima che perdesse la memoria io ho scansato la sua mano, avevamo litigato di brutto perché lei si gettava a capofitto in situazioni suicide …” non so cosa mi spinse in quella confidenza, ma con qualcuno avrei dovuto parlare prima o poi e forse era giusto sputare fuori quel che sentivo visto che nel tempo avevo imparato che reprimere le proprie sensazioni conduce alla distruzione.

“Sai che Nessie è fatta così, non è nata per essere la donzella in difficoltà da salvare! Lei è combattiva …” questi erano i tipici interventi di Gabriel. Appena io commettevo un errore arrivava ‘faccino delicato’ sputando sentenze di condanna e rimarcando in cosa avevo sbagliato, soprattutto se l’argomento era la mia Nessie. Detestarlo era il minimo visto che faceva il saccente su di una persona che, fra parentesi, avevo cresciuto. La conoscevo da sempre, lui da solo sette anni. Era arrivato il momento di sfogare le mie frustrazioni su di un mezzo vampiro impertinente ed impiccione. Iniziai a sgranchirmi le nocche, pronto a trasformarmi e ad azzannarlo quando Jasper, intervenne:

“Gabriel, evita!” mi sorprese che fosse in mio favore, e mi calmò nonostante non stesse usando il suo potere. La cosa destabilizzò anche il povero vampiro mancato, ma mentre la situazione stava degenerando, Alice arrivò alle nostre spalle attirando la nostra attenzione.

“Nessie come sta?” Jasper anticipò la mia domanda.

“L’ho lasciata nella stanza di Edward e Bella È molto confusa e spaventata! Vorrei tanto aiutarla!” scuoteva il capo rattristata, Jasper la prese fra le sue braccia ed iniziò a baciarle la testa. Che strano vederlo tanto affettuoso. “Jacob, Carlisle vuole vederti!” riponevo una gran fiducia nel dottore lui era l’unico a conoscere bene Nessie sotto l’aspetto medico. Speravo che lui avesse le risposte, magari sapeva perché il suo passato era scomparso e mi sentii impaziente di conoscere il verdetto della sua visita. Corsi per raggiungere la porta del suo studio, ma bussai discretamente e solo al suo permesso entrai. Guardava fuori non si era nemmeno voltato per guardarmi. Carlisle, il vampiro con un’anima, rispettoso ed educato non mi aveva salutato se non con un profondo sospiro. Lui che non aveva bisogno di respirare, sospirò a pieni polmoni.

“Jacob, è più grave di quello che immaginavo!” le sue parole mi colpirono come un pugno in pieno stomaco, violento e potente, di quelli che lasciano una sensazione di nausea e di  stordimento dopo averli incassati.

“Cosa vuoi dire?” una potente scossa, travolse il mio corpo nella sua interezza, investito completamente dall’ondata di terrore che mi stava sovrastando. Carlisle finalmente si voltò ma lo stato d’inquietudine in cui ero piombato non faceva altro che alimentarsi con il suo volto sbattuto ed afflitto.

“Si può associare ad un’amnesia psicogena acuta, dovuta ad un trauma da stress, ma a differenza di una normale perdita di memoria, sembra abbia cancellato tutto quella che la collega alla sua parte sovrannaturale, noi, te i suoi figli. Esattamente quello che la fa essere per metà un vampiro, ed è strano. Non mi sono mai imbattuto in una amnesia che prendesse una zona spazio-temporale così ampia ma che riguardasse solo un aspetto. Pensa di essere un umana, come se fosse una normale ragazza! Da quello che mi ha raccontato Edward ha perso i sensi dopo aver usato molto intensamente i suoi poteri e al suo risveglio aveva dimenticato tutto, giusto?” annuì semplicemente, sembrava come se si stesse arrendendo e questo era più straziante che vederla nel letto “Mi preoccupa alquanto! Sembra come se si fosse svuotata trasmettendo i suoi ricordi, sinceramente non so proprio dove mettere le mani …”

“Cosa possiamo fare?”

“Aspettare!”

“Aspettare? Come aspettare? Non è possibile Carlisle, ci deve essere un modo per farle tornare in mente tutto! Maledizione!” la voce era incontrollata, sentivo un forte tremore in ogni millimetro dei miei muscoli, l’aria entrava a fatica nella cassa toracica che si stava espandendo. “ Il suo cervello, non può essere stato semplicemente resettato” la scossa tremenda che mi stava invadendo non accennava a placarsi, ma dovevo cercare di mantenermi, di restare lucido, non volevo rischiare di trasformami e di ferire il dottore che era l’unico in grado di aiutarmi “Ci sarà una medicina, qualcosa, non possiamo arrenderci così!” sentì Jasper ed Alice irrompere nella stanza pronti ad intervenire se avessi perso il controllo, ma Carlisle li bloccò con un cenno della mano.

“Ho consultato un mio amico psichiatra prima che voi tornaste. Mi ha detto che con qualsiasi tipo di amnesia è utile aiutare a ricordare con foto, riproponendo situazioni, partendo dalle cose più vecchie a quelle più recenti!” tutto era portato all’esasperazione. Ed ecco un forte senso di pace raggiungere il centro del mio petto, dove il tremore era più forte, placandolo notevolmente. “Penso sia meglio che rimanga qui, dove ha il maggior numero di ricordi … ”

“Dovremmo trasferirci qui?” ero pronto a dividere il letto con Emmett se fosse stato necessario.

“Si, ma non credo che sia necessario che anche tu …” lo bloccai prima che continuasse.

“Taci dottore, io non mi separo nemmeno per un minuto da lei!” non l’avrei mai abbandonata.

“E Sarah ed EJ? Cosa dovremmo fare con loro?” il folletto aveva ragione.

“Cosa sanno Jacob?”

“Per convincerli a partire con Embry e Seth prima di noi, gli ho detto che Nessie non stava bene e che saremmo tornati due giorni dopo!” abbassai lo sguardo perché mi vergognavo non solo per avergli mentito ma per non aver nemmeno avuto il coraggio di affrontarli, di non riuscire a trovare le parole per spiegare tutto quello che stava accadendo alla loro mamma. Dove era finito il lupo forte e coraggioso pronto ad affrontare milioni di sanguisughe? Perso nella paura di non ritrovare la donna che aveva sposato. Ero un misero fallito. Dovevo spiegare loro come stavano realmente le cose ma come potevo dire ai nostri figli che la madre non si rammentava di noi? E se non avesse mai ricordato, come avrei fatto da solo a crescerli? Il ghiaccio della mano di Carlisle lo sentivo attraverso la maglietta sulla mia spalla.

“Non preoccuparti Jacob, non sei solo! Vogliamo tutti riavere la nostra Nessie e se sarà necessario spiegheremo come stanno le cose ai piccoli insieme! Loro sono molto intelligenti capiranno e ci saranno di grande aiuto ma …”

“Ma?” alzai lo sguardo e trovai quello compassionevole del vampiro.

“Ma per il momento sarebbe meglio lasciarli nella vostra casa,  alternandoci per accudirli. Loro appartengono al passato attuale di Renesmee, quando lei comincerà a riprendersi li reintrodurremmo nella sua vita a dosi crescenti, ma temo che buttarli a capofitto con una mamma che stenta a riconoscerli sia deleterio sia per lei che per loro! ” avrei voluto che risolvesse tutto e subito, quasi in un miracolo invece sembrava anche lui scoraggiato. Ad un tratto tutti venimmo catturati dal suono armonioso del suo violino, stava suonando. Quel misero barlume di speranza si accese e lo notai anche negl’altri “Vai da lei!” guardai nuovamente Carlisle che tolse la sua mano dalla mia spalla “Da quello che ho potuto vedere, nonostante non ricorda, il suo sentimento nei tuoi confronti  non è mutato, stalle accanto, sei e sarai sempre essenziale!” non avrei mai potuto fare altrimenti. Stavo per uscire dalla stanza quando il dottore mi fermò nuovamente “Jacob, stai accanto anche ad EJ e Sarah, avranno bisogno di te!” non mi voltai. Non c’era bisogno di raccomandarmi una cosa del genere, erano i miei figli, non li avrei mai trascurati, ma in quel momento Nessie aveva bisogno di me e dovevo essere con lei.

 

Note dell'autrice: Ebbene Nessie ha una malattia umana. Già. Le amnesie psicogene esistono sul serio. Diciamo che l'ho un po' adattata alla situazione e l'ho resa più appropriata all'ambientazione fantasy. Possono accadere dopo un forte stress o dopo traumi fisici. Si tende solitamente a cancellare il fatto o qualche evento precedente, ma Nessie è speciale e la sua malattia non poteva essere da meno e quindi reset di tutto e soprattutto si blocca ogni volta che prova a ricordare qualcosa sta molto male questo sta ad indicare un forte blocco psicologico. Me diabolica! Sarah ed EJ non sanno nulla di preciso e per un po' non ci saranno, non temete saranno coinvolti anche loro. Casa Cullen sarà spesso molto vuota proprio perchè dovranno stare accanto ai bambini quindi si alterneranno per accudire madre e figli. Il POV di Jake inizia da quando praticamente lascia Nessie nello studio di Carlisle e finisce a quando inizia a suonare il violino. Il prossimo capitolo inizierà con un POV Jacob e finirà con un POV Nessie.

never leave me: nuuuuuuuuuu! non si capisce? mannaggia! Il Dio è Edward e l'Angelo è Jacob. Uffi! Provo a siegarmi meglio: Lei lo definisce angelo perchè lo sentiva accanto a sè quando era incoscente.  Mentre si sveglia sente delle dita calde che le tengono la mano e vede il volto dall'epidermide bronzea che capisce essere l'Angelo dalla voce che l'ha guidata fuori dall'ombra. Lo interpreta come tale perchè sembra essere il suo personale custode. Comunque c'è solo una cosa che forse ti ha tratto in inganno dimmi se è quella così eventualmente la cambio. Per casoè il momento in cui non sente il cuore di Bella ed Edward? Quando dice Sento il mio sento il suo e non sento il vostro? Perchè lì in effetti non viene menzionato Jacob e sembra come se fosse presente in stanza. Dimmi dove ti ho confusa me prostrata e chiede perdono pechè pensava di essere chiara! Così correggo e lo faccio diventare più fluido.

 Comunque se lo trovi al nostro Jhonny tramortiscilo, nascondilo e aspettami! Mission impossibile!

noe_princi89: ebbene si non ricorda nulla. Spero che con questo capitolo si sia capito un po' di pù comunque ho cercato di spiegare anche nelle note cosa è accaduto.

 kandy_angel: nu nu nono è stata la mutaforma. A proposito per quanto riguareda loro verrà spiegato in seguito cosa è accaduto dopo che Nessie perde conoscenza.

   
 
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