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Autore: samy88    29/03/2010    80 recensioni
"E' possibile aver bisogno dell'unica persona a cui mai ci si rivolgerebbe, se non sotto tortura? A me è capitato. La tortura in questione? Il matrimonio della mia odiosa cuginetta. La persona sbagliata? Il fratello, tremendamente sexy, della mia migliore amica..."
Genere: Romantico, Commedia | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Edward Cullen, Isabella Swan
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
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12 *AHI!*
MI E’ APPENA ARRIVATO UN BROCCOLO IN FRONTE… ME LO MERITO PER IL RITARDO, LO SO, PERTANTO SE VOLETE HO A DISPOSIZIONE ALTRI PARTI DEL CORPO CHE ATTUTISCONO MAGGIORMENTE I COLPI, PERFINO QUELLI Più DURI.
 
BENE, BENE…
ECCO FINALMENTE IL NUOVO CAPITOLO.
SEMBRA PROPRIO CHE OGGI IO SIA DI POCHE PAROLE… SPERO COMUNQUE CHE SIANO BUONE.
 
QUESTA VOLTA AVREI VOLUTO RISPONDERE A CIASCUN COMMENTO MA COSì AVREI TARDATO ANCOR DI Più LA PUBBLICAZIONE DEL CAPITOLO E HO PREFERITO NON FARVI ATTENDERE.
TUTTAVIA, NON POSSO FARE A MENO DI DIRVI GRAZIE PER OGNI DOLCE, SIMPATICA PAROLA CHE AVETE AVUTO NEI MIEI RIGUARDI. MI FATE ARROSSIRE IN UN MODO INCREDIBILE. RILEGGO COSì TANTE VOLTE I VOSTRI COMMENTI DA IMPRIMERLI NELLA MIA MENTE.

QUINDI GRAZIE DI CUORE A: Sognatrice85, grepattz, Serena Van Der Woodsen, Geo88, ChiaraBella, Lizzie95, ila_cullen, ross_ana, Ladycate95, chiara84, love_vampire, _BellinA_, Crazyangel84, SASA 89, annaritaa86, lilly95lilly, chi61, crista, SognoDiUnaNotteDiMezzaEstate, SCD71001, crivri, serve, rodney, iuliuscaesar, FunnyPink, luna09, Shinalia, luis, LittleWithAngel, mo duinne, Lau_twilight, Semolina81, samy90, Delilah_, piccolinainnamora, Lullaby89, serinetta, manuelitas, Sognatricecoipiediperterra, butterfly88, luna89, Punphin_Cullen, LaFedy, Bella_kristen, Elesunny30, barbyemarco, xsemprenoi, lorenzabu, Miss Simy Pattinson, Eli87, fabiolina, Ros_Ros, MartinaAlfia, mitikayo, simo87, MisaCullen, marikina, lisa76, lampra, keska, yara89, lovekiss90.

 
Un grazie speciale va anche a Mirya.
 
VI PROMETTO CHE NEL PROSSIMO CAPITOLO RISPONDERO’ PERSONALMENTE A TUTTI/E (CHE BELLA QUELLA ‘I’ *_*). (NON MI FATE TROPPE DOMANDE… PERCHE’ SONO UN PESCE PALLA!!! AHAHAHAH) 
 
RIGURDO AL CAPITOLO: POSSO ANTICIPARVI SOLO CHE IN QUESTO TROVERETE RISPOSTE, PURTROPPO NUOVE DOMANDE, E DECISIONI IMPORTANTI. 
NELLO SCORSO HO CREATO UN GIGANTESCO PUNTO INTERROGATIVO SULLA QUESTIONE DEL NEW YORK TIMES DI BELLA. NON LASCERO’ NULLA AL CASO, SU QUESTO POTETE STARE TRANQUILLI.
 
L’INSICUREZZA MI HA PRESO PER MANO; FORSE HA UTILIZZATO DELL’ATTACK, FATTO STA CHE NON RIESCO Più A SCOLLARMELA DI DOSSO. QUINDI SE VI SEMBRA NOIOSO, TROPPO SDOLCINATO, O INCOERENTE IN ALCUNI PUNTI NON ESITATE A DIRMELO. LE CRITICHE SERVONO PER MIGLIORARE E CORREGGERE GLI ERRORI E LE VOSTRE SON PER ME DI GRANDE AUSILIO.
 
 
TEASER: AVEVO LASCIATO DUE TEASER NEL BLOG…  IL PRIMO E’ A METà IN QUESTO CAPITOLO VERSO LA FINE, MENTRE IL SECONDO AVVERA’ DEL TUTTO NEL PROSSIMO CAPITOLO. MI SPIACE MA NON POTEVO METTERE TUTTO IN QUESTO. COME SEMPRE MI SONO LASCIATA ANDARE E HO SCRITTO UN CAPITOLO ABBASTANZA LUNGO. NON RIESCO Più A CONTENERMI. PERDONATEMI.
 
AVVISO: LA NOSTRA CHIARA HA CREATO UN BELLISSIMO GRUPPO IN FACEBOOK EFP – DIPENDENTI.
E’ IL SEGNO CONCRETO CHE QUESTO NON E’ SOLO UN SITO DI FF… RAPPRESENTA UNA GRANDE FAMIGLIA VIRTUALE DELLA QUALI TUTTI NE FACCIAMO PARTE ED E’, A MIO AVVISO, UNA COSA STUPENDA. NOI VI ASPETTIAMO, ANCHE IL Più PICCOLO VOSTRO SEGNO E’ IMPORTANTE.

 
VORREI DEDICARE QUESTO CAPITOLO A FALLSOFARC. HO TROVATO UN’AMICA. UNA DI QUELLE VERE PRONTE AD ASCOLTARTI NEI MOMENTI DI BISOGNO E SFORNARE CONSIGLI D’ORO COME I VECCHI DEI TEMPLI ANTICHI. MI TRASMETTE UNA FORZA FUORI DAL COMUNE. GRAZIE TESORO.
E’ UNA AUTRICE CON LA "A" GIGANTESCA DEL FANDOM ORIGINALE/ROMANTICO. DIRE BRAVISSIMA E’ UN EUFEMISMO.
VI COSIGLIO TUTTE LE SUE STORIE (Alcune concuse, altre in corso). IO NON Più POSSO FARNE A MENO.


 
PICCOLO APPUNTO: NELLE MIE STORIE QUASI OGNI SITUAZIONE, OGNI SCESA DESCRITTA E’ FRUTTO DELLA MIA REALTA’, DELLA MIA VITA. SONO QUASI TUTTE ACCADUTE REALMENTE E SONO FELICE DI POTER CONDIVERLE CON VOI.
SONO CERTA CHE IN OGNI FF CI SIA GRAN PARTE DELL’ANIMA DELL’AUTORE!!
 
ORA CREDO CHE POSSO LASCIARVI DIRETTAMENTE AL CAPPY.
GRAZIE A TUTTI.
UN BACIONE GRNADISSIMO, VOSTRA SAM


VILLA DENALI
 


CAPITOLO 12

 


Data l’originale forma dell’abito, lo sfilai dall’unica spalla coperta facendolo scivolare dal mio corpo e ricadere dolcemente sul pavimento rimanendo con solo la biancheria intima indosso. Dalla portafinestra perveniva una brezza estiva e fresca che mi fece leggermente rabbrividire. Il cielo era disseminato da una moltitudine di stelle dalle più svariate dimensioni e tonalità di luce. Alcune grandi e smorzate, altre piccole e folgoranti.

Aprii la valigia scrutandone il contenuto solo con lo sguardo. Uno sbuffo contrariato fuoruscì dalle mie labbra. Ero rimasta sola nella stanza e presto avrei raggiunto Edward nel soggiorno al piano inferiore se avessi trovato qualcosa di più comodo da indossare rispetto ad un vestito, a parer mio fin troppo elegante per una cena in famiglia, e un paio scarpe pericolosamente analoghe a trappole mortali.
Ormai avevo nozione del contenuto della valigia e non vi era nulla di “comodo e pratico”. Probabilmente Alice nemmeno conosceva quei due termini.
Mi ero appena sfilata un abito, non potevo certo indossarne un altro.
Se fossi stata nella mia casa a Seattle avrei indossato certamente una comoda tuta ginnica o un paio di pratici pantaloni corti con una magliettina sbrindellata dalla taglia nettamente superiore alla mia; un abbigliamento al quale Alice inorridiva alla sola vista.
Probabilmente in sua presenza, al mio ritorno, avrei indossato solo quelli: la prima di una serie di vendette conseguenti alla valigia preparatami da lei, certamente non per mio volere ma per effettiva mancanza di tempo.
Guardai la camicia da notte in pizzo nero a ridosso della poltroncina in pelle bianca. Era un capo fin troppo intimo da mostrare pubblicamente: un conto era Edward che ormai doveva averci fatto l’abitudine a vedermi con indosso certe vesti; un altro, Mike o Garrent ignari, specialmente il primo, che possedessi indumenti così… provocanti.  
Mi imbarazzava ed Alice purtroppo non aveva provveduto ad inserire nella valigia una vestaglia con cui potermi coprire probabilmente conscia che l’avrei indossata perfino durante la notte sopra uno di quei succinti pigiami. Quel folletto malefico ne sapeva una più del diavolo.
Istintivamente afferrai il telefonino e velocemente le digitai un messaggio intimidatorio con minacce non indifferenti e poco velate.
Amica avvisata, mezza salvata.
Sorrisi e lo poggiai nuovamente sul comodino immaginando il suo visino alla vista di quel messaggio: ciglia aggrottate e labbra corrucciate in un tenero broncio. Una bimba capricciosa alla quale è stato negato un giocattolo troppo costoso; era così diversa da Edward che stentavo a credere che fossero realmente consanguinei.
Sbuffai gettando un’occhiataccia alla valigia come se fosse quella la causa di tutto. Dovevo trovare assolutamente qualcosa da indossare. Setacciai la stanza con lo sguardo finché questo non ricadde su alcuni indumenti accuratamente piegati e poggiati sul ciglio del letto. Quella era sicuramente opera di zia Carmen: evidentemente aveva fatto il bucato.
Allungai un braccio afferrandoli con le mani: una maglietta bianca a mezza manica ed un pantalone della tuta, quello che Edward mi aveva imprestato la notte in cui ero stata febbricitante. Li rigirai per un attimo tra le mani. «Mmm…»
 
***
Discesi a piedi nudi le rampe. Entrata nel soggiorno notai Edward e zio Eleazar, l’uno di fronte all’altro, entrambi con lo sguardo concentrato sulla scacchiera posta al centro di un tavolino. Le mie cugine sfogliavano animatamente una rivista semisdraiate sul tappeto rosso mentre Garrent e Mike parlottavano in un angolo nei pressi di una finestra.
Edward si accorse della mia comparsa e girando il la testa mi scrutò da capo a piedi con un sopracciglio levato per poi abbozzare un sorriso divertito. «Quegli indumenti hanno un’aria familiare.»
Certo che avevano un’aria familiare: erano suoi e perfino un estraneo avrebbe notato che la taglia fosse nettamente superiore alla mia.
La maggior parte della maglia, così lunga da sembrare pressoché un corto vestito, era nascosta nei pantaloni - nei quali potevo perfino piroettarvici all’interno - fermata dal grosso elastico posato sui fianchi, anche se in quel modo terminavano oltre la caviglie fin sotto i talloni. 
Lo raggiunsi e ridacchiando mi raggomitolai al suo fianco sul divano piegando lateralmente le ginocchia. Posai il capo sulla spalla. «Sarà solo una tua impressione.» Fu il suo turno di ridere sommessamente.
Sbadigliai coprendomi la bocca con una mano. «Come procede la partita?»
«E’ un osso duro.» Rispose zio celando un sorrisetto compiaciuto.
«Ma non sto messo bene.» Continuò Edward lanciando uno sguardo eloquente al suo rivale. Osservai la scacchiera e la posizione delle sue pedine: erano meno in confronto a quelle di Eleazar e c’erano poche probabilità di vittoria. Conoscevo le varie tattiche di gioco di mio zio e con un po’ di movimenti forse avrei potuto migliorare la situazione del mio fidanzato.
Allungai una mano sfiorando il cavallo con il dito indice. Era l’unica pedina poco prevedibile che poteva muoversi soltanto formando la lettera ‘L’. «Non spostare il cavallo di due caselle in avanti, ma solo di una e successivamente due al lato destro.»
«Ehi, piccola furbetta! Non suggerire.» Mi riprese bonariamente zio. Un sorriso furbo gli affiorò il viso. «Potrebbe anche essere sbagliata la tua mossa.»
Gli feci la linguaccia. «Potrebbe, ma non lo è.»
Edward per un attimo mi guardò, poi mosse il cavallo come da indicato mangiando l’alfiere tanto amato da zio. Quest’ultimo mi lanciò un’occhiataccia. «Tu ora stai buona buona e zitta come un pesciolino.»
Ghignai aggrappandomi maggiormente al braccio di Edward che sorrise vittorioso a sua volta.
«Mi spiace tesoro, ma non posso più aiutarti.» Gli sussurrai divertita.
«Non preoccuparti, amore.» Rispose, poi con tono basso e maledettamente sensuale aggiunse: «non ambisco alla vittoria.»
Arrossii violentemente nascondendomi maggiormente dietro le sue braccia floride e lisce. Perché doveva sempre mettermi in imbarazzo? Socchiusi gli occhi celando la mia vista, altrimenti difficilmente avrei trattenuto l’istinto di intromettermi nella loro partita.
Purtroppo, la mia indole fin troppo combattiva primeggiava sin dai tempi di bambina quando zio Eleazar pazientemente mi spiegava le basi fondamentali del gioco degli scacchi e le varie tecniche da adottare. Mentre le mie cugine giocavano con ninnoli prettamente femminili, come bambole o prodotti di bellezza di vario genere, io preferivo assimilare l’importanza nel difendere il re in una partita di scacchi o imparare a cucinare con zia Carmen. Forse erano questi i motivi principali per i quali le miei cugine mi vedevano con avversione e insofferenza. Avevo trascorso quasi ogni periodo estivo con Renée lontano da Charlie e Forks, qui in Alaska. Mia madre affermava di voler trascorrere un po’ di tempo con la sorella e desiderava che instaurassi un bel rapporto con le mie cugine; solo in seguito capii che in tutto quello c’era un secondo fine: ad Anchorage aveva conosciuto Phil, il suo nuovo attuale marito. Non avevo mai avuto risentimenti nei suoi confronti anche se non condividevo affatto la sua scelta di abbandonare Charlie.
Strofinai il naso sul braccio nudo di Edward inspirando profondamente. Quel suo dolce profumo mi sedava i sensi. Sapeva di buono. Mi induceva quasi a morderlo. Chissà com’era il sapore della sua pelle; quello delle labbra era sublime e solo al ricordo si accendeva quel caldo languore allo stomaco.
Trattenni un mugolio di disapprovazione beandomi momentaneamente solo del suo odore.
Di sorpresa sentii muovere il braccio sotto la mia testa e mi strofinai gli occhi alzando il capo temendo, lì per lì, di esser stata fin troppo fastidiosa ma lui mi circondò le spalle attirandomi a sé con fermezza. Mi ritrovai con il capo poggiato sul suo petto atletico. In quell’istante fu impossibile trattenere un mugolio di piacere. Poco dopo percepii le sue labbra calde e corpose sulla mia fronte. «Così stai più comoda.» Un brusio dolce e sottile sussurrato al mio orecchio.
Sorrisi o forse pensai solo di averlo fatto. Le sue dita, forse in gesto totalmente involontario, presero a lisciarmi delicatamente i capelli. Un atto che mi rendeva letteralmente succube, soggiaciuta completamente al suo volere. Poco dopo sentii un torpore caldo prendermi e tirarmi giù negli abissi più profondi dell’obnubilamento.  
 
- - -
«Bella.»
Un angelo dalla voce morbida e sensuale pronunciava il nome alla stregua di una dolce melodia. Ero morta e mi stava conducendo in paradiso?
«Bella.»
Eppure quella voce sembrava così simile a quella di Edward…
«Si è addormenta.» Mormorò probabilmente rivolto a qualcheduno.
Percepii un leggero sogghigno. «Certe abitudini restano.» Rispose una voce roca, più profonda. «Anche da bambina molte volte si addormentava sul divano e sebbene fosse quasi del tutto addormentata, trovava sempre quel poco di forza per protestare.» Un’altra leggera risata sommessa. «Non voleva farsi prendere in braccio per non mostrarsi debole o seccante. Ma non mi ha mai seccato farlo.»
Solo allora riconobbi quella voce affettuosa: apparteneva a zio Eleazar. Un piccolo sorriso spontaneo mi increspò le labbra.
«Resto qui… divano… piace.» Mugugnai sottovoce probabilmente solo a me stessa strofinando la guancia sullo schienale fresco del divano. Era comodo anche se sentivo la mancanza del calore e del profumo di Edward.
«Non ti lascio dormire qui.»
D’improvviso mi sentii sollevare e, con mio sommo piacere e stupore, tutto ciò che mi era mancato mi avvolse come un mulinello di vento il cui epicentro era il mo corpo.
«Giù.» Mugugnai con tono impastato e poco convincente persino alle mie orecchie, forse dovuto al sonno o alla mia poca forza di volontà. Alzai le braccia circondandogli il collo avvicinandomi con maggiore intensità al suo corpo ispirando profondamente. Accidenti, mi faceva impazzire anche in quei momenti!
«Certo.» Mi schernì lui. La risata che ne conseguì gli sconquassò leggermente il petto «Quando dormi sei poco imperiosa.».
Uno soffio lontanamente rassomigliante ad uno sbuffo uscì dalle mie labbra tremolanti ma non ebbi la forza di controbattere. Il dormiveglia nel quale ero caduta era fin troppo piacevole per essere abbandonato per un motivo tanto futile.
Non badai a nulla durante il tragitto su per le scale verso la camera da letto; i miei sensi intorpiditi erano, per quanto possibile, incentrati in quelle braccia forti che mi sostenevano con estrema facilità neanche se il mio peso corrispondesse a quello di una piuma. Dopo pochi istanti sentii sotto il peso del mio corpo l’aggravarsi del materasso. Allentai mollemente la presa attorno al suo collo trovando una benessere mai ricercato, ma incondizionatamente gradito.
Ricaddi fiaccamente in quella dolce sonnolenza precedentemente affiorata.
 
- - -
 
Un brivido.
Una leggera folata di vento fresco mi penetrò la pelle entrando perfino nelle ossa. Rabbrividii raggomitolandomi maggiormente fra le lenzuola tirandole su in modo tale da coprirmi anche il naso.
Mi portai una mano sugli occhi serrati stropicciandoli leggermente. Schiusi un occhio con una certa difficoltà. La stanza era fiocamente illuminata da una luce naturale pallida che tendeva su una tonalità di giallo molto chiaro. Il preludio dell’alba.
Chiusi nuovamente le palpebre e allungai un braccio stirando i tessuti muscolari; mi sentivo ancora intorpidita e fu difficile rammentare il modo in cui fossi giunta a letto. Mi ero addormentata sul divano mentre Edward disputava la partita di scacchi e giunto al termine mi aveva preso in braccio e portata a letto proprio esattamente alla stregua di una bambina. Avevo ormai perso il conto delle mie figure imbarazzanti in sua presenza. Forse lui ci aveva fatto l’abitudine.
Tuttavia, in fin dei conti, non era stato affatto spiacevole. La sua stretta attorno al mio corpo era stata ferma, sicura, calda e tremendamente protettiva.
Tastai con una mano il tessuto fresco delle lenzuola e fui sorpresa di non toccare erroneamente il corpo di Edward come ormai capitava ogni mattina. Non che lo facessi di proposito, ma la sua presenza al mio fianco era divenuta quasi essenziale. Aprii gli occhi e lo sgomento raggiunse l’apice nel trovare l’altro lato del letto – il suo – totalmente vuoto. Le lenzuola erano aggrinzite e sfatte segno che comunque vi si era poggiato, forse addirittura appisolato. Ma questa sua assenza era strana. Un moto d’ansia mi piombò addosso e un grosso nodo si formò alla gola. Dov’era andato Edward?
Mi rizzai con la schiena e nel movimento le lenzuola ricaddero silenziosamente sulle mie gambe. In quel modo le mie braccia vennero del tutto scoperte e percepii un’altra folata di vento infrangersi sulla mia pelle nuda. Girai il capo verso la fonte e trovai la portafinestra semiaperta. Intravidi, oltre la grande vetrata, una sedia a sdraio in legno chiaro dal cui lato sbucava un piede a penzoloni; alcuni ciuffi ramati spuntava al di sopra dello schienale. Per quale motivo Edward era fuori al terrazzo a quell’ora del mattino?
Mi districai dalle lenzuola e poggiai i piedi nudi sul pavimento lucido e freddo. Al contatto un brivido prese il via dalle caviglie e si propagò in tutto il corpo, provocandomi la pelle d’oca. Avvolsi il busto con le braccia strofinando le mani sulle pelle nuda e silenziosamente mi avvicinai al terrazzo.
Edward era disteso con le mani dietro la testa; aveva gli occhi chiusi e un’espressione stranamente pensierosa in viso, più tesa di quanto potesse sembrava ad occhi altrui. Quella solita ruga era presente lì sulla sua pelle a increspargli la fronte.
Cosa ti preoccupa, Edward?
Un’altra raffica di vento fresco mi penetrò la pelle. Sentii la bruttissima sensazione, quel fastidioso prurito al setto nasale che non presagiva nulla di buono. Portai due dita a tapparmi il naso ma fu impossibile trattenere uno starnuto e palesare in quel modo la mia presenza.
Al che Edward alzò la schiena piegando in un gesto automatico le gambe e volse il capo nella mia direzione. Sul suo volto spuntò un sorriso obliquo. «Ehi, sei già sveglia.»
Mi passai una mano tra i capelli scarmigliati. «Già, anche tu. Che ci fai qui fuori?»  
Batté una mano sulla sedia a sdraio sul davanti e invece di rispondere mi porse a sua volta una domanda. «Vuoi farmi compagnia?»
Sorrisi entusiasta e felice per tale invito, ma prima di avvicinarmi alzai una mano mostrandone il dito indice. «Aspetta un attimo.»
Entrai nuovamente nella stanza e sradicai le lenzuola dal letto con un po’ di forza; in quel modo avremmo evitato un congelamento o, nella peggiore delle ipotesi, un raffreddore. Andai nuovamente fuori sul terrazzino rischiando perfino di ruzzolare sul pavimento a causa del lenzuolo incappato nel mio cammino data l’estrema lunghezza.
Edward appena mi vide rise scuotendo il capo, come se la scena fosse alquanto scontata e comica. «Hai freddo?»
Alzai le spalle. «Perché, tu no?»
Gli porsi un lembo di lenzuolo ma lui, con uno scatto repentino, me lo sfilò totalmente dalle mani portandoselo dietro alle spalle come un mantello. Scettica, alzai un sopracciglio. Ero io quella infreddolita, non lui.
Lui rise notando la mia espressione. «Non guardarmi in quel modo, non voglio rubarti nulla.»
In fondo, senza realmente rendersene conto, qualcosa l’aveva già rubato…  
Mi accomodai ove dai lui precedentemente indicato ma Edward mi afferrò i fianchi attirandomi a lui, tra le sue gambe in modo tale da ritrovarmi poggiata con la schiena sul suo petto. Trattenni il respiro dallo stupore e arrossii leggermente quando il suo braccio mi avvolse totalmente la vita attirandomi maggiormente a lui; nel movimento piegai le ginocchia al petto.
Questi suoi strani gesti mi mandavano letteralmente in confusione il cervello, e non solo quello. Quasi mi stordivano.
Lasciò la mia vita afferrando i due lembi del lenzuolo e li portò davanti. «Tieni.»
Li afferrai con le mani tremolanti e li tirai in avanti sino a coprire le gambe rannicchiate. Eravamo un unico bozzolo di lenzuolo bianco.
«Visto? Così riusciamo a coprirci entrambi.» Sussurrò quella frase tra i miei capelli. Le sue braccia tornarono intorno alla mia vita strappandomi un altro anelito di respiro. «Perché sei già sveglia?»
Nel letto ho percepito la tua assenza… e ritrovandomi sola al risveglio mi son fatta prendere dall’ansia.
Scossi leggermente la testa. No, non potevo certo rispondergli in quel modo.
«Non riuscivo a dormire.» Mormorai con un filo di voce, poco credibile perfino alle mie orecchie.
Edward rise in modo allusivo. «Eppure ieri sera non hai mangiato peperoncino.»
«Idiota.» Un po’ risentita, un po’ divertita lo spinsi all’indietro con una spalla. Andò a finire con la schiena sulla spalliera della sedia trascinandomi con se mediante il braccio attorno al mio busto. E rideva, rideva di gusto.
«Sai, ho qualche dubbio sulla tua età. Sicuro di avere quasi trent’anni? »
Mi diede un pizzicotto sul fianco ma rimase comunque steso. «Sì, ho solo uno spirito ancora giovanile.»
Mi accoccolai meglio sulla sua schiena; ormai l’idea di alzarsi era pressoché irrealizzabile. Non me ne dava atto e la voglia era nulla. «Ma ieri sera, mi hai portato tu sopra in camera?» Ne avevo un vago ricordo; non poteva esser stato un sogno.
«Sì.»
«Qualche dolore alla schiena?»
Rise. «A dire il vero no. Sicura di mangiare abbastanza?»
«No, cucino solo per te.» Lo schernii dandogli una leggera gomitata nello stomaco.

«La tua torta al cioccolato mi piace.»
Sorrisi. «Lo so.»
«E’ la mia preferita.»
«So anche questo.»
Le sue dita si posizionarono sotto il mio mento girandomi il viso nella sua direzione. Incatenò i suoi occhi verdi ai miei castani. Sorrideva ma quello sguardo era maledettamente intenso. «C’è qualcosa che non sai?»
Tante, tantissime cose. Le più importanti a dire il vero, avrei voluto rispondergli ma non lo feci e deviai il discorso su qualcosa di più futile di poca importanza.
«Sì, non so l’esito della tua partita a scacchi contro mio zio.»
 Fece una smorfia. «Ne ho perse due. Inizialmente sembrava quasi che avessi la vittoria in tasca poi…»
«…poi ti ha letteralmente schiacciato come una formica.» Conclusi al suo posto. «Ne so qualcosa.» Abbandonai il capo all’indietro sulla sua spalla. Lui mi sfiorò la guancia con la punta del naso. «Non dovrei essere consolato?»
«In effetti…» Girai leggermente la testa ostentando l’espressione più beffarda del mio repertorio e con finta disinvoltura alzai un braccio portando la mia mano a scompigliargli i capelli. Erano morbidi e tra le dita sembrava una cascata di fili di seta, così delicati da catturare la mia totale attenzione. Quella chioma ribelle era per me una potente calamita dalla quale difficilmente mi sarei allontanata. Quel gesto in principio carico di scherno e privo di malizia, si era man mano trasformato, seppur involontariamente, in una carezza audace e sensuale. Sentivo sotto i polpastrelli la morbidezza del suo cuoio capelluto e, tra le dita, la consistenza vellutata delle ciocche. Era una totale fonte di perdizione… e solo dopo mi accorsi del suo sguardo intenso e piacevolmente lucido.
Considerata la posizione strana nella quale eravamo, i nostri visi erano l’uno quasi all’altezza dell’altro tanto che il suo respiro si infrangeva sulle mie labbra schiuse. Alternavo lo sguardo dalle sue labbra alle sue iridi, e viceversa; un po’ per desiderio, un po’ per imbarazzo.
Lentamente mi avvicinai, e cogliendolo impreparato, aggirai la sua bocca posando un bacio leggero a labbra dischiuse sulla sua guancia. Mi scostai rilasciando un ansito, e un sorriso divertito. «Questo vale come consolazione?»
A quanto pareva, non era del mio stesso avviso ma fui piacevolmente compiaciuta della sua correzione. Sorridendo sghembo e beffardo come un diavolo tentatore fu lui a cogliermi impreparata afferrando il mio mento tra due dita cosicché da attirare la mia bocca sulla sua. Quando le nostre labbra entravano a contatto scollegavo perfino quel mimino di senno che perdurava in sua presenza.
Ormai mi ero arresa: non m’importava più quali fossero le cause e le conseguenze di tutto ciò che mi accadeva. Volevo essere incosciente e agire puramente d’istinto per una volta nella mia vita.
Perché perdere tempo a porsi domande alle quali difficilmente trovi un’autentica risposta quando puoi godere di una realtà che appare ai tuo occhi così dolce ed appagante? Avrei pagato le conseguenze dopo… quando avrei poggiato nuovamente i piedi sul terreno, riacquistando il contatto con la realtà.
Edward mi blandì le labbra quasi con finta determinazione come se si aspettasse da un momento all’altro un mio rifiuto, come se io ne fossi stata capace, come se io non avessi voluto tutto quello. Che sciocco.
Pertanto, fu impossibile non rispondere al bacio e crogiolarsi in quelle mirabolanti sensazioni. Mi aggrappai alla sua nuca con una mano stringendo tra le dita i suoi setosi capelli quando approfondì il bacio insinuando la sua lingua nella mia bocca. Avevo perso ormai ogni barlume di ragione scordandomi perfino di respirare. Mi allontanai ansante annaspando in cerca d’aria. Sicuramente le mie guance era diventate rosse sia per quella mia stupida dimenticanza che per la sua incredibile intraprendenza. I polmoni bruciavano e tiravano ossigeno concitatamente. «Credo di aver dimenticato di respirare.»
Inizialmente percepii il suo petto vibrare, poi esplose in una fragorosa e rumorosa risata. E per quanto fosse fastidiosa… era bello sentirlo ridere.
Tirò un grosso respiro cercando invano di contenere le risa. Ora era lui quello a corto di fiato. «Sei incredibile»
Imbarazzata, lo colpii con un pugno sull’addome e spinsi una spalla sul suo petto. La sua risata scemò lasciandogli un sorriso sulle labbra e uno sguardo vivo e intenso che stranamente, poco dopi istanti, tornò pensieroso. A quanto pareva, quelle riflessioni a me ignote non lo avevo ancora del tutto abbandonato. Quanto avrei voluto sapere ciò che lo preoccupava.
Mi passai la lingua sulle labbra percependovi ancora il suo sapore. «Quello valeva come consolazione?»
Tornò sorridente. «Forse sì.» Si passò una mano tra i capelli e assunse la sua solita espressione strafottente. «Ma ho perso due partite.» E sottolineò sul quantitativo cardinale.
Che mascalzone!
«Non è colpa mia se non sai giocare a scacchi.» Mi portai una mano al mento fintamente pensosa. «Mmm… ma ora dovresti sposare zio Eleazar o gli uomini sono esclusi?»
Nell’istante in cui terminai la frase, mi pizzicò i fianchi con le mani. Mi ritrovai così nuovamente poggiata sul suo petto a ridere e contorcermi sino allo spasmo, come due adolescenti intenti a stuzzicarsi l’un l’altro. Riuscii ad afferrargli le mani e serrarle attorno al mio busto; per quanto mi fosse possibile (erano nettamente più grandi) le racchiusi nelle mie a pugno. La sua forza era chiaramente superiore alla mia e se avesse voluto, avrebbe potuto liberarsi tranquillamente. Ma non lo fece. Anzi, si rilassò abbandonandosi totalmente - trascinando anche me di conseguenza - contro lo schienale della sedia.
Dovetti ammettere che quella posizione era piuttosto comoda: sembrava che il suo petto si modellasse a contatto con le mia schiena e la sua spalla accoglieva perfettamente il mio capo. Esalai uno sbadiglio alquanto rumoroso.
Sentii il fiato di Edward infrangersi sulla mia testa, fra i miei capelli. «Hai sonno?»
«Già.» biascicai socchiudendo le palpebre. «Se sono sveglia a quest’ora è solo colpa tua.»
Soffocò una risata. «Mia? Non avevi detto che non riuscivi a dormire?»
«Appunto. Perché tu non c’eri»
Verità.
Ormai non riflettevo più su ciò che dovevo omettere o potevo dire in sua presenza: le parole uscivano senza che io potessi più impedirlo. Per la prima volta ero stata totalmente sincera.
Edward, in tutta risposta, accentuò la stretta attorno alla mia vita.
 
- - -
 
«Io davvero non riesco come tu abbia potuto dimenticarlo.»
«Ma non l’ho dimenticato.»
«A no? Allora il tuo smoking si è volatilizzato?»
Edward inchiodò i piedi, scoccandomi un’occhiataccia. «Oggi sei fastidiosamente più ironica del tuo solito.»
Mi portai una mano al petto fintamente lusingata. «Lo so. Tuttavia, resta il fatto che tu hai dimenticato lo smoking a Seattle.»
Sbuffò sonoramente e alzò le braccia al cielo in un gesto esasperato. «Ti ripeto: non l’ho dimenticato. Alice ha sostituito la mia custodia nera con una seconda grigia che contiene un abito femminile. Forse per te.»
Sgranai gli occhi. «Cosa ha fatto Alice?» Arricciai il naso infastidita. Ancora? «Non le bastava la mia valigia?»
Non aveva sommerso di abiti solo la mia valigia, anche quella del fratello. Quella ragazza non era dotata neppure di un senso minimo di contenimento. Esagerava in tutto ciò che faceva e naturalmente non dovevo certo sorprendermi dei suoi astuti sotterfugi.
Edward posò una mano sulla mia spalla e iniziò a ridere sommessamente. Era ilare e non sembrava affatto infastidito da quella situazione. Alzai un sopracciglio rivolgendogli uno sguardo incuriosito. Si riprese mostrandomi un sorriso sghembo. «Sei bella quando ti arrabbi.»
Arrossii violentemente e puntai lo sguardo altrove. Si era sempre preso gioco di me ma mai in questo modo e non ero affatto abituata a nascondere le reazioni naturali. Inaspettatamente un brontolio giunse dal mio stomaco sul quale poggiai la mano al fine di contenerlo. Ma fu del tutto inutile perché Edward mi osservò sorridendomi divertito. «Non abbiamo fatto neanche colazione.»
«Questa mattina siamo fuggiti come due evasi.» Confermai ricambiando il sorriso. Fortunatamente avevamo incrociato in cucina solo zia Carmen che, spiegandole l’imprevisto, ci aveva dato senza esitazione le chiavi della sua auto affinché la usassimo per raggiungere il centro commerciale. Le cugine e i rispettivi compagni ronfavano ancora nelle loro stanze. Eravamo stati piuttosto mattinieri.
«Però non mi sarebbe dispiaciuto utilizzare di nuovo la vespa.»
Gli lanciai un’occhiataccia. «A quest’ora staresti girovagando solo nel centro commerciali.» Un altro brontolio dallo stomaco.
Improvvisamente, dalla mia borsa, sentii il mio cellulare trillare. Lo tirai fuori e dopo aver letto il suo mittente accettai la chiamata.
«Sai che il tuo armadio è in pericolo?»
Una risata argentina giunse al mio orecchio. «Dovresti ringraziarmi invece.»
«Per cosa? Per la valigia manomessa?»
Edward comprese subito chi fosse il mittente; scosse il capo con rassegnazione. Mi sfiorò una guancia con due dita. «Torno subito.»
Si allontanò lasciando una scia bollente come lava sulla pelle.
«Bella? Bella mi senti?»
«Mmm?» Ero ancora un po’ stordita. Sbattei le palpebre velocemente. «Il tuo armadio è in serio pericolo.»
«Bando alle ciance, signorina. Voglio sapere come procede il matrimonio.»
Sospirai. «Abbastanza bene. Hanno montato un gazebo in giardino, poi-»
«Bella.» Mi interruppe Alice ridendo. «Queste cose non le voglio sapere adesso, mi racconterai tutto in modo dettagliato al ritorno.»
Mi accigliai. «E allora cosa…»
«Voglio sapere come va tra te e Edward e soprattutto come si sta comportando il mio fratellone.»
«Ah.» Involontariamente arrossii. «Va bene.»
«Non puoi rispondere solo con un ‘va bene’» Sbuffò infastidita. «Voglio i dettagli.»
«Hai detto al mio ritorno, no?»
«No. Questo voglio saperlo adesso.» Asserì determinata; probabilmente stava battendo la punta delle sue ballerine sul pavimento.
«Mi spiace, ma dovrai attendere.» La mia piccola prima dolce vendetta. «Ti avverto: se speri che con questa telefonata la mia sete di vendetta si plachi, ti sbagli.»
«Allora non ti faccio fare la damigella d’onore.» Disse con voce quasi contenuta.
Spalancai gli occhi. «Cosa?»
Si schiarì leggermente la voce come se fosse pregna di emozione e cercasse di contenerla. Cosa alquanto strana per la piccola Alice. «Ieri Jazz mi ha chiesto di sposarlo.»
Le mie labbra si distesero mostrando un sorriso quasi sproporzionato. Era una notizia sorprendente, una di quelle capaci di colmarti il cuore di gioia. «Alice, ma è fantastico.» Aspettava quel momento da così tanto tempo che aveva avuto perfino il timore che lui non volesse fare con lei il grande passo. Ma tutti sapevamo che Jasper, essendo un uomo molto timido, stava aspettando solo il momento più opportuno.
«Quindi… mi farai da damigella?» Domandò di getto, esagitata.
Ridacchiai felice. «Non dovresti neanche dubitarne, Alice.»
La sentii sospirare di sollievo. «Edward è lì con te?»
Mi guardai attorno in cerca della sua figura. «A dire il vero no. Non so dove sia andato.»
«Allora gli telefono più tardi. Ora purtroppo devo andare a lavoro.»
«D’accordo.» Presi posto sulla panchina. «E Alice, non strapazzare troppo il povero Jasper.»
Lei ridacchio in modo sagace. «Tu invece strapazzalo come si deve, in tutti i sensi.»
«Alice!» La ripresi arrossendo.
«Ciao Bella.» Chiuse la telefonata con la sua leggera risata argentina. Scossi il capo ormai consapevole della sua indole prettamente esuberante. L’idea di affrontare un altro matrimonio come damigella stranamente non mi turbava, forse perché la sposa in questione era Alice e la sua felicità era un mio desiderio primordiale. Ma non avrei avuto bisogno di un finto fidanzato e questo lo avrei sicuramente rimpianto.
La finzione era divenuta oramai così bella da offuscare la dura realtà.
«Jasper le ha fatto finalmente la proposta?»
Girai di scatto il capo, un po’ spaventata, rischiando perfino un torcicollo trovando Edward comodamente seduto sulla panchina rivolta oppostamente alle mie spalle.
«E tu come fai a saperlo?»
Sospirò piegando la testa all’indietro. Ora la sua visuale era al contrario. «Jazz ha programmato tutto due settimane fa. E se conosco almeno un po’ mia sorella, posso giurare che aveva sicuramente già intuito qualcosa in anticipo.» Si portò una mano nei capelli. «E’ impossibile farle una sorpresa.»
Sogghignai. «Hai ragione.»
Si addrizzò e con un gesto secco posò sulla spalliera un bicchiere di carta. «Cappuccino.» Asserì con ovvietà.
Spalancai gli occhi sorpresa e mi mordicchiai le labbra per reprimere un sorriso fin troppo gioiosa che avrebbe certamente reso il tutto più imbarazzante.
«Grazie.» Il mio non fu che un sussurro.
Presi il bicchiere e lo portai alla bocca gustandone la miscela calda. La schiuma di latte venne a contatto con le mie labbra. Sembrava che avesse un sapore diverso, più dolce. Una mia sciocca impressione.
Edward si alzò e aggirò la panchina. «Andiamo?»
Quando mi sollevai lui mi guardò e a trattenne stentatamente una risata, quasi per cortesia. Allora capii di essermi sporcata ancora una volta. «Dì la verità: ti diverti a vedermi imbrattata di cappuccino.»
Sorrise beffardo. «Lo ammetto: mi diverto.»
Mi passai velocemente la lingua sul labbro superiore pulendolo con la mia saliva. Mi guardò per un attimo spaesato poi si imbronciò. «Ehi, quello era compito mio.»
Lo superai con il mento al’insù e un sorrisetto vittorioso. Gli lanciai un occhiata divertita. «Mi spiace per te, ma hai perso quel diritto nel momento in cui hai ammesso che ti diverti a mio discapito.»
Mi raggiunse velocemente e con uno scatto repentino mi avvolse il busto pizzicandomi un fianco. «E poi sarei io quello perfido.»
 


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