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Autore: La_Nomade_    03/04/2010    2 recensioni
Storia ambientata nel 15esimo secolo dopo cristo che vede protagonisti i personaggi di Harry Potter, sopratutto Ron ed Hermione. Le Amazzoni… Molte sono le leggende che parlano di loro, chi le volle spietate massacratrici di uomini, chi le cantò come valorose e nobili guerriere, altri ancora ne negarono addirittura l’esistenza, ma come spesso accade la realtà nella sua cruda semplicità supera l’immaginazione. Sei dunque giunto nel cuore del territorio amazzone: vi abitano donne dalla natura fiera e indomabile, come lo sono le loro terre, di cui sono gelose... Non osare profanarle, rispetta le loro tradizioni o incorrerai nella loro implacabile ira e avrai prova del loro leggendario ardore... Spero vi piaccia!:)
Genere: Romantico, Avventura | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Coppie: Harry/Ginny, Ron/Hermione
Note: Alternate Universe (AU), OOC | Avvertimenti: nessuno
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Chapter Thirteen

/

La foresta fittissima sembrava opporre resistenza ai colpi di spada che Harry e gli altri due gettavano contro la vegetazione per aprirsi un varco in quella cortina inespugnabile.  Erano trascorsi parecchi minuti da quando avevano iniziato le ricerche. Minuti, se non ore.

Harry aveva promesso a Ginevra che avrebbe ritrovato Ron, che avrebbe ritrovato il suo generale, la sua spalla e il suo migliore amico. L’avrebbe fatto. Doveva farlo.

La giungla equatoriale sembrava però inoppugnabile. Contraria ai piani del sovrano d’Inghilterra, al quale fino ad ora nessuno aveva mai avuto l’ardore di dire no.

Non che Harry fosse un re taumaturgo e intransigente, ma era risaputo che nessuno, per quanto contrario o nemico potesse essere al re, avrebbe mai osato contrastarlo apertamente. Mentre quella coltre vividamente verde sembrava non riconoscere questo tacito patto che vigeva alla corte di ogni sovrano del mondo.

“Arriveremo mai da qualche parte continuando a fare i giardinieri?”

La voce di Sir Malfoy ruppe improvvisamente il silenzio, fino ad ora spezzato solo dal rumore dei fendenti. Il biondo era ormai stufo di quella ricerca assurda, priva, secondo lui, di un valido criterio. In più gli avrebbe fatto molto più comodo se il Generale Weasley fosse un vero e proprio disperso. Se non avessero riuscito a ritrovarlo. Senza dubbio gli era molto più utile da disperso, che il contrario.

Era però consapevole, che avrebbe potuto porre fine all’esistenza di Harry anche in questo preciso istante, se solo avesse voluto. Ma c’erano fattori che non gli consentivano di darsi questa libertà. Draco sapeva bene che, se Ron fosse sbucato poi fuori dal nulla per lui sarebbe stata la fine. Sapeva che la sua forza non era nulla paragonata a quella del Generale Weasley. Bisognava puntare tutto sulla sua intelligenza, perché se la forza gli era carente, la materia grigia abbondava in lui.

Uccidere il re adesso voleva dire esporsi ad un rischio davvero troppo grande. Significava chiamare a sé le ire di tutti gli altri naufraghi, a parte quei due idioti dei suoi tirapiedi.

Bisognava passare al potere con un abile furtivo colpo di stato, che apparentemente non avrebbe dovuto sembrare tale.

Un tragico incidente, tutto qui. Magari per colpa di popolazioni indigene. Prima al povero Generale e poi al suo Re.

“Avete un’idea migliore, Sir, Malfoy?”

Chiese Harry girandosi verso uno dei suoi cavalieri. La voce di Sir Malfoy, gli era arrivata alle orecchie come il continuo ronzio di una fastidiosa zanzara. Harry non aveva mai potuto sopportare le sue continue lamentele sul da farsi. Qualsiasi fosse stata la decisione presa, lui avrebbe sempre trovato qualcosa da ridire al riguardo. E adesso non era veramente il momento per chiedersi quale sarebbe stato il criterio di ricerca migliore. Non lo era affatto.

“Abbattere arbusti non ci porterà a nulla.”

Rispose allora Malfoy con la classica faccia tosta di chi, provocato, aveva l’urgente bisogno di ribattere.

Draco non aveva mai mandato giù che ad Harry fosse stata data la corona di Inghilterra quale legittimo erede al trono. Non aveva mai accettato di essere uno dei tanti sottoposti di un patetico plebeo. Lui,un Malfoy. Sangue nobile di generazioni e generazione, dover tenere il moccolo ad un orfano cresciuto da nobili del quart’ordine!

“Spiegatemi allora quale metodo vorreste adottare in mezzo ques…”

Non fece in tempo a concludere.

Un rumore sordo di cavalli al galoppo. Un urlo prolungato all’infinito. Urla di più voci. Il galoppo dei cavalli si faceva sempre più vicino e la terra iniziava a vibrare sempre più sotto i loro piedi. Qualcosa si stava avvicinando. Qualcosa che sembrava tutt’altro che innocuo.

Finnegan scattò in un salto e aprendo le braccia riuscì a coinvolgere nella caduta sia Harry che Draco. Il tempo di sparire dietro una coltre di foglie verdi e quel qualcosa passò esattamente dove prima erano fermi. Ciò che dal fogliame riuscirono a vedere fu una mandria di cavalli cavalcati da selvaggi. Nulla più.

Appena sentirono il suono degli zoccoli che battevano sulla terra farsi distante, si tirarono su, uscendo da quel nascondiglio. La prontezza di Finnegan li aveva salvati tutti dall’essere trucidati da quegli zoccoli che avevano straziato la terra.

“Grazie Seamus.”

Disse Harry aiutando il ragazzo a rialzarsi da terra.

“Cosa diavolo era?!”

Chiese Malfoy togliendosi di dosso il fogliame secco che gli si era attaccato sulla casacca.

Era mancato veramente poco perché al posto della terra battuta ci fossero loro.

“Non lo so…”

Rispose il moro affannato guardando nella direzione in cui erano spariti i cavalli. Dento di lui avanzava il presentimento che di qualunque cosa si fosse tratta, questa poteva aver preso Ron. E se così fosse stato non potevano far altro che segurila.

“Dobbiamo seguirla.”

Disse improvvisamente.

“Cosa?!”

Esclamarono Malfoy e Finnegan contemporaneamente.

Avnati!”

“Siamo solo in tre! E loro sono una marea!”

Protestò Finnegan.

“Ron l’avrebbe fatto per noi.”

*

*~*~*

*

Sedeva nella sua tenda, affilando la sua ascia con espressione vuota. Senza nemmeno avere la consapevolezza di ciò che stava facendo. Movimento meccanico del braccio che guidava la mano, reggente la pietra, su e giù ad accarezzare la fredda lama dell’ascia. Colpi sicuri e ritmici che producevano lo stesso metallico rumore.

Aspettava Aden. E questa attesa non poteva non essere accompagnata dall’agitazione. L’agitava il pensiero di avere conferma ai suoi presentimenti. L’angosciava terribilmente il pensiero che ciò che stava provando portasse alla totale rinnegazione di tutto ciò che era e che aveva sempre voluto essere.

Rinnegare il suo essere Amazzone, ora che le prove della luna l’avevano fatta principessa. Ora che Nimue l’aveva designata come sua erede.

Una responsabilità così grande le era cascata sulle spalle inaspettatamente, e nello stesso tempo quell’uomo era arrivato nella sua vita. Come se la Dea la stesse mettendo alla prova. Una prova crudele, una prova che non la dava per vincitrice con tanta facilità.

Chiuse gli occhi. Si sentiva schiacciata da tutti quei pensieri. Chiuse gli occhi nel vano tentativo di mandarli via, ma l’immagine che la sua mente gli presentò fu tutt’altro che di aiuto. L’immagine di quel bacio irruppe prepotentemente nei suoi pensieri. La piacevole sensazione di quelle labbra calde sulle sue. Quelle mani grandi sulla sua schiena. Quella sensazione di benessere… Lasciò cadere l’ascia e la pietra che stava usando. Portò le mani a stringere la testa cercando di cancellare quell’attimo. Quel brevissimo attimo. Quell’intenso attimo che l’aveva destabilizzata profondamente.

Aveva bisogno d’aria.

Si alzò e stava per uscire quando si ritrovò faccia a faccia con Aden. Gli occhi sorpresi della donna fecero si che Hermione tornasse presente a sé stessa per una frazione di secondi.

Ancora visibilmente sorpresa, Aden le chiese:

“Mi avete cercato?”

Hermione la guardò per alcuni istanti immobile. Nemmeno le palpebre osarono battere in quel momento. Con un gesto la invitò ad entrare, ritornando a sedersi.

“Che cos’è l’amore?”

Chiese senza preamboli e Aden rimase sbigottita da quella richiesta. Un po’ si aspettava una domanda del genere, ma mai avrebbe creduto che Hermione, la più valida fra le giovani Amazzoni,non che principessa, le potesse fare una domanda del genere. Quella domanda.

La bruna non sorpresa dalla reazione della donna che le stava d’avanti non aspettò nemmeno un minuto per richiederle la medesima cosa.

“Parlatemi dell’amore Aden.”

Aden la guardò, come se uno schiaffo l’avesse risvegliata dal sonno in cui si trovava. Lentamente le si avvicinò e le si sedette di fronte.

“Perché mi chiedete questo?”

“Perché ho bisogno di sapere.”

“Non si chiede di una cosa a noi sconosciuta senza un motivo.”

Hermione abbassò lo sguardo. Cosa mai poteva dirle? Che probabilmente era stata colpita da questo male più letale di un colpo di spada? O di un dardo avvelenato?

Cosa mai avrebbe potuto risponderle?! Che aveva conosciuto un uomo. Un uomo mai visto prima, che abitava oltre il grande Mare e che era arrivato lì per caso?! Coprirsi di vergogna per liberarsi di un peso così grande. Venire meno a tutto il suo mondo, venir meno a tutto quello che era il giuramento solo per sentire quel peso sollevarsi da lei?

“Hermione…”

Hermione la guardò, con i suoi occhi grandi spaesati e confusi. Aveva paura. Era la prima volta che la paura non era sua alleata. La prima volta che si trovava a fronteggiarla da nemica.

“Se c’è qualcosa che non va a me potete dirlo…”

Questo lo sapeva. Sapeva bene che di tutte le sue sorelle, l’unica che poteva comprenderla era Aden. Aden c’era passata, e questo Hermione lo sapeva. Lo sapeva anche se non le era mai stato detto. Lo sapeva per come le altre la guardavano, per come fosse l’unica a non cavalcare più in battaglia, per come rinunciava con rammarico a molte delle attività che erano proprie della loro gente.

Quante volte Hermione l’aveva osservata mentre restava in disparte a guardare le guerriere, di cui un tempo faceva parte, armarsi per una battaglia. Senza osare avvicinarsi, senza provare a dare una mano o a sellare il suo fido Mercurio. Mercurio… Hermione non ricordava di averla mai vista in groppa al suo splendido cavallo.

“Parlatemi dell’amore. Ditemi se è per lui che avete rinunciato a ciò che eravate.”

Disse Hermione tornando a guardare la donna davanti a sé.

Non voleva riaprirle vecchie ferite. Voleva solo capire. Sapere a cosa andava incontro e capire se il gioco valesse la candela.

“Sta capitando anche a voi, non è così?”

Hermione non rispose, si limitò ad abbassare lo sguardo in una silenziosa risposta.

“Quando ve ne parlai per la prima volta era arrabbiata, delusa. Delusa da me stessa. Mi ritenevo una debole e non accettavo ciò che avevo fatto.”

Iniziò la donna carezzando il capo di Hermione, che manteneva lo sguardo basso. Il suo orgoglio ferito. Era difficile ammettere che quella stessa cosa che aveva radicalmente cambiato la vita ad Aden, adesso stava cercando di sconvolgerla nel profondo.

“Mi sembrava di aver tradito me stessa, di aver tradito le mie sorelle, la mia regina. Il mio essere Amazzone.”

Continuò la donna, ed Hermione ascoltava. Ascoltava e le sembrava sentir parlare di sé piuttosto che della donna che le stava di fronte. Perché anche lei si sentiva delusa, perché anche lei non lo accettava.

“Ma col senno di poi ho concluso che non me ne pento. Se potessi tornare indietro mi innamorerei ancora mille volte e lo vivrei con più serenità.”

E furono queste parole a far alzare di nuovo lo sguardo ad Hermione. Non poteva credere che Aden avesse detto una cosa simile. Ma cosa l’era preso? Cosa significava che s’innamorerebbe ancora mille volte? Avrebbe avuto il coraggio di rinnegare se stessa e la sua gente ancora una volta?!

Hermione non voleva sentire altro. Non poteva. Non era questo che le serviva. Le sarebbe servito sapere che c’era un modo. Un modo per combattere quel sentimento tracotante che la stava assalendo e dilaniando.

“L’amore non è un male e non tutte noi siamo nate per essere guerriere sanguinarie Hermione.”

Concluse Aden allungando una mano verso di lei e toccandole un braccio.

Hermione interruppe bruscamente quel contatto alzandosi in piedi e guardandola dall’alto con rimprovero.

“Come potete dire questo?”

Le chiese con veemenza.

“Come potete affermare con tanta noncuranza di rifare una cosa simile mille volte?!”

Continuò con la rabbia che le cresceva in corpo.

“La vita non è solo quella che vi mostrano qui Hermione.”

“La vita di un’Amazzone si!”

Aden rimase seduta a guardare la ragazza dal basso. Nell’impeto e nella rabbia di quest’ultima rivide se stessa. Rivide tutto il suo risentimento, tutta la sua frustrazione. Si rivide alla medesima età confusa e amareggiata. In lotta con se stessa per quel qualcosa di proibito e blasfemo.

“L’amore è un sentimento che non si può controllare. C’è, esiste e non potrete farci nulla. Vi travolgerà e nessuno, nemmeno voi,  potrà tirarvi fuori dal suo vortice.”

Le disse alzandosi a sua volta per fronteggiarla.

“Andate via.”

Rispose Hermione a denti stretti.

“Non è cacciando me che vi libererete di esso.”

“VIA!”

Urlò con quanto fiato aveva in corpo, indicando con un braccio l’uscita della tenda.

Il suo petto si alzava e abbassava al ritmo del respiro adesso irregolare e affannato. La voleva fuori di lì. Fuori di lì perché non aveva saputo darle l’aiuto di cui aveva bisogno.

Caire Hermione…”

Disse Aden prima di uscire e sparire alla sua vista.

Hermione rimase a guardare l’uscita della tenda per qualche attimo.

Non si rendeva nemmeno conto dell’aiuto che in realtà Aden le aveva dato. Non poteva rendersene conto.

*

*~*~*

*

Armonìa cavalcava Atreo, spingendo il cavallo al limite. Il suo volto urlava rabbia, così come le grida che lanciava per spronare l’animale.

Era arrabbiata. Arrabbiata con la sua migliore amica. Arrabbiata col mondo che stava girando in senso opposto a tutto ciò che doveva essere. Avrebbe dovuto essere diverso. Avrebbero dovuto vivere fianco a fianco più di prima. Combattere guardandosi le spalle a vicenda, cavalcare i loro cavalli sfidando il vento. E invece no. Dalle prove della luna tutto era andato storto. Lei per prima si era comportata male, come una vera idiota.  E poi le scuse, il perdono… e di nuovo punto e accapo.

Non se lo spiegava. Non si spiegava il motivo delle continue sparizioni di Hermione, né la sua aria perennemente assente.

Sembrava non fosse connessa con ciò che le stava attorno. Sembrava persa in qualcosa che nemmeno lei riusciva a comprendere.

Armonìa non sapeva cosa stesse accadendo alla sua amica e la cosa che più le metteva rabbia era che la sua migliore amica le teneva nascosto qualcosa. Qualcosa che la portava a dimenticare i suoi doveri, a trascurare i suoi compiti e a non essere l’Hermione di sempre.

Correva. Correva con l’arco sulle spalle, a ridosso del suo cavallo. Correva perché era più facile non pensarci. Correva perché probabilmente non voleva affrontare la realtà. Credeva di aver fatto il suo passo, perché l’aveva aspettata e perché le aveva detto di riprendersi. Cosa voleva?! Che le estorcesse la verità con la forza? No. Si era comportata male giorni e giorni fa, ma questo non l’autorizzava a trasgredire ancora una volta la loro amicizia. Sarebbe spettato ad Hermione raccontarle tutto, e non lo aveva fatto.

Con la rabbia nella mente e la delusione nel cuore cavalcava Atreo verso il folto della foresta. Non curante di cosa vi avrebbe trovato.

/

Ron continuava ad avanzare, spezzando con un colpo netto ogni genere di pianta che gli ostacolasse il passaggio. Sudato e stanco. Erano ore che camminava in quel labirinto e nessuna traccia di lei. Le aveva seguite. Aveva seguito le orme lasciate dal suo cavallo in corsa e poi, così come le aveva trovate, le aveva perse.

Con un urlò esasperato abbatté l’ennesima liana che gli si parava d’avanti e si lasciò andare, poggiando la schiena contro un albero.

Non sarebbe mai riuscito a ritrovarla e la consapevolezza che il loro incontrarsi dipendeva esclusivamente da lei lo faceva sentire così impotente. Impotente perché sicuramente lei non l’avrebbe cercato più. Impotente perché era stato fermo, lì seduto a guardarla sparire. Senza far nulla per fermarla.

Lentamente si lasciò scivolare fino a ritrovarsi seduto sulla terra umida. Abbandonò la spada accanto a lui.

Si portò le mani a nascondere il volto, mentre sentiva le lacrime pungergli gli occhi. Si passò una mano fra i capelli, fino ad arrivare alla nuca dove strinse la presa.

Morse il labbro inferiore, e chiudendo gli occhi cercò di rimandare indietro quelle stupide lacrime. Lacrime che in quel momento non servivano davvero a nulla.

Persa per sempre, e qualche goccia salata non l’avrebbe certo riportata da lui.

Qualcosa dentro di sé gli gridava di andarla a prendere. Ma dove? Dove mai poteva cercarla nell’immensità di un posto come quello? Che non aveva direzioni, né dava la possibilità di orientarsi. Verso cosa poi? Cos’era esattamente che doveva cercare per ritrovarla? Un villaggio? Un accampamento? Cosa?!

Non lo sapeva. E avrebbe tanto voluto che sbattere la testa contro qualcosa gli desse una risposta. Ma sapeva bene che non avrebbe funzionato per nulla.

 Abbassò lo sguardo, nella più completa disperazione. Non poteva trovarla, non poteva tornare indietro. Non sapeva come tornare indietro.

Improvvisamente il suono di zoccoli al galoppo. Alzò di scatto la testa, catturato da quel suono così familiare.

Non pensò a nulla. Non pensò alla possibilità di sbagliarsi, né all’eventualità di cacciarsi nei guai.

Una sola cosa in mente: Lei.

Era lei. Sentiva che era lei. Lei che si stava avvicinando inconsapevole della sua presenza. E allora toccava a lui. Toccava a lui pararlesi davanti e bloccare la sua corsa. Toccava a lui.

Si rimise velocemente in piedi, riafferrando la spada e tornando a farsi strada attraverso la foresta inespugnabile. Lì in direzione di quel suono meraviglioso.

L’avrebbe fermata e l’avrebbe convinta di ciò che provava. L’avrebbe convinta ad ammettere che per lei era esattamente lo stesso.

/

Non sapeva dove fosse arrivata. Sapeva solo che era lontana dal villaggio. Lontana da tutti. Lontana da lei. Inspirò profondamente. Non voleva pensarci, perché il pensarci gli dava alla testa. Il pensarci faceva si che il sangue pompasse nella direzione del cervello e questo le faceva perdere la calma.

Si sforzava di convincersi che se Hermione non le aveva detto nulla era perché probabilmente non c’era nulla da dire, ma sapeva che la verità era un’altra. E il saperlo non l’aiutava di certo nella sua opera di auto convincimento.

Improvvisamente qualcosa sbucò dal folto della vegetazione parandosi davanti a lei e arrestando la corsa del suo cavallo.

Atreo s’impennò spaventato dal vedersi piombare davanti quel qualcosa. Armonìa riuscì a calmare il suo destriero e appena vide ciò che aveva bloccato la sua corsa rimase spiazzata.

Ron incrociò gli occhi scuri di una figura a lui estranea. Non era lei, non era Hermione. Era una donna. Una donna dalla carnagione scura. Uguale a quella che avevano gli schiavi che commerciavano gli spagnoli in Europa. Era alta, imponente e vestiva in maniera simile a colei che cercava.

Armonìa guardò l’uomo che le stava davanti. Aveva lo sguardo spiacevolmente sorpreso, come se si fosse aspettato di vedere altro.

Non era un cannibale. Loro non vestivano così, né tanto meno avevano quello strano colore di capelli o quella carnagione bianca e maculata.

Chi era? Non importava. Era un uomo. Un uomo mai visto prima. Rappresentava una minaccia anche da solo. Non poteva lasciarlo vivere.

Ron vide lo sguardo della donna farsi minaccioso tutt’un tratto. Afferrò la spada a due mani e si preparò allo scontro imminente. Ricordava le parole di Hermione. Ricordava: Noi gli uomini li uccidiamo..”

Sapeva quindi che quella donna l’avrebbe attaccato da un momento all’altro. Ma sapeva anche che quella donna rappresentava la sua unica possibilità di rivederla.

Armonìa saltò giù da Atreo, gettandosi sull’avversario senza pensare nemmeno ad usare l’arco. Era tardi per usarlo e poi quella era un’arma da usare a distanza. In quel momento l’unica arma a cui poteva affidarsi era il suo corpo.

Ron venne preso in pieno dalla ragazza, finendo per terra. La spada gli cadde, scivolando a qualche passo da lui.

Non ebbe il tempo di rendersi conto di nulla, che un pugno lo colpì dritto in viso. Un dolore lancinante, come se a colpirlo fosse stata sfera di piombo. Sentì la testa battere contro il duro suolo, in contraccolpo al pugno appena ricevuto.

Quello fu solo l’inizio. Armonìa iniziò ad infliggergli ogni sorta di colpo, stordendolo. Colpendo così velocemente da non dargli nemmeno il tempo di pararsi. Lì a cavalcioni su quello che era il nemico numero uno di ogni amazzone.

Ron sentiva solo dolore. Dolore ad ogni colpo. Doveva reagire. Doveva reagire, fermarla e chiederle della ragazza che non dava pace alla sua testa. Doveva fare qualcosa. Avvertì il rumore che l’aria faceva quando veniva sferzata. Alla sua destra. Con un gesto rapido bloccò l’ennesimo pungo con la mano, contrastandolo con forza. Armonìa non si fece sorprendere e provò con l’altra mano, ma Ron riuscì a parare anche quel pungo.

Con uno scatto la mora si tirò su a distanza da Ron, che approfittò per rimettersi in piedi. Sentì il sapore del sangue in bocca. Passò un braccio sulle labbra. Sangue.

“Niente male.”

Disse guardando la donna.

Armonìa non aveva alcuna intenzione di fare conversazione. Lei alle provocazioni rispondeva coi fatti.

Si gettò urlando contro il ragazzo, che la evitò spostandosi all’ultimo momento.

“Non voglio battermi!”

Le disse alzando le mani in segno di resa, ma la ragazza non sembrò sentir ragioni, perché ripartì alla carica.

Stavolta il rosso non fece in tempo ad evitarla, che si sentì afferrare per la vita e improvvisamente gli mancò la terra sotto i piedi.

Armonìa l’aveva afferrato e adesso lo teneva sulle spalle, pronto a scagliarlo per aria. E così Ron si ritrovò, pochi istanti dopo, a scontrarsi col tronco di un albero. Vi sbatté violentemente il fianco contro e finì a terra, prono.

Armonìa lo raggiunse, e con ferocia lo tirò su, battendolo violentemente con l’albero. Gli mise le mani al collo e lo tirò su. Era l’ora di mettere la parola fine alla sua esistenza.

Ron portò le mani su quelle della donna, nel vano tentativo di allentarne la presa. Scalciò tentando di liberarsi ed allora, quando sentì che l’aria stava per mancargli, capì che c’era un’unica via d’uscita.

He-rmMio-Ne…”

Disse, con l’ultimo soffio d’aria che aveva nei polmoni.

Fu un attimo. Un breve e lunghissimo attimo. Le orecchie di Armonìa sentirono quel nome, il nome della sua migliore amica uscire dalla bocca di quel vile, inutile essere. Un attimo e mollò la presa indietreggiando di qualche passo.

Ron cadde di nuovo, inspirando rumorosamente per poi tossire, riabituandosi gradualmente all’aria che rientrava nei suoi polmoni.

Armonìa non poté indagare oltre, perché qualcosa le sfiorò il braccio. Qualcosa di tagliente.

Si girò. Una freccia dal piumaggio nero era conficcata nel ramo avanti a lei.

I cannibali li avevano accerchiati.

********************************************************************************

*____* Sono fierissima di me!

Prima perché ho aggiornato molto presto *___* e poi perché credo che questo capitolo mi sia riuscito particolarmente bene e spero che anche voi la pensiate così.

Un ringraziamento particolare va alle mie più fedeli lettrici:

EDVIGE86 e Carola,

vorrei ringraziare anche emmawatson che è la prima nuova recensista dopo mesi e mesi xD

Vi ringrazio di cuore *____*

Smile by,

La_Nomade_

 

 

 

  
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