Chapter Thirteen
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La foresta
fittissima sembrava opporre resistenza ai colpi di spada che Harry e gli altri
due gettavano contro la vegetazione per aprirsi un varco in quella cortina
inespugnabile. Erano trascorsi
parecchi minuti da quando avevano iniziato le ricerche. Minuti, se non ore.
Harry aveva
promesso a Ginevra che avrebbe ritrovato Ron, che avrebbe ritrovato il suo
generale, la sua spalla e il suo migliore amico. L’avrebbe fatto. Doveva
farlo.
La giungla
equatoriale sembrava però inoppugnabile. Contraria ai piani del sovrano
d’Inghilterra, al quale fino ad ora nessuno aveva mai avuto
l’ardore di dire no.
Non che Harry
fosse un re taumaturgo e intransigente, ma era risaputo che nessuno, per quanto
contrario o nemico potesse essere al re, avrebbe mai osato contrastarlo
apertamente. Mentre quella coltre vividamente verde sembrava non riconoscere
questo tacito patto che vigeva alla corte di ogni sovrano del mondo.
“Arriveremo
mai da qualche parte continuando a fare i giardinieri?”
La voce di Sir Malfoy ruppe improvvisamente il silenzio, fino ad ora
spezzato solo dal rumore dei fendenti. Il biondo era ormai stufo di quella
ricerca assurda, priva, secondo lui, di un valido criterio. In più gli
avrebbe fatto molto più comodo se il Generale Weasley
fosse un vero e proprio disperso. Se non avessero riuscito a ritrovarlo. Senza
dubbio gli era molto più utile da disperso, che il contrario.
Era però
consapevole, che avrebbe potuto porre fine all’esistenza di Harry anche
in questo preciso istante, se solo avesse voluto. Ma c’erano fattori che
non gli consentivano di darsi questa libertà. Draco
sapeva bene che, se Ron fosse sbucato poi fuori dal nulla per lui sarebbe stata
la fine. Sapeva che la sua forza non era nulla paragonata a quella del Generale
Weasley. Bisognava puntare tutto sulla sua
intelligenza, perché se la forza gli era carente, la materia grigia
abbondava in lui.
Uccidere il re
adesso voleva dire esporsi ad un rischio davvero troppo grande. Significava
chiamare a sé le ire di tutti gli altri naufraghi, a parte quei due
idioti dei suoi tirapiedi.
Bisognava
passare al potere con un abile furtivo colpo di stato, che apparentemente non
avrebbe dovuto sembrare tale.
Un tragico
incidente, tutto qui. Magari per colpa di popolazioni indigene. Prima al povero
Generale e poi al suo Re.
“Avete
un’idea migliore, Sir, Malfoy?”
Chiese Harry
girandosi verso uno dei suoi cavalieri. La voce di Sir Malfoy,
gli era arrivata alle orecchie come il continuo ronzio di una fastidiosa
zanzara. Harry non aveva mai potuto sopportare le sue continue lamentele sul da
farsi. Qualsiasi fosse stata la decisione presa, lui avrebbe sempre trovato
qualcosa da ridire al riguardo. E adesso non era veramente il momento per
chiedersi quale sarebbe stato il criterio di ricerca migliore. Non lo era
affatto.
“Abbattere
arbusti non ci porterà a nulla.”
Rispose allora Malfoy con la classica faccia tosta di chi, provocato, aveva l’urgente bisogno
di ribattere.
Draco non aveva mai
mandato giù che ad Harry fosse stata data la corona di Inghilterra quale
legittimo erede al trono. Non aveva mai accettato di essere uno dei tanti
sottoposti di un patetico plebeo. Lui,un Malfoy.
Sangue nobile di generazioni e generazione, dover tenere il moccolo ad un
orfano cresciuto da nobili del quart’ordine!
“Spiegatemi
allora quale metodo vorreste adottare in mezzo ques…”
Non fece in
tempo a concludere.
Un rumore sordo
di cavalli al galoppo. Un urlo prolungato all’infinito. Urla di
più voci. Il galoppo dei cavalli si faceva sempre più vicino e la
terra iniziava a vibrare sempre più sotto i loro piedi. Qualcosa si
stava avvicinando. Qualcosa che sembrava tutt’altro che innocuo.
Finnegan scattò
in un salto e aprendo le braccia riuscì a coinvolgere nella caduta sia
Harry che Draco. Il tempo di sparire dietro una
coltre di foglie verdi e quel qualcosa passò esattamente dove prima
erano fermi. Ciò che dal fogliame riuscirono a vedere fu una mandria di
cavalli cavalcati da selvaggi. Nulla più.
Appena sentirono
il suono degli zoccoli che battevano sulla terra farsi distante, si tirarono
su, uscendo da quel nascondiglio. La prontezza di Finnegan
li aveva salvati tutti dall’essere trucidati da quegli zoccoli che
avevano straziato la terra.
“Grazie Seamus.”
Disse Harry
aiutando il ragazzo a rialzarsi da terra.
“Cosa
diavolo era?!”
Chiese Malfoy togliendosi di dosso il fogliame secco che gli si
era attaccato sulla casacca.
Era mancato
veramente poco perché al posto della terra battuta ci fossero loro.
“Non lo
so…”
Rispose il moro
affannato guardando nella direzione in cui erano spariti i cavalli. Dento di lui avanzava il presentimento che di qualunque
cosa si fosse tratta, questa poteva aver preso Ron. E se così fosse
stato non potevano far altro che segurila.
“Dobbiamo
seguirla.”
Disse
improvvisamente.
“Cosa?!”
Esclamarono Malfoy e Finnegan
contemporaneamente.
“Avnati!”
“Siamo
solo in tre! E loro sono una marea!”
Protestò Finnegan.
“Ron
l’avrebbe fatto per noi.”
*
*~*~*
*
Sedeva nella sua tenda, affilando la
sua ascia con espressione vuota. Senza nemmeno avere la consapevolezza di
ciò che stava facendo. Movimento meccanico del braccio che guidava la
mano, reggente la pietra, su e giù ad accarezzare la fredda lama
dell’ascia. Colpi sicuri e ritmici che producevano lo stesso metallico
rumore.
Aspettava Aden. E questa attesa non
poteva non essere accompagnata dall’agitazione. L’agitava il
pensiero di avere conferma ai suoi presentimenti. L’angosciava
terribilmente il pensiero che ciò che stava provando portasse alla
totale rinnegazione di tutto ciò che era e che aveva sempre voluto essere.
Rinnegare il suo essere Amazzone,
ora che le prove della luna l’avevano fatta principessa. Ora che Nimue l’aveva designata come sua erede.
Una responsabilità
così grande le era cascata sulle spalle inaspettatamente, e nello stesso
tempo quell’uomo era arrivato nella sua vita. Come se la Dea la stesse
mettendo alla prova. Una prova crudele, una prova che non la dava per
vincitrice con tanta facilità.
Chiuse gli occhi. Si sentiva
schiacciata da tutti quei pensieri. Chiuse gli occhi nel vano tentativo di
mandarli via, ma l’immagine che la sua mente gli presentò fu
tutt’altro che di aiuto. L’immagine di quel bacio irruppe
prepotentemente nei suoi pensieri. La piacevole sensazione di quelle labbra
calde sulle sue. Quelle mani grandi sulla sua schiena. Quella sensazione di
benessere… Lasciò cadere l’ascia e la pietra che stava
usando. Portò le mani a stringere la testa cercando di cancellare
quell’attimo. Quel brevissimo attimo. Quell’intenso attimo che
l’aveva destabilizzata profondamente.
Aveva bisogno d’aria.
Si alzò e stava per uscire
quando si ritrovò faccia a faccia con Aden. Gli occhi sorpresi della
donna fecero si che Hermione tornasse presente a sé stessa per una
frazione di secondi.
Ancora visibilmente sorpresa, Aden
le chiese:
“Mi avete cercato?”
Hermione la guardò per alcuni
istanti immobile. Nemmeno le palpebre osarono battere in quel momento. Con un
gesto la invitò ad entrare, ritornando a sedersi.
“Che cos’è
l’amore?”
Chiese senza preamboli e Aden rimase
sbigottita da quella richiesta. Un po’ si aspettava una domanda del
genere, ma mai avrebbe creduto che Hermione, la più valida fra le
giovani Amazzoni,non che principessa, le potesse fare una domanda del genere.
Quella domanda.
La bruna non sorpresa dalla reazione
della donna che le stava d’avanti non aspettò nemmeno un minuto
per richiederle la medesima cosa.
“Parlatemi dell’amore
Aden.”
Aden la guardò, come se uno
schiaffo l’avesse risvegliata dal sonno in cui si trovava. Lentamente le
si avvicinò e le si sedette di fronte.
“Perché mi chiedete questo?”
“Perché ho bisogno di
sapere.”
“Non si chiede di una cosa a
noi sconosciuta senza un motivo.”
Hermione abbassò lo sguardo.
Cosa mai poteva dirle? Che probabilmente era stata colpita da questo male
più letale di un colpo di spada? O di un dardo avvelenato?
Cosa mai avrebbe potuto
risponderle?! Che aveva conosciuto un uomo. Un uomo mai visto prima, che
abitava oltre il grande Mare e che era arrivato lì per caso?! Coprirsi
di vergogna per liberarsi di un peso così grande. Venire meno a tutto il
suo mondo, venir meno a tutto quello che era il giuramento solo per sentire
quel peso sollevarsi da lei?
“Hermione…”
Hermione la guardò, con i
suoi occhi grandi spaesati e confusi. Aveva paura. Era la prima volta che la
paura non era sua alleata. La prima volta che si trovava a fronteggiarla da
nemica.
“Se c’è qualcosa
che non va a me potete dirlo…”
Questo lo sapeva. Sapeva bene che di
tutte le sue sorelle, l’unica che poteva comprenderla era Aden. Aden
c’era passata, e questo Hermione lo sapeva. Lo sapeva anche se non le era
mai stato detto. Lo sapeva per come le altre la guardavano, per come fosse
l’unica a non cavalcare più in battaglia, per come rinunciava con
rammarico a molte delle attività che erano proprie della loro gente.
Quante volte Hermione l’aveva
osservata mentre restava in disparte a guardare le guerriere, di cui un tempo
faceva parte, armarsi per una battaglia. Senza osare avvicinarsi, senza provare
a dare una mano o a sellare il suo fido Mercurio. Mercurio… Hermione non
ricordava di averla mai vista in groppa al suo splendido cavallo.
“Parlatemi dell’amore.
Ditemi se è per lui che avete rinunciato a ciò che
eravate.”
Disse Hermione tornando a guardare
la donna davanti a sé.
Non voleva riaprirle vecchie ferite.
Voleva solo capire. Sapere a cosa andava incontro e capire se il gioco valesse
la candela.
“Sta capitando anche a voi,
non è così?”
Hermione non rispose, si
limitò ad abbassare lo sguardo in una silenziosa risposta.
“Quando ve ne parlai per la
prima volta era arrabbiata, delusa. Delusa da me stessa. Mi ritenevo una debole
e non accettavo ciò che avevo fatto.”
Iniziò la donna carezzando il
capo di Hermione, che manteneva lo sguardo basso. Il suo orgoglio ferito. Era
difficile ammettere che quella stessa cosa che aveva radicalmente cambiato la vita
ad Aden, adesso stava cercando di sconvolgerla nel profondo.
“Mi sembrava di aver tradito
me stessa, di aver tradito le mie sorelle, la mia regina. Il mio essere
Amazzone.”
Continuò la donna, ed
Hermione ascoltava. Ascoltava e le sembrava sentir parlare di sé
piuttosto che della donna che le stava di fronte. Perché anche lei si
sentiva delusa, perché anche lei non lo accettava.
“Ma col senno di poi ho
concluso che non me ne pento. Se potessi tornare indietro mi innamorerei ancora
mille volte e lo vivrei con più serenità.”
E furono queste parole a far alzare
di nuovo lo sguardo ad Hermione. Non poteva credere che Aden avesse detto una
cosa simile. Ma cosa l’era preso? Cosa significava che
s’innamorerebbe ancora mille volte? Avrebbe avuto il coraggio di rinnegare
se stessa e la sua gente ancora una volta?!
Hermione non voleva sentire altro.
Non poteva. Non era questo che le serviva. Le sarebbe servito sapere che
c’era un modo. Un modo per combattere quel sentimento tracotante che la
stava assalendo e dilaniando.
“L’amore non è un
male e non tutte noi siamo nate per essere guerriere sanguinarie
Hermione.”
Concluse Aden allungando una mano
verso di lei e toccandole un braccio.
Hermione interruppe bruscamente quel
contatto alzandosi in piedi e guardandola dall’alto con rimprovero.
“Come potete dire
questo?”
Le chiese con veemenza.
“Come potete affermare con
tanta noncuranza di rifare una cosa simile mille volte?!”
Continuò con la rabbia che le
cresceva in corpo.
“La vita non è solo
quella che vi mostrano qui Hermione.”
“La vita di un’Amazzone
si!”
Aden rimase seduta a guardare la
ragazza dal basso. Nell’impeto e nella rabbia di quest’ultima
rivide se stessa. Rivide tutto il suo risentimento, tutta la sua frustrazione.
Si rivide alla medesima età confusa e amareggiata. In lotta con se
stessa per quel qualcosa di proibito e blasfemo.
“L’amore è un
sentimento che non si può controllare. C’è, esiste e non
potrete farci nulla. Vi travolgerà e nessuno, nemmeno voi, potrà tirarvi fuori dal suo
vortice.”
Le disse alzandosi a sua volta per
fronteggiarla.
“Andate via.”
Rispose Hermione a denti stretti.
“Non è cacciando me che
vi libererete di esso.”
“VIA!”
Urlò con quanto fiato aveva
in corpo, indicando con un braccio l’uscita della tenda.
Il suo petto si alzava e abbassava
al ritmo del respiro adesso irregolare e affannato. La voleva fuori di
lì. Fuori di lì perché non aveva saputo darle
l’aiuto di cui aveva bisogno.
“Caire
Hermione…”
Disse Aden prima di uscire e sparire
alla sua vista.
Hermione rimase a guardare
l’uscita della tenda per qualche attimo.
Non si rendeva nemmeno conto
dell’aiuto che in realtà Aden le aveva dato. Non poteva rendersene
conto.
*
*~*~*
*
Armonìa cavalcava Atreo,
spingendo il cavallo al limite. Il suo volto urlava rabbia, così come le
grida che lanciava per spronare l’animale.
Era arrabbiata. Arrabbiata con la
sua migliore amica. Arrabbiata col mondo che stava girando in senso opposto a
tutto ciò che doveva essere. Avrebbe dovuto essere diverso. Avrebbero
dovuto vivere fianco a fianco più di prima. Combattere guardandosi le
spalle a vicenda, cavalcare i loro cavalli sfidando il vento. E invece no.
Dalle prove della luna tutto era andato storto. Lei per prima si era comportata
male, come una vera idiota. E poi
le scuse, il perdono… e di nuovo punto e accapo.
Non se lo spiegava. Non si spiegava
il motivo delle continue sparizioni di Hermione, né la sua aria
perennemente assente.
Sembrava non fosse connessa con
ciò che le stava attorno. Sembrava persa in qualcosa che nemmeno lei
riusciva a comprendere.
Armonìa non sapeva cosa stesse accadendo
alla sua amica e la cosa che più le metteva rabbia era che la sua
migliore amica le teneva nascosto qualcosa. Qualcosa che la portava a
dimenticare i suoi doveri, a trascurare i suoi compiti e a non essere
l’Hermione di sempre.
Correva. Correva con l’arco
sulle spalle, a ridosso del suo cavallo. Correva perché era più
facile non pensarci. Correva perché probabilmente non voleva affrontare
la realtà. Credeva di aver fatto il suo passo, perché
l’aveva aspettata e perché le aveva detto di riprendersi. Cosa
voleva?! Che le estorcesse la verità con la forza? No. Si era comportata
male giorni e giorni fa, ma questo non l’autorizzava a trasgredire ancora
una volta la loro amicizia. Sarebbe spettato ad Hermione raccontarle tutto, e
non lo aveva fatto.
Con la rabbia nella mente e la
delusione nel cuore cavalcava Atreo verso il folto
della foresta. Non curante di cosa vi avrebbe trovato.
/
Ron continuava ad avanzare,
spezzando con un colpo netto ogni genere di pianta che gli ostacolasse il
passaggio. Sudato e stanco. Erano ore che camminava in quel labirinto e nessuna
traccia di lei. Le aveva seguite. Aveva seguito le orme lasciate dal suo
cavallo in corsa e poi, così come le aveva trovate, le aveva perse.
Con un urlò esasperato
abbatté l’ennesima liana che gli si parava d’avanti e si
lasciò andare, poggiando la schiena contro un albero.
Non sarebbe mai riuscito a
ritrovarla e la consapevolezza che il loro incontrarsi dipendeva esclusivamente
da lei lo faceva sentire così impotente. Impotente perché
sicuramente lei non l’avrebbe cercato più. Impotente perché
era stato fermo, lì seduto a guardarla sparire. Senza far nulla per
fermarla.
Lentamente si lasciò
scivolare fino a ritrovarsi seduto sulla terra umida. Abbandonò la spada
accanto a lui.
Si portò le mani a nascondere
il volto, mentre sentiva le lacrime pungergli gli occhi. Si passò una
mano fra i capelli, fino ad arrivare alla nuca dove strinse la presa.
Morse il labbro inferiore, e
chiudendo gli occhi cercò di rimandare indietro quelle stupide lacrime.
Lacrime che in quel momento non servivano davvero a nulla.
Persa per sempre, e qualche goccia
salata non l’avrebbe certo riportata da lui.
Qualcosa dentro di sé gli
gridava di andarla a prendere. Ma dove? Dove mai poteva cercarla
nell’immensità di un posto come quello? Che non aveva direzioni,
né dava la possibilità di orientarsi. Verso cosa poi?
Cos’era esattamente che doveva cercare per ritrovarla? Un villaggio? Un
accampamento? Cosa?!
Non lo sapeva. E avrebbe tanto
voluto che sbattere la testa contro qualcosa gli desse una risposta. Ma sapeva
bene che non avrebbe funzionato per nulla.
Abbassò lo sguardo, nella
più completa disperazione. Non poteva trovarla, non poteva tornare
indietro. Non sapeva come tornare indietro.
Improvvisamente il suono di zoccoli
al galoppo. Alzò di scatto la testa, catturato da quel suono così
familiare.
Non pensò a nulla. Non
pensò alla possibilità di sbagliarsi, né
all’eventualità di cacciarsi nei guai.
Una sola cosa in mente: Lei.
Era lei. Sentiva che era lei. Lei
che si stava avvicinando inconsapevole della sua presenza. E allora toccava a
lui. Toccava a lui pararlesi davanti e bloccare la
sua corsa. Toccava a lui.
Si rimise velocemente in piedi,
riafferrando la spada e tornando a farsi strada attraverso la foresta
inespugnabile. Lì in direzione di quel suono meraviglioso.
L’avrebbe fermata e
l’avrebbe convinta di ciò che provava. L’avrebbe convinta ad
ammettere che per lei era esattamente lo stesso.
/
Non sapeva dove fosse arrivata.
Sapeva solo che era lontana dal villaggio. Lontana da tutti. Lontana da lei.
Inspirò profondamente. Non voleva pensarci, perché il pensarci
gli dava alla testa. Il pensarci faceva si che il sangue pompasse nella
direzione del cervello e questo le faceva perdere la calma.
Si sforzava di convincersi che se
Hermione non le aveva detto nulla era perché probabilmente non
c’era nulla da dire, ma sapeva che la verità era un’altra. E
il saperlo non l’aiutava di certo nella sua opera di auto convincimento.
Improvvisamente qualcosa
sbucò dal folto della vegetazione parandosi davanti a lei e arrestando
la corsa del suo cavallo.
Atreo s’impennò spaventato
dal vedersi piombare davanti quel qualcosa. Armonìa
riuscì a calmare il suo destriero e appena vide ciò che aveva
bloccato la sua corsa rimase spiazzata.
Ron incrociò gli occhi scuri
di una figura a lui estranea. Non era lei, non era Hermione. Era una donna. Una
donna dalla carnagione scura. Uguale a quella che avevano gli schiavi che
commerciavano gli spagnoli in Europa. Era alta, imponente e vestiva in maniera
simile a colei che cercava.
Armonìa guardò l’uomo che le
stava davanti. Aveva lo sguardo spiacevolmente sorpreso, come se si fosse
aspettato di vedere altro.
Non era un cannibale. Loro non
vestivano così, né tanto meno avevano quello strano colore di
capelli o quella carnagione bianca e maculata.
Chi era? Non importava. Era un uomo.
Un uomo mai visto prima. Rappresentava una minaccia anche da solo. Non poteva
lasciarlo vivere.
Ron vide lo sguardo della donna
farsi minaccioso tutt’un tratto. Afferrò la spada a due mani e si
preparò allo scontro imminente. Ricordava le parole di Hermione.
Ricordava: “Noi gli uomini li uccidiamo..”
Sapeva quindi
che quella donna l’avrebbe attaccato da un momento all’altro. Ma
sapeva anche che quella donna rappresentava la sua unica possibilità di
rivederla.
Armonìa saltò
giù da Atreo, gettandosi sull’avversario
senza pensare nemmeno ad usare l’arco. Era tardi per usarlo e poi quella
era un’arma da usare a distanza. In quel momento l’unica arma a cui
poteva affidarsi era il suo corpo.
Ron venne preso
in pieno dalla ragazza, finendo per terra. La spada gli cadde, scivolando a
qualche passo da lui.
Non ebbe il
tempo di rendersi conto di nulla, che un pugno lo colpì dritto in viso.
Un dolore lancinante, come se a colpirlo fosse stata sfera di piombo.
Sentì la testa battere contro il duro suolo, in contraccolpo al pugno
appena ricevuto.
Quello fu solo
l’inizio. Armonìa iniziò ad
infliggergli ogni sorta di colpo, stordendolo. Colpendo così velocemente
da non dargli nemmeno il tempo di pararsi. Lì a cavalcioni su quello che
era il nemico numero uno di ogni amazzone.
Ron sentiva solo
dolore. Dolore ad ogni colpo. Doveva reagire. Doveva reagire, fermarla e
chiederle della ragazza che non dava pace alla sua testa. Doveva fare qualcosa.
Avvertì il rumore che l’aria faceva quando veniva sferzata. Alla
sua destra. Con un gesto rapido bloccò l’ennesimo pungo con la
mano, contrastandolo con forza. Armonìa non si
fece sorprendere e provò con l’altra mano, ma Ron riuscì a
parare anche quel pungo.
Con uno scatto
la mora si tirò su a distanza da Ron, che approfittò per
rimettersi in piedi. Sentì il sapore del sangue in bocca. Passò
un braccio sulle labbra. Sangue.
“Niente
male.”
Disse guardando
la donna.
Armonìa non aveva
alcuna intenzione di fare conversazione. Lei alle provocazioni rispondeva coi
fatti.
Si gettò
urlando contro il ragazzo, che la evitò spostandosi all’ultimo
momento.
“Non
voglio battermi!”
Le disse alzando
le mani in segno di resa, ma la ragazza non sembrò sentir ragioni,
perché ripartì alla carica.
Stavolta il
rosso non fece in tempo ad evitarla, che si sentì afferrare per la vita
e improvvisamente gli mancò la terra sotto i piedi.
Armonìa l’aveva
afferrato e adesso lo teneva sulle spalle, pronto a scagliarlo per aria. E
così Ron si ritrovò, pochi istanti dopo, a scontrarsi col tronco
di un albero. Vi sbatté violentemente il fianco contro e finì a
terra, prono.
Armonìa lo raggiunse, e
con ferocia lo tirò su, battendolo violentemente con l’albero. Gli
mise le mani al collo e lo tirò su. Era l’ora di mettere la parola
fine alla sua esistenza.
Ron portò
le mani su quelle della donna, nel vano tentativo di allentarne la presa.
Scalciò tentando di liberarsi ed allora, quando sentì che
l’aria stava per mancargli, capì che c’era un’unica
via d’uscita.
“He-rm…Mio-Ne…”
Disse, con
l’ultimo soffio d’aria che aveva nei polmoni.
Fu un attimo. Un
breve e lunghissimo attimo. Le orecchie di Armonìa
sentirono quel nome, il nome della sua migliore amica uscire dalla bocca di
quel vile, inutile essere. Un attimo e mollò la presa indietreggiando di
qualche passo.
Ron cadde di
nuovo, inspirando rumorosamente per poi tossire, riabituandosi gradualmente
all’aria che rientrava nei suoi polmoni.
Armonìa non poté
indagare oltre, perché qualcosa le sfiorò il braccio. Qualcosa di
tagliente.
Si girò.
Una freccia dal piumaggio nero era conficcata nel ramo avanti a lei.
I cannibali li
avevano accerchiati.
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*____* Sono fierissima
di me!
Prima perché ho
aggiornato molto presto *___* e poi perché credo che questo capitolo mi
sia riuscito particolarmente bene e spero che anche voi la pensiate
così.
Un ringraziamento
particolare va alle mie più fedeli lettrici:
EDVIGE86 e Carola,
vorrei ringraziare
anche emmawatson che è la prima nuova recensista dopo mesi e mesi xD
Vi ringrazio di cuore
*____*
Smile
by,
La_Nomade_