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Autore: kia84    03/04/2010    0 recensioni
Eleonor apri gli occhi! Di colpo mi svegliai frastornata, il cuore batteva a mille come se fosse impazzito e il mio respiro ansante non riusciva a placarsi. Stavo sudando freddo e la testa non smetteva di girarmi come in un vortice senza uscita. Cosa mi stava succedendo? Di chi era quella voce?
Genere: Romantico, Avventura, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: What if? (E se ...) | Avvertimenti: nessuno
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Mancava un giorno a natale, poco più di ventiquatto ore, ed io mi sentivo uno schifo. Per Sophie mi ero calata la maschera della donna che sprizzava felicità da tutti i pori andando a comprare insieme i regali da mettere sotto l'albero. Mi ero trasformata in una di quelle persone imbecilli che a natale si trasformavano in shinning se non era tutto perfetto e pieno d'amore. Mi davo il voltastomaco da sola. Ma lo facevo per la bambina, questo ed altro. Avevo passato gli ultimi mesi a sobbalzare per ogni minimo rumore o suono che provenisse fuori dalla casa. Avevo paura che venissero a riprendersi Sophie, o più precisamente timore che una donna assomigliante a Giselle suonasse alla porta con un mandato del giudice e qualche persona dei servizi sociali per portare la bambina via da me. Ero terrorizzata, quello era il mio incubo peggiore che non riusciva più a farmi dormire la notte e a confermarlo c'erano le mie occhiaie e la mia perdita di peso che dicevano tutto. Se pensavo che gli incubi con i vampiri erano pericolosi e dolorosi questi ultimi mi dilaniavano l'anima. Perdere Sophie mi avrebbe annientata letteralmente. Non sarei sopravvissuta a tutto ciò. Avevo persino paura di perderla di vista anche soltanto per un secondo, ma William cercava sempre di calmarmi e farmi scemare l'ansia abbracciandomi il più possibile. Ormai non era più un segreto per nessuno che andavamo a letto insieme e avevamo quella strana relazione, ma io non avevo ancora avuto il coraggio di dirgli chiaramente in faccia ciò che provavo per lui. Non ne capivo il motivo, ogni volta che veniva a cercarmi o lo facevo io ero sempre sul punto di dirglielo ma qualcosa mi tratteneva. Non avevo fatto nessun passo avanti con lui, così come non lo avevo fatto nei rapporti con gli altri membri della casa. Non parlavo con Syria da quando avevo ricevuto la lettera dei legali di Martine, ormai evitavo ogni contatto con lei, mi sentivo tradita due volte; con Nathan la questione era un pò diversa. Era incavolato per la situazione tra Syria e me, ma avevo avuto il grande onore di non essere sbattuta fuori dalla cerchia dei suoi illustri amici; i rapporti tra il mio miglior amico e mio cugino erano più tesi di una corda di violino. Nathan avrebbe voluto non vederci amoreggiare nei suoi paraggi, o per nulla, mentre William a volte ci godeva a farlo irritare e mi stringeva forte tra le braccia annusandomi i capelli per poter lanciare occhiate di sfida al fratellastro. Continuavano a fare i bambini. Se fossi stata un'altra donna probabilmente mi sarebbe piaciuta quella specie di gelosia e possesso che aleggiava tra di loro, ma in realtà non ne potevo più. Non mi piaceva essere il centro della disputa silenziosa tra quei due. La tensione del natale si sentiva in ognuno di noi, ci stava rendendo più folli del previsto...o in questo caso, del normale. Vidi Natasha controllare la posta vicino alla porta d'entrata, poi si voltò verso di me che continuavo ad osservarla impaziente e scosse la testa con espressione desolata. Ancora nessuna risposta. Con depressione, andai in cucina riempiendomi un bicchiere di spremuta d'arancio ed iniziai a berlo agguantando con l'altra mano il bordo del lavandino così forte da far diventare le mie nocche bianche. Erano passate ormai quasi tre settimane da quando avevo chiesto a mia sorella Christine di intercedere per me con nostro padre. Le avevo raccontato delle intenzioni di Martine Dumont chiedendole aiuto, mi ero persino abbassata a supplicare Greg Austin affinchè lui potesse manovrare un pò le cose dall'alto per farmi questo piacere. Per tenere unita la famiglia. Il guaio era che non gli avevo fatto nessuna pietà e la sua vita trascorreva tranquillamente come prima. Non ero una sua priorità e, visto che ormai ero scappata di casa, probabilmente non gli interessava per niente darmi una mano per tenere Sophie con me. Mi sentivo avvilita e furiosa, ma non potevo fare nulla per migliorare quella situazione...o almeno non sapevo come farlo. Sospirai frustrata mentre osservavo il mio respiro caldo appannare il vetro della finestra davanti a me. Era strano come tutto fuori quella lastra trasparente fosse immobile e silenzioso, come se esistessero due mondi completamente diversi divisi da un semplice vetro che, se pur sembrasse fragile, era più resistente della roccia. Avrei voluto irrompere in quell'assurdo e snervante silenzio per travolgerlo con un urlo talmente potente che mi avrebbe reso afona. Non mi sembrava giusta quella quiete apparente, specialmente non per la mia testa. Sentii una mano posarsi sulla mia spalla e un fiato caldo soffiarmi sul collo mentre posava le sue labbra su esso facendomi rabbrividire. Chiusi gli occhi e sospirai a quel tocco. Avrei voluto sentirlo in un altro momento, un'altra situazione quando tutto quel casino fosse finito e Dilette e Lux scomparsi dalla faccia della terra; forse allora la nostra relazione poteva essere diversa. Forse saremmo stati felici oppure avrei lasciato perdere in partenza quel ritorno di fiamma, capendo che non ci avrebbe portato a nulla di buono a parte prenderci in giro a vicenda. Forse ci saremmo odiati e di sicuro tutta l'angoscia che ci circondava non sarebbe stata la scusa sufficiente per rimetterci insieme. Ma io ero egoista e volevo sentirlo mio a tutti i costi.

"Tutto tornerà a posto." mormorò lui accostandosi con il corpo alla mia schiena.
"Come fai a dirlo? La stiamo perdendo." sussurrai io con voce roca mentre riaprivo gli occhi per osservare le nostre due figure alla finestra. Lui incrociò il mio sguardo.
"Non perdere le speranze, gli avvocati stanno ancora studiando un modo per risolvere il problema. Abbi fiducia."
"Ormai la fiducia sta svanendo. Sta passando troppo tempo e Martine non si sta tirando indietro, anzi insiste per l'affidamento anche se le abbiamo rivelato che mio fratello era il padre di Sophie. Era la nostra ultima carta e ce la siamo giocata inutilmente. Scusa ma non ho molte altre speranze." dissi sconfortata sbuffando indispettita. Non ce la facevo più a sostenere quella lunga attesa.
"Lo so cosa stai provando ma non sei sola, ricordatelo sempre. Te lo ha detto persino Sophie." mi disse spostando la sua mano lungo il mio braccio accarezzando dolcemente la pelle. Era il suo modo per distendermi i nervi e a volte ci riusciva, ma non oggi.
"Già, Sophie...e se Martine vincesse la causa? Se un giorno mi svegliassi e mi accorgessi che la bambina non è più in camera? Ho paura." la mia voce manifestò tutta la mia ansia.
"Appena gli avvocati mi diranno qualcosa verrò subito da te a dirtela." mi soffiò lui sul collo con convinzione e un briciolo di ottimismo che però non riuscì ad investirmi nemmeno un pò. Ero depressa.
"Lo so, grazie. Mi infastidisce il fatto che mio padre non ha mosso un dito per aiutarmi...si tratta pur sempre di sua nipote, come può infischiarsene così?" la sola idea mi ripugnava.
"Probabilmente sta cercando di farlo senza dirti nulla prima di avere una qualche chance per vincere l'affidamento." ipotizzò lui con un'alzata di spalle cercando di minimizzare l'accaduto. Capivo che non voleva farmi preoccupare più del dovuto, ma quelle parole più che calmarmi mi fecero alterare ancor di più.
"Non è un premio alla lotteria Will! E poi dubito fortemente che sia così perchè altrimenti Christine mi avrebbe avvisata, sai benissimo com'è fatta mia sorella. Per nessuna ragione al mondo farebbe penare le persone in questo modo." sbottai esasperata allontanandomi da lui e dalle sue braccia. Una parte di me avrebbe voluto tornarci ma l'altra era talmente infuriata che quasi le sarebbe venuta l'orticaria se l'avesse sfiorata di nuovo. Quella situazione mi stava rendendo ancor più irritabile del solito e la persona che si beccava la mia suscettibilità era sempre lui. Will. Ero meschina.
"Effettivamente Christine è un tipo molto particolare. Ma non ti devi perdere d'animo Eleonor, non serve a niente. Dov'è la bambina?"
"L'ho mandata a giocare fuori in giardino con Nikolaj...non riuscivo a sorridere ancora per molto e ho dovuto allontanarla per non farle capire come mi sento in realtà. Ho difficoltà a fingere, specialmente in sua presenza. Non so cosa fare; mi sembra persino che il mio finto sorriso sia diventato di plastica, mi fa male la mascella quando imito miss felicità del natale." borbottai facendo una smorfia infastidita mentre mi massaggiavo il mento un pò dolorante. A volte mi sentivo persino una Barbie nella sua fastidiosissima posa immutabile e sempre radiosa. Da piccola staccavo sempre la testa a quelle bamboline di plastica che rasentavano la perfezione, peccato che erano quelle che mi aveva passato Christine dalla sua infanzia e che, dopo averle decapitate, il senso di colpa mi opprimeva così tanto da rimetterle a posto prima della visita di mia sorella nella mia vecchia camera. Preferivo giocare con i bastoni e correre nel vasto giardino anche in pieno inverno, mentre a volte provocavo persino delle risse con i figli delle domestiche. Un vero e proprio maschiaccio.
"Miss felicità del natale è una donna affascinante, coraggiosa e fa di tutto affinchè le altre persone non si preoccupino per lei soltanto perchè non vuole far pesare loro i suoi problemi. Mi sembra un tipino molto buono e generoso." lo vidi sorridere dolcemente mentre mi accarezzava il corpo con uno sguardo, mi sentii fremere mentre un calore si sprigionava in me. Sentivo le mie guance in procinto di arrossarsi e gli voltai le spalle di colpo, non volevo che sapesse il potere disarmante che aveva su di me.
"Forse sbagli persona, il mio secondo nome è miss ipocrisia ed è piuttosto appropriato in questo momento." sbuffai demoralizzata incrociando le braccia sotto il petto. Potevo sentirlo sogghignare.
"Smettila, oppure ti si allungherà il naso al suono delle balle che escono dalla tua bocca. Chiaro?" mi rimproverò lui cercando di camuffare la risata che gli saliva alle labbra.
"Chiaro professore...o dovrei chiamarti grillo parlante?" gli chiesi lanciandogli una finta occhiataccia malevola per poi ricambiare il suo ampio sorriso quando lui non ce la fece più di rimanere serio.
"No, preferisco mia illustre magnificenza." ghignò lui.
"Nei tuoi sogni."
"Perchè non esci fuori a distrarti? Ti farebbe bene. Magari porta anche Natasha e i bambini, vi divertirete di più insieme." mi disse lui avvicinandosi mentre mi posava le mani sulle spalle. Lo fissai nella speranza di udire che si sarebbe unito a noi, ma rimasi delusa dal suo silenzio. Se prima lo avevo sempre intorno o in giardino ad allenarsi con Nathan, adesso lo vedevo raramente visto che continuava a fare da spola tra la casa di Natasha e villa Gray dove aveva uno studio tutto suo. A volte mi sembrava persino di essermi sognata quella specie di relazione che ci teneva uniti. "Io sarò impegnato per tutta la mattinata, quindi ci vedremo qui nel primo pomeriggio. Adesso vado. Ciao." con un dolce bacio sulla mia fronte, se ne andò lasciandomi sola. Il vuoto che mi lasciò la sua assenza mi faceva male al petto e, nonostante le settimane passate, non riuscivo a farci l'abitudine. Volevo che restasse un pò di tempo con me, ma la nostra intimità era stata in qualche modo infangata dalla scoperta di Nath e dalla delusione che davo ogni giorno a Will evitando di decidere su quello che eravamo. Sentivo di volere di più da lui e da quella situazione ma non sapevo come fare a trattenerlo con me, la stessa cosa che provavo per Sophie.

Seguii il suo consiglio. Scesi le scale e raggiunsi in fretta l'ambulatorio entrando senza prima bussare come facevo negli ultimi tempi, specialmente adesso che Syria si era ripresa e non restava rintanata su quel maledetto lettino all'angolo. La evitavo, non volevo avere più niente a che fare con lei. Prima il suo tradimento e dopo quella lettera dell'avvocato di Martine, aveva già fatto fin troppo per rovinare quel che rimaneva del nostro, ormai estinto, rapporto. Ormai la ritenevo fuori dalla mia vita e non volevo più farla entrare. Non riuscivo a perdonarla. Quando varcai la soglia mi fermai di colpo trovandomi davanti una scena un pò equivoca e decisamente imbarazzante per la mia amica. Era inginocchiata per terra mentre con delle garze tamponava i pantaloni di Patrick, così mi aveva detto che si chiamava l'uomo di colore che avevo intravisto quel giorno in ambulatorio con lei, lui agitava le mani verso il basso con l'intenzione di farla smettere. Era a disagio mentre lei non sembrava neanche accorgersene. La sicurezza che aveva ostentato Patrick in quel primo momento era scemata del tutto a causa della freddezza di lei nel compiere quel gesto per nulla naturale verso una persona che ancora non si conosceva bene. Mi trattenni a stento nello scoppiare a ridere e feci un colpo di tosse per attirare la loro attenzione; Patrick fece due passi indietro, turbato, mentre Natasha si rimetteva in piedi guardandomi con sguardo neutrale. Non capivo perchè evitava di sbilanciarsi in una situazione del genere. Perchè le persone erano così stupide quando incontravano un ipotetico compagno che era interessato a loro? Invece di cogliere al volo l'occasione e iniziare a conoscerlo se ne stavano alla larga come se fosse un portatore della peste nera. Dovevo smuoverla altrimenti sarebbe rimasta così per sempre e Nikolaj ci avrebbe rimesso, così come lei stessa. Decisi che era arrivato il tempo per Natasha di cambiare ed io le avrei dato una mano.

"Scusate, ho interrotto qualcosa?" chiesi con fare innocente mentre spostavo lo sguardo dall'una all'altro. Morivo dalla curiosità nel vederli interagire insieme, l'altra volta li avevo soltanto spiati per alcuni secondi e adesso volevo vedere di più.
"Nulla. Gli ho sbattuto contro e per sbaglio gli ho rovesciato il caffè sui pantaloni. Ho cercato di tamponare la macchia come meglio potevo ma ormai sono da lavare. Puoi sempre toglierteli e li metto nella lavatrice, puoi usare i pantaloni del camice degli infermieri se vuoi. Sono in quell'armadio." disse in tono neutrale indicando l'armadio nella parete di fronte. Sembrava non avere sentimenti in corpo, come se non gliene fregasse niente. In realtà sapevo che non era così. Per lei era difficile togliersi quella maschera.
"No grazie. Tra un pò devo andare in ospedale, mi cambierò li." disse lui cercando inutilmente di dissimulare il suo imbarazzo. Non servì a niente.
"Patrick giusto?" gli chiesi facendo finta di non sapere come si chiama.
"Si." gli porsi la mano che lui strinse in segno di saluto e ci scambiammo un sorriso di cortesia da persone civili. Mi piaceva quell'uomo. Aveva una stretta forte e decisa, sentivo che non si sarebbe dato per vinto con Natasha. Il mio sorriso si ampliò di più, specialmente quando scorsi l'occhiataccia che mi rifilò la mia amica intuendo le mie intenzioni.
"Piacere io sono Eleonor, abito con lei...a scrocco, ma le fornisco i pazienti per l'ambulatorio. Penso sia uno scambio equo." ridacchiai facendo l'occhiolino a Patrick in segno di combutta. Lui rise con le sue labbra scure e carnose, era affascinante. Avrei preso volentieri a sberle Natasha in quel momento. "Non sapevo che fossi un dottore."
"Un cardiochirurgo per la precisione. Questa è stata la mia specializzazione qualche anno fa." mi spiegò semplicemente lui con modestia.
"E' un'ottima notizia, quindi chiunque avesse bisogno di un'operazione al cuore potrà chiamare te in qualsiasi momento. Sai, ultimamente qui gli incidenti capitano più spesso del previsto. Hai già fatto visitare l'ospedale a Natasha?"
"Avrei voluto, ma la dottoressa non ha mai tempo. A quanto pare la tenete costantemente impegnata. Qualche mese fa le ho chiesto di venire a lavorare con me e da allora, ogni giorno che passavo da lei, le rifacevo sempre la stessa domanda e lei mi dava la medesima risposta: no. Senza darmi nessuna spiegazione." era una testa dura quella donna. Perchè continuava a comportarsi così? Faceva soltanto del vuoto intorno a se, a volte mi sembrava me e la cosa non mi piaceva affatto. Nessuno avrebbe mai rifiutato una proposta del genere, specialmente una dottoressa che non era ancora ben vista dalla gente del paese. Perchè era così ostinata a mantenere quel suo status da esiliata?
"Penso che adesso sia ora che tu vada, altrimenti il tuo turno inizia senza di te. Non voglio essere la scusa del tuo ritardo." queste parole mi fecero sbuffare mentre lanciavo un'occhiata esasperata alla mia amica. I miei occhi lampeggiavano in segno di disapprovazione, ma lei se ne infischiò altamente nascondendosi dietro la sua scrivania. Stupida donna russa.
"Giusto, hai ragione. Allora alla prossima. Natasha...Eleonor, con permesso." detto questo se la filò in fretta con un'espressione delusa in volto. Mi dispiaceva per lui. Quando rimanemmo soltanto noi due, decisi finalmente di affrontarla. Non volevo che commettesse i miei stessi errori.
"Se è lecito saperlo, cosa cavolo stai combinando con Patrick?" le chiesi tutto d'un fiato facendola quasi sobbalzare. Non avrei fatto finta di niente stavolta.
"Niente."
"Lo vedo! Ma sei impazzita? Non capita mica tutti i giorni di trovare un uomo come lui che continua a farti il filo nonostante tu ti neghi." mi stavo agitando inutilmente ma non riuscivo più a trattenermi. Patrick non meritava tutto quello.
"A lui interessa soltanto che io entri a lavorare in quel dannato ospedale, non mi sta facendo mica il filo!" le avrei sbattuto in testa tutta la sua enciclopedia medica che ostentava con onore sulla mensola dietro di lei. Forse tutto quel peso di nozioni mediche russe l'avrebbero fatta rinsavire.
"Ma sei cieca oltre che impazzita? Non ti rendi nemmeno conto di quanto tu sia fortunata."
"Così quanto lo sei tu?" aveva fatto centro con una sola freccia. Mi scoccò un'occhiata eloquente che valeva più di mille parole. Aveva ragione, lo sapevo.
"Adesso non stiamo parlando di me. Perchè ti comporti così? Perchè non gli offri un'opportunità per conoscerti meglio? Giuro che non gli stai dando una buona impressione di te stessa. Nè come dottoressa e neppure come donna e ti assicuro che Patrick è interessato a te non solo per le tue doti lavorative." alzai la voce non riuscendo a capire la testardaggine di Natasha di fronte alla realtà dei fatti.
"Io non..." la interruppi subito scuotendo la testa.
"Non cercare scuse. E' così. Lui è cotto di te e lo vedrebbe chiunque vi stia intorno. Smettila di far finta di niente, lo so bene che anche tu te ne sei accorta ma non gli hai voluto dare nessun peso perchè hai una fifa matta di ricominciare a vivere come una volta. Probabilmente non vuoi sentire certe cose ma è inutile scappare in eterno da esse. Affronta il problema, non evitarlo. E' quello che mi ha detto William la sera che ho ricevuto la lettera dei legali di Martine, quella sera avevo preparato le valige per andarmene via con Sophie ma lui mi ha fermata chiedendomi di fidarmi di lui. Da quel giorno sto cercando di farlo continuamente e non me ne sono mai andata. Sono rimasta qui ad affrontare la storia. Non vado fiera del mio comportamento e di certo non ne dovresti andare fiera nemmeno tu."
"Non voglio trovarmi nella stessa situazione che ho avuto quando è scomparso mio marito. Non voglio più perdere nessuno che faccia parte della mia vita. Nemmeno te, Sophie e gli altri." capivo le sue preoccupazioni perchè erano uguali alle mie, ma doveva reagire. Sentivo tristezza nella sua voce e anche un pò di ira verso di me che volevo riportare alla luce fatti che lei preferiva dimenticare.
"La cosa è reciproca e tu lo sai. Nessuno vuole perdere una persona cara e concordo anche del fatto che è difficile far entrare un altro uomo nel tuo cuore, ma se non vuoi continuare con questa vita patetica da reclusa devi fare uno sforzo. Fallo per tuo figlio, lui ha bisogno di vedere sua madre felice."
"Hai ragione. Lo devo fare per lui...dopotutto non posso crescerlo da sola, anche se non credo che fino adesso abbia fatto un brutto lavoro." disse lei in tono pratico e un pò presuntuoso. Sapeva di essere un'ottima madre e non aveva tempo per la finta modestia.
"Affatto, sei una madre stupenda e Nikolaj è un bravo bambino ubbidiente. Sei fortunata. E poi non lo faresti soltanto per lui ma anche per te stessa. Ricorda che sei ancora giovane." ribattei con forza ed entusiasmo cercando di trasmetterli anche a lei. Non volevo che si perdesse d'animo proprio adesso che stava per cedere.
"Non per questo devo andare con il primo che passa!" esclamò lei storcendo il naso dalla disapprovazione.
"Infatti non è il primo che passa...ma è quello più caparbio, che è duro a mollare la preda quando se la trova di fronte. Ne vale la pena secondo me. E poi mica te lo devi sposare o portare a letto...almeno non subito. Conoscilo prima e poi deciderai con tutta calma. Un pò per volta e capirai cosa fare. Potresti iniziare con una cena, cosa ne dici?" le proposi io con un sorriso incoraggiante. Speravo mi dicesse di si.
"Una cena?" non sapevo se era più scandalizzata o schifata da quello che le avevo detto. Il suo sguardo mi raggelò all'istante mettendomi a disagio.
"Si, sai quando due persone escono fuori, vanno in un ristorante e si siedono ad un tavolo ed iniziano a mangiare parlando del più e del meno. Quella si chiama cena e può essere romantica o meno, dipende sempre dalla scelta del ristorante, dalla posizione del tavolo...possibilmente appartato...dalle luci, dai fiori se lui te li regala, dal tuo vestito...potremmo iniziare da quello." quasi tentennai quando glielo dissi.
"Ma se non ti ho nemmeno detto che la cena mi va bene!" mi freddò lei all'istante. Mi sembrava di essere al Polo Nord.
"Perchè dovresti dirmi di no?" azzardai io lanciandole un'occhiata accattivante.
"Perchè ho ancora la testa sulle spalle?"
"E chi ti deve dire che te la devi portare dietro durante l'appuntamento?"
"Nessuno ha parlato di appuntamento!" sbraitò lei alterata facendomi rizzare i peli del braccio. Notai allegramente che era arrossita, questo mi mise in una posizione di vantaggio su di lei.
"E tu come cavolo la vuoi chiamare una cena tra uomo e donna? Per colpa tua non siete nemmeno amici, cosa pretendi? Povero Patrick, ha una bella gatta da pelare!" scossi la testa con fare desolato mentre alzavo gli occhi al soffitto bianco.
"Va bene, diamine. So che me ne pentirò." borbottò Natasha contrariata mentre sbatteva sulla scrivania un plico pesante di fogli. Non riuscii a nascondere un sorriso a trentadue denti. Finalmente era stata sconfitta e lei lo sapeva bene.
"Ottimo, allora vatti a cambiare e portiamo fuori i bambini a fare compere. Ti devo un favore per quando mi hai aiutata a prepararmi il giorno in cui sono tornata a casa, quindi adesso lasciati aiutare tu. Ti va?" le chiesi piena di aspettattive che fortunatamente vennero accolte dalla mia amica nonostante i suoi dubbi.
"Va bene. Saprò chi uccidere se le cose dovessero andare male."
"Si certo, certo. Adesso fila in camera tua mentre io vado a prendere i bambini e non voglio sentire altre storie dalla tua bocca. Prima però dovrai fare un ultimo sforzo." le dissi allungandole il suo cellulare dopo aver selezionato il nome di Patrick sul display. La fissai con occhi da predatore sapendo di averla ormai messa con le spalle al muro.
"Ti odio." mi sibilò lei irrigidendo la mascella e la schiena.
"Si anch'io. Chiamalo." le risposi mettendole il cellulare proprio sotto il naso. Lei lo prese di scatto e attese finchè Patrick non rispose. E non ci volle molto, pensai accentuando il sorriso.

Attesi finchè la telefonata non finì, ovvero un minuto e mezzo dopo, ascoltando l'appuntamento che Natasha stava confermando al cardiochirurgo. Sospettavo l'incredulità di Patrick mentre balbettava qualche frase per far capire di stare ancora a parlare al cellulare. Dopo qualche altro commento acido da parte sua, Natasha sparì al piano superiore per andarsi a rendere più presentabile togliendosi ovviamente di dosso quel camice bianco che continuava perennemente a portare anche fuori dall'ambulatorio. Era come una sorta di coperta di Linus per lei, un modo per nascondersi dagli altri e restare nel suo mondo. Con un sospiro di sollievo, andai verso la porta finestra alla parete per vedere se Nikolaj e Sophie erano in giardino, ma non c'era traccia di loro; con la coda dell'occhio, scorsi ad un angolo una scena che attirò del tutto la mia attenzione. Si trattava di Nathan e Syria. Sembrava stessero avendo un'accesa discussione, lei strinse le labbra per non piangere mentre gli si avvicinava posandogli una mano al petto. Lui cercò di indietreggiare ma Syria non ne voleva sapere di spezzare quel contatto tra loro e continuava a seguirlo implacabile parlandogli, vedevo sul volto di lui il tormento. Capivo che avrebbe voluto andarsene, ma non era soltanto il corpo di lei ad impedirglielo era ciò che lei rappresentava per lui. Sapevo che adesso tra loro due le cose stessero cambiando, l'atmosfera era diventata elettrica e passavano molto tempo insieme, però non volevo sapere fino a che punto si erano spinti nel loro rapporto e forse non volevo nemmeno saperlo. Volevo soltanto che Nathan non soffrisse più a causa dell'amore, già gli avevo scavato una voragine nel petto senza chiedergli scusa e adesso rischiava di rimanerci secco se le cose fossero andate male. Fin da quando mi ero rifugiata da Syria e Nath mi aveva seguita, un parte di me li vedeva bene quei due insieme. L'altra parte era quella possessiva e gelosa perchè un'altra donna stava usurpando l'attenzione del mio migliore amico che una volta era soltanto mia. Una gelosia assurda che era dettata soltanto dal puro egoismo. Non avevo il motivo di sentirmi così visto che ormai avevo William e la sua dannata seconda proposta di matrimonio che mi aveva scombussolato di nuovo la vita. Osservai il nervosismo e la tensione nelle spalle di Nathan mentre afferrava le mani di Syria stringendole forte, l'emozione che ne scaturì in quel semplice gesto mi spiazzò colpendomi dritta al cuore. Mi sentivo stordita. Quando lui le lasciò le mani quasi sobbalzai dall'intensità, rimasi ad osservare Nath voltarle le spalle e correre lontano per trasformarsi all'ultimo minuto e scomparire nel nulla. Tornai a fissare Syria che si portava una mano alla bocca e l'altra alla pancia mentre si piegava a piangere le lacrime che fino adesso aveva trattenuto a stento. Il suo viso era sconvolto. La vecchia me si sarebbe precipitata da lei abbracciandola per sussurrarle parole di conforto, ma la nuova me non voleva essere messa in mezzo a quella storia e chiuse gli occhi uscendo dall'ambulatorio non guardandosi nemmeno una volta indietro. Salii le scale per andare a vedere che fine avevano fatto i bambini, richiudendo ciò che avevo visto in una scatola in un luogo lontano nella mia mente per non doverla più aprire. Quella non era più la mia storia. Adesso toccava a loro andare avanti senza di me. Ed io senza di loro. Trovai i bambini in cucina e li aiutai a cambiarsi e a mettersi le giacche. Aspettammo altri dieci minuti e Natasha ci raggiunse sbuffando contrariata, si vedeva lontano un miglio che era nervosa e sentivo che in quel momento il mio nome era in cima alla sua lista nera. Feci finta di non accorgermi delle sue occhiatacce e spinsi i bambini fuori dalla porta seguita a ruota dalla dottoressa che mi perforava la schiena. Passammo il pomeriggio a gironzolare per negozi cercando qualcosa che potesse rendere la mia amica ancor più affascinante del solito senza dover per forza farla sembrare la regina del ghiaccio. Riuscimmo a comprare anche gli ultimi regali di natale sotto consiglio dei bambini che tiravano in ballo sempre le idee più geniale e altrettanto inutili ma divertenti per quelle festività. Finalmente anche Natasha iniziò a sciogliersi e potevo perfino azzardare che si stesse divertendo almeno un pò e che quel broncio era soltanto una finta per non darmela vinta. Stavamo per entrare nell'ennesimo negozio, che io speravo tanto essere l'ultimo visto il mio grandissimo entusiasmo a fare shopping, quando mi fermai di colpo notando l'assenza di Sophie accanto a me. Mi misi subito in allerta e mi girai sperando che i miei folli e spaventosi sospetti fossero soltanto il frutto dei miei incubi peggiori e che non si manifestassero veramente sotto forma di realtà. Quando la individuai a una ventina di passi indietro, immobile come se si fosse letteralmente dimenticata della nostra presenza, tirai un sospiro di sollievo e andai a recuperarla. Soltanto quando iniziai ad avvicinarmi mi accorsi che stava fissando un grande albero di natale in mezzo alla strada, decorato con bocce rosse e dorate e le luci tutte intorno che lo illuminavano come se fosse un faro. Era uno splendore e gli occhi curiosi di Sophie non volevano perdersi nemmeno un istante di quella meraviglia; la bambina era estasiata da tanto bagliore e magnificenza quasi come se non avesse mai visto un albero di natale. Per l'ennesima volta mi chiesi in quali condizioni aveva vissuto con Giselle, ma a volte quella domanda mi sembrava troppo meschina specialmente formulata da me. Sua madre non poteva fare un lavoro migliore con Sophie ed io non ero nessuno per dire il contrario. Le ero immensamente grata di avermi affidato la bambina, anche se per lei ero una perfetta estranea. Forse era stata la forte somiglianza con Evan che le aveva dato fiducia in me per tenere al sicuro la piccola. Peccato che Evan non ne sapeva niente. Il pensiero di mio fratello mi fece rabbuiare all'improvviso, lui per me era come una ferita aperta e io volevo soltanto poterla ricucire il più presto possibile prima di soffrire maggiormente per essa. Ormai Evan lo vedevo in ogni sorriso di Sophie, in ogni suo gesto e questo me lo faceva mancare ancora di più. Mi chiedevo se potesse essere recuperabile, speravo di trovare presto un modo per farlo tornare com'era prima e mi rimettevo nell'aiuto di Lucas perchè, a parte me, non c'era nessun altro così tanto in allarme per il suo schieramento con i cattivi. L'unica cosa che interessava loro era un modo per proteggersi e un altro per tendergli un agguato e ucciderlo all'istante. Lo volevano tutti morto ma io lo volevo vivo, per me, per Lucas e specialmente per sua figlia Sophie. Anche se in quella condizione di "non morto" lui doveva vivere. Richiusi di nuovo il pensiero di Evan nel cassetto e ritornai principalmente a preoccuparmi soltanto di sua figlia, colei che aveva rapito il mio cuore fin dalla sua prima "fuga". Decisi che quell'anno doveva avere tutto ciò che il natale riservava ai bambini, albero di natale compreso. Ovviamente avrei dovuto chiedere una mano a Will e Nath per quest'ultimo. Con un sorriso, mi chinai verso Sophie e le presi la mano baciandola sul palmo per poi accarezzarla, la bambina incrociò con felicità il mio sguardo e mi seguì alla ricerca di Natasha e Nikolaj che erano rimasti ad una trentina di passi di distanza per aspettarci. Dall'espressione che mi rivolse la dottoressa, intuii che la sua speranza nell'essermi dimenticata del vero motivo di quell'uscita era miseramente annegata nell'oceano più profondo, infatti risultò brusca e con il broncio. Mi trattenni dal riderle in faccia per quell'assurdo momento di infantilismo ed insistetti per continuare il nostro giro di shopping nonostante i suoi occhi che mi fulminassero ovunque mi trovassi. Finalmente riuscimmo a trovare il vestito giusto per l'occasione, un tubino di un blu scuro che le faceva risaltare la morbidezza dei suoi capelli neri e i riflessi violacei che emanavano. Il tubino era senza maniche con una scollatura che, se lo avessi indossato io quell'abito sicuramente avrei dovuto tirare su ogni cinque minuti, a Natasha stava d'incanto come una seconda pelle. Quando l'avevo vista indossarlo nei camerini quasi non l'avevo riconosciuta, a volte un vestito elegante e il trucco adeguato ti rendevano diversa agli occhi di tutti. E persino il gelo di Natasha non era così evidente come al solito, sembrava anzi un pò a disagio mentre si mostrava a noi. La convinsi a comprarlo non ascoltando le sue repliche e aggiunsi alla spesa persino un copri spalla di seta nero. Avrebbe fatto un figurone all'appuntamento. Potevo soltanto immaginarmi la faccia da ebete che avrebbe fatto Patrick davanti alla sua bellezza russa, poi sicuramente si sarebbe ripreso con un grande sforzo sugli ormoni e sarebbe partito all'attacco. Chi non lo avrebbe fatto? Speravo soltanto che Natasha non gli avrebbe dato l'ennesimo due di picche. Quando tornammo a casa la trovammo silenziosa e buia, probabilmente erano usciti per fare ricognizione nei dintorni, ormai nulla era sicuro per noi. Fissai con sguardo ombroso la porta dell'ambulatorio e mi tornò di nuovo in mente Syria e quello che aveva fatto, mi ero scordata di lei per l'intera mattinata e buona parte del pomeriggio e adesso era come ritornare alla realtà. Ero stata bene senza quel pensiero fisso in testa, peccato che quel momento era passato. Mi chiesi dove fosse Syria e cosa stesse facendo, stranamente non sentivo nemmeno lei in casa ma dopotutto non era mai stata una donna troppo rumorosa. Era come se intorno a me ci fosse il vuoto più assoluto, soltanto i passi frettolosi dei bambini sulle scale e le loro risate sbarazzine spezzavano quella brutta sensazione. Meno di un'ora dopo tornarono di nuovo tutti a casa portandosi dietro i loro silenzi e i pensieri. L'atmosfera non era per nulla migliorata, come persino l'affabilità di William nei miei confronti. Adesso non dovevamo più nasconderci e lui si comportava come se fossimo stati una normale coppia di fidanzati, peccato che io mi sentissi ancora non a mio agio per manifestare davanti a tutti i miei sentimenti. Soltanto il sorriso di Sophie mentre metteva la sua mano nella mia riusciva ad ammorbidirmi al tal punto da pensare che mi sentissi bene in quel terreno fragile e ancora non del tutto esplorato. Quel sorriso, che era un misto tra incoraggiamento e felicità, era il mio punto debole ed io non sapevo resistere ad esso. Avrei vissuto di quel sorriso. Il giorno seguente, mi svegliai con la strana sensazione che avrei preferito rimanere altre 24 ore a rigirarmi nel letto piuttosto che dovere affrontare una festività così importante per le persone che mi circondavano. Era scattato il conto alla rovescia per l'apertura dei regali che, avevamo già concordato in precedenza, sarebbe avvenuta soltanto dopo la cena a causa dell'ostinazione di Natasha di far restare aperto l'ambulatorio fino a tardi e la fissazione di Will e Nath per andare a ispezionare i dintorni per farci stare al sicuro dentro casa. La loro stava diventando una vera ossessione e lo sarebbe stata anche per me se non avessi per la testa la custodia di Sophie. Per il momento, era lei la mia priorità. Per quanto riguardava il pericolo dei vampiri se ne sarebbero occupati due delle migliori guardie in assoluto, compresa una terza, Daniel, appena avesse avuto il coraggio di farsi rivedere in quella casa in mia presenza. Dopo quello scambio di opinioni e quel fugace ma inteso contatto delle nostre mani, Dan aveva evitato in tutti i modi di far ritorno in quella casa; a mala pena era passato in ambulatorio per farsi controllare le ferite da Natasha...ovviamente prima di essersi assicurato che io non fossi di sopra a casa. Incrociarmi per le scale sicuramente non era minimamente accettabile per la sua testolina bacata. Alla fine sembrava che fosse soltanto colpa mia, e poi di cosa esattamente? Non avevo fatto niente di male. Sbuffai sonoramente e andai ad aprire il cassetto della piccola scrivania in camera, ci affondai la mano e recuperai quello che stavo cercando. Guardai sul mio palmo dove era posato un ciondolo a forma di metà cuore, era fatto di ambra e di dentro si potevano notare tutte quelle scaglie di diverse tonalità del colore del miele fuso. Si intonava ai miei occhi e anche a quelli di Sophie. All'inizio quel ciondolo era parte di un anello che Chase Grey aveva donato alla moglie Rose durante la loro luna di miele. Mia nonna Rose aveva deciso che quella meravigliosa pietra d'ambra sarebbe passata al nipote che avrebbe ereditato occhi dello stesso colore del suo anello, gli occhi di sua figlia Dilette. Nonna Rose sapeva della profezia e credeva fermamente che quella pietra avrebbe portato molta fortuna al proprietario in questione e al suo destino. Proprio quest'ultimo volle far nascere due gemelli con i medesimi occhi della madre, colore che era predisposto a grandi gesta e altrettanti dolori; lady Grey decise di togliere quella pietra dall'anello e trasformarla in due metà di un cuore da dividere tra i due gemelli e mettergliele al collo. Questa era l'eredità che aveva concesso ad Evan e me, compreso lo stesso sangue maledetto. Chissà perchè mia nonna non aveva dato quell'anello a mia madre? Perchè aveva saltato una generazione? Forse sarebbero andate diversamente le cose...oppure no. Qualche settimana prima avevo chiesto a Christine di mandarmi la mia metà del cuore, che avevo lasciato giustamente nel portagioie prima di scappare di casa, e lei aveva spedito il ciondolo in fretta scrivendomi di averne cura perchè l'altra metà non si trovava più. Quel breve messaggio mi fece chiedere che fine avesse fatto la metà di ambra che nonna Rose aveva regalato ad Evan. Scossi la testa cercando di tornare alla realtà senza pensare troppo a mio fratello e misi il ciondolo in una scatoletta blu. Avevo deciso di regalare la mia metà a Sophie per natale, un modo come un altro per legittimare la nostra reale parentela e affidarle un gioiello che sarebbe dovuto passare da madre a figlia. Speravo soltanto che Sophie non facesse parte di quella triste profezia che stava condizionando la mia vita. Dopo aver fatto il fiocco, nascosi la scatoletta dentro il cassetto sapendo che l'avrei ripresa soltanto qualche ora dopo giusto in tempo per la cena. Sentii un pò di rumori in cucina e decisi di andare a vedere cosa stava succedendo. Sulla soglia della porta, vidi William appoggiato al piano cottura mentre fronteggiava con sguardo cupo e minaccioso Nathan che gli stava davanti in una posa per nulla rassicurante. Non capivo chi dei due stesse realmente minacciando l'altro, c'era troppa tensione nell'aria e persino nei loro muscoli pronti a reagire per un minimo accenno di attacco da parte dell'altro. Anche quel loro sussurrarsi animatamente a pochi centimetri di distanza rendeva la scena ancora più sospettosa ai miei occhi. Decisi di entrare e capirci qualcosa.

"Cosa sta succedendo qua?" chiesi cercando di alleggerire inutilmente il tono della domanda. C'era già fin troppa rabbia repressa in quella stanza, non volevo mettere anche la mia che si sarebbe conclusa con uno scappellotto ad entrambi dandogli degli immaturi idioti. Quasi quasi lo avrei fatto.
"Niente, soltanto uno scambio di opinioni. Buongiorno, come sono andate le compere ieri?" mi domandò Will oltrepassando Nath per andarsi a riempire la tazza di caffè. Mi accolse con un sorriso sincero, come se poco prima non fosse successo nulla con il suo fratellastro. Era ambiguo quel suo modo di fare e non mi piaceva per niente, mi lasciava un pò di inquietudine dentro ma lasciai perdere e rimasi zitta facendo finta di non averlo notato.
"Bene. Ho costretto Natasha a compare un vestito nuovo per il suo appuntamento. Un vestito elegante e sexy, anche se lei in realtà non voleva nemmeno prenderlo." mormorai stringendomi nelle spalle.
"Un appuntamento? Natasha?  E con chi? Un punto di sutura?" si intromise Nathan girandosi con un'espressione allibita verso di me. Nemmeno stessimo parlando di un cesso ambulante.
"Divertente! Si tratta di un cardiochirurgo che si chiama Patrick e la sta corteggiando da un pò di tempo, ma lei non vuole cedere." aprii il barattolo dei biscotti e ne sgranocchiai uno lasciando cadere un pò di briciole sul pavimento.
"Quella donna è stoica." adesso il tono del mio migliore amico sembrava stranito mentre corrugava la fronte, non riusciva a credere alle mie parole e quasi non ci riuscivo neppure io se non lo avessi visto con i miei stessi occhi.
"No, quella donna non vuole darsi una seconda opportunità per essere felice. Preferisce rimanere nel suo brodo piuttosto che soffrire di nuovo. Mi sembra di conoscere bene qualcuno di simile." ribattè Will sorseggiando il suo caffè senza perdermi d'occhio un solo istante. Quella sembrava avesse tutta l'aria di essere una frecciatina nei miei confronti.
"Cosa vorresti dire?"
"Che tu sei come lei. Non vuoi correre rischi, niente implicazioni sentimentali niente cuori spezzati, ma adesso non stiamo parlando di te." ribattè lui in tono serafico sempre col sorriso sulle labbra e lo sguardo indecifrabile. Cosa cavolo gli stava prendendo?
"Smettetela di flirtare." sbottò Nathan contrariato, era infastidito mentre io mi sentivo imbarazzata e colta sul punto.
"Non stiamo flirtando!" esclamai alzando la voce in un gridolino quasi isterico. Mantenni sotto controllo il rossore che stava cercando di far capolino tra le mie gote, ma abbassai lo sguardo sul barattolo dei biscotti perchè non osavo guardarlo negli occhi e leggervi che aveva ragione. Detestavo sapere di aver torto, specialmente in una situazione del genere.
"Se lo dici tu..."sussurrò lui alzando un sopracciglio in tono dubbioso mentre lasciava la frase in sospeso.
"Hai ricevuto il ciondolo da Christine?" mi chiese Will rubandomi il biscotto dalla mano. Non lo avevo visto arrivare e rimasi imbambolata quando mi accorsi della vicinanza tra i nostri corpi e dell'occhiataccia che ci stava riservando in quel momento Nath. Trovarsi tra due fuochi era scomodo.
"Si, Natasha me lo ha lasciato nel cassetto della scrivania come le avevo chiesto. Spero che a Sophie piaccia." blaterai impacciata mettendomi in bocca un altro biscotto per nascondere l'imbarazzo.
"Penso che sia il regalo giusto per lei. Lo adorerà." era sincero ma non riuscivo ancora a capire cosa gli passasse per la mente.
"Piuttosto spero che il mio regalo sia bello e maestoso perchè penso di meritarmelo dopo le ultime rivelazioni e batoste che ho ricevuto." sbottò Nathan a braccia conserte mentre fulminava con lo sguardo entrambi. Non sembrava affatto di buonumore il mio migliore amico.
"Tranquillo, ho già prenotato una cuccia per cani misura extralarge. Credo che Lucas voleva comprarti un completo di guinzaglio e collare con gli strass...adora le cose luccicanti." lo provocò William alzando la tazza per far finta di brindare a Nathan mentre gli faceva uno strano sogghigno un pò inquietante. Cos'aveva in mente?
"Simpatico da morire, proprio come il mio pugno sulla tua faccia se continui così." grugnì Nath in tono talmente minaccioso che non aveva nemmeno bisogno di muoversi di un passo dal suo posticino all'angolo. Faceva un pò paura. Cosa diamine stava succedendo tra quei due?
"A proposito di Sophie. Ieri ho notato che era rimasta incantata a guardare l'albero di natale messo al centro commerciale...sembrava quasi che non ne avesse mai avuto uno in casa, o almeno dove si rifugiava con sua madre. Quindi avrei pensato, sempre se voi due foste disposti ad aiutarmi, che..."
"Non c'è bisogno di chiedere Eleonor." scosse la testa William con un sorriso rassicurante.
"Ci occuperemo noi dell'albero di natale, così saranno proprio i bambini ad addobbarlo. Tranquilla." rincarò la dose il mio migliore amico sfregandosi le mani come se fosse impaziente di incominciare quella nuova missione.
"Grazie ragazzi, siete i migliori." sorrisi loro con gratitudine. Non potevo chiedere nulla di più di quei due uomini, erano grandiosi.
"Lo sappiamo." annuì sicuro e affabile il mio uomo che in quel momento avrei tanto voluto stringere a me.
"Poi chiederemo il conto però." mi fece l'occhiolino Nath per smorzare l'atmosfera in quella stanza.
"Adesso è meglio che io e Nathan andiamo a cercare l'albero adatto. Ci vediamo dopo...se vuoi puoi dilettarti a preparare il cenone di natale da brava casalinga."
"Stai parlando con la persona sbagliata Will. Non sono una casalinga e, a meno che non voleste ritrovarvi a fare la lavanda gastrica subito dopo aver ingerito il primi bocconi, ti consiglio di lasciare Natasha tra i fornelli e magari darle una mano. Sareste di certo più bravi di me. Volete che vi procuri due grembiuli?" chiesi io in tono ironico cercando di trattenere le risate alle occhiatacce di Nath.

Dopo avermi lanciato le ultime occhiate di sdegno, i due uomini se ne andarono di gran fretta lasciandomi da sola a contemplare le pareti giallognole della cucina. Per cercare di distendere i nervi tesi, decisi di andare a lucidare i miei pugnali in camera. Mi sembravano secoli dall'ultima volta che li avevo avuti tra le mani durante un combattimento. Forse mi ero persino arrugginita visto che negli ultimi tempi l'unico mio compito è stato quello di correre il più in fretta possibile per mettermi in salvo. Magari potevo iscrivermi alle prossime Olimpiadi nei 100 metri, se non di più, probabilmente avrei vinto la corsa facilmente. Era come se sentissi nelle orecchie i rimproveri del maestro Akira che mi urlava di essere diventata una patetica e rammollita bambolina da collezione, che il suo unico movimento era quello di accumulare più polvere possibile. Sorrisi al ricordo della sua voce leggermente stridula tutte le volte che mi riprendeva durante le lezioni di combattimento. Chissà che fine aveva fatto Akira adesso che Nath ed io ce ne eravamo andati? Era improbabile che mio padre tenesse ancora nel suo libro paga un maestro come Akira...a meno che non facesse allenare il suo piccolo esercito personale, come in realtà doveva essere fin dall'inizio. I ragazzi tornarono qualche ora dopo con un grosso albero di natale che, quando lo misero in posizione verticale, per poco la punta non sfiorò il soffitto. Notai un livido ancora chiaro alla guancia di William mentre la mano di Nath sembrava alquanto malconcia e faceva fatica a stringerla a pugno. Arrivavo persino io a fare due più due, la collisione tra guancia e pugno, ma non ne capivo il motivo. Forse potevo archiviare quel fatto come una comune scazzottata tra amici, o pseudo tali visto i loro immaturi comportamenti. Will tornò fuori a prendere uno scatolone pieno di lucine e addobbi di ogni genere e quando rientrò in casa chiamò a gran voce i bambini che corsero per raggiungerci nell'atrio. L'urlo attirò anche l'attenzione di Syria e Natasha che diedero una mano ai bambini per sistemare la nostra imminente festività. A natale eravamo tutti più buoni e quella mi sembrava una scena di quelle pubblicità dove tutti sono felici e pieni di amore reciproco, mi stava venendo la carie ai denti. Dov'era finita tutta quell'acredine, quella rabbia e la frustrazione che ci teneva uniti quanto distanti gli uni dagli altri? Improvvisamente sembravano come spariti, come se il natale ci facesse uno strano effetto. Un effetto migliore. Forse un placebo? Non ne avevo la minima idea. Improvvisamente mi fermai di colpo appena mi resi conto che mi mancava un regalo all'appello. Probabilmente il più importante dopo quello per Sophie. Avevo dimenticato il regalo per William e mi stavo dando dell'idiota. Come avevo potuto dimenticare proprio il suo regalo? Tornai di corsa in camera, per posare i miei pugnali in un posto sicuro, e me ne andai adducendo come scusa qualcosa che riguardava una salsina speciale per l'arrosto e le patate che avevamo in forno. Nessuno disse niente, a parte un sopracciglio alzato di Nathan che sembrava fiutasse la mia bugia a un miglio di distanza ma feci finta di non averlo visto e mi affrettai il passo per ritrovarmi fuori di casa in pochi secondi. Stringendomi nel cappotto blu che mi aveva prestato Natasha un mese prima, infatti si notava la differenza tra il mio fisico e il suo che ci stava dentro a pennello, andai dritta verso il centro della città sperando di trovare ancora qualche negozio aperto. Non sapevo cosa regalargli e di certo le clear abbassate non mi aiutavano granchè a fare la mia ardua scelta. Per caso passai davanti alla vetrina di una piccola gioielleria dove intravidi il proprietario che stava rimettendo a posto il bancone dalla merce di valore. Diedi un'occhiata rapida alla vetrina sperando di trovare qualcosa di interessante e abbastanza abbordabile per le mie mutevoli finanze, che dipendevano sempre dalla generosità di mio padre e da parte delle rimanenze dell'eredità che mi aveva lasciato mio nonno Chase, e finalmente fui folgorata. O per meglio dire abbagliata, visto che feci quasi fatica a vederlo bene a causa del luccichio che emetteva. Era a causa delle luci di natale messe come decorazione o era proprio quell'oggetto a essere la fonte di quel fastidio ottico? Mi chinai per vederlo meglio: era un orologio da taschino di argento fine. Era molto particolare ed antico, sapevo che era il genere che sarebbe piaciuto a William indossare...peccato che non era di oro giallo ma la carta di credito non mi avrebbe permesso quella spesa. Era una strana sensazione ma mi sembrava fatto apposta per lui, me lo ricordava in qualche modo. Meno di cinque minuti dopo ero di nuovo fuori con in mano una busta nera di piccola dimensione con il logo della gioielleria. Non feci più di tre passi quando andai letteralmente a sbattere contro qualcuno che, a quanto sembrava, andava di tutta fretta. Riuscii a non cadere per un soffio e quando mi rimisi in equilibrio alzai lo sguardo verso quella persona e rimasi di stucco trovandomi davanti Daniel. Era come se tutto intorno a me si fosse fermato, come la brezza fredda di dicembre si fosse paralizzata nell'aria o la clear del gioielliere rimasta aperta solo a metà mentre il proprietario si era chinato per chiuderla e adesso rimaneva immobile. Non vedevo altri che lui. Daniel non sembrava così stupito quanto me di quell'incontro, ma c'era qualcosa nel suo sguardo che diceva molto di più di quello che sicuramente sarebbe uscito dalla sua bocca...sempre se fosse riuscito a spiaccicare qualcosa di intelligente in quel momento, ed io dubitavo seriamente della sanità mentale di entrambi. Non riuscivo a togliere gli occhi dai suoi, mi sentivo lusingata ed imbarazzata nello stesso momento e sapevo senza ombra di dubbio che anche per lui era lo stesso. Era come se entrambi sapevamo quello che sarebbe potuto succedere tra di noi ma che cercavamo in tutti modi di stare alla larga l'uno dall'altro ed evitarci di comune accordo. Avrei dovuto fargli un cenno di saluto e andarmene via il prima possibile ma mi sentivo le gambe di piombo e questo non mi facilitava la fuga. Lui si fece avanti un pò impacciato, sistemandosi meglio gli occhiali sul naso, e mi fece un lieve sorriso come auto incoraggiamento.


"Ciao Eleonor." mi salutò mentre il suo fiato produceva una nuvoletta biancastra nell'aria fredda.
"Oddio Dan! Mi hai spaventato!" dissi rabbrividendo mentre mi stringevo nel cappotto e mi sfregavo le mani. Mi metteva in agitazione quella strana situazione.
"Scusami, non era mia intenzione."
"La tua gamba sta meglio." gliela indicai con un dito cercando un qualsiasi argomento di cui discutere senza che fosse altamente pericoloso per entrambi. Non ci eravamo mai detti niente di compromettente sul nostro rapporto però, in quel momento, era come se lo avessimo fatto e rifatto un miliardo di volte. Gli sguardi valevano più di mille parole e il suo sembrava gridasse di spogliarmi...o era soltanto il frutto della mia immaginazione? Non erano proprio il mio campo le relazione personali tra persone. Però la sua espressione poteva persino essere confusa con una frase del tipo: "lo fai apposta a starmi ancora di fronte quando sai benissimo che non ti sopporto ed ogni momento è quello buono per soffocarti stringendo forte il tuo collo". Poteva benissimo voler dire quest'ultima opzione visto i trascorsi.
"Si, ogni tanto riesco ancora a correre. Non come prima ma ci sto arrivando. Tempo, è quello che ci vuole. Come mai sei ancora fuori? E' il giorno di natale e le strade sono praticamente deserte e quasi buie, non è prudente gironzolare qua fuori da sola dopo l'incontro con quell'orda di vampiri assetata di sangue che vuole ucciderti. Dovresti tornare a casa dagli altri." tornò serio di colpo come se fosse preoccupato e la mia salvezza gli stesse veramente a cuore. Non staccò mai lo sguardo dai miei occhi e l'intensità che emanava mi fece rabbrividire. Che cavolo stavo facendo? Non dovevo assolutamente imbarcarmi in qualcosa di pericoloso ed intimo con lui...perchè non riuscivo a staccarmi da lui e andarmene a casa dagli altri che mi aspettavano?
"Ci stavo tornando. Mi ero accorta di aver dimenticato di comprare l'ultimo regalo e sono corsa fuori. Tu piuttosto? Cercavi un modo per farti ammazzare?" ero proprio un'imbecille se continuavo a dargli corda in un discorso senza alcun senso. Sentii la mia coscienza ringhiare quando lo vidi sorridere.
"Sai, è uno dei miei passatempi preferiti. In realtà volevo allontanarmi un pò da mia sorella, che sta diventando troppo petulante negli ultimi giorni, e visto che c'ero spedire una lettera." disse alzando la mano che stringeva una busta bianca. Non riuscii a leggere il destinatario e mi chiesi chi fosse il fortunato, o la fortunata, che avrebbe sicuramente ricevuto i suoi auguri di natale. Stavo diventando paranoica per niente. Che motivo avevo per comportarmi come un'adolescente in piena crisi ormonale?
"Deve essere molto importante quella lettera se hai fatto tanta strada per spedirla." buttai li con fare innocente quando in realtà stavo cuocendo di curiosità.
"Si, è molto importante." mormorò lui adombrandosi in viso, sembrava malinconico. Mi si strinse il cuore.
"Sembri triste."
"E' un periodo dell'anno particolare per me." fece una smorfia triste e il suo sguardo sembrava perso nel vuoto o, per meglio dire, tra i ricordi del suo passato. Di quello che aveva lasciato prima della sua vendetta privata contro chi aveva ucciso suo fratello. Com'era in quella vita? Avrei voluto saperlo, magari avrei capito di più il suo comportamento ambiguo.
"Capito."
"Volevo venire da te." quella rivelazione mi diede alla testa e per poco non spalancai la bocca dalla sorpresa guardandolo con sguardo allibito. Ero di nuovo agitata e il cuore stava accelerando a più non posso solo per una stupida frase. Una stupida frase che mia avrebbe fatto cedere le ginocchia.
"Da me? Come mai? Cedric sta male?" l'idea di quell'adorabile signore costretto a letto a causa di qualche malanno mi fece male. Mi sentivo in colpa per non aver pensato subito a lui...perchè sicuramente non poteva essere altrimenti. Di castelli in aria ne avevo fatti fin troppi negli ultimi tempi e di certo non ne volevo fare altri.
"No, Cedric sta meglio di me. Volevo darti il mio regalo di natale."
"Cosa?" ero completamente allibita. Non mi aspettavo una simile risposta da lui. Stavo cercando ancora di far correre il criceto nella ruota della mia testa, ma a quanto pareva era in letargo costante. Come si faceva a riattivarlo?
"Sai quei doni che la gente si scambia quando è in corso una festività importante? Più o meno come il compleanno, ma nettamente diversa."
"Non prendermi in giro. Perchè mi hai fatto un regalo? Non dovevi...io no ho nulla per te." mormorai confusa mentre lui mi porgeva un pacchetto avvolto in una carta rossa piena di renne e slitte con regali. Avevo quasi paura di toccare quella scatola.
"Non importa...è una cosa piccola, non volevo essere ricambiato. L'ho presa d'impulso e volevo dartela." titubante, afferrai il pacchetto notando una sospetta morbidezza. Che cosa mi aveva regalato? Sotto il suo sguardo attento e il suo incitamento, scartai il regalo e rimasi sorpresa quando strinsi tra le mie mani un paio di guanti di lana color porpora con il disegno di un piccolo giglio bianco verso la stoffa del polso. Rimasi ad osservare quei guanti, ero disorientata e non riuscivo ancora a crederci. "Vedi, nulla di così costoso, solo un paio di guanti. L'altra volta, quando mi hai preso la mano, avevo notato che era fredda quindi, quando li ho trovati in una bancarella in centro, ho subito pensato a te e ad un modo per riscaldarti. Li ho presi subito senza pensarci più di tanto." improvvisamente, più continuava a parlare più mi sembrava a disagio. Buffo, non lo avrei mai creduto possibile da Daniel.
"Grazie..."
"Spero ti piacciano." oltre il disagio si notava una certa insicurezza nella sua voce. Cosa gli stava succedendo? Mi veniva quasi da ridere se non fosse per quello che stavo passando io a causa della sua presenza.
"Si, sono belli. Grazie, ma ti ripeto che non dovevi." mormorai cercando di restituirglieli invano. Lui scosse la testa spostando le mie mani di nuovo verso di me.
"Lascia stare. Provateli, penso che tra un pò nevicherà e ne avrai bisogno." mormorò stringendomi le mani tra le sue e i guanti che mi aveva regalato. Nonostante la lana, sentivo il calore delle sue dita che mi disegnavano cerchi invisibili tra il palmo e il polso. Feci un profondo respiro cercando di deglutire a vuoto. Avevo la gola secca e le mie funzioni mentali erano praticamente andate a farsi un bel viaggetto su qualche isola deserta senza possibilità di ritorno.
"Hai la sfera magica per capire quando nevicherà?" ottimo, ero riuscita ad emettere una frase di senso compiuto senza nemmeno sapere come avessi fatto. In quel momento a mala pena ricordavo il mio nome. Dovevo complimentarmi con me stessa.
"No, leggo i segni del tempo, il cielo e il vento...riesco a percepirlo sempre, forse ho passato troppo tempo sui libri a studiare oppure troppi combattimenti all'aperto con clima piuttosto mutevole. A caccia ovviamente e ti serviranno anche in quel momento, fidati. Provali." il tempo si fermò di nuovo. Feci fatica a non chiudere gli occhi e ad evitare di lasciarmi andare alle sensazioni che il suo tocco mi stava procurando. Stava mettendo a dura prova la mia resistenza. Perchè stava succedendo tutto quello? Perchè non ero una di quelle donne fredde ed insensibili? Perchè non stavo pensando a William? Perchè gli stavo facendo questo? Perchè non ero tornata da lui subito? Il suo sguardo mi confuse ulteriormente.
"Che bel quadretto! Su cacciatrice, provali! Oh, scusate se interrompiamo i piccioncini amoreggiare ma ci stavamo annoiando e abbiamo un pò di fame." si intromise un vampiro venuto dal nulla con altri quattro compagni al suo fianco. Nessuno dei due si era accorto del pericolo e, soltanto all'ultimo secondo, ci mettemmo fianco a fianco in posizione di attacco attenti ad ogni loro minima mossa. Mi portai una mano alla cintura sulla schiena e mi diedi della stupida per aver lasciato, per l'ennesima volta, i pugnali in camera a prendere polvere. Perchè ero stata così incauta? Ero uscita da sola e persino disarmata, già che c'ero potevo benissimo portarmi dietro un megafono per avvisare tutti i vampiri in zona che volevo essere la portata principale del loro banchetto. Con la coda dell'occhio, notai che Daniel gettava a terra la lettera e i guanti e stringeva i pugni facendo una smorfia. Anche lui era disarmato, di male in peggio.
"Non credo che avrai fame ancora per molto." digrignò i denti Dan mentre si portava i pugni all'altezza del viso. Voleva fare un incontro di pugilato? Eravamo morti. Io mi sentivo arrugginita e lui aveva tolto da poco il gesso alla gamba. Will mi avrebbe dato della disfattista in quel momento, dovevo pensare positivo e credere che saremmo riusciti ad uscirne entrambi indenni da quella situazione del cavolo. Dovevo tornare a casa da Sophie.
"Io non ci scommetterei così tanto umano. Prima ci divertiremo con lei e poi dissangueremo te." il vampiro continuò a farsi avanti con passo sicuro e sfrontato verso di noi guardandoci dall'alto in basso con superiorità. Faceva venire i brividi il suo volto e quello non era un buon segno. Dovevo evitare di fissarlo negli occhi altrimenti avrei rischiato di farmi soggiogare dal male. Non volevo sapere cosa avrebbero potuto farmi fare in quelle condizioni.
"Forse non sai bene chi siamo per parlare così."
"Oh, so benissimo chi siete. La regina ci ha ordinato di catturare lei ma lasciarla in vita...non ci ha detto nulla per quanto riguarda gli umani che si porta dietro." fece un ghigno terrificante a Daniel e fece un accenno di inchino ironico verso di me. Ci stava prendendo in giro e questo iniziò ad innervosire entrambi.
"Simpatica tua madre." commentò infuriato Daniel senza guardarmi. Era troppo impegnato ad osservare i movimenti un pò troppo veloci dei nemici che ci giravano intorno scomparendo e comparendo dalla parte opposta per cercare di confonderci.
"Non immagini quanto." fu la mia risposta pungente quando tirai il calcio al primo vampiro che mi si era fiondato contro.

Il combattimento iniziò senza esclusione di colpi da ambedue le parti. Dovetti chinarmi in fretta quando un altro di quei tizi mi si gettò addosso da dietro, quasi caddi a terra perdendo l'equilibrio ma mi ristabilii in fretta sulle mie gambe. Svelta, trovai una pietra e la scagliai verso il primo che mi si era materializzato davanti mostrando i canini appuntiti in procinto di mordere la mia pelle. Il vampiro si portò le mani sul viso urlando di dolore, qualche secondo dopo si voltò di nuovo verso di me più agguerrito di prima e con sete di vendetta. Se non fosse stato per l'ordine di Dilette mi avrebbe uccisa all'istante, lo avevo fatto incavolare e ne ero felice. Adesso avevo un motivo in più per dare tutta me stessa e sperare di riportare le chiappe sane e salve a casa. Non poteva finire così. Una scarica di adrenalina mi elettrizzò il corpo e tirai una raffica di calci sul petto del mio nemico facendolo sbandare all'indietro con forza. Con la coda dell'occhio notai che, nonostante le difficoltà del suo recente incidente alla gamba, Daniel se la stava cavando piuttosto bene. Nello stesso istante in cui avevo formulato quel pensiero, Dan cadde a terra urlando dal dolore. Quel grido mi perforò l'anima. Cercai di togliermi dai piedi quei due vampiri che avevo di fronte, uccidendone uno in fretta come meglio potevo, e corsi ad aiutare il mio amico tirando un pugno alla nuca di quello che lo stava per graffiare in volto. Un altro vampiro mi afferrò il polso in una stretta ferrea facendomi girare verso di lui spostandomi con forza il collo di lato, chiusi gli occhi dandomi della cretina per non essermi accorta di nulla in anticipo e già credevo che quello fosse il mio ultimo respiro quando tutto si capovolse all'improvviso. Dan si era piegato sul ginocchio ancora sano e aveva avvicinato l'accendino sul volto del vampiro. Quest'ultimo mi lasciò di scatto, urlando da rompere i timpani, e si portò le mani sul viso in fiamme; rimanemmo alcuni istanti a vederlo bruciare davanti a noi con lo sguardo quasi in trance. Quando lo spettacolo pirotecnico terminò, tornammo alla realtà di colpo giusto in tempo per girare con forza la testa di un vampiro ponendo fine alla sua non vita. Dan si appoggiò al mio braccio per rimettersi in piedi e riacquistare quel minimo di equilibrio che il ginocchio malconcio gli permetteva e riprese in mano l'accendino. I nemici digrignarono i denti e fecero un passo indietro intuendo la minaccia non tanto velata del mio compagno, non volevano cedere le loro prede ma avevano troppa paura del fuoco per rischiare la loro inutile vita. Il fuoco per loro era pericoloso. Per noi una via di fuga da un imminente sterminio. Dopo alcuni secondi importanti, fatti di solo di sguardi per stabilire chi era il vincitore di quella battaglia, i vampiri rimasti si dileguarono scontenti e con la coda tra le gambe. Sospirammo entrambi di sollievo, non avremmo retto molto a lungo. Ci guardammo scambiandoci un sorriso di vittoria e Dan si scostò da me. Sentii l'assenza del suo braccio attorno alle mie spalle, non era una bella sensazione ma feci finta di nulla e indietreggiai di un passo per guardarlo negli occhi e mettere la giusta distanza tra di noi. Quello strano disagio che si era creato dal giorno che avevamo parlato sulle scale, se non forse fin dal primo incontro, era tornato prepotentemente alla ribalta rendendomi ancor più nervosa. Odiavo quel mio stato d'animo perchè non sapevo come gestirlo. Cos'avevo che non andava? Era tutto sbagliato. Ero io quella tutta sbagliata. Adesso eravamo rimasti soli e, fortunatamente, ancora salvi.

"Dan tutto a posto?" gli chiesi preoccupata per la sua gamba già precedentemente lesionata. Avevo paura di lasciarlo andare via da solo, mi sentivo quasi un'ansiosa crocerossina in quel momento che aveva a che fare con un paziente piuttosto irrequieto e impulsivo.
"Si." annuì lentamente lui senza staccarmi lo sguardo di dosso. Si stava di nuovo ricreando quella strana atmosfera tra di noi e nessuno dei due sembrava volenteroso di tornare alla realtà.
"La gamba?" chiesi facendo un cenno della testa verso di essa. Ero veramente preoccupata e non solo della sua gamba.
"Tranquilla, tra un pò mi farà meno male. Ci vorrà del ghiaccio e un altro pò di riposo forzato." non sembrava contento del futuro che gli si prospettava davanti agli occhi ed io riuscivo a capirlo.
"Ti porto da Natasha." la mia non era una proposta ma un ordine, feci un passo avanti mettendogli una mano sul braccio per fargli capire che lo avrei aiutato a raggiungere l'ambulatorio. Lui mi sorrise gentilmente, accentuando la fossetta sulla guancia sinistra da renderlo praticamente irresistibile, e mise la mano sopra la mia. Il calore del suo tocco si irradiò su tutto il braccio fino alla punta delle dita dei piedi lasciandomi in uno stato di felice torpore che mi fece sospirare. Mi stavo lasciando andare, non dovevo permetterlo.
"No, non preoccuparti. Passerò domani in ambulatorio, ma stasera devo tornare a casa da Maya e Cedric. Dopotutto è natale."
"Va bene...ma chiama se hai bisogno di aiuto. Non abito tanto distante dalla biblioteca." perchè non la smettevo a fare la parte della crocerossina? Ero soltanto una stupida.
"Sono fortunato." il suo sorriso stava mandando in frantumi anche gli ultimi neuroni che mi erano rimasti e quella stramaledetta fossetta era la ciliegina sulla torta. Dovevo allontanarmi al più presto da lui.
"Se non ti fai ammazzare di sicuro." mormorai facendo una smorfia, cercando di sdrammatizzare il momento.
"Per fortuna che non ho smesso di fumare allora."
"Strano, credevo che non lo avrei mai detto in tutta la mia vita ma concordo con la tua affermazione. Se vuoi ti compro un altro accendino...magari può esserci ancora utile." da dove era venuta quell'ironia? I miei neuroni erano proprio degli psicopatici.
"Mai dire mai." disse lui stringendosi nelle spalle, lasciò la mia mano per sistemarsi meglio gli occhiali sul naso ed io sentii di nuovo freddo. Strano come un semplice tocco riusciva a cambiare radicalmente le sensazioni di un singolo individuo. Improvvisamente notai la lettera di Dan per terra, poco distante da noi, e mi chinai a raccorglierla guardando di sfuggita il destinatario. Julia Collins di un posto sperduto nella vecchia Scozia. Chi era Julia? Quella domanda mi freddò all'istante continuando a martellarmi incessante nel cervello. Faceva male tornare alla realtà.
"Dan ti è caduta questa. Se è così importante è meglio che tu non la perda, vai a imbucarla altrimenti finisce calpestata di nuovo...o peggio ancora, schizzata dal sangue di una vittima dei vampiri."
"Preferirei di no. Ho già avuto parecchie divergenze a causa del lavoro che faccio, non ne voglio ammucchiare altre. Seguirò il tuo consiglio, grazie" quel ringraziamento sembrava sincero. A quali divergenze si stava riferendo? Centrava per caso questa Julia? Avrei tanto voluto sbattere la testa contro il muro, forse sarebbe stata meglio la sua testa che si schiantava contro qualcosa di duro che, con tutta probabilità, gli avrebbe graffiato quel suo bel viso impertinente. Ma che diamine stavo facendo?
"Adesso è meglio che vada. Come hai detto tu, mi aspettano a casa. Dopotutto è natale." mi strinsi nelle spalle chiudendo il discorso senza lasciar troppo trapelare una punta di acredine nel tono della mia voce. Non ero del tutto in me in quel momento. Non mi fidavo di me stessa.
"Giusto, ma non è un vero natale senza la neve." sorrise lui ammiccando il cielo. Disorientata da quel cambiamento improvviso di discorso, alzai lo sguardo mentre un fiocco di neve mi cadeva sul naso lasciandomi una sensazione di gelida bellezza. Non riuscivo a credere ai miei occhi.
"Cosa...sta nevicando? Come facevi a saperlo?" lo fissai con un'occhiata stralunata. Ero completamente basita.
"Ho la sfera magica! Buon natale Eleonor." mi sorrise dolcemente. Non mi accorsi che si era avvicinato finchè non sentii le sue labbra sulla mia guancia, troppo vicine alla mia bocca per quanto mi riguardava. Chiusi gli occhi mentre il mio cuore stava battendo all'impazzata, come se mancasse poco perchè esplodesse.
"Buon natale Daniel." mormorai completamente stordita dal suo bacio sulla guancia da non capire più niente. Sentivo la neve posarsi su di me, avvolgendomi in un candido manto, e la sua presenza davanti a me, il suo sfiorarmi leggermente, era talmente altisonante da darmi alla testa. Improvvisamente sentii le sue mani prendere le mie e persi un altro battito, avrei avuto un infarto a breve tempo. Avrei voluto rimanere così per sempre. Le sue labbra si avvicinarono lentamente al mio orecchio, era un'agonia per me.
"Indossa i guanti, hai le mani fredde. Devi riscaldarti. Passa un buon natale." sospirò nel mio orecchio facendomi venire i brividi. Riuscivo a sentire persino il suo sorriso sfiorare la mia pelle, poi più nulla.

Daniel se ne andò in silenzio senza mai voltarsi. Aprii gli occhi di scatto ma l'unica cosa che riuscii a scorgere in mezzo alla neve era la sua ampia schiena che si allontanava rapidamente. Quando riuscii finalmente a riprendermi, corsi a casa più velocemente che potevo per poter mettere in stand by la mia mente che in quel momento mi sembrava un criceto che annaspava sulla ruota ma che continuava a zampettare sempre più velocemente. Ero stremata sia fisicamente che emozionalmente, volevo un pò di silenzio. Cosa diamine avevo intenzione di fare? Perchè continuavo a comportarmi come una stupida? Non avevo ancora capito niente dai miei precedenti errori? Gli sbagli fatti con Nathan e William non erano serviti a niente? Perchè adesso mi comportavo di nuovo come un'adolescente in piena crisi ormonale con Daniel? Troppi pensieri mi turbinavano nella testa. Quando varcai la soglia di casa, mi fermai nell'atrio piegandomi, mettendo le mani sulle ginocchia, mentre ansimavo distrutta dalla corsa appena fatta. Sentii un brusio collettivo di eccitazione provenire dalle camere di sopra e, girando lo sguardo alla mia destra, notai dalla porta socchiusa dell'ambulatorio che avevano messo due tavolini vicini apparecchiandoli con ogni sorta di decorazioni natalizie che avevano appeso persino in tutta quella stanza rendendola più calda e ospitale del solito. Involontariamente sorrisi mentre osservavo quasi affascinata la fiammella di una delle tante candele accese che illuminavano quella camera prima fredda e sterile, stavo diventando come quelle persone che al minimo accenno del natale si commuovevano. Persone che mi infastidivano soltanto a guardarle. E adesso, alla sola vista di una candela e del vischio appeso alla parete stavo facendo la loro fine. Speravo che almeno le lacrime mi fossero risparmiate, ma ormai non controllavo più il mio corpo. Incrociai Nikolaj sulle scale che portava in ambulatorio una confezione di tovaglioli e gli chiesi dove fosse Sophie. In quel momento avevo proprio bisogno di abbracciare quella bambina e crogiolarmi nel suo tenero sorriso nella speranza che rimanesse innocente ed ignara del male, in tutte le sue forme, che ci circondava. Non volevo che ne fosse coinvolta, avrei fatto di tutto per tenerla alla larga. Il bambino mi disse che stava dormendo sul mio letto, era crollata dal sonno appena finito di addobbare l'albero di natale e William l'aveva messa sotto le coperte con il suo orsacchiotto preferito. Gli sorrisi con riconoscenza e salii le scale in direzione della mia camera. Mi fermai qualche istante per osservare Natasha, dallo spiraglio della porta, che si stava vestendo per il suo imminente appuntamento con il dottor Patrick. Continuava a specchiarsi mentre si metteva degli orecchini a perla, il suo sguardo era teso e nervoso e mi venne un sorriso sornione sulle labbra. Mi piaceva vederla spiazzata, dopotutto era un essere umano e non avrebbe potuto congelare per sempre i suoi sentimenti. Ad un passo dalla mia porta mi bloccai di colpo vigile e con i sensi in allerta. C'era qualcosa di diverso nell'aria, riuscivo a sentirlo e sapevo cosa voleva dire quel cambiamento. Era qualcosa di viscerale, un legame di sangue che influiva sulle mie emozioni rendendomi un pò confusa. Facendo un respiro profondo varcai la soglia addentrandomi nel semibuio, dovetti impiegare alcuni secondi per abituare i miei occhi ma non staccai lo sguardo dalla persona che fissava con aria fredda e distaccata la bambina sul letto. Lui era in piedi e non si preoccupò nemmeno di girarsi verso di me, sapeva che lui era l'unica vera potenza in quella stanza. Avrebbe potuto essere la nostra sentenza di morte, ma volevo riportarlo dalla mia parte prima di finire sul suo menù.

"Sapevo che saresti tornato. Me lo sentivo." esclamai sforzandomi di risultare il più sicura possibile. In realtà non lo ero e sentire la sua presenza mi aveva lasciato una scarica di emozioni diverse che ancora non riuscivo a gestire.
"Sono qui per uccidere." la sua voce era fredda, inumana e mi fece venire i brividi. Non lo vedevo da mesi e la prima cosa che gli sentivo dire non era di certo un buon inizio, non sembrava nemmeno la sua voce. Se non fosse per il fatto che lo avevo appena visto con i miei occhi, per non parlare del mio istinto che gridava il suo nome a squarcia gola, non lo avrei nemmeno riconosciuto. Dovevo tenere duro e spuntarla in quella pericolosa discussione, era come camminare sui carboni ardenti.
"E chi? Quella bambina? Sophie?" gli chiesi cercando di non alzare il tono della voce e attirare l'attenzione del resto della casa. Era meglio che nessuno sapesse cosa stava succedendo.
"Si, lei." imperturbabile. Nessuna espressione che potesse farmi capire a cosa stesse realmente pensando. Mi faceva un pò paura quel suo modo di fare, molto da vampiro e poco da Evan.
"Tu non lo farai. Non puoi farlo." gli intimai sottovoce facendo un passo avanti, dall'altra parte del letto per ritrovarmelo di fronte. L'avrei difesa a costo della mia stessa vita.
"E chi ti dice che non posso farlo? Io sono il vampiro e lei la mia preda." avrei preso volentieri a schiaffi quella fastidiosa faccia di marmo che mi ritrovavo come una parte del corpo di quello che un tempo era mio fratello.
"Io sono la cacciatrice e tu sei il nemico, indovina chi dei due rischierebbe di più? Un solo movimento e un lupo e un guerriero verrebbero a farti fuori in un secondo." sembravano persino alle mie orecchie delle minacce vane, dovevo metterci più sicurezza di quella che sentivo realmente. Speravo soltanto che lui non se ne accorgesse. A chi volevo prendere in giro?
"Sempre se non dissanguo te e la bambina e scappo dalla finestra un secondo prima di vederli varcare quella soglia."
"Ma non lo farai. Sono tua sorella, quella che hai cercato in tutti questi anni e che finalmente le hai rivelato la verità sul legame di parentela. Non ricordi?" domanda retorica come al solito. Ero infastidita persino io dalle mie stesse parole ma non potevo farne a meno.
"Non ho sorelle. Ne fratelli. Ne una famiglia. Solo Dilette." fu come una pugnalata al cuore. Faceva male.
"Tecnicamente hai tutto questo. Anche quella pazza sanguinaria e sadica di Dilette fa parte di quella cosiddetta famiglia, della quale nessuno dei due è veramente fiero di essere stato portato nel suo grembo per nove mesi. E anche Sophie ne fa parte."
"Non vedo come. E' un'orfana che ha perso la madre e con la quale tu hai voluto fare la buona samaritana e prenderla con te. Solo un altro corpo pieno del mio cibo preferito. E'delizioso." fece un sorriso di pregustazione che io reputai essere completamente orribile. Quello non era più Evan. Era rimasto qualcosa dentro quel freddo involucro che potesse assomigliare al fratello che era scomparso da una notte all'altra senza dirmi niente? Digrignai i denti lanciandogli un'occhiataccia malevola.
"E' il tuo stesso sangue che stai odorando. Ti ricordi di Giselle? Bene, lei è sua figlia." provai una certa nota di soddisfazione nel dirglielo. Non sapevo di essere una persona vendicativa ma vedere l'espressione confusa di Evan mi appagò di 24 anni di completa ignoranza.
"Giselle..."
"E, notizia dell'ultima ora, prima che la nostra amorevole madre ti avesse trasformato in un nemico pubblico altamente pericoloso tu hai contribuito pienamente a metà del patrimonio genetico di quella bambina. Sophie è tua figlia."
"Cosa..."
"Me lo ha detto papà...a dire il vero dovevo accorgermi prima della somiglianza tra noi ma ero troppo impegnata a capire come fare a crescerla da sola. E' stupenda non trovi?" mormorai osservando la bambina con un sorriso amorevole sulle labbra mentre lei si girava tra le coperte affacciandosi dalla parte di Evan. A quel punto alzai lo sguardo per fissare lui e la mia espressione si indurì leggermente. Non riuscivo più ad essere quella di prima in sua presenza.
"Non può essere...perchè Giselle non me lo ha detto?" finalmente una traccia del passato tornò sul suo viso. Avrei voluto ridarle il benvenuto ma mi trattenni all'ultimo secondo. Non potevo ancora fidarmi di lui, o almeno non subito.
"Forse quando stava per dirtelo sei scomparso nel nulla per via della trasformazione e Giselle probabilmente ti ha dato per morto. E' normale." cercai di trovare una risposta stringendomi nelle spalle.
"Io non ho figli." per l'ennesima volta ero andata a sbattere contro quel muro invisibile che continuava ad erigere davanti a se. Mi stavo stancando.
"La prova lampante c'è l'hai proprio sotto i tuoi occhi, non puoi negare l'evidenza. E adesso vuoi ancora ucciderla?"
"Mi ha ordinato di farlo." la sua voce tornò dura ed inflessibile, era di nuovo quello sconosciuto vampiro glaciale che tanto odiavo. Sembrava quasi che la mia rivelazione non lo avesse scalfito nemmeno un pò, ma io sapevo che non era così. Dovevo insistere ancora un pò e forse avrei ritrovato il mio Evan, se solo mi avesse dato ascolto.
"E tu segui sempre gli ordini di Dilette." affermai amaramente facendo una smorfia di disgusto. Non potevo credere che l'influenza di quella stronza fosse così forte da fargli il lavaggio del cervello.
"Devo farlo. E' la mia regina."
"E' un mostro. Sospetto che lei sappia chi sia in realtà Sophie e che abbia fatto apposta a ordinare proprio a te di ucciderla. Vuole sondare la tua fedeltà...e far fuori qualcuno che probabilmente in futuro aiuterà in qualche modo la nostra causa in questa guerra, dopotutto ha il nostro sangue che le scorre nelle vene. E' una della famiglia. La profezia forse parla anche di lei ed io non voglio credere che tu sia tanto ignobile da uccidere una bambina indifesa nel sonno, specialmente adesso che sai che è tua figlia. Pensaci bene Evan. Pensa a cosa perderesti se eseguissi gli ordini della tua fantomatica regina." lui mi rispose con il silenzio mentre continuava a scrutare il volto di Sophie senza manifestare alcuna emozione. A cosa stava pensando? Come avrei voluto entrargli nella mente per scoprire cosa c'era dentro, ma lui mi aveva sbarrato la strada ed io non riuscivo più a leggergli dentro. Mi sentivo buttata fuori di colpo e di certo non era una bella sensazione. Volevo tornare ad avere quell'intimità che si era creata tra di noi appena avevo rivisto mio fratello dopo molti anni di assenza. Rivolevo il mio Evan.

Lui rivolse lo sguardo verso di me e stavolta vi lessi il dubbio misto alla rabbia repressa. Forse era un passo avanti. Forse no. Ma qualcosa si era smosso in lui e questo mi dava una speranza. Senza una parola, si dileguò uscendo dalla finestra in un secondo lasciandomi da sola a riflettere su quel colloquio. Feci un lungo sospiro di sollievo e mi portai una mano alla tempia dolorante. Avevo avuto paura e non volevo nemmeno ammetterlo con me stessa. Ero talmente furiosa con Dilette che il mio istinto mi gridava di raggiungerla ed impalettarla appiccandole il fuoco nello stesso istante. Lei sapeva chi era Sophie. Ci avrei messo la mano sul fuoco. Era solo un mostro senza umanità altrimenti non potevo spiegarmi l'ordine di uccidere sua nipote. Quanto odiavo sapere di essere sua figlia. Mi sedetti sul letto e accarezzai il volto della bambina, mi chinai su di lei e le baciai la fronte chiamandola dolcemente per nome per farla svegliare. Era ora di scendere a tavola e riunirsi con gli altri, un odorino di arrosto al forno saliva fin su in camera mia. Per fortuna che nessuno si era accorto della presenza di Evan, potevo soltanto immaginare quello che sarebbe successo se Will o Nath avessero varcato quella soglia. Sophie mugugnò qualcosa di incomprensibile, si stirò facendo le fusa come un gattino appena nato e aprì lentamente gli occhi sbattendo ripetutamente le ciglia per alcuni istanti. Quando mi riconobbe si illuminò sorridendomi. Quel sorriso dileguò ogni mio brutto pensiero e lo ricambiai cercando in qualche modo di contenere le lacrime che tentavano di straripare dai miei occhi. Stupide lacrime, stupida debolezza. Dovevo godermi la serata con la mia nuova famiglia ed io non vedevo l'ora di farlo, mi ero meritata qualche ora senza pensare ai mille problemi che mi circondavano. Feci alzare Sophie e la aiutai ad indossare un vestitino di velluto verde e un pullover bianco abbottonato sul davanti che avevo preso il giorno precedente al centro commerciale. Con un cerchietto verde su quella massa di boccoli rossi era meravigliosa.
Quando scesi, mano nella mano con Sophie, la festa iniziò. Eravamo tutti accampati intorno al tavolo e stavamo un pò stretti in ambulatorio, ma nessuno se ne curò più di tanto. Eravamo felici e questo era ciò che contava. Nonostante la mia ostinazione contro il natale mi unii ai festeggiamenti ridendo con gli altri spensierata. Incrociando lo sguardo affettuoso di Will dall'altra parte del tavolo che ammiccava, inclinando leggermente verso di me il suo bicchiere pieni come se fosse un brindisi silenzioso a noi, mi sentii in colpa per come mi ero comportata svenevolmente con Daniel soltanto qualche ora prima. Pechè lo avevo fatto? Will non se lo meritava. Cercai di sostenere il suo sguardo ma non ce la feci e mi nascosi dietro il mio bicchiere scolandomi tutto il contenuto senza quasi accorgermi cosa stessi bevendo. Tossii mentre il vino mi andava di traverso e raggiungeva la mia testa abbastanza velocemente. Natasha mi battè alcuni colpi sulla schiena per farmi riprendere ed io farfugliai qualche ringraziamento immaginandomi la faccia tutta rossa. La serata continuò oltre ogni mia migliore previsione e, nonostante le mie tensioni con Nathan e Syria, mi divertii molto specialmente quando venne il momento di scambiarci i regali. Sophie era eccitatissima e radiosa quando le allacciai la collana che le avevo regalato. Il ciondolo d'ambra brillò alla luce della lampada, rivelando meglio i frammenti giallognoli che lo componevano, e le conferiva un'aria meravigliosa. Era perfetto per lei. Era il regalo perfetto. Nathan, un pò imbarazzato e nervoso, mi porse una scatola rettangolare grigia dicendo che se volevo continuare con la mia missione suicida avevo bisogno di qualcosa di nuovo da usare per eliminare i nemici. Aprendo la scatola, tirai fuori due pugnali a tre punte molto leggeri e facili da maneggiare, l'impugnatura era di un rosso scuro molto simile al colore del sangue che avrei versato durante la lotta. Mi avrebbero dato un aiuto notevole a sterminare i cattivi. Lo ringraziai con sincerità, facendolo sentire ancor di più in imbarazzo, poi Nath disse che Syria lo aveva aiutato nella scelta e calò un silenzio carico di tensione che fu smorzato dall'arrivo di Natasha con un qualcosa che assomigliava vagamente a una valigetta. Fortunatamente c'era lei a salvare la situazione. Il suo regalo si rivelò essere un kit di pronto soccorso, lei mi sorrise dicendo che era in caso di necessità visto la mia vita avventurosa e piena di contusioni e sangue. Davvero spiritoso come regalo. Mentre Syria stava scartando il regalo di Natasha, una sciarpa rossa con dei fili dorati, William mi si fece vicino accostandosi alle mie spalle. Sentivo la forte presenza del suo corpo, che emanava calore, e mi persi in quella sensazione cercando stoicamente di non far trapelare nella mia espressione il turbamento che mi stava provocando. Non volevo che gli altri si accorgessero di niente.

"Vieni con me." mi sussurrò lui all'orecchio facendomi venire i brividi lungo la schiena.
"Non possiamo lasciare..."
"Sophie non scomparirà se la lasciamo qui con gli altri per cinque minuti, rilassati. Devo darti ancora il mio regalo di natale. Seguimi." mi posò la mano un pò più in basso del centro della schiena e mi guidò silenziosamente verso la sua camera da letto ordinata e tanto familiare.

Entrai quasi titubante, mentre ispezionavo con lo sguardo attento la stanza cercando di scovare il regalo di William. Conoscendo le sue manie di grandezza, probabilmente mi aveva regalato un'auto oppure una crociera nel Mediterraneo e, in quel momento, mi sarei vergognata del mio misero orologio da taschino che avevo comprato vicino al mercato in città. Ero proprio negata a fare i regali. Fino a qualche giorno fa avrei cercato di fare una petizione per annullare quella stupida festa natalizia, ma dopo aver visto l'eccitazione e la felicità negli occhi di Sophie avevo cambiato opinione. Era stato il mio primo vero natale. Stranamente mi sentivo felice per quello, ma adesso ero un pò nervosa. Non sapevo cosa aspettarmi da Will. Dal mio rapido controllo, non avevo trovato nulla nella stanza che potesse anticiparmi qualcosa della sorpresa imminente. L'ansia crebbe mentre davo dell'imbecille all'istinto che mi aveva spinta a prendere quel cavolo di orologio. Non dovevo fermarmi soltanto perchè una stupida vocina dentro di me diceva: compralo!

"Chiudi gli occhi." mormorò lui sorridendomi dolcemente.
"E' stupido." scossi la testa disorientata mentre aggrottavo la fronte. Non volevo essere un burattino nelle sue mani. Avevo paura di esserlo.
"Tu chiudili e basta, non protestare ogni volta che ti dico qualcosa."
"Carogna!" esclamai con finta indignazione mentre chiudevo gli occhi eseguendo il suo ordine.
"Rompipalle!" ribattè lui. Lo sentii ridacchiare spensierato e mi immaginai le sue labbra carnose mentre sorridevano cambiando del tutto la sua espressione. Rimasi per parecchi secondi ad occhi chiusi in trepidante attesa, sentivo alcuni spostamenti d'aria e un lieve strusciare verso qualcosa di soffice. Non capivo cosa stesse facendo e nemmeno dove se ne fosse andato; non lo sentivo più accanto a me. Improvvisamente sentii freddo, come se mi avesse lasciato di colpo e l'ansia aumentò; poi dal nulla lui mi prese la mano baciando il dorso di essa come un galantuomo. Ne rimasi piacevolmente sorpresa.
"Apri gli occhi." mormorò lui. Lo feci lentamente per godermi il momento quando avrei incrociato i suoi occhi e, quando ciò avvenne, rimasi interdetta vedendo lui che continuava a giocherellare con la mia mano mentre osservava attentamente ogni mia mossa. Ero confusa, sembrava lui quello in ansia come se dalla mia reazione sarebbe dipeso tutto. Abbassai lo sguardo sulle nostre mani intrecciate e notai un anello sul mio anulare. Non un anello, bensì l'anello: quello che mi aveva donato qualche anno prima per il nostro fidanzamento. Senza la sua mano, la mia avrebbe tremato; se l'avessi ritratta di colpo lo avrei ferito. Adesso sentivo la fifa.
"Questo..."
"Si. E' l'anello che portavi durante il nostro fidanzamento, l'ho tenuto con me tutto questo tempo perchè sapevo che mi sarebbe servito di nuovo. E credo sia arrivato il momento di usarlo. Un giorno mi hai detto che avresti mantenuto la promessa che ci eravamo fatti, ma poi non ne avevamo più parlato e all'improvviso abbiamo ricominciato con questa nostra strana relazione...qualsiasi cosa noi siamo. Quindi volevo che fosse qualcosa di ufficiale. Tu sai cosa provo e sai anche che sono praticamente impazzito quando te ne sei andata. Ti sento come se fossi una parte di me, un'unica cosa indivisibile. Sposami Elenor, fidati di me."






E CON QUESTO SI CONCLUDE IL 13ESIMO CAPITOLO...FINALMENTE!!!! VOLEVO POSTARLO PER NATALE COME REGALO MA NON ERO RIUSCITA A FINIRLO IN TEMPO QUINDI....BUONA PASQUA!!!!!!!!!!!!!!!
SPERO VI SIA PIACIUTO, FATEMI SAPERE COSA NE PENSATE.
ALLA PROSSIMA E SPERO PRESTO!!!
CIAO

   
 
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