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Autore: Dira_    04/04/2010    12 recensioni
La guerra è ormai finita, Harry è un auror e sta per avere il suo secondo bambino.
Degli strani sogni e la misteriosa comparsa di un neonato decisamente particolare turbano la sua pace, tornando a scuotere la famiglia Potter sedici anni dopo, quando Tom, il bambino-che-è-stato-salvato, scoprirà che Hogwarts non solo nasconde misteri, venduti come leggende, ma anche il suo oscuro passato...
La nuova generazione dovrà affrontare misteri, intrighi, nuove amicizie e infine, l'amore.
“Essere amati ci protegge. È una cosa che ci resta dentro, nella pelle.”
Può davvero l’amore cambiare le carte che il destino ha messo in tavola?
[Next Generation]
Genere: Azione, Mistero, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Albus Severus Potter, James Sirius Potter, Nuovo personaggio, Rose Weasley, Scorpius Malfoy
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nuova generazione
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Doppelgaenger's Saga' Questa storia è tra le Storie Scelte del sito.
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Prima di tutto (credo) Buona Pasqua!
Oookay, siamo arrivati ufficialmente alla chiave di volta. Dal prossimo capitolo basta seppie mentali.
Quindi godetevi questo, che è l’ultimo capitolo di calma apparente. ;)
Ah, sì. Ci ho riprovato con la lemon. Non è che sia andata un granchè. Un grazie comunque a Narcissa63 e Chu per il supporto (sopporto) umano. Questo capitolo è dedicato a voi due, girls ;)

@LyhyEllesmere: Eheeh, sì, la relazione si evolverà, puoi scommetterci!
@Trixina: Mi fa piacere che il capitolo non ti abbia deluso! ^^Continua a seguirmi!
 
 
 
****
 
 
 
Capitolo XXXVII





 
 
Consequence is waiting for you/ Can you feel it up inside?
You show how much your father's part of you
Thinking, it makes no sense
Would it really make you turn away?/ Would it really change your life?
(World Outside, Palo Alto)


 
 
 
Inghilterra, Scozia. Cancelli di Hogwarts.
Undici e mezzo di sera.

 
 
La cena era finita, ed era tempo di chiarimenti.
Albus se l’era ripetuto da quando Ted e James erano tornati, e il giovane professore aveva esordito dicendo che ormai era tardi, e che era ora di tornare al castello.
Si erano così tutti alzati, saluti di rito, mentre James andava a recuperare Lily, improvvisato premio in palio in una gare di bevute tra un gruppo di giovani auror in licenza.
Adesso stava camminando a fianco di Tom che, con le mani affondate nelle tasche del cappotto, cercava di difendersi dalla gelida tramontana che spirava lungo il sentiero che li stava riportando ad Hogwarts.
Non era il momento, quello, di parlare. Solo a pochi passi avevano Scorpius e Rose.
In ogni caso, sentiva lo stomaco serrato da una morsa. L’espressione di Tom, accanto a lui, era indecifrabile, a causa della penombra della boscaglia che costeggiavano.
Se solo potessimo parlare adesso…
Nei libri i chiarimenti avvenivano subito, alla svelta, non appena si decideva di averli.
Ovviamente nella vita reale le cose erano più difficili.
Inciampò su una radice – seriamente, a volte pensava di avere gravi problemi di equilibrio, almeno sulla terra ferma – incespicando.
Tom lo afferrò al volo per un braccio, tirandolo in piedi: nell’azione ovviamente Al gli finì addosso, quasi soffocandosi contro la stoffa del suo cappotto.

“Sei sempre il solito…” Sospirò, tirandolo dritto. Anche nella penombra lo vide sorridere.
Volle baciarlo. Anche se non si erano ancora chiariti.

“Al, stai bene?” Si informò subito Rose, raggiungendoli e costringendo Tom a fare un paio di non voluti passi indietro.
“Sì, sì. Sono solo inciampato. Tom mi ha preso al volo.” Sorrise, cercando di non essere infastidito dalla premura della cugina. Non era colpa sua…
Ma voglio restare solo con Tom. Adesso. Ora.
“Non si vede niente… dovrebbero mettere uno straccio di illuminazione, almeno sulla strada d’accesso.” Commentò la ragazza. Al sentì Tom muoversi al suo fianco, e capì che si stava innervosendo.
Del resto ha passato tutta la serata in silenzio, ad aspettare che finisse…
“Già…” Commentò, quieto. Lanciò uno sguardo a Scorpius che, come al solito, capì al volo.
Lo ammirava: probabilmente era abituato ad esprimersi tramite sguardi muti. La famiglia Malfoy non sembrava una famiglia di emotivi chiacchieroni come la sua.
“Rosie, devo assolutamente parlare con Poo o morirò. Andiamo.”
Scorpius!” Esclamò, quando si sentì trascinare via, parecchi metri più avanti in direzione James. “Per tutte le sottane di Merlino, lasciami!” Tentò, senza riuscirci.

Al li guardò sparire oltre la curva: stranamente Teddy quella sera non si era messo a fare il cane da pastore, come aveva ironizzato Lily, ma si era limitato a mettersi in testa al gruppo.
Quindi, adesso, lui e Thomas erano soli.
“Scorpius è un ragazzo in gamba…” Cominciò, per rompere il ghiaccio.
Tom fece spallucce. “Sprecato per Rose.”
“Rosie è meravigliosa!” Replicò sbalordito. “Sono perfetti l’uno per l’altro!”
“Se lo dici tu…” Vedendo la sua espressione bellicosa, smorzò i toni. “Sai che Rose non è trai miei preferiti, in questa famiglia.”

“E quali sarebbero i tuoi preferiti?” Interloquì. Non se la sentiva di iniziare quel discorso. Non brutalmente, almeno. Non con una domanda diretta come ‘Che succede?’.
“Vediamo. Lily… quando non cerca di imbarazzarmi. Zia Hermione, una delle donne più intelligenti che conosca… e naturalmente tu.” Gli tirò una ciocca di capelli dietro l’orecchio, facendolo rabbrividire. Lo lasciò persino fare quando gli passò le dita trai capelli, serrando leggermente la presa contro la nuca.

La gestualità di Tom non era mai troppo affettuosa. Era sempre qualcosa a metà tra il dispetto e la dolcezza che lui, personalmente, avrebbe riservato ad un gattino.
Non lo faceva sentire molto mascolino, ma gli piaceva. Tanto.
“E papà?” Gli chiese poi, con una disinvoltura che non provava, approfittandosi del fatto che Tom sembrava aver abbassato la guardia.
Si era sbagliato, perché Tom si irrigidì all’istante. Lo vide chiaramente, o meglio lo percepì dalla curva che prese le sue labbra. Sottile e quanto di più simile ad una smorfia.
“Diciamo che al momento siamo in rotta.” Scollò dal palato.
Erano iniziati i chiarimenti. Al inspirò.
“Perché?” Chiese.
“Mi ha deluso.” Il tono era secco, come brusco fu il gesto con cui tolse la mano dai suoi capelli. “Sì, ma perché? Che ti ha fatto?”
Tom rimase a lungo in silenzio. Avevano rallentato le loro andature per poter rimanere soli. In effetti gli altri quattro erano poco più che figure distanti lungo il crinale su cui si inerpicava il castello.

“A dire la verità… non mi ha fatto niente.” Dovette ammettere. “Sono io… che ho sbagliato.”
“Cosa…” Inspirò. Si sentiva la bocca secca. “Cosa hai sbagliato, Tom?”

Lo guardo che gli rivolse lo costrinse a fermarsi e a farlo fermare. Tom sembrava…
Non aveva mai visto Tom piangere in vita sua, neppure quando era caduto dalla prima e unica scopa che aveva mai sellato, a sette anni. Ed era stata una caduta tremenda, che avrebbe ridotto in lacrime persino James.
Adesso sembrava che stesse per piangere. L’espressione era quella, perlomeno.
Disperata e spaventata.
“Tutto, Al. Ho sbagliato tutto.”  
Al prese un respiro profondo. Aveva paura, era inutile negarlo. Se Tom era in quelle condizioni, la situazione non poteva essere semplicemente ingigantita dal loro essere adolescenti e in preda a piccoli drammi quotidiani.
“Allora raccontami tutto.”


 
****
 
India, regione di Nagaland.
Prima mattina (fusorario).

 
Il fusorario li aveva quasi uccisi.
Sette ore concentrate in una smaterializzazione veloce e immediata non erano un buon modo per viaggiare.
Erano atterrati su un gruppo di arbusti, con un grosso e orribile rumore di cose rotte.

Fortunatamente, dopo un veloce check-up, scoprirono si trattasse dei rami e non delle loro ossa.
Ron si tirò su, dando una mano all’amico, che si aggiustò gli occhiali finiti di traverso.

“I babbani ci metteranno più tempo a viaggiare, ma indubbiamente lo fanno con più classe.” Sospirò Harry, scrocchiandosi una spalla. “E senza rischiare fratture.”
Ron si guardò attorno, spaesato.
“Amico, ma… Siamo finiti in Amazzonia?”
Harry lanciò uno sguardo perplesso alle fronde verdi che circondavano la radura erbosa in cui erano dolorosamente impattati. Un uccello dal becco imponente, e che Harry trovò formidabilmente a forma di banana, sfrecciò tra il fogliame con un grido acuto.

Era una vegetazione tropicale quella, niente da eccepire.
“Beh. Suppongo che l’India sia un grande continente, e non sia tutto… arido.” Tentò. “La passaporta ci ha portato nel posto giusto.” Fece una pausa “Deve averci portato nel posto giusto.”
“Non è che quel cretino di Field ha sbagliato ad incantare quel guanto, vero?” Si informò Ron incupendosi, mentre si spostava i capelli già fradici di umidità dalla fronte. “Perché se è così, giuro che lo trasfiguro in una talpa appena torniamo.” 

“Non credo, no…” Considerò distratto Harry, facendo qualche passo incerto. “Rolf dovrebbe venire a prenderci al punto di arrivo, comunque.”
“Sa qual è il punto d’arrivo?”
“Dovrebbe.”
Ron emise un ringhio sconfortato. “Dovrebbe? Harry, miseriaccia, mi hai tirato giù dal letto nel cuore della notte per…”
“Erano solo le undici.”
“Qualcuno lavora di pattuglia, domani. Anzi, considerando che qua è già giorno oggi.” Sbottò, lanciandogli un’occhiataccia che ai tempi della loro adolescenza sarebbe in seguito sfociata in una litigata furiosa. Fortuna che erano entrambi maturi.

“Ti ricordo che mi hai seguito di tua spontanea volontà.”
“Se chiami spontanea piombarmi in casa. È effrazione!”
… Forse.
Harry alzò gli occhi al cielo, inghiottendo un moto di stizza che sicuramente avrebbe fatto montare su tutte le furie l’amico. Ron non aveva tutti i torti, lo sapeva.
Ma lì c’era in ballo la sicurezza dei suoi figli.

L’incertezza non era permessa.
“Senti Ron…” Iniziò, pieno di buone intenzioni. Si fermò, quando sentì un rumore.
Un ramo spezzato. Si guardò tutto intorno, estraendo con un movimento ormai naturale la bacchetta e spianandola di fronte a sé. Ron fece lo stesso.
“Che succede?” Sillabò, pianissimo.
“Non lo so. Hai sentito quel rumore?”
L’altro annuì, scrutando attorno alla fitta giungla attorno a loro.
La risposta si palesò pochi attimi dopo. Fu come un orribile deja-vu. Anche se in quel momento non erano in Inghilterra e, soprattutto, non erano ad Hogwarts.
Dalle fronde uscirono una decina di Naga: armati di tutto punto, con arco e frecce, ben tese in direzione dei loro punti vitali.

Ron aprì e chiuse la bocca un paio di volte, prima di riuscire ad articolare La domanda.
“Dove diavolo è Rolf?”
Harry sorrise nervosamente.
“Beh. Mettila così Ron… Siamo sicuramente nel posto giusto.”



****


Erano tornati nella propria Sala Comune per poter parlare in pace.
Avevano parlato. E adesso Tom non riusciva ad alzare lo sguardo da terra.
Neppure se avesse voluto, e non voleva.
Aveva detto tutto. Vuotato il sacco, avrebbe detto, se l’argomento fosse stato più leggero.

La realtà era che, mettendo in fila tutto ciò che aveva commesso, si era reso conto di come fosse stato stupido a credere a John Doe.
Era umiliante.  
Non si era mai sentito così spaventato in vita sua. Dalle conseguenze e dal giudizio di Al e di Harry.
Albus, intanto, non parlava. E lui non riusciva ad alzare lo sguardo.

Persino dai sotterranei si sentiva un cupo rumore di tuoni. Si erano bagnati, rientrando al Castello ed erano rimasti bagnati. L’urgenza li aveva semplicemente spinti più vicini al fuoco.  
Sentì Al fare un passo. Verso di lui o lontano da lui, non seppe stimarlo.
Quello che seppe fu che il momento dopo sentì un dolore lancinante al viso e fu sbattuto contro una poltrona, quasi crollando a terra. Si puntellò appena in tempo.
Al gli aveva tirato un pugno.
Alzò lo sguardo, sentendo il sapore del sangue sulle labbra. La sorpresa era stata tale che non era neppure riuscito a difendersi o a parare il colpo.  
Ma cosa diavolo…
Al era di fronte a lui, con i pugni serrati e il viso contratto dalla rabbia.
Confusamente pensò che non era quella la reazione che si aspettava.
Disgusto, delusione, disperazione. Quelle sì.  Ma non rabbia.
“Idiota…” Gli sibilò, facendo un evidente sforzo per dirglielo. “Come hai potuto essere così idiota!?”
Non riuscì a ribattere.

“Quell’uomo, quel John Doe ti ha preso in giro fin dall’inizio! E tu ci sei cascato, hai fatto quel che ti diceva di fare! Ed hai continuato a dire che andava tutto bene mentre quel pazzo si aggirava per la nostra scuola e sguinzagliava lucertoloni assetati di sangue!”
“Ti ho detto che mi aveva promesso…”
“Ti ha mentito! Ti ha detto solo una cosa concreta in tutto questo tempo!?”
Tom si umettò le labbra per rispondere. “Mi ha dato degli indizi. Mi ha… fatto capire chi potrei essere!” Ringhiò, alzandosi in piedi. Era incredulo, furioso.

Non riusciva a capire però se con Al o con sé stesso.
“E se ti avesse mentito? Non ci hai mai pensato?!”
“Certo che ci ho pensato! Ma è l’unico che mi abbia dato la speranza di sapere da dove vengo!” Urlò. Lo fece senza pensare che non era il caso, che non era dignitoso, che qualcuno poteva sentirli.

Sentiva una compressione spiacevole allo stomaco e non riusciva a fermarsi. “Tu non sai… non sai cosa significa non sapere chi si è. Tu sei Al Potter! Tu sai chi sei. Io no. Io sono solo chi mi Harry mi ha fatto essere, facendomi adottare da suo cugino!”
Ed era quello, il punto.

Sapere chi era, era stato più importante di tutto quanto.
Della sua famiglia, della sua tranquillità, di tutto. 
Al rimase in silenzio, mentre entrambi inspiravano ed espiravano lunghe boccate d’aria.

Erano spaventati. Avevano urlato perché entrambi erano spaventati a morte.
Al si morse l’angolo del labbro. Lo faceva sempre quando era nervoso.
“… Io, questo… Hai ragione, questo non lo posso capire.” Ammise. Tom notò che contraeva e decontraeva la mano sinistra. Era quella con cui l’aveva colpito. Aveva le nocche arrossate.
Ci siamo fatti male entrambi…
È sempre così.
“… Ma avresti dovuto… avresti dovuto dirmelo. Io neanche sapevo che per te era così importante sapere da dove vieni.” Sussurrò. “Pensavo che fossi felice così.”
“Lo sono.” Ribatté, e quando lo disse realizzò che era  vero. Era felice come Thomas Dursley.

Poteva lamentarsi quanto voleva della piccola cittadina in cui viveva, della sua famiglia a volte inadatta alle sue aspirazioni o alla confusione del clan Potter-Weasley in cui spesso veniva forzatamente inserito. Ma era felice.
Anche se non bastava. Non era mai bastato.
Deglutì, sforzandosi di mantenere la voce ferma. “Lo sono, Al. Lo sono stato, ma… volevo delle risposte. E John Doe sembrava… e sembra tutt’ora risposto a darmele.”
“E le vuoi ancora?” Chiese Al, strizzando gli occhi quando una goccia d’acqua gli cadde sul naso, stillando dai capelli fradici. “Vuoi ancora quelle risposte?”
“Non lo so. Questa storia… mi fa paura.” Ammise. Era dura. Sentiva una sensazione spiacevole alla bocca dello stomaco, ad ammettere che gli era tutto sfuggito di mano. “È andata troppo avanti. Delle persone sono morte… e quell’uomo vuole qualcosa da me. Qualcosa che non capisco.”

Odiava sentirsi impotente, spaventato e … ragazzino.
Ma in effetti, lo era.
“Se volesse te?”
Tom non rispose.
Se volesse me…
Rimasero ancora in silenzio. Al si passò le dita trai capelli, per evitare che gli finissero sugli occhi. “Adesso cosa facciamo?” Chiese.
Il plurale, benché la situazione fosse orribile e Al fosse chiaramente ancora furioso con lui, gli fece sentire uno strano calore allo stomaco.
Non l’aveva abbandonato. Non del tutto, almeno.
“Devo parlare con zio Harry. E costituirmi, suppongo.”
“Ma non hai fatto niente!” Scattò Al. “Non hai ucciso tu quelle persone, e non sapevi che i Naga sarebbero entrati nel campo di Quidditch!”
“Ma l’ho saputo poi. E avrei dovuto cercare Harry… perché stanno preparando qualcosa. Doe e la sua Organizzazione intendo, chiunque essi siano.” Esitò, poi tirò un profondo sospiro e continuò. “Mi ha detto che si sarebbe messo in contatto con me. Presto.”
“Con il… medaglione?”

Tom annuì. Pensare a come fermare Doe lo faceva sentire se non meglio, almeno utile.
Era quella la sua priorità in quel momento.
Fermarlo, qualunque cosa avesse in mente.
“Adesso non ce l’ho con me. Me lo sono tolto.” Glissò sulla difficoltà con cui era riuscito a separarsene. Forse era davvero incantato in modo che sentisse il bisogno fisico di averlo con sé.  Ora che però non l’aveva al collo si sentiva i pensieri più lineari, la mente più sgombra.
“Pensi che possano controllarti con quello?” 
“Non posso escluderlo…”
“Maledizione.” Sussurrò Al. “È come se avessero pianificato tutto, anche le casualità, fino al minimo dettaglio.”
“Le casualità nella magia non esistono, Al. È stata la prima lezione del professor Vitious.” Mormorò.

No, non c’erano state causalità.
Dal suo incontro con il Naga, al desiderio di possedere il medaglione.
John Doe aveva orchestrato tutto perché cadesse in una trappola, credesse ad un patto quando in realtà era solo un modo per controllarlo in attesa…
Di cosa? È questo il punto. Di cosa?
“Dobbiamo avvertire papà. Tramite metropolvere.” Suggerì, stringendosi le braccia al petto. Tom notò che aveva le labbra livide.
“Sì.” Convenne. “Hai freddo.” Osservò, piano.

Non aveva ancora capito come Al avesse realmente reagito a tutto quello, a parte il pugno.
Gli credeva, e questo era molto.
Ma si fidava?
Al fece una smorfia. “Sono bagnato fradicio, è naturale che abbia freddo.”
Tom non riuscì a reprimere un mezzo sorriso, quando glielo sentì dire con il suo solito tono imbronciato. “Al…”
“Sono furioso con te.” Lo anticipò. “Non hai idea di quanto mi hai fatto e mi stai facendo incazzare. Ma…” Fece un respiro profondo. “… ti conosco. Se fossi stato lucido non avresti creduto per un secondo a tutta questa storia. Ha preso un tuo punto debole, e ha spinto su quello. È… stato furbo. È un adulto, ci sa fare.”
Tom non rispose, ma sentì qualcosa dentro di lui sciogliersi.  

Al si inginocchiò di fronte al grosso camino intarsiato, gettando una manciata di metropolvere, sempre a disposizione degli studenti in un comoda anfora a lato, e aspettò.
Tom lo vide rabbrividire un paio di volte. L’umidità dei sotterranei non giovava certo alla loro condizione.
Alla fine le braci ebbero un guizzo, e Tom sentì lo stomaco rivoltarsi in una morsa spiacevole.
“Albus?” La voce crepitante però, era indubbiamente femminile. Ginny.
“Mamma! Dov’è papà? Non mi sono collegato con il camino del suo studio?”
“Sì tesoro, ma è tardi. Tuo padre non è qui.”
“Pensavo facesse straordinari come al solito…” Si scusò con un sorriso tirato. “Puoi chiamarlo? Devo parlargli, è importante.”
“Non puoi aspettare domattina?” Chiese la donna, sbadigliando trai tizzoni ardenti.

“No.” La voce di Al fu stranamente asciutta, anche alle orecchie di Tom. “Devo parlargli adesso, mamma. Per favore.” Aggiunse però.
Ci fu una breve pausa in cui il volto di Ginny sembrò scandagliare la zona adiacente al focolare. Tom si sentì fissato, ma non distolse lo sguardo.
“Tuo padre in questo momento non è in casa.” Spiegò, con calma. “Non è neppure in Inghilterra. È andato in India con tuo zio Ron. Per delle indagini.”
Tom sentì la morsa decontrarsi per poi acuirsi di nuovo. Harry non era in Inghilterra. Hogwarts rimaneva la sua unica protezione. E considerando che Doe si era già infiltrato, non era poi così sicura.
Al sembrò pensarla nello stesso modo, dall’espressione spaventata che fece, o meglio, che cercò di non tradire, senza riuscirci.
Fu Ginny a richiamarli all’ordine.
“Non so cosa tu gli debba dire, Al. Ma voglio che sia chiara una cosa. Non fate di testa vostra. Nessuno dei due. Aspettate che tuo padre ritorni… dovrebbe tornare domani mattina, in ogni caso. Lo avvertirò io. Adesso andate a letto, è tardi.”
Al sorrise alla madre, anche se non fu certo che potesse notare la sfumatura, tra le braci.

“Ha piovuto tesoro?” Chiese Ginny, poco prima che chiudesse il collegamento.
“Sì… ehm, perché?”
“Lo vedo, sei bagnato come un pulcino. Va’ a farti una doccia prima di andare a letto.”
“Mamma…” Tentò.
“Non farmelo ripetere.” Insistette. In un certo senso gliene fu grato; se sua madre si prendeva la briga di ricordargli un dovere così stupido, benché fosse evidente che sapesse qualcosa su Thomas, significava che quella storia sarebbe potuta finire bene.

“Va bene.” Acconsentì. “Buonanotte mamma.”
Quando si voltò verso Tom, lo vide fissarsi le mani, serrate strette l’una contro l’altra. Alzò lo sguardo, serrando appena le labbra. “Ginny ha ragione. Stai tremando. Devi farti un bagno caldo, se non vuoi ammalarti.” Gli disse atono.
“Devi farlo anche tu.” Ribatté, alzandosi in piedi. “Non sei stato miracolato dalla pioggia.”
“Dobbiamo farcelo entrambi.” Convenne stancamente. “Ti lascio libera la doccia, lo farò dopo. Resto qui nel frattempo, c’è il fuoco.”
“Non scalda affatto, e lo sai. E comunque non voglio tornare in camera.” Disse, e lo fece di getto, ma pensandolo sinceramente.

L’idea di poter svegliare Michel o Loki non lo allettava affatto. Avrebbero dovuto dar loro spiegazioni delle loro condizioni, del labbro gonfio di Tom o delle sue nocche spellate.
No, grazie. Ho già troppo a cui pensare.
Tom gli lanciò un’occhiata confusa. “Allora dove pensi di fartela?”
“Siamo prefetti, no?” Scrollò le spalle, afferrandolo per una mano e tirandolo su. Tom non oppose resistenza. Non poteva, e lo sapevano entrambi.

In quel momento, per quanto la sensazione non fosse poi così piacevole, il più forte dei due era lui.
“E con ciò?”
“Bagno dei prefetti.”
“Non ci va mai nessuno, Al. È al quinto piano.”
“Appunto perché non ci va mai nessuno è perfetto. C’è acqua calda e… dicono sia fantastico. Un buon posto per farsi un bagno.”
“Non mi sembra il caso. Non adesso.”

“Invece proprio adesso.” Si impuntò. “Papà non tornerà prima di domattina, ed in ogni caso è solo con lui che possiamo parlare per risolvere questa cosa. Ed abbiamo bisogno entrambi di scaldarci e … tranquillizzarci. Okay? Sei ad Hogwarts, Tom. Sei al sicuro.” Gli sorrise. “Comunque ci porteremo dietro le bacchette.”
Tom non ricambiò la stretta, prendendo un’aria assorta.  “Va bene.” Disse però. “In effetti non avevo voglia di dare spiegazioni a Nott e Zabini.”

“Neppure io… Dovrei dire che ti ho picchiato, e la tua reputazione di duro potrebbe precipitare nel baratro.” Scherzò: Tom non sorrideva dall’inizio della serata. Non ne aveva motivo, certo, ma era terribile vedergli quell’aria tesa e spaventata addosso.
Tom intuì il suo tentativo, e fece un mezzo sorriso. “Non mi hai fatto così male.”
“No, infatti non hai un labbro tumefatto.”
“Al, tu non riesci a chiudere la mano sinistra.”
Al sbuffò, facendolo sorridere stavolta, sul serio.  

 
****
 
 
Torre di Grifondoro.
 
James tornò assonnato, ma trionfante nella sua Casa. Salutò Lily con un bacio sulla guancia e la coppietta con un cenno della testa.
Scorpius sogghignò. “Domani mi racconti tutto, Poo.”
“Non c’è mica niente da raccontare.” Brontolò.  

Poi si ricordò che era un legimante.
Dannato Malfoy. Dannato pettegolo.
“Ti odio.”
“Buonanotte anche a te, Potter.” Ghignò, rubando un bacio ad una perplessa Rose, prima di sorpassarlo e sparire nelle scale dei Dormitori maschili.

James salì le scale con calma. Non c’era certo motivo di affrettarsi. Non aveva neppure sonno.
Quando aprì la porta della propria camera trovò gli amici già profondamente addormentati.
Strano… da quando vanno a letto come un gruppo di ragazzine tassorosso?
Ma c’era qualcos’altro. Una sensazione spiacevole. Ci mise un po’ ad identificarla.
La stanza era come al solito immersa nel caos causato da quattro adolescenti nel pieno della pubertà, e quindi vestiti e libri, come dischi e sacchi di dolciumi di Mielandia, campeggiavano ovunque.
Ma James sentiva che c’era qualcosa che non era al suo posto. Poi capì.
Era il suo baule, quello in fondo a letto, in cui stipava le cose a cui teneva di più, come il kit di manutenzione della propria scopa e la sua pila di riviste di Quidditch che nessuno doveva toccare oltre a lui.
Non era al suo posto. O meglio, c’era. Ma era stato spostato; le assi di legno davanti erano pulite, senza un grammo di polvere o un paio di calzini sporchi.

Lo spalancò, gettandosi ai piedi del letto con un rumore tale che svegliò Bobby Jordan, il più vicino a lui.
“Jam, cosa cacchio…”
“Avete toccato la mia roba?” Chiese frettoloso, contando le sue riviste, la sua scorta personalissima di dolci e l’astuccio di cuoio rosso contenente il kit. Sembrava esserci tutto.

“No, per Merlino, nessuno di noi vuole morire giovane…” Bofonchiò stropicciandosi un occhio. Sembrava un po’ troppo intontito, per essere andato a letto solo mezz’ora prima.
“Ma com’è che siete già tutti a letto?” Interloquì.   
Bobby corrugò le sopracciglia, facendo spallucce. “Boh. Sonno?”
James scrollò le spalle, facendo per chiude il baule.

Poi sentì qualcosa ghiacciargli la nuca.
Non era tutto al suo posto.
Lo riaprì di scatto, frugando ferocemente, buttando persino fuori il kit e le riviste.
No, no, no. Merda. Merda. Merda!
“Ehi… ma che fai?” Bobby lo guardò attonito. “Cosa diavolo cerchi?”
James alzò lo sguardo, furioso e incredulo. “È sparito il mantello di mio padre. Il mantello dell’invisibilità.”

 
****
 
La parola d’ordine era Pino Silvestre. Si raccontava che fosse sempre la stessa da secoli.
Al dubitava fosse vero.
Forse, semplicemente, cambia a rotazione.
Spinse con una mano la pesante porta di legno dei bagni del quinto piano, facendo cenno a Tom di seguirlo. L’altro non disse nulla, ma teneva la bacchetta così forte in pugno che dovette  prenderlo per un braccio per portarlo dentro.
È tanto volere un momento di quiete?
Il bagno era grande e spazioso. Da un lato c’era una serie di docce, pulite ed efficienti. Morbidi asciugamani erano impilati in nicchie di pietra e al loro ingresso si erano accese una ventina di torce che gettavano una luce forte ma piacevole. L’ambiente era interamente in pietra, ma vi aleggiava un piacevole tepore, sicuramente di fonte magica.
“Wow. Mi chiedo perché non ci siamo andati prima!” Commentò.
Tom fece un lieve sospiro. “Perché è al quinto piano, quindi piuttosto distante dai sotterranei… e, probabilmente, è molto spesso occupato.” Spiegò pratico.
“Ma ora non c’è nessuno!”
“Perché non deve esserci nessuno. È coprifuoco.” Tom intascò la bacchetta, dopo aver lanciato una lunga occhiata tutto attorno.

Era paranoico.
E dopo quello che gli aveva raccontato, Al non se la sentiva di criticarlo.
Soffocò uno starnuto dentro la mano. I vestiti gli si erano spiacevolmente appiccicati addosso e l’aria umida del castello non aveva neanche tentato di asciugarli.

Tom gli lanciò un’occhiata, disfacendosi del mantello che appoggiò ordinatamente in una nicchia. “Infilati subito sotto l’acqua calda.” Era un ordine, ma lo ascoltò solo per metà.
Si avvicinò invece alla vasca vuota, circondata da tanti rubinetti diversi. La conosceva, suo padre gliene aveva parlato.
“Hai visto?” Si voltò, con gioia infantile dipinta in viso, forse un po’ forzata, ma serviva alla causa. “Voglio usarla!”
Tom esitò, lanciando uno sguardo da lui alla vasca. “Fa’ pure.” La cosa, stranamente, sembrò metterlo a disagio, visto che si voltò per cominciare a spogliarsi.

L’elevato senso del pudore di Tom era leggendario, pensò Al con un sorriso, guardandolo spogliarsi: i primi tempi c’erano state battaglie feroci tra lui e Michel, sempre abituato a prendere in giro gli altri per il proprio aspetto fisico.
Certo, Tom ha anche un problema… Gli manca un pezzo.
Gli lanciò un’occhiata di sottecchi, combattendo distratto con i primi bottoni della sua camicia color glicine.
La schiena di Tom era bianca, del colore dell’avorio con cui erano intarsiate alcune colonne della loro Sala Comune. Non era particolarmente muscolosa, non come quella di Mike o di Jamie. Era liscia e le vertebre sporgevano leggermente, accentuate dal fatto che Tom fosse diventato davvero magro.
Al la trovava una schiena bellissima.
Deglutì, distogliendo a sua volta lo sguardo.
Non era forse quello il momento adatto per certi pensieri. Ma li stava facendo, e non poteva fermarli.
I baci non erano più un problema. Ma a letto spesso diventava tutto confuso, e si trovava eccitato quanto imbarazzato. Forse era la mancanza di esperienza di entrambi a fermarli, ma neppure Tom, che pure a volte si mostrava un discreto pervertito, riusciva a superare la barriera dei vestiti. Per toccarlo o per toccarsi.

C’è da dire che non abbiamo mai molto tempo per noi, dividendo la camera con altri due ragazzi.
C’è sempre il rischio che entri qualcuno … E non è che possiamo chiudere le tende e confidare nella discrezione di Lo e Mike…
Ora però…
Si sentì deglutire rumorosamente. Il suono fu orribilmente riverberato tra le colonne.
Fu certo che anche Tom lo sentì, anche se non si voltò a controllare.
Zampettò pateticamente a piedi nudi fino ai rubinetti, aprendoli frettolosamente.
Non aveva mai pensato al sesso, almeno finché non si era sentito attratto da Tom.
Certo, aveva sedici anni e questo significava che da almeno tre anni aveva imbarazzanti erezioni mattutine che l’avevano terrificato per mesi, prima che James impietosito, in una conversazione umiliante, si premurasse di spiegargli che era una ‘roba assolutamente normale, cretinetto’.
Ma la prima volta che aveva associato il desiderio ad una persona vera, era stato con Tom.
Era con Tom. In quel momento.
La vasca  intanto si era già riempita di una schiuma multicolore e profumatissima.
Tom a quel punto si voltò, storcendo il naso. “Quanti rubinetti hai aperto? Sembra di stare dentro ad una torta.”
Al ridacchiò, facendo spallucce. “Tutti?”
“Merlino…” Sospirò. “Io vado a farmi una doccia.”
“Fai il bagno con me.”
Lo disse di getto, desiderando morire un momento dopo. Ma sapeva che l’avrebbe potuto chiedere solo così.
Tom gli lanciò uno sguardo… si sarebbe detto assorto. Forse lo era sul serio.

O forse semplicemente stava decidendo se ridergli in faccia o meno.
“Non abbiamo più sei anni.” Disse, voltandosi completamente. Teneva casualmente la camicia premuta sullo stomaco, come se se la fosse dimenticata lì. Era un genio nel fingere noncuranza.
Al spostò il peso da un piede all’altro. Si sentiva le guance scottare, ma decise che non era un dettaglio rilevante. “Lo so.” Rispose. “Ma voglio comunque fare il bagno con te.”

Si voltò, perché altri dieci secondi a fissarsi non li avrebbe retti e si liberò dei pantaloni e dei boxer. Se avesse potuto si sarebbe gettato in acqua, ma onde evitare traumi cranici, si accontentò di scivolarci dentro.
La sensazione di benessere che gli provocò l’acqua bollente gli fece dimenticare per un attimo di avere lo sguardo di Tom fisso sulla nuca. Emise persino un suono soddisfatto.
(Un gemito, gli avrebbe fatto notare Tom dopo.)
A quel punto sentì dei passi dietro di sé e poi sentì il fruscio dei vestiti.
Dentro l’acqua, scoprì, si sentiva meno imbarazzato. Arrischiò un’altra occhiata, e fu rasserenato, imbarazzato ed intrigato – tutto assieme, notevole – dal constatare che anche Tom non era indifferente al contesto.
“C’è un odore disgustoso.” Si premurò comunque di fargli notare.
“A me piace.” Protestò, evitando di ridere al rossore che si diffuse sulle guance dell’altro. Tom e il calore non andavano troppo d’accordo: avendo la pelle sottile, quasi trasparente in certi punti, era normale  che i cambiamenti di temperatura  repentini lo facessero avvampare.

“Non dubitavo…” Considerò, lanciandogli un’occhiata. Più di un’occhiata. “Perché vuoi che faccia il bagno con te?” Gli chiese a bruciapelo.  
C’è una risposta? Ma gliela devo dire sul serio?
“Perché le docce sono scomode.” Mentì, avvicinandosi pericolosamente. E non solo. Non gli importò di sentirlo sussultare quando gli passò le braccia attorno al collo.
Non aveva la minima idea di cosa stesse facendo, naturalmente.
Ma in quel momento non aveva poi molta importanza.
“Albus…”
“È Al.” Lo corresse in automatico. “Possibile che neanche un bagno caldo riesca a rilassarti? Sei un pezzo di legno.”
“Perché pensi che lo sia?” Sibilò e fu certo che non fosse rosso per il caldo. “Quello che sta succedendo…”

“Lo so, Tom.” Sussurrò. “Sta’ zitto però.”

Era eccitato. Poche volte si era sentito così eccitato in vita sua, e quella era la più feroce di tutte.

Detestava il caldo. Non solo perché il suo fisico sembrava mal sopportarlo, ma perché lo rendeva… languido.
E nel momento attuale, con Al stupidamente ancorato addosso, con un ginocchio tra le sue gambe, lo rendeva paurosamente vicino a perdere il controllo.
Era come se la paura per ciò che stava accadendo cercasse di mantenerlo lucido, in un perenne senso d’allerta, mentre tutto il suo fisico pregava perché si lasciasse andare e spegnesse il cervello.  
Per riassumere, non riusciva a toccarlo anche se ogni singola cellula del corpo gli urlava di farlo.
Cercò di allontanarlo. Di far prevalere la ragione.
“Lo so.” Fu la risposta di Al. “Sta’ zitto però.”
Poi gli franò letteralmente addosso. Quando lo sentì venire a contatto contro di lui, completamente, qualcosa dentro di lui si sciolse.

Forse il suo controllo. Non che se lo chiese.  
Afferrò con due dita il mento di Al, chinandosi a baciarlo. Fu uno di quei baci, di quelli che li lasciavano senza fiato, mentre sentiva una scarica di adrenalina e eccitazione cancellare con un colpo di scopa l’angoscia.
Al gli puntellò le mani sulle spalle, salvo poi attirarlo di nuovo a sé quando scoprì che una certa frizione era ben più piacevole dell’acqua calda.
Appoggiò la fronte alla sua, con un sorriso stupito. Teneva gli occhi chiusi e aveva il viso rosso e lucido, come una mela.
Tom sentì l’impulso di leccarglielo.

Merlino benedetto…
E infatti, lo fece. Passò le labbra lungo la guancia umida di schiuma, lambendogli con la punta della lingua lo zigomo, per poi finire a baciargli la tempia. Lo sentì ridacchiare.
“Morgana…” Mormorò. Socchiuse gli occhi e nella penombra luminosa della vasca gli brillarono di un verde accecante. “Ancora?”
“Naturalmente.” La sua educazione pro-forma si manifestava soprattutto in momenti come quello. Al gli sogghignò irriverente, e capì che stava pensando la stessa cosa.
“Ti voglio…” Aggiunse però. “Ti voglio mio.”
“Non è grammaticalmente corretta come frase, Tom.”
“Al diavolo.” Ringhiò, facendolo ridere di nuovo. “Ridi di me?”
Al scosse la testa passandogli i palmi bagnati sulle guance, e sui capelli. Quell’odore dolciastro, di miele e spezie, cominciava a piacergli. Era in un certo senso stordente. “A volte, ma non adesso… Anche perché… cioè.” Per un attimo torno al consueto borbottio imbarazzato. “Anche io.”
“Vuoi?” Gli parlò con le labbra appoggiate alla gola.
“Nh.” Confermò. Gli lanciò un’occhiata. La schiuma, pensarono entrambi, aiutava: non che non si fossero mai visti nudi, certo…

Ma una cosa è avere sei anni, una cosa è avere un corpo pronto all’uso… - Pensò Al, sentendosi un deficiente.
Poi decise di dirlo, perché qualcuno, lì, doveva farlo.
“Non so da dove iniziare…” Confessò, in un piccolo sussurro nervoso. Stava comodo, con le braccia di Tom che lo tenevano stretto e le gambe allacciate alla sua vita. Gli si era seduto addosso, e anche se alla lunga la posizione sarebbe potuta essere scomoda, in quel momento era perfetta.
Tom fece un mezzo sorriso. “Pensi che per me sia diverso?”
“Penso che prima… stessimo andando bene, no?”
Tom, non rispose, tracciandogli una linea immaginaria attorno al petto. Probabilmente lo sentirono entrambi che il cuore tentava gioiosamente di sfondargli la cassa toracica. Poi gli prese la mano e se la portò addosso.
“Sì.” Sussurrò. “Senti…”
Il cuore di Tom correva impazzito quanto il suo.
Al sorrise, chinandosi a toccargli le labbra con le dita, poi con la bocca. Baciarlo.
Il mondo si fece improvvisamente silenzioso. Sul serio, ebbero la distinta percezione che tutto si fosse calmato. Persino la pioggia fuori aveva smesso di frustare i vetri del bovindo, in cui la sirena della vetrata giaceva addormentata.
E poi, a posteriori, entrambi lo ricordarono così. Caldo. L’acqua rimase tiepida, ma fu caldo.

Bollente, con gemiti – erano gemiti – e baci continui, quasi nessuno dei due sentisse il bisogno di respirare. O forse solo così potevano farlo.
Fuori il mondo, dentro loro.
 
****



Note:
Qui la canzone.

Fa da traccia a tutto il capitolo, quindi… beh, ascoltatela. ;-P

  
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