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Autore: Sundance    08/04/2010    3 recensioni
"Alcuni vogliono tentare la strada del solista. Altri invece non hanno più voglia di andare avanti e vogliono costruirsi una vita al di fuori della musica. Noi no. Noi eravamo una famiglia e la musica era il sangue che ci scorreva nelle vene, che ci rendeva fratelli molto più che essere partoriti dalla stessa madre. Mi chiedi il motivo, Airi... Il mio motivo aveva lunghi capelli corvini ed occhi scuri come la notte. Il mio motivo era Aoi. Che fosse il motivo anche della mia vita, però, l'ho capito solo quando l'ho perduto."
Raccolta dedicata a tutte le donne dei Gazette. Voi comprese.
Genere: Generale, Romantico, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: Raccolta, Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Sono arrabbiata, Kouyou.
Sono fortemente arrabbiata.
So che non è mio diritto dirtelo, ti prego, perdonami.
Ma non posso non scrivertelo, almeno. Non ci sono mai stati falsi complimenti o segreti tra noi due. Tanto riuscivi sempre a farteli confessare, anche quando cercavo di nasconderteli. Il tradimento di mio padre, il trasloco con mia madre in un'altra zona, persino la cotta che avevo per Akira anni fa. Sei sempre stato bravo ed abile a farmi aprire, spogliando il mio cuore con delicatezza, come fosse stato un fiore pronto a schiudersi al sole. E tu eri quella luce che con determinazione, eppure con estrema gentilezza, lo obbligava a sbocciare, rilevando la sua corolla profumata, mostrando il suo profumo ed il suo vero colore.
Per tutta la durata del liceo è stato così.
Non nascono mai grandi amicizie tra ragazzi e ragazze nel nostro Paese. Agli stranieri, ai gaijin che se ne interessano, noi spieghiamo che è per timidezza, più vostra che nostra. E' raro che i ragazzi provino interesse per le ragazze se non per attrazione o amore. E questo era un altro motivo per cui ti prendevano sempre in giro i nostri compagni, rammenti? Come per le tue labbra.
Non ho mai capito che cosa avessero di male per attirarsi tanti commenti negativi o bonarie, quando non maligne, prese in giro.
Le tue labbra sono perfette. Il tuo viso è perfetto.
Non per un maschio. Troppo, per un maschio.
Un ragazzo dai lineamenti delicati come quelli di una donna e dalle labbra piene, morbide, sempre umide.
La perfezione è qualcosa che costantemente si cerca eppure raramente si ama. Nel tuo caso, ad una grande fortuna doveva corrispondere un grande dispiacere. Tu fossi nato donna, quante cose in più avresti sofferto, magari a causa delle nostre compagne! Oh, l'invidia, la gelosia di sapere che solo scorgendoti da lontano il tuo sorriso avrebbe conquistato subito gli sguardi degli oggetti del loro interesse!
Sarebbe forse stato peggio, perché non avresti potuto difenderti.
Io lo so bene.
Pur nella mia banalità ho attirato sguardi feroci nel riflesso del sole, solo per il leggero alone azzurro delle mie ciocche ombrose.
Ma come ragazzo, ti toccava sopportare altro tipo di offesa.
Io però, quei commenti, li disprezzavo quanto coloro che li formulavano. L'istinto di alzarmi e gridar loro di smetterla mi avrebbe vinta prima o poi, se la paura non fosse stata anche più forte di lui.
Infatti avevo paura, ricordi, che un giorno potessi togliermi la parola ed il saluto perché non ne potevi più.
Non ascoltavi quelle parole, lo so, ma le sentivi ripetere quotidianamente, e non lo ammetteresti mai, ma ti davano un enorme fastidio. E così fremevo, seduta nel mio banco, attendendo il tuo arrivo, la tua entrata in classe, col timore che quella mattina non ti saresti rivolto a me col sorriso che mi placava ogni affanno, e che avresti deciso di ignorarmi, se non per dare retta a loro, almeno per il tuo benessere mentale.
In fondo, hai sempre fatto le cose per conto tuo.
Lo riconoscono tutti, compresi gli amici che tanto ringraziano il cielo di averti con loro nella band. Tu stesso lo annoveri tra i tuoi pregi ed i tuoi difetti: ''fare le cose per mio proprio conto''.
Non è sempre stata una qualità negativa. Ti ha permesso per anni di non dare peso alle maldicenze e agli sguardi insolenti.
E adesso?
Non sono state quelle battute vigliacche a farti cambiare. Perché ora è così diverso?
Sì, sono arrabbiata. Ma non è il termine adatto.
Sono delusa, sono mortificata, ecco.
Delusa, da te e da me stessa, perché avrei dovuto forse lottare di più per il posto che avevo nel tuo cuore e nella tua vita.
Mortificata, perché con la cadenza inesorabile propria di un martello che batta ad un ritmo preciso sull'incudine, il dubbio assillante mi spinge a chiedermi se quel posto l'ho mai potuto chiamare davvero mio, o se non era che una forma di status quo ormai accettata e lasciata lì.
Ma non ti rendo giustizia, Kouyou. I sentimenti che nutro adesso mi avvelenano la mente e non mi fanno parlare con lucidità.
La verità è che mi manchi, e sì, mi fa rabbia, mi delude, e mi ferisce profondamente il pensiero che evidentemente non manco a te nella stessa misura.
Non ci parliamo da mesi, Kouyou. Non un tuo messaggio, non una chiamata, non una visita fulminea per dimostrarmi che sono ancora parte di te, magari relegata in un cantuccio minuscolo, ma presente.
Non ti scrivo per biasimarti, anche se forse è stata questa l'intenzione con cui ho cominciato la mia lettera.
Ti scrivo per capire.
Solo pochi mesi fa eravamo assieme dallo hanaya vicino a casa tua, per comprare un bel mazzo di fiori da regalare a tua madre per il suo compleanno.
Eri così felice allora!
I tuoi occhi luccicavano risaltando il loro colore nocciola e le tue labbra, le tue bellissime labbra, si aprivano in un sorriso spontaneo e lieto.
Eri il ritratto della serenità mentre mi porgevi un ramo fiorito di ciliegio, constatando quanto il delicato bianco rosato dei fiori contrastasse col nero corvino dei miei capelli. Ho sorriso e chinato il capo, esultando tra me e me come al solito quando mi hai sistemato una ciocca ribelle dietro l'orecchio destro.
Sono abituata a quel gesto.
Ne dipendo, quasi, ma in verità dipendo da tutto ciò che ti circonda e che tu mi hai sempre donato senza farci caso.
Vedi, Kouyou, tu incurante del tuo potere mi elargivi carezze e complimenti, con estrema indifferenza e senza alcuna malizia, ed io, come un cucciolo bisognoso di cure e di attenzioni costanti, cercavo sempre conferma in quei gesti della tua benevolenza nei miei riguardi.
Mi accorgo che nel considerare la faccenda con occhi esterni, questo comportamento risulta assai più tipico di una innamorata che di una amica.
Ma sai, è stato probabilmente per il non aver mai sviluppato amicizie con l'altro sesso che il rapporto che avevo con te mi sembrava qualcosa da salvaguardare, difendere, e di cui ricercare sempre assicurazione e costanza.
E tu c'eri. Mi fornivi tranquillamente l'una e l'altra.
Si può dire che la mia... non posso chiamarla ossessione, non ho mai nutrito né cercato un legame morboso con te. Dipendenza, magari. Si può dire che la mia dipendenza nei tuoi confronti assomigli alquanto a quella di Komatsu Nana nei confronti di Osaki Nana. Solo che tu, devo apprenderlo con sincero dolore, non hai mai ricambiato con la dedizione che la Osaki mostra alla sua Hachiko. Non nello stesso modo.
Oppure io non ti starei scrivendo queste parole.
Kouyou, che cosa ti ho fatto, o che cosa non ho fatto per tenerti vicino invece di farti allontanare?
Mi odierai per ciò che sto scrivendo, lo so bene, ma non posso impedirmi di pensare che più dei tuoi impegni, più della tua tendenza a lasciar scivolare via le cose che non puoi trattenere perché al momento ne hai altre per la testa, siano i tuoi nuovi amici a tenermi lontana da te.
Non Akira, non Takanori, e non penso neppure che Yuu e Yutaka ti abbiano mai imposto di mettermi da parte. Non mi conoscono, non li conosco io. Akira e Takanori c'erano ben prima che diventaste quello che siete, e c'ero anche io; eppure non era cambiato nulla.
Ma sono portata a credere che l'interesse che nutri adesso per loro e per ciò che state creando sia più forte di quello che hai mai provato per me.
Ne sono convinta perché non siete più agli inizi. Sono trascorsi ormai due anni. State confermando il vostro successo. Siete riconosciuti ovunque andiate.
E' questo che mi fa male. Lo avrei accettato, come ho fatto, quando eravate ancora ai primi passi della vostra carriera.
Avrei accettato, al liceo, di vederti entrare in classe e volgere intenzionalmente altrove lo sguardo, iniziare a trascurarmi, mancare di scambiare un'occhiata o un sorriso con me, che non aspettavo altro.
All'epoca, per quello che già stavi passando anche a causa mia - mi sento tuttora in colpa - lo avrei capito.
Non ora.
Ora che non ha senso.
Ti ho mai detto quanto fossi perdutamente innamorata della felicità che mi davi quando, nonostante gli impegni e le prove, la ricerca continua di una compagnia che vi notasse e la sfiducia che cominciavate a nutrire, trovavi comunque il modo di incontrarmi, anche solo per poco, cercando in me il sostegno ed il coraggio che ti servivano per non dire ''mi arrendo''?
Ne ero innamorata davvero, sai. Non scelgo a caso le parole. Non l'ho mai fatto.
Oppure ti avrei detto molte, molte più cose rispetto a quelle che ti ho risparmiato in tanto tempo.

Cinque mesi.
Il silenzio è un'ombra che si allunga con estrema lentezza e finisce per avvolgerti senza essere notata, finché non ti accorgi che ogni suono cui tenevi è scomparso.

Yagate subete ga sugi saru ato mo
Anche se tutto alla fine svanisce
Anata dake wo omou
Io ti penso ancora


"Questi sono splendidi, okāsan ne sarà felice."
Misaki alzò lo sguardo sui bellissimi petali delicati e fragranti davanti a sé. Erano di un colore tiepido e gentile, sembrava rispecchiassero l'anima della madre di Kouyou. Annuì con un sorriso timido:
"Sì, penso che le piaceranno."
"Sicura?" domandò l'amico con uno sguardo obliquo, abbastanza intenso da mandarla in confusione. Kouyou adorava comportarsi così con Misaki. Non seguiva l'istinto maligno dei ragazzi comuni di prevalere, e sapeva molto bene che non stava facendole alcun male, tuttavia non poteva impedirsi di continuare a testare l'ascendente che aveva su di lei. Sapeva che Misaki non era debole, per quanto arrendevole fosse con lui. Forse gli piaceva la strana sensazione di sentirla dipendere da sé. Forse invece stava insegnandole a venire alla luce.
"Sì... tu no?" mormorò lei in risposta, posando lo sguardo sui fiori, incapace di sostenere quello dell'amico.

Mi rendevo conto di sembrare un'ombra invece di una persona. Annuivo quando annuivi e dubitavo anch'io quando non eri sicuro tu. Non potevo impedirmi di sentirmi persa nella tua volontà, tanto più forte e grande della mia. In realtà, era una sensazione che mi piaceva.

"Non chiederlo a me, voglio sapere cosa ne pensi tu."
Non avrebbe potuto trovare ordine peggiore da darle, si disse vedendola arrossire. Sorrise, posando le mani sulle spalle della ragazza e parlandole con la consueta gentilezza, quel tono particolare che solo lei riusciva a tirargli fuori quando erano insieme. Spesso si chiedeva perché fosse l'unica capace di ispirarglielo. Ma la vedeva così piccola, così sperduta, come il gattino che aveva trovato all'angolo della via anni prima ed aveva adottato, che non poteva non sentirsi in dovere di proteggerla. Anche da se stesso.
"Misaki, avanti, non avere paura, sai che tengo al tuo giudizio. Dimmi cosa pensi davvero."

Sapevi come prendermi, senza dubbio. Più della tua dolcezza, più del tuo spronarmi, erano le parole con cui mi facevi capire di esserti d'aiuto che mi davano coraggio.

Misaki alzò gli occhi scuri e caldi sul suo viso e sorrise appena, quasi a chiedere indulgenza.
"Penso... sì, penso che le piacerebbero molto. Le assomigliano."
"I fiori? A mia madre?" sorrise divertito Kouyou lasciandola andare e contemplando i rami in boccio.
"Sì" riprese con più decisione l'amica, "sono di aspetto gentile ed hanno un profumo piacevole ma non forte. Gli altri fiori sono troppo esuberanti e rischiano di apparire volgari. Questi no. Ecco perché penso... no, sono certa che le piacerebbero molto." Kouyou riportò lo sguardo su Misaki e soppesò quel che aveva appena detto con aria pensierosa, guardandola.

La mia vera preoccupazione era che i miei reali pensieri non fossero abbastanza per te, e che li giudicassi sciocchi. Per questo evitavo il più possibile di esporli.

Le sue labbra piene si aprirono in un sorriso colpito e soddisfatto.
"Molto bene, Misaki. Credo tu abbia ragione. Questi sono perfetti."
Si voltò per confermare la sua scelta e lo hanaya-san si affrettò solerte a preparare un delizioso bouquet. Kouyou si voltò nuovamente verso Misaki, sorridendo per l'espressione sorpresa che danzava nei suoi occhi, e le sorrise con spontanea dolcezza:
"Mille grazie dell'aiuto, Misaki."


Hakanai haru no katami ni wa ichiban kirei na watashi wo
Questo ricordo di primavera è la cosa più bella che ho
Anata dake ni, anata dake ni todometai to omou
Solo per te, solo per te voglio lasciarlo qui


Non so dove tu sia, Kouyou, in questo inverno gelido, mentre la neve colora di bianco la città rendendola innocente e nivea, ed io conservo questo ricordo di primavera per riscaldarmi nella brezza tagliente e nell'ancor più freddo vuoto che hai lasciato.

"... non posso, domani pomeriggio dobbiamo andare a firmare un contratto."
"Ma... è domani pomeriggio, domattina puoi dormire se stasera facciamo tardi... oppure puoi, non so, soltanto passare un quarto d'ora, così torni a casa presto..."
"Sì, ma lo sai che sono un dormiglione, Misaki."
Ridacchiò, un suono breve, a disagio, in contrasto col silenzio di lei.
"Non arrabbiarti, per favore. Ti vedrò dopodomani, va bene? Vengo da te nel pomeriggio, così festeggiamo per conto nostro."
"Sì."
"Misaki."

Eccolo, il tono che odiava, quello utilizzato per chiederle scusa, quello usato solo con lei per un solo, crudele motivo. Di lei poteva privarsi.

"Misaki, ti prego. Sai che di sera c'è un traffico tremendo. Se anche passassi per poco, ci metterei un sacco per tornare a casa comunque."
"... Hai ragione."
Si era arresa.
E le tante parole che le vibravano tremanti sulle labbra caddero nel vuoto senza essere pronunciate.
"E' vero, hai ragione, rischi di fare più tardi di quel che faresti passando l'intera serata fuori."
Sorrideva allo specchio, come se l'avesse avuto davanti agli occhi e dovesse convincerlo con il viso, l'espressione, l'intero suo corpo di quel che diceva.
"Ti aspetto per dopodomani allora, non preoccuparti. Fai una bella dormita e riposati, domani è un giorno importante!" trillò, con un'allegria tanto poco provata da sembrare reale nella sua falsità.
"Certamente. Ti ringrazio di aver capito, Misaki."
Annuì, mordendosi le labbra e conservando il viso sereno, pur abbassando gli occhi per non incontrare il loro riflesso umido nel vetro dello specchio col quale intratteneva la sua recita.
"Passa una buona serata, va bene? Buon compleanno."
"Grazie, Kouyou."
Click.
Attese il suono della comunicazione interrotta per riprendere fiato e si impose di non guardare il riflesso delle calde gocce che sentiva rigarle le guance.
Ha i suoi impegni.
E' il tuo compleanno.
Sì, ma ha i suoi impegni, sono importanti.
Non se lo ricordava neppure quando lo hai chiamato.
Ha altre cose per la testa, adesso. E' molto occupato.
Un'ora in meno di sonno, non chiedevi molto.
Dèi del cielo, è solo il mio compleanno, non importa!
...
A chi, a te o a lui?

Non aveva fermato la sua mente mentre componeva quella domanda glaciale. Alzò lo sguardo ed incontrò il suo viso pallido e umido nello specchio, e si vide così come non poteva evitare di vedersi, indipendentemente da quanti specchi avrebbe evitato o da quante volte avrebbe abbassato lo sguardo per non scorgere la verità.

Ero io a piangere in quel riflesso. Non era a me che non importava quale giorno fosse o se la sua mancanza lo avrebbe reso meno lieto.

A lui.

Non venisti il giorno dopo né quello successivo, nonostante ti aspettassi, come sempre, come Hachiko alla stazione Shibuya, in attesa di un padrone che non avrebbe mai fatto ritorno a casa.
Da quel giorno sono trascorsi giorni e poi mesi. Mi si ruppe il cellulare tempo fa e l'ho dovuto cambiare, in preda all'ansia perché temevo che non mi avresti trovata chiamandomi, e non sapevo come avvisarti, se non telefonare a casa tua. Tua madre però mi disse che non saresti stato a casa per diverso tempo, e che probabilmente avrei fatto meglio a chiamarti al tuo ritorno. Mi sembrò di cogliere un tono mesto nella sua voce nel dirmi che le dispiaceva.
Forse non stava riferendosi alla tua assenza soltanto.
Sì, quei fiori fini e delicati erano perfetti davvero per un animo così mite e gentile.


Sono arrabbiata, Kouyou.
Per la tua mancanza, per la tua assenza, per il tuo dimenticarti di me, per il mio non scordarmi di te.
E' un continuo alternarsi di colpe tra te e me.
Solo io lo so, però. Dubito che tu possa pensarci.
Dubito persino che ti interessi.
Non un cenno di vita da parte tua, non un barlume di interesse per la mia.
Non amo esagerare, ma penso... si, penso che probabilmente potrei essere morta e tu non lo sapresti.
Lo scopriresti, forse, e allora ti chiederesti come mai non l'hai saputo prima.
Ti incolperesti, perché sentiresti di aver sbagliato, perché tu non sei cattivo, Kouyou, davvero: il tuo egoismo non è malvagio, ma cade su chi ti circonda e lo avvelena senza che tu te ne accorga. Dovresti aprire gli occhi in tempo, dovresti almeno imparare a volerlo.
In questo sbagli.
Quindi proveresti un forte dolore nel sentirti colpevole di qualcosa che neppure tu sapresti delineare con precisione. Sapresti solo che qualcosa ti pungola facendoti vergognare nell'accorgerti che per mesi non hai avuto un contatto con me.
Ti stupiresti nell'aver lasciato passare così tanto tempo. Perché io lo so, che non lo hai fatto volontariamente.
Ti sei detto ''non oggi, magari domani'', per interi domani, finché non sono diventati una grande raccolta di ieri ed il tempo è volato.
E probabilmente torneresti con il pensiero a quel giorno di primavera, mentre il sole illuminava i tuoi occhi nocciola d'oro ed i miei capelli corvini di azzurro, e chissà se riusciresti ad ascoltare la mia voce che per una volta si tinge di determinata decisione nell'affermare un pensiero sui fiori da te scelti come regalo.
“Misaki”, diresti, bellezza che sboccia, “finalmente sbocciata abbastanza da dire ciò che prova”.
Credo di averlo fatto in questa lettera.
Non potrei aggiungere niente di più, non potrei aprire la mia corolla più di così.
Vorrei avere il coraggio di lasciartela e sapere che l'hai letta, invece di farla bruciare tra le fiamme del camino una volta conclusa.
Ma Kouyou, senza di te, non ho le parole che mi servirebbero a sbocciare di nuovo. Mi hai privato della forza dello stelo.
Perdonami.

Aa kono koe ga kikoe masu ka?
Ah, riesci a sentire la mia voce?
Anata wo omou koe ga.
Quella voce che pensa solo a te.



















Note: avevo detto a Mya che come prima shot non volevo qualcosa di deprimente, ma temo di aver totalmente mancato il bersaglio.
Beh, il fatto è che Uruha qui è il mio migliore amico. E non avrò mai la stessa arrendevolezza di carattere di Misaki, ma confesso che neanche io so più che fare. Ecco perché l’ho lasciata aperta.
Mi sarebbe piaciuto infilarci il suono di un campanello, una volta che i bordi della lettera fossero stati consumati dal fuoco, ma io finora il campanello non l’ho sentito – nemmeno il cellulare, se è per quello, nemmeno il telefono – , e suonerebbe falso a me per prima scriverne.
Ciò a parte, non vi tedio, veniamo alle note linguistiche.

MISAKI ( 美 咲 )
美 MI significa "bellezza" mentre 咲 SAKI significa "fiorire", "sbocciare"; il significato di questo nome è quindi "Bellezza che sboccia", ammesso e non concesso che non abbia tirato chissà che castroneria XD

Hanaya: negozio di fiori

Hanaya-san: fiorista (letteralmente, ci si arriva: il signore del negozio di fiori, ergo il fiorista! Furbacci questi nipponici.)

Gaijin : stranieri (non giapponesi)

“Doing things at my own pace” è il motto di Uruha in ogni singola intervista in stile “Pregio/Difetto maggiori”. Che vi devo dire. So che vuol dire essenzialmente ‘’a modo mio’’, ma per come viene ritenuta questa cosa in Giappone (e per come ne smaligna Reita XD) credo sia possibile vederla anche come un ‘per mio proprio conto’.

La canzone - splendida - è di Hajime Chitose; si chiama, per l'appunto, Haru no katami e significa "ricordo di primavera". Non c'entrava niente quando ho scritto questa shot ieri sera, (si, è frutto die due orette, penso si veda da quanto fa pena), ma stamattina mi son svegliata con quella canzone in testa e ho pensato "inseriamola!". Oltretutto ci sta anche bene con la questione del regalo della mamma di Uruha. Sono un genio e non lo sapevo u.u

A proposito, la questione dell’amicizia tra maschi e femmine me la confermano tutti i miei amici giapponesi, sia maschi che femmine. Che però, cosa strana, con gli stranieri del sesso opposto vanno d’accordo. Evidentemente noi gaijin risultiamo così stravaganti che per forza dvono spezzare qualche regola se vogliono avere a che fare con la nostra esuberanza ^w^
Fine, davvero.
Ja ne!
  
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