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giustizia, hai incontrato me
Shame
- Vergognati-
La voce si insinuò piano,
quasi cautamente, nei miei sogni.
Mossi lentamente la testa,
sbattendola così involontariamente contro qualcosa. Sentii un mugolio uscirmi
dalle lebbra ed ebbi l’impulso di allungare la mano verso il punto
dolente, ma non ce la feci.
Non ne avevo la forza: mi
sentivo completamente intorpidito, come se tutti i muscoli avessero deciso di
scioperare all’unanimità.
Ammutinamento, pensai.
Socchiusi pigramente le
palpebre, arrischiandomi a sbirciare il mondo esterno.
Non fui poi tanto sorpreso
di trovare nella mia visuale solo una serie apparentemente infinita di
fascicoli: uno scenario che conoscevo bene.
Era all’incirca
l’ennesima volta che mi svegliavo con quello spettacolo semplicemente
mozzafiato!
Nemmeno il rendermi conto
che la voce sarcastica e biasimevole che sentivo stava esponendo i miei esatti
pensieri, mi stupì poi tanto. Anche quello era diventato di routine ormai.
Cercai di muovermi ancora,
ma al più piccolo movimento sentivo tutto il collo irrigidirsi e la schiena
urlare dal dolore.
L’età che si fa
sentire, temetti.
Doveva essere quello: stavo
diventando esageratamente vecchio.
Quanto mi mancava a
raggiungere i quaranta? Otto anni, una bazzecola.
Di lì a poco mi sarei
ritrovato in una tomba.
Non mi passò neanche
lontanamente per la testa che forse non erano già sintomi dei reumatismi i
miei, ma semplicemente le conseguenze di troppe poche ore di sonno in una
posizione decisamente ed assolutamente troppo scomoda.
Fortunatamente ci pensò
sempre la stessa voce a farmelo notare.
Aveva preso quasi ad urlare
a quel punto, martellandomi nella testa.
E che cavolo!
Un po’ di rispetto non
è dovuto?
Una volta, quando si andava
a svegliare un amico quasi in coma per via di un pauroso mix di alcool e fumo,
lo si trattava con un certo riguardo!
- Tu! Ma ti rendi conto di
come ti stai riducendo? Te ne rendi minimamente conto?!-
L’ultima parte
l’aveva scandita per bene, quasi sillabandola, per accertarsi che lo
stessi ascoltando.
In risposta, non so come,
trovai la forza di tirarmi su e mettermi a sedere correttamente.
Lanciai un’occhiata in
giro e mi ritrovai a guardare sconsolato il mio ufficio: non mi ero sbagliato, i
fascicoli erano i miei e quindi logica deduzione, avevo dormito ancora una
volta sulla scrivania.
Abbattuto più che mai mossi
una mano verso la bottiglia di scotch quasi vuota alla mia destra: un bel
bicchierino appena sveglio ci voleva proprio. Non riuscii nell’intento,
però: una mano più scattante della mia l’afferrò allontanandola
rapidamente.
Alzai lo sguardo, fissando
con occhi truci il giovane davanti a me: lui ricambiò tranquillo lo sguardo,
con aria cattiva ed accigliata.
Non aveva intenzione di
cedere.
Con un sospiro mi lasciai
andare contro lo schienale della sedia, accasciandomi e piegando la testa
all’indietro. Un’agile movimento del capo mi fece scendere sugli
occhi gli occhiali scuri che prima tenevo a mo’ di frontino, la mano sinistra
nel frattempo, l’avevo furtivamente introdotta nella tasca posteriore dei
jeans, tirandone fuori un pacchetto di sigarette.
Ancora una volta fui
stroncato nell’atto.
Sentii che il pacchetto mi
veniva tolto di mano e un ringhio sordo mi salì in gola.
Ora stavamo esagerando.
Decisamente.
Tornai a cercare con gli
occhi Jasper, ma lui non mi guardava: camminava per la stanza a passo svelto,
girando attorno al divano, strusciando i piedi sul tappeto damascato, ignorando
il sole che placido sorgeva fuori dall’immensa vetrata che occupava
un’intera parete.
Non osservava niente in
particolare: lasciava solamente vagare lo sguardo, fino a quando non lo fermò
sulla mia scrivania. La studiò piano ed attentamente, scrutandone ogni
dettaglio.
A partire dal disordine
generale di faldoni, fascicoli, carte e penne, per poi concentrarsi sulle
piccole cose come mozziconi di sigaretta, gocce di alcool rappreso, pacchetti
vuoti di preservativi.
Non ne andavo fiero: ero
sempre stato disordinato e me ne ero sempre fregato altamente.
Qualcosa però nel suo
sguardo riuscì a mettermi a disagio.
Smisi di guardarlo: lo
odiavo in quel momento.
Odiavo la mia coscienza.
Odiavo il mio grillo
parlante.
Odiavo il mio migliore
amico.
Avrei mandato a puttane il
mondo intero in quel momento.
- Non mi piace-
Restai immobile, attendendo
che continuasse senza guardarlo: il suo sguardo accusatorio non mi avrebbe
cambiato niente. Ero già sofferente di per me, bastava così.
Dolorante per i muscoli,
agonizzante per la sbronza.
Altro non mi serviva.
- Ti sei visto ultimamente?
Da quant’è che non torni a casa tua? Da quant’è che dormi in questo
stramaledetto ufficio?! Cazzo, Ed! Non puoi continuare così! Che c’è che
non va? Che ti manca?!-
Pensai che erano tutte
domande giuste.
Domande a cui non sapevo
dare una risposta.
L’infallibile avvocato
a corto di parole, scoop del secolo, signori e signore!
Accorrete numerosi a
deridere lo sfigato dell’anno!
Scossi piano la testa,
colpito ed abbattuto dalle mie stesse riflessioni.
Stavo perdendo la testa.
Sentii Jasper sedersi
pesantemente su una sedia di fronte alla mia scrivania e prendere un gran
respiro. Lo imitai, quasi incoscientemente, solo per fare qualcosa. E lui rise.
La tensione nella stanza
sparì all’istante. Come se non ci fosse mai stata.
Sembrava quasi che lui non
si fosse mai arrabbiato, che io non fossi mai crollato.
Jazz aveva
quell’incredibile abilità: riusciva in qualche modo a condizionare gli
altri. Imponeva ciò che più gli andava, poteva far credere e provare qualunque
cosa.
Ma in fondo, era un
venditore nato. Uno speculatore da paura.
Se non fosse stato tale, non
sarebbe stato mio amico: chi è tanto stupido da diventare amico di un avvocato
se non uno altrettanto stupido?
In questo caso però non si
poteva parlare di stupidaggine, tutto fuorché quella.
- Non starai vivendo una
precoce crisi di mezza età, Ed?-
Lo aveva chiesto con fare
scherzoso, passandosi le mani sulla faccia e poggiando le gambe sulla
scrivania, incurante delle cose che aveva così gettato in terra.
Per qualche motivo risi.
Una risata relativamente
falsa: tutto era relativo in quella risposta non data.
La situazione si era
alleggerita e il fatto che avesse smesso di gridare e fulminarmi con lo sguardo
aiutava la mia emicrania; era anche vero però che pure quella domanda, seppur
celata volutamente da un tono amichevole, era importante.
E io ancora una volta
nell’arco di minuti non sapevo come rispondere.
Mi passai una mano sul viso,
imitandolo ancora, per scacciare i cattivi pensieri. Mi tolsi gli occhiali,
buttandoli via, lontani, sul pavimento. Quindi presi ad accarezzarmi i capelli,
scompigliandoli e arruffandoli più di quanto già non lo fossero.
- Non lo so, Jazz. Non lo so
che cazzo mi prende. So solo che non trovo più niente di interessante da fare.
Non ho più nessuno sfizio. Non provo più nessuna emozione-
Avevo lentamente ingranato
la marcia, partendo con una voce roca e sconnessa, per poi ritrovare il mio
solito tono: calmo, appagante, ipnotico. Quello che mi faceva vincere i
processi.
Sull’ultima frase ebbi
un cedimento però.
Me ne accorsi io tanto
quanto Jazz.
E conoscevamo il motivo.
Un buon avvocato certo, deve
estraniarsi, imparare a vivere al di fuori.
C’era una moderazione
per tutto, comunque.
E io avevo superato tutti i
limiti.
Non provavo nulla. Niente.
E non andava bene, perché di
solito questo non portava mai a nulla di buono.
Era già successo, ma a
nessuno di quelli si poteva chiedere come ne fossero usciti: dei pochi di cui
ancora si sapeva qualcosa o erano morti o rinchiusi in qualche manicomio.
Ipotesi di un futuro ben
poco allettante.
Incontrai lo sguardo di
Jasper e vi lessi un lampo di preoccupazione: che stessimo pensando alle stesse
fottutissime cose?
- Non voglio perderti, Ed-
Lo aveva sussurrato, in quella
che doveva essere una presa in giro ma che poi si era rivelata per ciò che era:
seria inquietudine mista ad ansia ed apprensione.
Scossi la testa, ignorando
le fitte che mi trapassarono le tempie per quel gesto avventato.
- Non dire stronzate, Jazz.
Ne ho passate di peggiori-
Annuì cercando di
convincersene, non sembrò farcela però e dopo aver fissato il pavimento per
diversi minuti in silenzio, tornò a guardarmi, sorridendo appena.
- Ti va un caffè?-
Chiusi un istante gli occhi,
per poi annuire subito. Come avrei fatto senza di lui?
Lo guardai ancora,
scorrendone la figura alta e allampanata: era magro ed al tempo stesso
atletico. Dava l’idea di poter far male, e molto, se solo avesse voluto.
Due occhi neri come
l’ebano in un viso bianco e scavato, contornato da lunghi capelli lisci e
neri che portava sempre legati in una coda di cavallo.
Vestiva in modo semplice,
seppur ricercato: pantaloni neri e camicia bianca, giubbino nero.
Qualcuno lo avrebbe potuto
scambiare per un vampiro.
- Ti aspetto giù: datti una
sistemata che sennò mi rifiuto di farmi vedere in giro con te-
Stava per aggiungere
qualcosa, una battuta sarcastica sul mio aspetto immagino, ma si trattenne
mordendosi le labbra e uscendo silenziosamente dallo studio.
Io mi alzai, con qualche difficoltà,
barcollando leggermente e avvicinandomi al bagno con passo incerto. Ci arrivai
sano e salvo per miracolo e aprii l’acqua del lavandino.
Ci misi direttamente la
testa sotto, godendo del getto di acqua gelata che piano mi inzuppava i
capelli, scendendo lungo le guance e poi per il collo. Mi ci voleva proprio.
Tornai quindi in piedi,
lisciandomi con gesto scocciato i jeans blu scuri e cercando inutilmente di
togliere qualche piega dalla camicia celeste completamente sgualcita. Con
l’acqua modellai i capelli, tirandoli all’indietro in un ciuffo
scomposto. Arrotolai quindi le maniche fino al gomito.
Sentivo caldo e a ben dire,
pensai. Luglio era alle porte, che mi aspettavo?
Studiai per qualche attimo
il mio viso tirato, quei tratti che non riconoscevo più come miei: ruvidi,
duri, concentrati… da uomo vero, si sarebbe potuto dire. Io non ero così
però.
La leggera barbetta sulle
mascelle contratte non era la mia.
Le sopracciglia
costantemente corrugate non erano le mie.
Quant’era che non
ridevo?
Quant’era che non
sorridevo?!
Mi ritrovai solo
nell’oro delle iridi.
Quello non era cambiato.
Con uno sbuffo scocciato
uscii dal bagno ed afferrai la giacca che non avrei usato.
Uscii dallo studio sbattendo
sonoramente la porta ed atteggiai le labbra in un ghigno: almeno in
quell’ultima cosa non avevo imitato Jazz.
C’era una minuscola,
recondita possibilità che non fossi completamente impazzito.
*
Ed ecco già il nuovo aggiornamento =)
Spero non vi faccia scappare tutti a gambe levate:
lo so che è noioso, ma dovete pur ammettere che di solito i primi lo sono
sempre ^^ La storia deve ancora iniziare =P
Ci tenevo già a ringraziarvi tutte comunque,
ed in particolare quegli angeli che hanno recensito: ma come fate ad essere
così brave?! Con poche parole riuscite a farmi scoppiare il cuore! ** Graaazie!!
Per concludere, volevo dirvi che i prossimi
aggiornamenti non credo saranno altrettanto veloci: mi sono comportata da pazza
e masochista iniziando anche questa nuova storia, avendone già molte altre da
continuare O_o
Spero di non farvi attendere troppo tuttavia
(se qualcuno attenderà è chiaro xD)