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Autore: miseichan    12/04/2010    8 recensioni
Uno stronzo. Un avvocato cinico e spregiudicato. Un avvocato che non crede nella giustizia. Sempre lo stesso avvocato che odia il suo lavoro, la sua vita, il fatto che a trentatrè anni suonati è ancora single e vive come se ne avesse diciassette. Un avvocato a cui non brillano più gli occhi dorati. Chissà se un paio di occhi da cerbiatto umidi di lacrime non possano compiere un miracolo, riportandolo in qualche modo a vivere davvero.
Genere: Commedia, Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Coppie: Bella/Edward
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun libro/film
Capitoli:
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Cercavi giustizia, hai incontrato me

 

Shame

 

- Vergognati-

La voce si insinuò piano, quasi cautamente, nei miei sogni.

Mossi lentamente la testa, sbattendola così involontariamente contro qualcosa. Sentii un mugolio uscirmi dalle lebbra ed ebbi l’impulso di allungare la mano verso il punto dolente, ma non ce la feci.

Non ne avevo la forza: mi sentivo completamente intorpidito, come se tutti i muscoli avessero deciso di scioperare all’unanimità.

Ammutinamento, pensai.

Socchiusi pigramente le palpebre, arrischiandomi a sbirciare il mondo esterno.

Non fui poi tanto sorpreso di trovare nella mia visuale solo una serie apparentemente infinita di fascicoli: uno scenario che conoscevo bene.

Era all’incirca l’ennesima volta che mi svegliavo con quello spettacolo semplicemente mozzafiato!

Nemmeno il rendermi conto che la voce sarcastica e biasimevole che sentivo stava esponendo i miei esatti pensieri, mi stupì poi tanto. Anche quello era diventato di routine ormai.

Cercai di muovermi ancora, ma al più piccolo movimento sentivo tutto il collo irrigidirsi e la schiena urlare dal dolore.

L’età che si fa sentire, temetti.

Doveva essere quello: stavo diventando esageratamente vecchio.

Quanto mi mancava a raggiungere i quaranta? Otto anni, una bazzecola.

Di lì a poco mi sarei ritrovato in una tomba.

Non mi passò neanche lontanamente per la testa che forse non erano già sintomi dei reumatismi i miei, ma semplicemente le conseguenze di troppe poche ore di sonno in una posizione decisamente ed assolutamente troppo scomoda.

Fortunatamente ci pensò sempre la stessa voce a farmelo notare.

Aveva preso quasi ad urlare a quel punto, martellandomi nella testa.

E che cavolo!

Un po’ di rispetto non è dovuto?

Una volta, quando si andava a svegliare un amico quasi in coma per via di un pauroso mix di alcool e fumo, lo si trattava con un certo riguardo!

- Tu! Ma ti rendi conto di come ti stai riducendo? Te ne rendi minimamente conto?!-

L’ultima parte l’aveva scandita per bene, quasi sillabandola, per accertarsi che lo stessi ascoltando.

In risposta, non so come, trovai la forza di tirarmi su e mettermi a sedere correttamente.

Lanciai un’occhiata in giro e mi ritrovai a guardare sconsolato il mio ufficio: non mi ero sbagliato, i fascicoli erano i miei e quindi logica deduzione, avevo dormito ancora una volta sulla scrivania.

Abbattuto più che mai mossi una mano verso la  bottiglia di scotch quasi vuota alla mia destra: un bel bicchierino appena sveglio ci voleva proprio. Non riuscii nell’intento, però: una mano più scattante della mia l’afferrò allontanandola rapidamente.

Alzai lo sguardo, fissando con occhi truci il giovane davanti a me: lui ricambiò tranquillo lo sguardo, con aria cattiva ed accigliata.

Non aveva intenzione di cedere.

Con un sospiro mi lasciai andare contro lo schienale della sedia, accasciandomi e piegando la testa all’indietro. Un’agile movimento del capo mi fece scendere sugli occhi gli occhiali scuri che prima tenevo a mo’ di frontino, la mano sinistra nel frattempo, l’avevo furtivamente introdotta nella tasca posteriore dei jeans, tirandone fuori un pacchetto di sigarette.

Ancora una volta fui stroncato nell’atto.

Sentii che il pacchetto mi veniva tolto di mano e un ringhio sordo mi salì in gola.

Ora stavamo esagerando. Decisamente.

Tornai a cercare con gli occhi Jasper, ma lui non mi guardava: camminava per la stanza a passo svelto, girando attorno al divano, strusciando i piedi sul tappeto damascato, ignorando il sole che placido sorgeva fuori dall’immensa vetrata che occupava un’intera parete.

Non osservava niente in particolare: lasciava solamente vagare lo sguardo, fino a quando non lo fermò sulla mia scrivania. La studiò piano ed attentamente, scrutandone ogni dettaglio.

A partire dal disordine generale di faldoni, fascicoli, carte e penne, per poi concentrarsi sulle piccole cose come mozziconi di sigaretta, gocce di alcool rappreso, pacchetti vuoti di preservativi.

Non ne andavo fiero: ero sempre stato disordinato e me ne ero sempre fregato altamente.

Qualcosa però nel suo sguardo riuscì a mettermi a disagio.

Smisi di guardarlo: lo odiavo in quel momento.

Odiavo la mia coscienza.

Odiavo il mio grillo parlante.

Odiavo il mio migliore amico.

Avrei mandato a puttane il mondo intero in quel momento.

- Non mi piace-

Restai immobile, attendendo che continuasse senza guardarlo: il suo sguardo accusatorio non mi avrebbe cambiato niente. Ero già sofferente di per me, bastava così.

Dolorante per i muscoli, agonizzante per la sbronza.

Altro non mi serviva.

- Ti sei visto ultimamente? Da quant’è che non torni a casa tua? Da quant’è che dormi in questo stramaledetto ufficio?! Cazzo, Ed! Non puoi continuare così! Che c’è che non va? Che ti manca?!-

Pensai che erano tutte domande giuste.

Domande a cui non sapevo dare una risposta.

L’infallibile avvocato a corto di parole, scoop del secolo, signori e signore!

Accorrete numerosi a deridere lo sfigato dell’anno!

Scossi piano la testa, colpito ed abbattuto dalle mie stesse riflessioni.

Stavo perdendo la testa.

Sentii Jasper sedersi pesantemente su una sedia di fronte alla mia scrivania e prendere un gran respiro. Lo imitai, quasi incoscientemente, solo per fare qualcosa. E lui rise.

La tensione nella stanza sparì all’istante. Come se non ci fosse mai stata.

Sembrava quasi che lui non si fosse mai arrabbiato, che io non fossi mai crollato.

Jazz aveva quell’incredibile abilità: riusciva in qualche modo a condizionare gli altri. Imponeva ciò che più gli andava, poteva far credere e provare qualunque cosa.

Ma in fondo, era un venditore nato. Uno speculatore da paura.

Se non fosse stato tale, non sarebbe stato mio amico: chi è tanto stupido da diventare amico di un avvocato se non uno altrettanto stupido?

In questo caso però non si poteva parlare di stupidaggine, tutto fuorché quella.

- Non starai vivendo una precoce crisi di mezza età, Ed?-

Lo aveva chiesto con fare scherzoso, passandosi le mani sulla faccia e poggiando le gambe sulla scrivania, incurante delle cose che aveva così gettato in terra.

Per qualche motivo risi.

Una risata relativamente falsa: tutto era relativo in quella risposta non data.

La situazione si era alleggerita e il fatto che avesse smesso di gridare e fulminarmi con lo sguardo aiutava la mia emicrania; era anche vero però che pure quella domanda, seppur celata volutamente da un tono amichevole, era importante.

E io ancora una volta nell’arco di minuti non sapevo come rispondere.

Mi passai una mano sul viso, imitandolo ancora, per scacciare i cattivi pensieri. Mi tolsi gli occhiali, buttandoli via, lontani, sul pavimento. Quindi presi ad accarezzarmi i capelli, scompigliandoli e arruffandoli più di quanto già non lo fossero.

- Non lo so, Jazz. Non lo so che cazzo mi prende. So solo che non trovo più niente di interessante da fare. Non ho più nessuno sfizio. Non provo più nessuna emozione-

Avevo lentamente ingranato la marcia, partendo con una voce roca e sconnessa, per poi ritrovare il mio solito tono: calmo, appagante, ipnotico. Quello che mi faceva vincere i processi.

Sull’ultima frase ebbi un cedimento però.

Me ne accorsi io tanto quanto Jazz.

E conoscevamo il motivo.

Un buon avvocato certo, deve estraniarsi, imparare a vivere al di fuori.

C’era una moderazione per tutto, comunque.

E io avevo superato tutti i limiti.

Non provavo nulla. Niente.

E non andava bene, perché di solito questo non portava mai a nulla di buono.

Era già successo, ma a nessuno di quelli si poteva chiedere come ne fossero usciti: dei pochi di cui ancora si sapeva qualcosa o erano morti o rinchiusi in qualche manicomio.

Ipotesi di un futuro ben poco allettante.

Incontrai lo sguardo di Jasper e vi lessi un lampo di preoccupazione: che stessimo pensando alle stesse fottutissime cose?

- Non voglio perderti, Ed-

Lo aveva sussurrato, in quella che doveva essere una presa in giro ma che poi si era rivelata per ciò che era: seria inquietudine mista ad ansia ed apprensione.

Scossi la testa, ignorando le fitte che mi trapassarono le tempie per quel gesto avventato.

- Non dire stronzate, Jazz. Ne ho passate di peggiori-

Annuì cercando di convincersene, non sembrò farcela però e dopo aver fissato il pavimento per diversi minuti in silenzio, tornò a guardarmi, sorridendo appena.

- Ti va un caffè?-

Chiusi un istante gli occhi, per poi annuire subito. Come avrei fatto senza di lui?

Lo guardai ancora, scorrendone la figura alta e allampanata: era magro ed al tempo stesso atletico. Dava l’idea di poter far male, e molto, se solo avesse voluto.

Due occhi neri come l’ebano in un viso bianco e scavato, contornato da lunghi capelli lisci e neri che portava sempre legati in una coda di cavallo.

Vestiva in modo semplice, seppur ricercato: pantaloni neri e camicia bianca, giubbino nero.

Qualcuno lo avrebbe potuto scambiare per un vampiro.

- Ti aspetto giù: datti una sistemata che sennò mi rifiuto di farmi vedere in giro con te-

Stava per aggiungere qualcosa, una battuta sarcastica sul mio aspetto immagino, ma si trattenne mordendosi le labbra e uscendo silenziosamente dallo studio.

Io mi alzai, con qualche difficoltà, barcollando leggermente e avvicinandomi al bagno con passo incerto. Ci arrivai sano e salvo per miracolo e aprii l’acqua del lavandino.

Ci misi direttamente la testa sotto, godendo del getto di acqua gelata che piano mi inzuppava i capelli, scendendo lungo le guance e poi per il collo. Mi ci voleva proprio.

Tornai quindi in piedi, lisciandomi con gesto scocciato i jeans blu scuri e cercando inutilmente di togliere qualche piega dalla camicia celeste completamente sgualcita. Con l’acqua modellai i capelli, tirandoli all’indietro in un ciuffo scomposto. Arrotolai quindi le maniche fino al gomito.

Sentivo caldo e a ben dire, pensai. Luglio era alle porte, che mi aspettavo?

Studiai per qualche attimo il mio viso tirato, quei tratti che non riconoscevo più come miei: ruvidi, duri, concentrati… da uomo vero, si sarebbe potuto dire. Io non ero così però.

La leggera barbetta sulle mascelle contratte non era la mia.

Le sopracciglia costantemente corrugate non erano le mie.

Quant’era che non ridevo?

Quant’era che non sorridevo?!

Mi ritrovai solo nell’oro delle iridi.

Quello non era cambiato.

Con uno sbuffo scocciato uscii dal bagno ed afferrai la giacca che non avrei usato.

Uscii dallo studio sbattendo sonoramente la porta ed atteggiai le labbra in un ghigno: almeno in quell’ultima cosa non avevo imitato Jazz.

C’era una minuscola, recondita possibilità che non fossi completamente impazzito.

 

*

 

Ed ecco già il nuovo aggiornamento =)

Spero non vi faccia scappare tutti a gambe levate: lo so che è noioso, ma dovete pur ammettere che di solito i primi lo sono sempre ^^ La storia deve ancora iniziare =P

Ci tenevo già a ringraziarvi tutte comunque, ed in particolare quegli angeli che hanno recensito: ma come fate ad essere così brave?! Con poche parole riuscite a farmi scoppiare il cuore! ** Graaazie!!

Per concludere, volevo dirvi che i prossimi aggiornamenti non credo saranno altrettanto veloci: mi sono comportata da pazza e masochista iniziando anche questa nuova storia, avendone già molte altre da continuare O_o

Spero di non farvi attendere troppo tuttavia (se qualcuno attenderà è chiaro xD)

   
 
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