Grazie a tutti coloro che mi supportano e per favore fatemi sapere cosa ne pensate =D
And Suddenly.. nothing Happened (but it happened suddenly!)
E il 31 Luglio iniziò male..
La
mattina del 31 luglio si preannunciava inconsuetamente assolata nella regione
di Drenthe.
Era stata un’estate
piuttosto umida e piovosa in Netherland, non particolarmente fuori dal normale
ma abbastanza perché le piccole cittadine che erano situate sotto
Pertanto,
quell’improvviso caldo intermezzo era il benvenuto per interrompere la serie di
precipitazioni incessanti che sembrava aver colpito senza pietà i centri
abitati olandesi.
L’unico paesino che non
si curava assolutamente di quello che per la popolazione Babbana poteva
considerarsi un grosso problema, era il minuscolo paesino di Flattenburg.
In realtà, c’era ben
poco che gli abitanti di Flattenburg trovassero problematico, anzi; c’era ben
poco che gli abitanti di Flattenburg trovassero interessante.
Per quanto riguardasse il fuori, perlomeno.
I paesani erano felici
così, ignoranti dei problemi altrui e immersi nei loro; perché certamente gli
estranei non avrebbero capito i loro problemi, e loro per primi non capivano
quelli degli estranei.
C’era
infatti, intorno a Flattenburg, un qualcosa di diverso. Non troppo, ma
abbastanza diverso da poter considerare il paese completamente alieno a
Drenthe, e a tutti i canoni della normalità.
Forse era dovuto
all’assoluta mancanza di turisti, mancanza dovuta al fatto che quasi nessuno
sapesse che il paese esisteva.
Se
una qualunque persona infatti, sulla strada che congiunge Groningen al Parco
Nazionale di De Alde Feanen, avesse sporto il naso dal finestrino della
vettura, avrebbe sicuramente visto una distesa di campi incontaminata, una
vista incantevole, ma decisamente nulla di lontanamente somigliante a un
villaggio.
Flattenburg,
però, c’era.
Dall’Acquitrino, che da
anni costituiva il Parco Nazionale, all’imbocco della statale per Groningen, si
diramavano varie stradine ciottolate, lastricate di pietrisco grigio e sassi di
fiume, sulle quali facevano capolino botteghe dai colori vivaci e dalla
mercanzia curiosa.
Apotecari e farmacie si
accavallavano a negozi di abiti a dir poco stravaganti, cedendo il passo a
deliziose sale da the coperte di trine e pizzi all’uncinetto, o a negozi di
accessori che promettevano, sulle vetrine luccicanti, calderoni autorimescolanti,
gufi di ogni forma e dimensione e, per la gioia degli increduli esseri umani,
manici di scopa.
Al
centro della piazza, dove la fontana monumento della cittadina zampillava
allegramente, si affacciavano l’Ufficio Postale, il Raccordo ICW per
Proseguendo per le
strade, man mano che si giungeva verso l’esterno del ‘centro’, si potevano
notare abitazioni stravaganti sormontate da decine di comignoli, ma nessuna
poteva battere in stravaganza la dimora Dursley, che si trovava proprio al
margine della città, all’ingresso dell’Acquitrino.
A
prima vista, magari da molto lontano, sembrava un fungo cresciuto a dismisura,
ma più ci si avvicinava, più sembrava essere un tremendo aborto architettonico.
Il tetto era tozzo e rotondo, enorme, e i muri decisamente troppo stretti per
un tetto simile. Era come se qualcuno avesse fatto alla casa uno scherzo di
pessimo gusto, e attaccato sulle travi un gigantesco sombrero. La porta era
meravigliosamente anonima rispetto alle finestre, che erano disposte a caso su
tutte le pareti. Da una di esse un albero dagli enormi frutti rossi
galleggianti sbucava impudente, sorreggendo parte del tetto con i suoi rami e
sormontandolo con altri.
Nel giardino
verdeggiante, tra i cespugli di piante talmente curiose che persino i vicini di
casa ogni tanto osservavano con gli occhi sgranati, uno spaventapasseri vestito
in divisa troneggiava immobile, perfettamente inutile nel suo abito grigio
polvere da maggiordomo.
La
cosa assolutamente affascinante di quella casa era, comunque, che niente
sarebbe mai apparso troppo equivoco in quel contesto; come se fosse
perfettamente normale assistere, solo e soltanto in quel posto, all'apparizione
di Agrippa in persona, o a una banda di Gnomi aderenti a un sindacato.
Infatti, quella mattina
di quel 31 luglio 1997, quando il sole per la prima volta da giorni sfidò la
fitta coltre di nubi pesanti che aveva attanagliato il paese da settimane,
nessuno si stupì dello stropicciarsi dell’albero, del rifiorire delle piante
alla velocità di un Gytrash in corsa e della voce stridula della Signora
Dursley che riecheggiava tra le mura della casa.
Harry
Potter si svegliò con un sospiro, strappato a forza dal Regno di Morfeo dal
famigliare suono della zia, che tra un verso di disapprovazione a un ‘cip cip’
d’incoraggiamento, chiamava dal pian terreno.
Si stirò pigramente,
tirò le coperte, e sfregandosi la faccia a palmi aperti si guardò allo
specchio. Era uno straccio; nonostante avesse dormito quasi nove ore filate si
notavano ancora le borse agli occhi dovute alla mancanza di sonno protratta nel
tempo. Il volto era pallido, ma stava riacquistando colore.
Il giorno prima, di
ritorno dall’Accademia dopo 16 ore ininterrotte di treno, aveva avuto un
aspetto decisamente peggiore.
Un
nuovo richiamo della zia lo riscosse dai suoi pensieri, e lo fece affrettare al
bagno per darsi una ripulita.
Si accorse a malapena
del cugino che lo sorpassava in corridoio per andare in cucina, e con lo stesso
sguardo vacuo lo raggiunse venti minuti dopo.
Dudley
Dursley stava parlando fittamente col padre, Vernon, mentre zia Petunia stava
sbattendo in padella una quantità ridicola di uova.
Allo stesso tempo il
bacon sfrigolava allegramente nella padella accanto, mentre la donna agitava la
bacchetta assieme al cucchiaio di legno, facendo rimbalzare il cibo
direttamente nel piatto dei famigliari. Fuori dalla finestra, lo
spaventapasseri stava cercando di stendere dei panni particolarmente riottosi
su un filo sottile, appeso e fissato senza pietà da un ramo dell’albero al
davanzale della finestra, sotto lo sguardo ironico di un paio di corvi che,
approfittando della distrazione dell’uomo di paglia, avevano rubato un paio di
frutti.
- Buongiorno –
fece Harry assonnato, prendendo un piatto, una sedia e mettendosi accanto a
Dudley, che lo salutò con un colpo sul braccio prima di tornare a parlare col
padre dell’argomento del giorno,
- Buongiorno,
Harry –
rispose zia Petunia, scodellando uova e pancetta nel suo piatto. – Spero
tu abbia avuto il tempo di riprenderti, sembravi un cadavere ieri, ma immagino
sia normale… quella scuola è così lontano – sospirò lei, scrutandolo in
viso soffermandosi leggermente preoccupata sui cerchi neri intorno agli occhi
del ragazzo
– Zia,
è la migliore scuola nei paraggi, e poi sono solo quaranta ore di treno; anzi,
questa volta solo sedici, abbiamo saltato le fermate a Grossberg e abbiamo
preso
- Lo
so, lo so, non pensare che lo dica tanto per dire. E lungi da me impedirti di
salutare i tuoi amici, ovviamente! Ma il viaggio è sempre stancante, e voi
dormite solo sei ore al giorno in quel posto. Due settimane di vacanza non sono
assolutamente sufficienti! – ritorse lei, contrariata,
scodellando sul tavolo delle aringhe fatte sul momento e dei toast. – Meno male che questa è l’ultima volta.
Dormirò più tranquilla sapendoti più vicino a casa, senza contare che ti vedrò
a Natale, a Capodanno, per le feste… -
- Comunque, ragazzo – si intromise zio Vernon, dopo aver preso un sorso di caffè
dalla sua tazza, - Buon Compleanno. Diciassette anni sono un
traguardo importante! – e mosse in una smorfia,
l’equivalente di un sorriso, i suoi baffi cespugliosi.
- E’
vero –
concordava la zia, mentre si sedeva a tavola a sua volta e si serviva di the – L’unico
peccato è che oggi lo passeremo all’ICW. Mi spiace, sul serio – ripeté
per l’ennesima volta ai due ragazzi – Se ci fosse un
modo per ritardare la partenza sapete che lo faremmo, ma dobbiamo assolutamente
raggiungere il professor Scamander entro la fine del mese. E’ un vero peccato
che sia proprio oggi – .
- Lo
so zia Petunia, è solo che non avrei voluto lasciare proprio all’ultimo anno,
stavo per dare i miei NEWT. -
- Puoi
darli da privatista – propose Dudley – Tanto
l’Accademia non conferisce i NEWT comunque, potresti studiare a casa mentre
viaggiamo e poi presentarti a giugno all’ICW inglese -
Il
mormorio d’assenso di Harry fu smorzato da un secco ‘Assolutamente no!’
dei due genitori.
- Non
se ne parla ragazzi, Harry andrà a scuola quest’anno. E’ il suo ultimo anno e
come tale va frequentato. – il tono del patriarca era
irremovibile.
Harry alzò un
sopracciglio, confuso – Scusa zio, ma è
già scomodo da qui, frequentare l’Accademia da oltremare mi sembra un po’
eccessivo –
E poi, qualcosa nello
sguardo degli zii gli fece capire. – Ah, frequenterò un’altra
scuola, quindi –
La zia sorrise
conciliante –
Non è così male come sembra dopo tutto, tutta la nostra famiglia è andata a Hogwarts
prima del Grande Viaggio! – Era
palesemente contenta che il nipote frequentasse gli stessi luoghi dei genitori
– Non è a più di sei ore di treno da Londra, unica fermata tra l’altro. E prima
che tu dica qualcosa ti assicuro che molti professori sono completamente
up-to-date. Magari non proprio agli standard della vecchia scuola, ma alcuni
insegnano da una vita e con la loro assistenza sono certa che passerai i tuoi
esami con colori brillanti e anche più. – lo rassicurò.
- Il
professor Silente è un amico di famiglia, - rincarò
la dose Vernon – una persona di cui puoi fidarti, e poi ho
sentito dire che persino la tua insegnante, Miss Marìa, si sta trasferendo là. –
Questo era interessante.
Non che Harry l’avrebbe vista di persona, visto che la donna era una rinomata
insegnante di Divinazione che lui per ovvi motivi non frequentava, ma il fatto
che Miss Maria per prima si fosse trasferita dal suo lavoro strapagato in un
paese tendenzialmente bigotto era un avvenimento insolito. Probabilmente sotto
c’erano venti motivi diversi, ma in fondo non era poi un dettaglio così
essenziale.
Il
ragazzo quindi annuì, non sarebbe valsa la pena comunque cercare di ribattere.
Non era personale, era lavoro, e sapeva che potendo i suoi zii avrebbero
rifiutato.
- Guarda
il lato positivo – lo incoraggiò Zia Petunia con un sorriso – Almeno
hai già le valigie pronte.