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Autore: Hi Fis    17/04/2010    1 recensioni
È una storia strana, né favola, né tragedia, ma possiede le qualità di entrambe. Narra di Sogno, rettile oscuro creato con lo scopo di vendicarsi dei malvagi signori del regno della Mente, i tre fratelli me, Me e ME, che governano senza pietà sulle terre di memoria, del suo viaggio per trovarli e degli inganni con cui li combatte.
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
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Così era giunto il momento degli inchini e degli applausi, in cui i burattinai si mostrano a sipario calato:
“IO sono figlio di ricordi, i miei fattori. Mi hanno creato al solo scopo di distruggervi e prendere vendetta. Liberami, che io possa affrontarti faccia a faccia.” Sogno tendeva i muscoli con tutta la sua forza, ma non riusciva a liberarsi dalla presa che lo teneva in aria.
“Piacere di conoscerti figlio di ricordi, io sono Me, sovrano di questo regno. Loro sono i miei fratelli, me e ME, con cui condivido l’incarico.” Rispose Me senza allentare la presa.
“Porca putt… che botta, ragazzi.” era me che si alzava, liberandosi dai rottami di vetro.
Quando vide che Sogno era bloccato in aria, apparve confuso:
” Ehi fratello, che sta succedendo? e dove è sparita ME? Se l’è battuta?”
“Non mostrarti più stupido di quanto già tu non sia.” Disse ME uscendo da un muro ornato da una tappezzeria con immagini di girasoli, l’atteggiamento guardingo di una lince ferita.
Avrebbero ricominciato a lottare, se non fosse stato per Me e il bambino: mentre uno, con la mano libera, imponeva un guinzaglio a me che andò a stringergli il collo sigillando i suoi poteri, l’altro si frappose tra Sogno e ME.
“Ehi fratello che diavolo fai?”
“La tua stupidità è incredibile, me” sospirò Me.
“Davvero non ti sei accorto di chi hai portato al mio cospetto?”
“Non è un costrutto?” chiese me.
Me pezzo di imbecille, come hai fatto a scambiarlo per un costrutto?” era ME a parlare, che studiava per la prima volta l’aspetto di Sogno.
“Modera i termini sorella, non mi servono i miei poteri per prenderti a sculacciate è chiaro?”
Fu la classica goccia che rompe la diga, la sacca di gas che causa l’eruzione del vulcano:
“PIANTATELA!”
L’urlo di Me era potere puro, una manifestazione mentale potentissima: la sua voce deformò lo spazio e trasformò la stanza. Le librerie divennero persiane, i tappeti polvere, la finestra vista mare rigurgitò tutta l’aria salmastra diventando un saloon; esalando l’odore polveroso dei silicati. Si trovarono nella via principale di un villaggio fantasma del vecchio west.
Il barbagianni esplose per ultimo, in un turbinio di piume, portandosi via il suo trespolo, ma lasciando per un attimo dietro di se il suono dei carillon.
“Così va meglio.”
ME e me erano stati scaraventati al suolo dal potere di Me. Ora avevano i vestiti impolverati della sabbia della strada; con più fatica della volta precedente si rialzarono, tossicchiando disorientati per la forza dell’urlo.
“Cosa hai detto?” chiese ME, le cui orecchie ancora non funzionavano bene.
Il bambino proiettò la sua ombra su di lei:
“Ha detto che così va meglio” poi l’aiuto ad alzarsi e le spazzolò i vestiti, dato che non poteva farlo da sola. Apparentemente il bambino era illeso: nemmeno un ciuffo della sua acconciatura a scodella era fuori posto.
Una volta che entrambi furono di nuovo in piedi, Me materializzò una sedia per ciascuno, sempre tenendo Sogno bloccato in aria.
“Sedetevi …” disse Me.
“… e rispondente alle mie domande.” Finì il bambino.
Ubbidienti i due fratelli minori seguirono l’ordine del maggiore.
Me, dove hai trovato il nostro visitatore?”
“Era da qualche parte vicino al giardino delle delizie.” Borbottò me.
“Vicino alla porta, quindi?”
“Non mi dirai che credi davvero che sia un esterno?” disse ME.
“Silenzio” disse il bambino, e la parola prese sostanza mentre la pronunciava. Perfino il vento cadde e con lui la polvere, che smise di produrre il lieve suono dovuto allo sfregamento di granello su granello. Il villaggio intero si immobilizzò, più di quanto non fosse già.
me, tu lo hai portato nella fortezza di Proteo, l’unico luogo inespugnabile di questo regno?”
“Come ti ho spiegato, credevo fosse uno dei tuoi costrutti.” Disse me, lo sguardo basso a terra, nessuna traccia della sua spavalderia.
“Da quando creo costrutti con un aspetto simile, me?” chiese bonariamente il bambino.
“Ehi non incolpare me, fratello. Ti ricordi del costrutto che avevi creato per spiegarti l’espansione dell’universo, quello che coinvolgeva la decelerazione dell’energia? Un po’ ci assomigliava a questo.”
Me lo fulminò con uno sguardo:
“Quel costrutto, me, aveva due teste e la coda. Mi spieghi come hai fatto a confonderti?”
“Non lo so, va bene? Sei contento adesso? Chi credeva che spuntasse fuori un esterno? Cavolo non era mai successo.”
“Sei davvero senza speranza.” Disse bonariamente Me. Poi volse la faccia a sinistra:
“Invece ME, parliamo un po’ di te” ME inghiottì a vuoto. Non le piaceva essere sgridata: lei era la ragione. Era successo raramente che fosse rimproverata, ma ricordava quei momenti come molto spiacevoli.
“Sbaglio o il pattugliamento è uno dei tuoi compiti? Tu dovresti attraversare il regno ed esaminare i costrutti che lo popolano, o sbaglio?”
“Non sbagli, fratello.”
“Allora come ha fatto a sfuggirti l’apertura del cancello, l’ingresso di questo visitatore e il suo inganno ai danni del bambino?”
“Perdonami, ero occupata con la città delle speranze.”
“Ancora? Tu passi troppo tempo a saggiare le speranze, mia cara sorella.”
“È la mia unica debolezza.” Ammise ME mordendosi l’interno della guancia.
“…e il tuo unico svago” disse il bambino.
“Perdonami.” Disse ME, contrita.
“Come potrei negarti il tuo unico momento libero? Anche se in questa occasione ti ha portato a mettere da parte i tuoi doveri.” Disse in coro Me e il bambino. Poi Me continuò da solo:
“Ricapitoliamo: il nostro visitatore giunge dall’esterno, supera il cancello che ci separa dal vuoto, inganna il bambino e ne prende una parte del potere. Sfugge a ME, occupata in altri luoghi, e me lo porta all’interno della fortezza dove ci troviamo ora. Davvero hai una fortuna del diavolo.” L’ultima frase la rivolse direttamente a Sogno.
“Devi sapere che il luogo dove ci troviamo ora è una delle stanze della fortezza di Proteo. Questo luogo è inespugnabile, perché introvabile, a meno che tu non vi sia nato. Se me non ti avesse portato qui, non saresti mai riuscito a entrare, per quanto scaltro tu possa essere.
Desidero premiare la tua fortuna, visitatore” continuò Me rivolgendosi a Sogno.
“se prometti di non alzare la tua mano contro di me o il bambino o uno dei miei fratelli, non ti sarà fatto alcun male.”
“Menti, e la tua menzogna puzza d’insidia: vuoi prendermi alla sprovvista, e quando la mia guardia sarà bassa, sconfiggermi.”
“Mi dispiace che tu la pensi così, ma sei fuori strada. Come garanzia delle mie parole, ti darò uno dei miei occhi come ostaggio; se prometti di non inghiottirlo è ovvio.” Rispose contrito il bambino.
ME e me si agitarono a quelle parole, gli sembrava che il loro capo stesse commettendo una leggerezza, ma erano ancora sotto l’ordine del silenzio, per cui non potevano dire nulla.
A sogno non parve vero di potersi liberare: per ogni minuto che passava in quella morsa, i raggi del sole a cui era esposto lo indebolivano e già da un po’sentiva le forze scemare.
“Prometto solennemente sul mio nome che rispetterò queste regole.”
La presa si allentò subito e Sogno poté aprire l’ombrello che teneva in mano, riparandosi nella sua gradevole ombra.
“Come ti chiami, forestiero?” chiese Me.
“Il mio nome sigilla il mio potere, se l’indovini io sarò tuo, ma se fallisci, io mi prenderò il tuo.” Disse Sogno, pregustando già la sua vendetta, pensando di poter ingannare Me come aveva già fatto col bambino.
“Capisco, brutta faccenda” Me rimase pensieroso per un attimo, poi alzò la mano destra al volto e si cavò un occhio.
Anche a me sfuggì un’espressione di disgusto nel sentire il suono di risucchio provocato dall’automutilazione che Me si era imposto.
Me lo tese a Sogno:
“Prendi, visitatore, e rispetta l’accordo.”
Sogno afferrò guardingo l’orbita, cercando nello stesso tempo di evitare il contatto con le dita di Me. Si rilassò solo quando l’occhio fu saldamente nelle sue grinfie.
“Propongo di fare una passeggiata solo io e te, e ti racconterò alcune cose di questo regno. Immagino che tu non lo conosca molto, visitatore.”
Sogno dovette convenire che conosceva poco o nulla di quel posto, e finché aveva l’occhio non aveva nulla da temere, per cui accettò la proposta: non gli rimaneva altro da fare, perché i suoi poteri erano quasi esauriti.
“Fratello … e noi?” chiese me, ora che il suo sigillo era scomparso.
“Tornate ai vostri compiti, e non agite fino a quando non lo dirò io.”
me e ME scomparvero: l’uno nel terreno, l’altra nel cielo.
“Vieni, ti prego. Ho molto da raccontarti, e ancor di più da chiederti” disse Me invitando Sogno con un gesto della mano.
 
***
 
“E così, alla fine avete vinto voi.” Disse Sogno mesto, il suo corpo di nuovo tramutato in quello di serpente.
Si arrotolò a spire attorno al fusto dell’ombrello.
“Ti sbagli, sei tu che hai perso: se non avessi proposto quell’indovinello non saresti in queste condizioni. Sei stato sventato.” Disse Me unendo la sua ombra a quella di Sogno.
Sogno saggiò  l’aria con la lingua, mentre Me prendeva la sua orbita e la riponeva al giusto posto: ormai Sogno era suo e non c’era bisogno di alcuna garanzia.
“Ti prego,lascia che sia il sole ad uccidermi, non sporcare le tue mani.” Disse Sogno con la sua voce pigolante.
“Ucciderti? Ti sbagli Sogno, se avessi potuto farlo tu saresti già morto, ma in questi territori la morte è aborrita. Temo che non ti resti altra possibilità che vivere qui; ma non temere: non è poi così male.”
“Quale sarà il mio fato ora?” disse Sogno piangendo.
“Diverrai parte di un nuovo costrutto: tu non sarai più Sogno figlio dei ricordi; Sogno, che ha fallito nel cercare vendetta; Sogno, che non poteva essere illuminato dalla realtà”
“Cosa diventerò allora?”
“Da oggi in poi il tuo nome sarà Scopo: il Sogno che è stato illuminato.”
“Così sia, mio signore.” Disse Sogno chinando la testa al suo padrone.
E così Scopo si bagnò le squame nella luce del sole che moriva.



Avevo pensato ad un finale alla Sergio Leone, in cui il nostro eroe cavalca verso il tramonto, dopo aver ripulito la città. Tuttavia questo mi sembra molto più adeguato alla storia. Non lo considero necessariamente negativo. L’unico problema è che non sono riuscito a scriverlo in maniera più ispirata ed allegra. Sorry.
L’avventura finisce dove era iniziata: è un racconto ad anello che ha bisogno dell’inizio per concludersi.
È la mia prima storia vera, con capitoli, un cattivo e gli eroi. Nel prossimo forse ci sarà anche la bella in pericolo.
Spero di avervi coinvolto in questo racconto,  se e così fatemelo sapere. Se invece così non è: fatemelo sapere lo stesso, in modo da poter migliorare per la prossima volta.
Saludos!

  
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