CAPITOLO
2:
Il risveglio
Aidamòs
si chiese ad occhi chiusi come mai non sentiva la voce di Clarice che lo
esortava a svegliarsi, come accadeva invece tutte le mattine.:se suor Clarice
era rigorosa su qualcosa, normalmente era la sveglia. Poi, lentamente, realizzò
che c’era qualcosa di strano, e aprì gli occhi. Una luce chiara e accecante lo
abbagliò in pieno viso, costringendolo a coprirsi la faccia con la mano destra.
I sensi si risvegliarono all’improvviso tutti insieme: l’udito cominciò a
percepire dei rumori non consueti, il tatto della mano sinistra percepì invece
qualcosa di troppo duro per essere un letto, la sua lingua era impastata, il
suo olfatto percepiva odore di terra. Lentamente scostò la mano dagli occhi,
stando attento a far abituare gli occhi alla luce, per non avere l’effetto di
piochi minuti prima. Non appena la sua vista si schiarì, osservò che sopra di
sé non c’era affatto il soffitto pieno di crepe della sua piccola stanza, ma un
cielo azzurro, intensamente azzurro, appena macchiato da piccole nuvole bianche
e soffici. Lentamente il ragazzo si mise a sedere, cercando di risvegliarsi
completamente dal torpore del sonno, per capire che cosa gli stava succedendo.
Si guardò attentamente attorno, per scoprire qualche trucco, ma non ne trovò, e
ne fu sorpreso. Egli pensava infatti che intorno a se avrebbe trovato qualcuno
che conosceva, pronto a dirgli “sei su scherzi a parte”, o qualcosa del genere,
ma non fu affatto così. Intorno a sé si stendeva una vasta pianura
verdeggiante, piena di gigantesche querce nodose, che si trovavano spante per
tutto il terreno davanti ai suoi occhi, ed egli stesso si trovava sotto una di
queste, vestito di tutto punto, come se non fosse mai andato a letto; in
lontantanza si intravedeva una grande città circondata da alte mura bianche, e
al di fuori di queste delle case sparse qua e là, come tanti piccoli puntini.
Dietro di sé il paesaggio cambiava molto: la pianura durava infatti per un
pezzo, poi si fermava, e da lì iniziava una distesa di terra bruciata e nera
come il carbone; il cielo diventava più scuro man mano che si allontanava da
lui, fino a diventare una massa nera sulla linea dell’orizzonte, così
inquietante che il giovane distolse lo sguardo dal paesaggio con un leggero
tremito. Aidamòs immaginò di essere in realtà addormentato, perfettamente
addormentato, e che si stava semplicente immaginando di essersi svegliato.
Tuttavia non si spiegava come mai i suoi sensi funzionassero così bene. Si tirò
schiaffi, si riempì di pizzicotti, ma non diede segno di svegliarsi da quella
specie di sogno. Poi notò che accanto a lui vi era il libro che appena la sera
prima aveva iniziato a leggere; lo sfogliò attentamente e scoprì che il posto
che stava vedendo era proprio all’interno di quel tomo: Aidamòs si trovava
all’interno di un libro.
Come
comprese sfogliando il libro, il la città che egli intravedeva in lontananza
era a circa una ventina di leghe dal punto in cui lui si trovava, ed era
all’interno del Regno della Luce, e più in particolare ne era la capitale, cioè
Aletheimora. Il giovane ara assolutamente incredulo, poiché non aveva la benché
minima idea del motivo per cui si era trovato improvvisamente lì; forse il
libro era ancora più insolito di quanto aveva presupposto e leggeva nei
desideri delle persone; o forse era…ma non terminò mai quel pensiero, perché
d’un tratto il libro tremò violentemente e gli esplose in mano, lasciandogli un
piccolo segno a forma di triangolo rovesciato sul palmo sinistro, indelebile e
chiaro. “oddio, ci mancava solo questa” sospirò Aidamòs sconsolato. Si passò
una mano fra i capelli ramati, poi si alzò in piedi con uno scatto e cominciò
ad avviarsi in direzione della lontana città fortificata, con la speranza di
ottenere qualche informazione decente.
***
Il
viaggio si rivelò più complesso del previsto. Anche se venti leghe, o poco più,
non erano una distanza poi così grande, erano pur sempre un centinaio di
chilometri e poi il ragazzo non aveva idea della strada giusta da
intraprendere, anche se era sicuro che il suo senso d’orientamento doveva avere
un minimo di senso; per il cibo non ebbe grossi problemi, perché aveva uno
stomaco di ferro e inoltre aveva studiato perfettamente tutti i metodi di
sopravvivenza esistenti. Nonstante che il primo giorno non riuscì a fare
neanche un quarto della strada, nonstante fosse scombussolato e quant’altro,
Aidamòs non riuscì a non sentirsi libero. Si sentiva il cuore decisamente
leggero come non lo era mai stato negli ultimi diciassette lunghi anni. Non
sentì la mancanza delle suore, che per una volta non erano accanto a lui a
borbottargli di continuo di fare le sue preghiere, di pulire, lavare, fare i
compiti, e bla bla bla. Non sentì la mancanza della sua classe, che lo aveva
saputo solo odiare e bistrattare né tanto meno della sua stupida scuola, che
non gli aveva dato che noie e brutti pensieri. Non sentì la mancanza della
preside e dei suoi concorsi, che odiava con tutta l’anima che aveva. Gli
dispiaceva solo di non aver potuto rendere il suo libro alla signora Nott, e di
non averla potuta salutare un’ultima volta. In fondo era l’unica a considerarlo
come un ragazzo normale. Stese le braccia e alzò la testa, osservando il cielo
azzurro, e gli uccelli che vi volavano tranquilli. Girò su se stesso,
assaporando il tepore del sole; rise di cuore, e si passò una mano fra i
capelli, scompigliandoli. Sospirò e sorrise nuovamente, poi tornò in sé e si
concentrò sul da farsi.
Arrivò
al quinto e ultimo giorno di marcia con un po’ di difficoltà. D’altra parte non
era abituato a stare cinque giorni in marcia e non era solito inoltre dormire a
terra. Questo che stava compiendo era un tipo di viaggio tipico dei libri di
avventutra o dei libri fantasy che aveva divorato fin da quando aveva imparato
a leggere, e non certo tipico di un diciassettenne inglese dell’ultima
generazione. Proprio un paio di chilometri prima della città, iniziò a calare
il sole, e allora Aidamòs si fermò sotto una quercia, non volendo entrare nelle
mura in piena notte, e si preparò per riposare e mettere nello stomaco qualcosa
di sufficientemente buono, di modo da essere pronto per l’entrata in città del
giorno seguente. Il giovane non stava più nella pelle, perché finalmente
avrebbe visto una faccia dopo cinque giorni, e finalmente avrebbe potuto
mangiare qualcosa di più sostanzioso e scoprire il perché di tutti quegli
strani eventi, a cominciare dl segno sulla mano, che si era scurito sempre di
più col passare dei giorni, e che aveva nascosto fasciandolo con un
fazzoletto.Prese sonno molte ore dopo, con la schiana appoggiata al tronco e le
braccia conserte, sognando come poteva esserel’interno della bianca città.
***
Aletheimora
risultava molto caotica già di prima mattina: grandi banchi di merce
ingombravano le strade più grandi e bloccavano quelle più piccole. Una fiumana
di gente borbottante se ne andava in giro vestita in modo assai stravagante, o
almeno era stravagante per il londinese. Piccoli dall’aria paffuta e donne
dall’aria severa, uomini armati e mercanti andavano e venivano, e qualcuno,
occasionalmente, gli lanciava un’occhiata incuriosita. Le strade pullulavano di
gente di ogni tipo, e Aidamòs era rimasto più scombussolato di prima. Era tanto
frastornato che andò a sbattere contro due o tre persone consecutive,
beccandosi non pochi accidenti in una lingua a lui sconosciuta. Dopo aver
vagato per un po’ senza una meta, decise che era il momento di chiedere a
qualcuno dove fosse il palazzo del Re, perciò attirò l’attenzione di un signore
piuttosto serio.
-Mi
scusi, sa dirmi dove si trova il palazzo del re?- cercò di chiedere
educatamente.
-e
tu che vuoi dal re?- ribattè burberamente il suo interlocutore
-Beh,
cercavo una persona importante a cui rivolgermi per esporre il mio grave
porblema-
-e
che diavolo di grave problema dovrebbe avere un giovanotto come te, conciato da
idiota, per giunta?-
-Non
credo di poterlo dire a lei, signore. Ma se fosse così gentile da indicarmi…-
-Senti,
non ho voglia di essere disturbato. Vai di là e cercati il tuo palazzo da solo-
-Volevo
solo avere una misera informazione, niente di più-
Ma
l’uomo se ne era andato borbottando, senza neanche ascoltare quello che Aidamòs
aveva appena detto. “che gente strana c’è qui”, pensò lui. Ma non aveva ancora
visto niente. Mentre si aggirava in una viuzza molto carina e poco trafficata,
stranamente, si imbattè in una guardia., che lo bloccò all’istante.
-Tu,
straniero, da dove vieni, dove vai e soprattutto, chi sei?e cos’hai fatto alla
mano?-
-
Sono Aidamòs, vengo da molto lontano, e vorrei vedere il re per una faccenda
molto molto importante. Ciò che ho fatto alla mano non sono affari tuoi -
-e
chi mi dice che posso fidarmi, ragazzino?e adesso fammi vedere la tua mano-
-Ha
la mia parola, signora guardia. E poi perché tutta questa insistenza. La mia
mano è ferita. Punto e fine della storia; non sono qui per fare del male e
questo dovrebbe bastarle-
-la
tua parola non mi basta, giovanotto. E di questi tempi non ci si può findare di
nessuno, ci sono molti maghi in giro. Fammi vedere la tua mano-
-No,
se non le basta la mia parola non è mica colpa mia-
per
tutta risposta, la guardia gli sferrò un sonoro man rovescio, poi gli afferrò
la mano, gli tolse il fazzoletto e osservò il marchio. Aidamòs si divincolò
allora dalla presa e rispose ancor più sonoramente, dunque la guardia non perse
tempo e lo prese di peso, trascinandolo con sé.
-Non
si risponde né si maltratta una guardia reale del Re. Al Re i buffoni che fanno
troppo gli spiritosi non piacciono, per giunta dei buffoni con strani simboli
oscuri sulla mano, perciò tu adesso vieni con me e ti becchi una bella
punizione-
***
Il
palazzo reale era enorme, ma di costruzione più semplice e meno appariscente di
quanto Aidamòs aveva immaginato. Di forma circolare, il palazzo occupava il
centro della grande città di Aletheimora. Era di un bianco quasi accecante, e
all’entrata vi era un grande portone di legno massiccio sorvegliato da un paio
di guardie armate di lancia e armatura bianca.; da fuori sembrava tutto
piuttosto rassicurante. Ma da dentro la prospettiva cambiava un poco. Difatti,
appena entrato, Aidamòs notò una maggiore ricchezza negli ornamenti e un’aria
più cupa rispetto all’apparenza esterna, nonostante l’insieme continuasse a
trasmettere un senso di tranquillità rassicurante che si percepiva anche
venendo da fuori. La guardia che lo aveva preso allentò la presa fino a
mollarlo, ma sguainò la spada e gliela conficcò nella schiena; lo invitò dunque
ad avanzare lentamente per l corridoio.
-Non
ti azzardare a fare un passo falzo, o ti ritroverai infilzato prima che possa
gridare aiuto-
-Chi
ha mai detto di fare una cosa del genere?-
-Non
sembri un tipo affidabile. E quel simbolo, che cosa significa?sei una SUA spia,
per caso?-
-non
ne ho idea, davvero. E poi spia di CHI dovrei essere? Non so di cosa stia
parlando-
-ci
sono due spiegazioni possibili alla questione: o sei un imbecille, o sei una
Sua spia e cerchi di convincermi di no-
-E
io ti dico che c’è una terza spiegazione: io non sono né un imbecille né una
spia, tantomeno di una persona che non conosco!-
-Sì,
vallo a dire a qualcun altro. Io non ci casco-
-Senti,
o mi credi o mi credi, io non so che altro dirti-
-infatti
non devi dire niente, devi solo stare zitto e camminare-
Detto
ciò, l’uomo lo bloccò, aprì una piccola porta in fondo al lungo corridoio che
avevano percorso, spinse dentro il ragazzo e i due cominciarono a scendere una
ripida rampa di scale illuminata debolmente dalle torcie. Qui l’aria si
addensava notevolmente e la semioscurità associata con il più totale silenzio
metteva in soggezione; i passi dei due risuonavano chiari e forti, e mettevano
in risalto la totale assenza di suono intorno alle due figure. La rampa
scendeva di parecchi metri sotto il piano terreno del palazzo, e qui vi era un
forte odore di acqua stagnante, che però non produceva alcun rumore. Dopo molti
minuti interminabili, che parvero ore nella mente di Aidamòs, le scale
terminarono, e la guardia lo spinse in un corridoio stretto e umido. Da un lato
vi erano delle porte di legno molto scure e resistenti, piccole e molto vicine
l’una all’altra. Il giovane realizzò immediatamente che quel luogo puzzolente,
buio e umido doveva costituire le prigioni della città. Sembravano in disuso,
ma in qualche modo mantenute, perché appunto le porte, nonostante apparissero
molto vecchie, non mostravano segni di cedimento. L’uomo, che si trovava
appresso a lui, lo spinse burberamente dentro ad una, richiuse la porta e se ne
andò, lasciando Aidamòs solo al suo destino dentro una cella. Quello provò a
richiamare l’attenzione della guardia, per farla tornare indietro, ma le sue
urla furono assolutamente ed evidentemente inutili. Il ragazzo si guardò
intorno, in cerca di qualche via d’uscita, o qualche possibile appiglio di
idea, ma il buio era quasi totale,
eccettuato uno spiraglio che veniva da un buco della porta, e non vi era niente
che permettesse di fare alcunché.; la cella dove si trovava rinchiuso era
piccola, rettangolare, con un pagliericcio da un lato e una sedia di legno
sgangherata e inutile. Per un poco il giovane provò a pensare ad una via di
fuga, ma ben presto si accorse che tentare di fuggire non sarebbe servito a
niente, poiché non conosceva minimamente il posto dove si trovava; perciò
incominciò a contare lo scorrere del tempo, ma non riuscì a resistere molto al
gioco. Allora pensò a Londra, poi alla sua casa, alla preside, ai suoi
genitori, alla sua stanza e a quel libro, che lo aveva condotto in quel guaio
dal quale non riusciva a tirarsi fuori. Si passò le mani sulla faccia, come per
rinfrescarsi, si scompigliò i capelli, e maledisse mentalmente il girno in cui
era nato.
SPAZIO AUTRICE:VOLEVO SEMPLICEMENTE RINGRAZIARE CHI HA RECENSITO (A PROPOSITO, AUGURI AFANEIA!!!)E CHIEDERE SE C'E' QUALCHE ANIMA NOBILE CHE MI POTREBBE LASCIARE QUALCHE PARERE/CONSIGLIO/ CRITICA/ALTRO...MI SERVE SAPERE I PARERI DELLA GENTE...Thanks