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Autore: Saikisaki    22/04/2010    2 recensioni
Essendo una persona che crede fermamente nel destino, mi è sempre stato difficile accettare eventi negativi. Credevo in uno stereotipo di futuro che non esiste e a quel tempo avrei gettato tutto quello che avevo per raggiungerlo. Benchè non avessi nulla da perdere.
Genere: Commedia, Malinconico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Era una sera di novembre. Un venerdì, mi pare di ricordare.
Mia madre giocherellava con il mio computer, mio fratello ascoltava musica a tutto volume dal suo stereo, io studiavo con foga e poca voglia letteratura francese. Non che non mi piacesse ma non ero una persona che dedicava attenzione e costanza alle cose.
 - Sara? – mi chiamò mia madre – puoi venire un attimo? -
- no – risposi secca . Se mi staccavo dai libri ero sicura di non prenderli più.
- quanto sei acida – commentò mio padre ai fornelli sorridendo.
Muoveva la padella con una maestria unica.
Una volta mi raccontò di quando lui giovane voleva aprire con degli amici un ristorante di cucina italiana e che ,probabilmente,l’avrebbe fatto se non fosse stato per i soldi che mancavano. Chissà cosa fosse successo se lui avesse avverato quel sogno. Farmi i problemi era una di quei miei passatempi personali che,forse, non portavano ad una conclusione certa ma che ,ovviamente, mi facevano pensare ad altre conclusioni. Comunque sia, mi avevano insegnato a non avere rimorsi di nulla anche se la vita mi costringeva a scelte che non accettavo, a quel tempo tutte queste cose mi sembravano discorsi filosofici senza un minimo di filo logico.
Mi piaceva pensare al domani come a un bagliore di luce che non smetteva mai di brillare. Ecco quello che mi aspettava. Sarei diventata una scrittrice affermata , avrei trovato un bellissimo ragazzo che amava solamente me e una casa dei sogni stile baita tra i ghiacci.
Anche se vi erano giorni in cui i miei sogni sembravano lontanissimi, il giorno dopo mi si ripresentavano più brillanti di prima, con una certezza che pareva sovrannaturale.  Mi piaceva pensarla in quel modo.
Mi piaceva talmente tanto che non ho mai pensato a nessun altro modo in cui interpretare il senso di tristezza che mi opprimeva certe volte durante il giorno.

Mi alzai e raggiunsi mia madre, scorreva con il mouse le pagine di un sito di un università straniera, ovviamente la lingua non era italiana.
- puoi dirmi che significa questa parola, io non credo di capirla – mi fece indicando con un dito una frase.
Scolarship
- significa “borsa di studio” – risposi – questo paragrafo parla delle possibilità che vengono dati agli studenti di prendere borse di studi equivalenti a viaggi o premi in denaro in base alle loro capacità -
- ah. – la sua era un’aria convinta. – mi piacerebbe che tu andassi qui –
A me venne da ridere. Non ero una persona con una media meravigliosa a scuola, e non lo sarei diventata per entrare in quell’università.
- ma mamma, io non uscirò mai con un minimo di 75 agli esami di stato! Qui dice che ci vuole un minimo di 75! –
- si ma una volta uscita da qua troverai lavoro! –
- mamma non voglio un lavoro da avvocato, ingegnere, professore o cose così. Io voglio fare la scrittrice, quante volte te lo devo dire! –
- non credo che diventare scrittrice sia un proficuo investimento da fare! -
Non potevano capirmi. Neanche io ora capisco mia figlia quando mi dice che vuole diventare una stilista di vestiti di Barbie. E forse era ,ed è ,meglio che sia così.
Penso che se i genitori capissero improvvisamente i loro figli e li assecondassero senza cercare di tirare da dentro il loro cuore qualcosa di sincero, non ci sarebbe più un rapporto con un legame profondo. Per parlare di un sogno ci vuole forza , e per capirlo , qualcosa di più di una semplice ammirazione. Questo l’ho imparato sulla mia pelle.
- pensa ad avere ottimi voti a scuola piuttosto che pensare a scrivere una storiella –
- tu non hai mai letto le mie storie! Come fai a criticarle?! – urlavo con tutta la voce che avevo.
I sogni sono il cuore delle persone, e come tali non devono essere derisi.
- ora basta – intervenne mio padre –smettetela –
Sbuffando tornai sul mio libro di francese, lo presi e mi diressi in camera mia sbattendo la porta.
Ogni volta lo stesso argomento , lo stesso finale, la stessa medesima delusione.
Penso tuttora che mia madre fosse molto più che una semplice realista, ma non posso che comprenderla. Aveva passato una vita difficile,tra delusioni e poche vittorie personali. Non volevo finire come lei, ma al tempo stesso era il mio modello, un modello che scomparve una sera come fosse una luce di natale.

A dicembre i miei genitori furono vittime di un incidente stradale nel centro della mia città.
La mattina prima dell’incidente io non ero andata a scuola poiché avevo la febbre e così i miei decisero di tenermi a casa. Facevo il quinto liceo.
Mi misi a scrivere un piccolo racconto che mi era venuto in mente durante la notte che avevo passato insonne: una tragica storia d’amore dove alla fine lui per salvare lei si sacrifica, ma in compenso lei ,aspettando un figlio da lui, non l’avrebbe mai dimenticato ed era felice di aver conosciuto una persona così dolce.
Era quello il mio stereotipo di uomo.
Dolce,sensibile, che non pensa nient’altro che a me, a ciò che ho bisogno e io farei lo stesso nei suoi confronti: questo era il tipo di rapporto in cui credevo con tutta me stessa ed ero sicura che da qualche parte un uomo così esisteva sicuramente, doveva solo essere cercato.
Essendo sabato,invece, mio fratello non era andato a scuola. La sua era chiusa, perciò rimanemmo in casa assieme ascoltando musica classica e sorseggiando thè verde. Mio fratello adorava la musica classica: studiava pianoforte da quando era piccolo e a sette anni aveva gia composto una melodia di nome e di fatto,a 10,però, aveva deciso di optare per il violino.
Lo ammiravo, e al tempo stesso, ero gelosa di lui.
Benchè amasse suonare non faceva di tutto ciò un sogno da avverare ad ogni costo. Questo perché a volte il sogno che avevo era talmente pesante che ho pensato più di una volta di lasciar perdere tutto e diventare un robot con una personalità assente, ma poi mi riprendevo dicendomi che se volevo,potevo. 
- Sara l’aspirina è pronta – mi chiamò mia madre dalla cucina.
Mi alzai dalla sedia della scrivania e la raggiunsi.
Le palline bianche che circolavano con brio nell’acqua mi facevano pensare al natale che ormai era alle porte. Un po’ stupida l’idea di riflettere sull’aspirina identificandola come la neve, ma in quel momento non mi venne niente di più sensato che farlo notare a mia madre.
- si forse – mi rispose distratta
Non che mi aspettassi una risposta più seria e completa, neanche io l’avrei data. Avevo come l’impressione che ci fosse qualcosa di cui parlare, ma non sapevo esattamente di cosa e forse ora dico in questo modo perché so cosa successe il giorno dopo e quello dopo ancora.
- io e tuo padre andiamo a compare dei regali per natale – mi disse solamente sorridendo – regali  per tutti –
- ok , non dimenticare quel libro su Chopin che voleva Riccardo, sai che ci tiene –

Annuì convinta sempre con un sorriso soddisfatto che non compresi.
- Sono tornato, usciamo? – fece mio padre rientrando dalla porta
- Ci vediamo dopo – mi fece mia madre prendendo il cappotto e raggiungendolo all'uscio.

Si chiuse.
Si chiuse e io non la sentì riaprire.
Fantasticavo su cosa potevo ricevere quell’anno dato che non avevo espresso desideri, fantasticavo a cosa avrei mangiato il giorno di natale e che tipo di poesia mio fratello avesse recitato, erano quelli i pensieri che mi coinvolgevano di più.
Poi mi chiamarono i miei zii dall’ospedale.
Era tutto finito. Non ci sarebbe stato nessun pranzo di natale felicemente intonato con qualche canzone, ne la pila di regali che ogni anno scartavamo, niente di tutto questo. Niente.
Scoppia a piangere in silenzio al telefono.
Mio fratello non aveva sentito l’ apparecchio telefonico suonare e neanche ciò che dissi raggiunse le sue orecchie, neanche le grida che feci dentro di me, probabilmente neanche la zia dall’altro lato del telefono si accorse di un mio minimo cambiamento.
Era l’avversarsi di un incubo più fitto di un semplice sogno finito male, era un qualcosa che non seppi neanche descrivere, un momento e tutto ciò che hai passato ti scompare da sotto la mani come se non ci fosse mai stato e comunque tu sapevi che non sarebbe durato per sempre.
E ora dov’era il destino in cui io avevo sempre creduto? Dov’era?
Feci un ragionamento tra le lacrime accovacciata vicino al termosifone accarezzando il mio gatto che mi faceva le fusa: tutto alla fine avrebbe avuto un senso, no? Non esiste il caso, mia madre lo ripeteva spesso, non esistono gli incidenti. Tutto inizia perché tutto sa che  un giorno finirà e che probabilmente dalla fine di un qualcosa ci sarà l’inizio di un’altra cosa altrettanto spettacolare, o mi sbagliavo di nuovo? Di cosa si era più sicuri se non che si era rimasti soli.
Il fato in cui avevo riposto le mie speranze era crollato.
Mio fratello mi vide piangere ma non ci fece troppo caso, solo quando verso le dieci di sera non vide i nostri genitori tornare mi venne vicino e mi si accovacciò chiedendomi dov’erano. Io non riuscì a rispondere, non credo che qualcuno ci fosse riuscito, non credo che tutt’ora esista un essere umano che potesse rispondere. Se c’è ,senz’altro è la persona più forte che io abbia mai incontrato.
Strinsi per la prima volta con amore e tenerezza mio fratello fra le braccia e gli sussurrai qualcosa che non ricordo, probabilmente  “ non ci sono più” o “sono lassù”. Lui non capì, non capì fino a quando mia zia ci raggiunse a casa e pianse insieme a noi tutta la notte benché eravamo noi gli unici a restare soli, noi, noi e nessun’altro.
Comprendo ora che era un atteggiamento puramente egoista e privo di senso ma mi sentivo come se io e mio fratello eravamo gli unici ad aver perso qualcosa di essenziale e in quel momento ho maledetto il mondo per aver scelto noi, ho maledetto Dio, ho maledetto il camion che li ha travolti, ho maledetto me stessa per non aver fatto qualcosa, benché in realtà non potevo prevedere il futuro.
Ora ero davvero sola, e lo sarei stata per sempre. I ricordi così mi squarciano ancora il cuore, e sono convinta che siano cicatrici che resteranno fino a quando non rivedrò di nuovo i sorrisi dei miei genitori.

 

Commenti autrice

Ho scritto "Segreto" per liberarmi di un paio di pensieri che avevo in testa, per me è stato liberatorio e spero proprio di continuare questa storia poichè è la mia e allo stesso tempo non mi appartiene, è difficile spiegarlo a parole in realtà. E' il mio primo "originale" che pubblico qui. All'inizio mi occupavo di fan fiction ma ora credo di aver cambiato genere in modo radicale! Fatemi sapere che ne pensate,alla prossima!

  
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