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Autore: Leslie and Lalla    23/04/2010    3 recensioni
[Seguito di Drawing a SongAttenzione: può essere letta senza alcun problema anche da chi non ha letto il primo]
Sono passati sedici anni dall'incontro di Lori e Cleo, e ora tocca alle loro figlie fare i conti con il primo amore e le complicazioni che ne derivano.
Madelyn e Michelle sono due cugine adolescenti inseparabili eppure, alle volte, diverse: la prima è la fotocopia del padre, capelli castani, occhi verdi, terribilmente protettiva nei confronti della sorella più piccola e senza i libri, i quali le permettono di viaggiare di fantasia e quindi staccarsi per un po' da un mondo che sembra avercela con lei, non vivrebbe; la seconda il padre lo ha a malapena conosciuto, ha viaggiato in giro per il mondo armata di macchina fotografica e ora si sente un po' stretta nella piccola città di montagna dove l'hanno relegata.
A confronto di Michelle, Mad reputa indispensabili i ragazzi: le volte in cui ha preso una cotta per uno stronzo che aveva fretta di buttarla via senza curarsi dei suoi sentimenti sono incontabili, tanto che ora ha perso ogni speranza di trovare uno con la testa a posto ed è convinta che siano tutti come i suoi ex, cioè dei luridi vermi senza uno straccio di cuore. La cugina, invece, non ha mai pensato ai ragazzi come più che amici, non si è mai innamorata e dopo aver sentito le storie di sua madre, sua cugina e della sua migliore amica, ha paura che accada anche a lei.
Tuttavia le due ragazze, nonostante tutto, nel loro più profondo continuano a sognare la propria anima gemella, che sembra non essere poi così irraggiungibile...
[Scritta a quattro mani, con due punti di vista diversi: quello di Madelyn e quello di Michelle]
Genere: Comico, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'All of Drawing a Song and Sequels'
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2. This is the story of a girl...




Martedì 16 aprile

Michelle's Pov.

Mio padre se n'è andato quando avevo quattro o cinque anni, e ricordo perfettamente quella sera. Non so se capii subito che non lo avrei più rivisto, so solo che non avevo mai visto i miei genitori così arrabbiati. Avevano cominciato ad urlare e io mi ero accostata alla porta per cercare di capire quello che si dicevano, spaventata e allo stesso tempo curiosa. Parlavano in italiano, questo me lo ricordo bene. Sono cresciuta bilingue ma non ho praticamente mai parlato la mia lingua madre finché io e mamma non ci siamo trasferite in Italia. Non capivo bene quello che dicevano e oggi, se cerco di ricordarlo, non mi viene in mente, erano parole quasi senza senso, per me. Ad un certo punto la mamma si era seduta sul divano ed era scoppiata a piangere, coprendosi il viso con le mani. Papà aveva esitato un momento, poi era uscito. Non l'ho più visto, non è tornato mai neppure per portare via la sua roba. Quando avevo avuto il coraggio di chiedere alla mamma cosa fosse successo, lei si era limitata a stringermi a sé  e ad accarezzarmi i capelli, reprimendo i singhiozzi. Era stata triste e taciturna per mesi, poi aveva cominciato a riprendersi, sebbene credo pensi spesso a papà ancora adesso. Io di lui conservo solo qualche fotografia sbiadita e delle lettere che non ho mai avuto il coraggio di aprire. A volte lo odio, per averci abbandonate, ma non riesco a fare a meno di sentire la sua mancanza.
Non so perché in questo momento sto ripensando a lui, mi sembrano secoli che non lo faccio. Probabilmente – anzi, sicuramente – è a causa dello scatolone nel quale sono inciampata questa mattina. Sopra, scritto a caratteri cubitali, c'era il suo nome, ma non ho avuto il tempo di chiedermi perché fosse in mezzo al corridoio o chi ce l'avesse portato, ero troppo spaventosamente in ritardo.
«Valenti, è così cortese da ripetermi quello che ho appena detto?» domanda stizzita la Neri, interrompendo bruscamente i miei pensieri, mentre si aggiusta gli occhiali spessi e mi fissa con quella sua perenne aria di disapprovazione.
Sobbalzo e abbasso lo sguardo, cercando un qualche aiuto negli appunti che ho preso, per poi rendermi conto che non ho preso appunti, mi sono limitata a scarabocchiare. Impreco tra me.
«Stava dicendo qualcosa sui... uhm... la Scuola Siciliana?» domando, con voce acuta.
Teoricamente non ho sbagliato, la Scuola Siciliana è l'argomento che stiamo trattando da ormai due settimane, purtroppo temo che la prof si aspettasse un qualcosa di più dettagliato.
La Neri fa un sorriso sarcastico. «Molto furba, Valenti, lo riconosco, ma temo che dovrò metterle un meno sul registro» sfoglia pigramente le pagine mentre io mi lascio sfuggire un gemito.
È il quarto meno in una settimana, se arrivo a cinque mi becco un tre, come non evita di ricordarmi la professoressa. Dio, e questo come lo spiego a mia madre?
«Come vi ho già ripetuto un centinaio di volte, l'ascolto e l'attenzione sono fondamentali se si vuole essere promossi con più di un sei stiracchiato. Ritengo che sia impossibile studiare tutto a casa. Lei cosa ne dice, Valenti?» mi domanda, sistemandosi di nuovo gli occhiali.
«Mi scusi, prof... mi impegnerò a stare più attenta» mormoro, distogliendo lo sguardo.
«Come stavo dicendo» riprende lei, impassibile. «I poeti della Scuola sono riconducibili al numero di venticinque, i cui componimenti trovarono realizzazione nel ventennio compreso tra il 1230 e il 1250...»
Cerco di stare attenta, davvero, ma dopo meno di cinque minuti la mia mente è di nuovo altrove. Non so cosa mi prende, ultimamente: sono distratta e discontinua e la mia media ne sta pesantemente risentendo.


Quando, qualche ora dopo, apro la porta di casa, la musica a tutto volume mi fa sobbalzare.
«Mamma?» domando, a voce più alta che posso.
Lascio lo zaino in corridoio e mi sfilo il cappotto e le scarpe da ginnastica, per poi raggiungerla in soggiorno. Sta dipingendo qualcosa al cavalletto, muovendosi a ritmo di musica. Non mi vede subito, troppo impegnata a stendere il colore.
«Mamma!» la chiamo di nuovo, mettendo a dura prova le mie corde vocali.
Si volta a guardarmi e sorride, per poi afferrare il telecomando dello stereo e abbassare la musica.
«Michelle, tesoro! È già l'una e mezza?» domanda, sorpresa, ignorando completamente l'espressione stordita sul mio volto.
Alzo gli occhi al cielo, poi scoppio a ridere. «A quanto pare...» sospiro.
Si passa una mano tra i capelli castani – ha smesso di tingerli tipo l'anno scorso e non riesco ancora ad abituarmi – e posa il pennello.
«Cavoli, non ho preparato nulla per pranzo...» si rimprovera.
Mi stringo nelle spalle. «Non importa, ci mangeremo un panino... non ho nemmeno tanta fame» la rassicuro, con un mezzo sorriso.
«Sei tu la figlia» ricambia, divertita.
Si passa le mani sporche di colore sulla vecchia camicia che usa per non sporcarsi e corre in bagno, probabilmente per una doccia veloce. Mentre prendo il pane in cassetta, noto le tele impilate ordinatamente sul tavolo.
Mia madre è un'artista e, se una volta dipingeva solo per hobby, ora l'arte è diventata il suo lavoro. Ha cominciato ad organizzare mostre a Parigi e i suoi acquerelli andavano a ruba, ha guadagnato una fortuna in pochi mesi e ha deciso di provare altre forme di pittura e di espressione artistica. Ora fa un po' di tutto, dai vasi di ceramica ai graffiti, dai ritratti all'arte astratta.
Mi preparo un panino al formaggio e prendo una lattina di coca cola, poi mi chiudo in camera mia, canticchiando tra me “Time is Running Out” dei Muse, che mamma stava ascoltando quando sono entrata, per poi sobbalzare sentendo qualcosa vibrare nella mia tasca. Tiro fuori il cellulare e fisso il nome sul display in trance per qualche secondo.
«Non rispondi?» domanda mia madre, facendo capolino con un sorriso divertito.
Mi riscuoto e mi mordo il labbro, imbarazzata.
«Pronto?»
«Mi vuoi spiegare perché cazzo non mi hai aspettata oggi dopo scuola?» domanda irritata la voce dall'altro capo.
«Alice?» chiedo, incerta.
«No, la Fata Turchina! Certo che sono Alice!» sbotta lei, sarcastica.
Resto in silenzio, senza sapere bene cosa dire.
«Allora?» mi incita lei, sbuffando.
«Cosa?»
«Perché hai preso e te ne sei andata? Guarda che ci sono rimasta male... e anche Fabio era alquanto perplesso...»
«Sì, io ho... ehm... oggi dovevo tornare a casa presto» mento.
In realtà non so nemmeno io perché oggi non mi sono fermata ad aspettare Fabio e Alice, semplicemente avevo voglia di tornare a casa e l'ho fatto.
«Ah, okay... beh, la prossima volta avvertici! Insomma, non è che ti costa qualcosa mandarmi un messaggio o dire a Marta “Ehi, puoi avvertire Ali e Fabio che oggi vado via prima?”» sbotta.
Alzo gli occhi al cielo. Alice sa essere molto polemica, quando vuole, e riesce a sfinirti facilmente, in più è permalosissima. Nonostante tutto, io la adoro... probabilmente è una delle poche persone delle quali mi posso fidare ciecamente, di quelle che mi fanno ridere e che sanno quando preferisco essere lasciata sola con i miei pensieri. Non so come farei senza il suo costante buonumore.
«Okay Ali, promesso» sospiro, sdraiandomi sul letto.
«Ecco brava...» ride lei, e io sospiro di sollievo: la ramanzina è finita.
«Novità?» chiedo, sedendomi sul letto e fissandomi i piedi assorta.
«No. Anzi, sì... Fabio dice che ti vuole parlare» risponde lei.
«Eh?» domando, confusa.
«Me lo ha scritto adesso, stiamo chattando... gli ho detto che sto parlando al telefono con te e lui “Ah, dille che dopo le devo parlare”» spiega.
Stringo le labbra. «E tu sai perché?»
«Certo, anche tu no?» esclama, con fare ovvio.
Rimango in silenzio. Sì, lo so anche io... o forse no. In realtà spero la seconda.
«Pronto? Michelle?» mi chiama Alice dall'altra parte.
«Secondo te di cosa?» le chiedo, tanto per essere sicura.
«Di Sara, è ovvio... perché, tu che pensavi?» domanda di rimando.
«Anche io pensavo a Sara» ammetto, sospirando.
«Beh, è logico no? Si vedeva lontano un miglio che ci sei rimasta di merda» mi fa notare.
Di nuovo non rispondo, fisso il tappeto senza sapere cosa pensare, per poi sobbalzare quando mamma apre la porta ed entra in camera con una pila di vestiti stirati in una mano e un panino al prosciutto nell'altra. Qualcosa nella sua figura non riesce fare a meno di farmi sorridere.
«Ma lui ti piace o no?» domanda Alice ad un certo punto.
Scrollo le spalle. «Non lo so...» ammetto, mordendomi forte il labbro.
Fabio è stata la prima persona con la quale ho stretto amicizia quando sono arrivata in Italia: era nella mia stessa classe alle medie e siamo diventati letteralmente inseparabili, almeno finché non mi ha fatto conoscere Alice e ho cominciato a frequentare quasi di più lei. Non c'è mai stata nulla più che semplice amicizia, tra noi due, almeno finché, due settimane fa, non l'ho visto baciare Sara. Non mi sono resa conto nemmeno io di quanto la cosa mi avesse sconvolta, finché Alice non me l'ha fatto notare. Qualcosa, nel mio piccolo e perfetto universo personale, si era sconvolta, sconvolgendo di conseguenza anche me. Pochi giorni dopo, Fabio mi ha rivelato che tra lui e Sara era nato qualcosa, il giorno del bacio, e che è possibile che si mettano assieme. Sì, ci sono rimasta male, e io stessa mi sento una stupida, per questo. Credo di aver paura che qualcuno mi porti via Fabio e mi sento un'egoista, dato che io stessa l'ho trascurato, nell'ultimo anno. Eppure, sento che non è solo questo: improvvisamente mi sento diversa ogni volta che sto assieme a lui, scoppio di felicità ogni volta che mi sorride, mi sento in imbarazzo per cose stupidissime, in ogni momento ho paura di aver fatto una figuraccia e ogni volta che mi sfiora sento uno strano calore invadermi e le mie guance si fanno immediatamente rosso fuoco. Significa che sono innamorata di lui? Dio, non ci ho mai saputo fare con i ragazzi, ma un tempo questo non era importante: non mi è mai piaciuto davvero qualcuno, se non all'asilo. Sono una specie di maschiaccio sotto molti versi, ho sempre visto i maschi come amici, niente di più, e ora? Possibile che tra tutti i ragazzi che ci sono nella mia scuola dovevo prendermi una cotta proprio per il mio migliore amico? In più, come se non fosse già abbastanza frustrante, lui sta per mettersi assieme ad un'altra, e giuro che vorrei prenderla a schiaffi ogni volta che la vedo, per quanto non abbia mai avuto nulla contro di lei.
A volte vorrei tanto parlare di questo con mia madre con la stessa facilità di quando le parlo di altre cose, eppure c'è qualcosa che ogni volta mi frena. Primo, ho paura di farle affiorare brutti ricordi: conosco abbastanza il suo passato per sapere che gli unici due ragazzi con i quali abbia mai avuto una storia importante si sono rivelati solo fonte di tristezza, prima il suo migliore amico, che le ha rovinato l'adolescenza, poi papà, che, per quanto possa averle regalato molti anni felici, se n'è andato senza tornare mai più. Secondo, il sesso. Ho sedici anni e non ho mai avuto un ragazzo, perciò mia madre non si è mai sentita in dovere di parlarmene, e sa comunque che sono abbastanza intelligente da sapere abbastanza bene in cosa consiste... insomma, farò la figura della verginella incallita, ma sono imbarazzata da morire all'idea di avere un discorso simile con mia madre... meglio tardi che mai, per quanto mi riguarda.
«Capisco...» mormora Alice, strappandomi dalle mie riflessioni.
«Già, beh... cosa fai oggi?» domando, sorridendo appena.
«Nuoto quasi tutto il pomeriggio, sabato ho le selezioni, tu invece?»
«A quanto pare nulla» sospiro.
La sento ridacchiare, poi un tonfo preceduto da un piccolo strillo. Allontano il telefono dall'orecchio, infastidita dal rumore, e aggrotto le sopracciglia.
«Ali, stai bene?» domando, perplessa.
«No... merda, sono in ritardo! Come è possibile che siano già le tre e un quarto?» esclama.
Le tre e un quarto? Guardo l'orologio.
«Non sono nemmeno le due» la correggo, ancora più perplessa.
«Cosa?» domanda lei, incredula.
«Manca un quarto alle due, Alice... non credo che tu sia in ritardo» ripeto.
«Ma la mia sveglia segna le...» balbetta, poi si interrompe.
«Alice?»
«MARCO, BRUTTO IDIOTA!» strilla lei.
Sobbalzo e per poco non mi cade il telefono di mano.
«Non urlare» dice una voce che sento a malapena. «Lo sai che ci sento benissimo.»
«Ti sembrano scherzi da fare? Mi è quasi venuto un infarto!»
Ridacchio. Marco è il fratello maggiore di Alice, si odiano più o meno da quanto lei è nata. Con il sorriso sulle labbra, chiudo la telefonata, conosco la mia migliore amica abbastanza bene da sapere che non sarà un litigio di qualche minuto, e che una volta terminato lei sarà troppo irritata per ricordarsi che stava parlando con me.
Indecisa su come passare il tempo, prendo lo zaino e mi metto a fare i compiti che, stranamente, sono molto più facili di quello che mi aspettavo, e riesco a finire in meno di un'ora. Quando chiudo il libro di storia sono solo le due e quaranta e ho un intero pomeriggio di assoluto far niente davanti a me. Non so se l'idea mi attira o meno.
«Tesoro?» mi chiama mia madre, facendo capolino nella mia stanza.
«Cosa c'è?» domando, con un sorriso.
«Hai qualcosa da fare oggi?» mi domanda.
«Nulla di nulla» sospiro io, passandomi una mano tra i capelli.
«Fantastico!» esclama lei. «Cioè, avevo una mezza idea di andare a fare una passeggiata, se ti va...» propone.
Ci penso un attimo. Sì, ne ho voglia, e mi farebbe bene camminare un po'. Le sorrido e mi alzo, afferrando un elastico e legandomi i capelli.
«Ci sto, basta che non ci metti mezz'ora a prepararti, come fai sempre» accetto, divertita.
«Sono già pronta» ammette lei, aprendo la porta del tutto e facendo un giro su sé stessa.
Scoppio a ridere e prendo scarpe e cappotto, per poi seguirla fuori.


Quando rientriamo, poco più tardi, noto di nuovo la scatola di cartone di questa mattina, relegata in un angolo, come se fosse stata lasciata lì per essere dimenticata per sempre. Mamma non ci presta attenzione, si sfila il cappotto e si sfrega le mani, infreddolita.
«Cavoli, la spesa...!» esclama, dandosi una sonora pacca sulla fronte.
Sorrido, cercando di ignorare la voglia di chiedere spiegazioni.
«E chi ha voglia di fare una corsa per beccare il supermercato chiuso?» sbuffa, passandosi una mano tra i capelli.
«Beh, ci dev'essere qualcosa di commestibile, no?» le faccio notare, sistemando la giacca sull'appendiabiti.
«Gli avanzi del pollo di ieri... e magari un'insalata...» riflette lei.
«Perfetto, più del pane e un film... meglio di quello che speravo» sorrido.
Lei ricambia e si dirige in cucina.
Ora o mai più.
Mi sfilo gli stivali e afferro la scatola, per poi trascinarla il più silenziosamente in camera mia e posarla sul letto. Con un sospiro e mi siedo accanto a lei, per poi sfiorare con dita incerte le lettere scritte con il pennarello nero. Davide. A volte mi sembra di sapere solo questo, di mio padre, il suo nome. Me lo ricordo appena... già, ho sedici anni e di mio padre conservo solo qualche fotografia sbiadita. Non ricordo nemmeno il suono della sua voce.
Sento un nodo stringersi in gola, mentre cerco di convincermi che se i miei occhi sono umidi è solo ed esclusivamente per la polvere. Accarezzo il cartone, senza trovare il coraggio di sollevare il coperchio, mentre continuo a leggere il suo nome come se il solo farlo potesse aiutarmi a ricordare come fosse lui.
«Michelle, tesoro...» mi chiama mia madre, entrando, mentre si strofina le mani su un canovaccio.
Sobbalzo e mi volto a guardarla, quasi spaventata. Mi osserva interrogativa, poi sposta lo sguardo sulla scatola accanto a me e il suo volto cambia letteralmente espressione: la fronte si corruga appena e gli occhi si accendono di quella punta di malinconia che appare solo quando si parla di mio padre. Fa un sorriso triste e si siede accanto a me. Non so cosa dire e allo stesso tempo capisco che non serve che dica nulla, lei ha già capito. Si sistema la scatola in grembo e la apre delicatamente, senza un pizzico di incertezza. I suoi occhi si fanno umidi all'improvviso, mentre osserva gli oggetti al suo interno e io, quasi spaventata, seguo il suo sguardo, per cercare di capire cosa la turba tanto.
Una macchina fotografica professionale, una di quelle che ho sempre desiderato, e montagne di foto, alcune tenute insieme da un nastro, altre sistemate con cura in album rilegati in pelle. Mia madre le sfiora con una mano, mentre con l'altra si asciuga gli occhi, e io capisco che probabilmente non potrò mai davvero capire quanto quelle foto significhino per lei.
«Scattare foto era tutta la sua vita» sussurra, sorridendo di nuovo in un modo tanto triste e allo stesso tempo tanto colmo di tenerezza da farmi commuovere. «Probabilmente lo è ancora adesso» aggiunge. «Prima e dopo la tua nascita abbiamo viaggiato tutta l'Europa in automobile, armati solo di una cartina e la macchina fotografica, più qualche tela bianca e dei colori per me» racconta. «Quei mesi sono stati tra i più belli di tutta la mia vita, e sono tutti racchiusi qui, in questa scatola.»
Incerta, afferro un paio di foto. Non riesco a riconoscere il paesaggio, ma sullo sfondo c'è una strada. La mamma è bellissima, probabilmente come non l'ho mai vista: sorride in modo così sincero e naturale da sembrare una bambina, e nei suoi occhi non c'è traccia di tristezza o di solitudine. Sorrido appena, poi mi volto a guardarla.
«Mi diceva sempre che ero il suo soggetto preferito» ammette, sorridendo di nuovo. «Per quanto cercassi di convincerlo a fotografare qualcos'altro, il suo obbiettivo tornava sempre su di me, dopo un po'... diceva che ero troppo bella per essere vera.»
Automaticamente, poso la testa sulla sua spalla. Non mi sono nemmeno accorta di aver cominciato a piangere.
«Lui ti amava?» mi ritrovo a chiedere, con voce rotta.
Non risponde subito, guarda davanti a sé, persa in chissà quali ricordi.
«Amava entrambe» risponde infine.
«E allora perché è andato via?»
Questa volta il silenzio dura più allungo, poi lei richiude la scatola, la posa sul pavimento e si alza.
«È meglio che vada a preparare la cena, adesso» annuncia, cercando di suonare allegra.
La guardo uscire senza riuscire a sorridere, poi mi accoccolo sul letto e chiudo gli occhi, cercando semplicemente di non pensare.















*** Spazio Autrici ***

Salve, qui Leslie, come avrete intuito (:
Sarò breve, anche perché non sono riuscita a rileggere il capitolo (causa: pc stupido) e non mi è venuto in mente un granché da dire >,<

Come fose avrete notato, Michelle è un personaggio piuttosto diverso da Cleo, dal punto di vista caratteriale, infatti mentre il passato burrascoso della madre l'ha resa un po' innocente e quasi infantile, quello di Michelle l'ha fatta crescere un po' troppo in fretta. Aspettatevi dei capitoli un po' più malinconici, per quanto riguarda la mia metà della storia.

Per quanto riguarda la stesura, sono alla parte finale del quarto capitolo mentre Lalla è impegnata con il quinto, spero che continueremo a procedere più o meno regolarmente, in modo da non creare buchi enormi tra un capitolo e l'altro, ma vi consiglio subito di essere pazienti. (: (mah, secondo me abbiamo ripreso a scrivere brillantemente – modesti a parte, ovviamente X°°D – Io francamente pensavo di non riuscire più a riprendermi dal periodo nero in cui ero! ^^'' NdLaLLa)


Foto personaggi
Michelle


ashleys  waaa, siamo contente che tu sia contenta che abbiamo postato il seguito xP e ci dispiace per il tuo periodo stranissimo >.< (ti capisco però, stella, anche a me capitano questi periodi. Ed è orrendo =.= NdLaLLa) spero che tu sia rimasta entusiasta (si può dire? o è troppo 'non modesto'? xD) anche di questo secondo capitolo e speriamo di continuare a leggere le tue recensioni... (quoto alla grande: adoooooro i tuoi commenti. Sei fantastica, tesoro ^^ NdLaLLa) un bacio <3


so, it's all for now...
love, Leslie and LaLLa


Ps. Scusate ma neanche per questa volta siamo riuscite a concludere il logo, per il prossimo capitolo giuriamo che sarà pronto ^^'''(NdLaLLa)
   
 
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