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Autore: Akemichan    20/08/2005    3 recensioni
Un triangolo a tre fra una famosa regina, il suo più fedele servitore e una pittrice... Ai tempi dell'antico Egitto!
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta | Contesto: Antichità
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Alle lampade che illuminavano il corridoio buio

 

Alle lampade che illuminavano il corridoio buio, le guardie si inchinarono al passaggio della regina Hatshepsut, che, con il vestito di porpora stretto sotto i seni che le lasciava un ampio strascico dietro, si dirigeva a passo sicuro ma con il labbro leggermente tremante verso gli appartamenti di suo marito. Dalle finestre aperte non penetrava la luce di Iside. Tra le mani affusolate e sudate stringeva una sottile ampolla in ceramica, il cui liquido scuro faceva un leggero rumore, riprendendo ritmicamente il suono dei suoi passi.

Si fermò esattamente davanti alla porta della stanza dove Tuthmosis II stava dormendo, ignaro di tutto. i suoi occhi scuri scivolavano dall’ampolla all’uscio sbarrato, come la barca di Ra dall’alba alla sera. Avrebbe potuto farlo, chi se ne sarebbe accorto? Due gocce, tre al massimo e sarebbe tutto finito. Lei e Senmut sarebbero stati liberi di continuare a vedersi, un nuovo Faraone avrebbe preso il posto del precedente, e la vita avrebbe ripreso a scorrere come le acque del Nilo.

Sospirò, facendo un timido passo in avanti. No, non poteva. Sarebbe stata la soluzione più semplice, certamente. Cosa vi era, in Egitto, di più facile che la morte? Ma l’omicidio! Lei, proprio lei, Maat in terra, come avrebbe potuto presentarsi di fronte alla Verità sulla bilancia e non poterle dire “non ho ucciso”, al momento della dichiarazione di innocenza? Se fosse diventata Faraone dopo Tuthmosis, solo per indispettire Isis, dopo aver ammazzato il marito, non sarebbe stata Horus e Seth in una sola persona, ma solo Seth.

Sospirò, appoggiandosi al muro. Stava mentendo. L’unico motivo per il quale sarebbe voluta essere faraone era per il suo amore per l’Egitto, la terra nera benedetta dagli dei; ironico come, per questo motivo, non poteva uccidere suo marito. Ma, se non lo faceva, non sarebbe restata altro che la regina e poi… «Senmut…» sussurrò, lasciandosi scivolare fino a terra. Non vi erano vie d’uscite al labirinto. Era mai possibile…?

«Che succede, piccola Hathor?»

Hatshepsut alzò leggermente lo sguardo, rispecchiandosi nei piccoli ma ancora vispi occhi neri della sua nutrice, dal viso ormai scavato dal tempo. Davanti a quella donna che si era sempre occupata di lei, si sentiva ancora una bambina piccola, scoperta a rubare le focacce dalla cucina reale. «No, nulla…» Esitò: le aveva sempre rivelato tutto, perché non far uscire anche questo demone? «Cosa penseresti se io… Se io…»

«Cosa?» la incoraggiò l’anziana donna. 

Hatshepsut sorrise debolmente. «No, nulla» Appoggiò a terra l’ampolla, spaccandola a metà con una pressione delle dita, lasciando che il veleno scorresse libero e inoffensivo. «Una mia fantasia» Si alzò, spolverandosi il vestito rosso. Teti le aveva detto di non fare cose di cui pentirsi? Bene, non l’avrebbe fatto, ma non per darle soddisfazione, ovviamente!

La nutrice continuò ad osservare il liquido scuro. «Micina» la chiamò, prima che lei si allontanasse nel corridoio. «Non ci sono solo io dalla tua parte. Amenhotep ti appoggerà in tutto, sai quanto ti voglia bene. Gehuty conosce il tuo operato e sa che saresti una sovrana straordinaria. Al tempio di Amon, poi, ti aspetta Hapuseneb, che per adesso è solo un sacerdote lettore, ma… chi oltre a lui legge le formule d’incoronazione?» Fece una leggera pausa. «E Nehesy, lo sai, ti ama»

Hatshepsut si fermò a riflettere. Gehuty, il tesoriere; Amenhotep, l’intendete di palazzo; Hapuseneb, imparentato addirittura con la dinastia di Ahhotep; Nehesy, il capo delle guardie di Waseb. Tutti personaggi influenti, ovviamente, ai quali poteva aggiungere Inebni, nipote della nutrice, e Useramon, suo precettore ora abitante di Men Nefer. Per la maggior parte si trattavano di personaggi influenti, che avrebbero favorito la sua ascesa al trono. Che la nutrice l’approvasse? «Che intendi?»

Ma l’anziana donna non le rispose, limitandosi a precederla verso le sue stanze private. 

***

«...il contadino lavora più di quanto possano le sue braccia e le zanzare lo uccidono...» Il principe Tuthmosis represse a stento uno sbadiglio, mentre ricopiava il testo per l'ennesima volta il testo sull'ostraka che aveva davanti, con la sua calligrafia sottile e affusolata. Le lezioni di scrittura lo annoiavano: avrebbe decisamente preferito allenarsi con la spada insieme ai guerrieri, oppure ricopiare storie più interessanti, come le memorie di Ahmes figlio di Abana, che raccontava le sue gesta da soldato durante la guerra contro gli Hyksos. Aveva dodici inondazioni alle spalle e già sognava le battaglie al fianco del padre, per conquistare territori ai vicini ittiti. Si distrasse, facendo scivolare il calamo più a lungo di quanto avesse dovuto.

Il maestro, con un'occhiata torva, si alzò per sgridarlo, ma fu interrotto dall'aprirsi della porta, quindi Isis si affacciò sulla soglia. i suoi grandi occhi neri erano rossi e gonfi, e alcune lacrime le bagnavano ancora le ciglia. Deglutì, fissando il maestro, bloccato in mezzo alla stanza, sorpreso. «Il Faraone... Sua maestà Tuthmosis II... E' morto...»

«Cos...?» Il principe, ancora seduto nella posizione di scriba, sbattè le palpebre. Le sue orecchie gli stavano giocando uno scherzo di cattivo gusto. Appoggiò lentamente il calamo e l'ostraka a terra, quindi si alzò e si voltò verso sua madre, con lo sguardo stupito e un'ansia nel cuore che cresceva ad ogni secondo di silenzio. La dea del silenzio non era colei che vegliava sulla "Grande prateria", ossia sulle tombe dei Faraoni? Il maestro, sconvolto, annuì all'indirizzo della donna ed lasciò in fretta la stanza.

«Papà... è morto?» Allo sguardo del figlio, Isis scoppiò nuovamente a piangere, chinandosi davanti a lui per abbracciarlo. L'inquietudine che si era formata nel suo cuore divenne un buco, sempre più grande, che minacciò di inghiottirlo. Tremò, scosso da leggeri brividi di terrore. «Io... Che cosa devo fare adesso?»

Isis gli accarezzò leggermente le guance. «Devi diventare faraone» disse dolcemente, sorridendo. «Non ricordi? Quel giorno, al tempio di Amon... La statua del Dio si è inchinata davanti a te, scegliendoti come prossimo sovrano...» Si alzò, stringendogli le braccia con le sue lunghe dita. «Fra settanta giorni, dopo la sepoltura, tu...»

«Lo so!» Tuthmosis si staccò di scattò da sua madre, voltandosi e concentrando lo sguardo sull'ostraka che aveva deposto a terra, come se fosse di importanza capitale. Sapeva bene tutto! Dopo settanta giorni di lutto, i sacerdoti di Karnax lo avrebbero incoronato e lui avrebbe preso il posto di suo padre sul trono di Osiride. Ma... Ma che cosa voleva dire diventare Faraone?! Essere Seth e Horus in una persona sola? Non riusciva a comprenderlo. Il cerimoniale e i doveri non avevano permesso a suo padre di stargli sufficientemente accanto per istruirlo. Alzò le mani, e le guardò tremare. Aveva paura, una paura da renderlo quasi folle. Non sapeva assolutamente da dove cominciare ad essere sovrano. Finora, si era solamente limitato ad eseguire ordini e ad ascoltare lezioni, ma, da quel momento in poi, sarebbe toccato a lui ordinare. Istintivamente, si toccò la treccia dell'infanzia, che scendeva ancora morbida sotto l'orecchio. Iside si era forse sentita come lui, quando Osiride era morto? Però lei non si era persa d'animo ed era corsa a cercarlo. Lui, chi avrebbe dovuto cercare? «Com'è morto?» domandò infine, solo per smettere di sentire lo sguardo interrogativo della madre sulla schiena, aperta dalle bastonate del maestro.

«Lo hanno trovato morto sul tavolo della colazione» spiegò Isis, dimostrando di avere in realtà poco affetto per Tuthmosis II. «Un malore, forse»

«Veleno!» fu invece la parola che si affacciò al cuore del principe, che si sentì come sollevato. Forse, aveva qualcosa da fare: vendicare suo padre, come Horus con Osiride! Con il pensiero di non essere inutile e incapace, uscì immediatamente dalla stanza, precipitandosi verso gli appartamenti reali. Lei doveva essere là! Le guardie cercarono di fermarlo, più con le parole che con i fatti, perciò lui riuscì senza troppe difficoltà ad entrare nella stanza della Grande Sposa Reale. «Hatshepsut!»

Lei non si voltò nemmeno, come lui si sarebbe aspettato, gridandogli contro per averla chiamata per nome, senza alcun titolo. Rimase seduta, voltandogli la schiena, con le braccia in grembo e il volto abbassato, davanti al letto dov'era stata sdraiata una donna, che Tuthmosis riconobbe come l'anziana nutrice della regina. «Non sei rispettoso nei confronti della morte» disse solo quest'ultima.

«Mi dispiace» Sorpreso dalla sua reazione, lui rimase fermo sulla soglia. «Hai saputo della morte di...?» Lei fece solo un leggerissimo segno d'assenso, talmente impercettibile che nemmeno uno dei suoi lunghi capelli si mosse. «Sei stata tu?» La domanda era secca, ma poco decisa. Infatti, il suo unico scopo era farla reagire, provocarla, perchè le sembrava troppo tranquilla rispetto alla normalità.

Hatshepsut si voltò repentinamente ad osservarlo, come spaventata. Una leggera goccia di sudore, che le appiccicava una ciocca alla fronte, le scese dolcemente sulla guancia, verso la bocca carnosa e semiaperta. Non era arrabbiata per il sospetto senza alcuna prova che lui aveva espresso, ma quasi offesa. Gli occhi tremolarono come l'immagine della barca di Khonshu che si rifletteva sul Nilo, e, per un attimo, sembrò che le lacrime uscissero da sole. «Il Faraone è lo sposo di Maat...» disse lentamente, con la voce che tremava non meno dei suoi occhi. «Io sono la sposa del Faraone...»

«Tu sei Maat...» terminò il sillogismo Tuthmosis, nuovamente in preda all'ansia. Più che per confermare i suoi sospetti sulla morte di suo padre, si era recato da lei per avere degli ordini. La conosceva come una donna forte e autoritaria, che sarebbe stata in grado di governare da sola. Poteva dargli risposte alle sue domande. Invece, si era ritrovato davanti una persona più debole e insicura di lui. Si era appena perso in un labirinto che non aveva uscita, o, meglio, non aveva nessuno che gliela indicasse. «E adesso, che cosa dobbiamo fare?»

Amenhotenp entrò nella stanza, riservando al ragazzo un'occhiata leggera, come se per lui contasse quanto le cavallette che infestano i raccolti. «Gli imbalsamatori sono arrivati» disse, rivolgendosi solo ad Hashepsut.

Lei si alzò, annuendo nella sua direzione. «Dobbiamo conservare un lutto di settanta giorni, dopo l'Egitto avrà bisogno di noi» Poggiò un istante la sua mano sopra la spalla di Tuthmosis, leggera come una foglia che sfiora gli oggetti prima di cadere al suono. «Cerca di fare qualcosa anche tu»

"Fare qualcosa..." Questa frase tormentò Tuthmosis per i restanti settanta giorni, senza che lui riuscisse a trovare una soluzione ai suoi problemi. Neppure in quel momento, neppure nel giorno della sua incoronazione, sapeva con certezza quali sarebbero stati i suoi doveri. Mentre si sedeva sul trono, cercò con gli occhi la figura esile di Hatshepsut, ma, circondato com'era dai sacerdoti che rappresentavano le divinità, non riuscì a vederla. Individuò invece sua madre, alla quale era stato dato il ruolo di Uadjet, che sorrideva.

Un sacerdote, interprete di Seth, gli posò sul capo una corona bianca, una lunga mitra oblunga. «Lo hedjet» Tuthmosis, sentendo quel peso sulla testa, strinse ancora più forte le mani sullo scettro e sul flagello che stava tenendo, rimpiangendo la treccia dell'infanzia che gli era stata tagliata. Si alzò lentamente, com'era da rituale, mordendosi una guancia. Certo che sua madre sorrideva! Lei non era al suo posto. Si risedette, aspettando che il sacerdote che interpretava Horus gli facesse indossare anche la corona rossa, un casco con la parte superiore piatta dotata, nella parte posteriore, di un'alta appendice. Quando si rialzò, per mostrarsi ancora al popolo come "il sole all'orizzonte", riuscì a vedere Hatshepsut e trattenne a stento un leggero "oh" di sorpresa.

Mentre si dirigeva sull'altro trono, dove lo aspettavano le dee Uadjet e Nekhbet, per riunire le Due Terre sotto di lui, sentì il suo cuore sprofondare nelle viscere della terra, pasto favorito della Divoratrice. Lei c'era riuscita: in settanta giorni la pianta marcia era rifiorita, illuminata dal sole e bagnata dall'acqua del Nilo, riprendendo la bellezza e la forza di un tempo. Osservò con malcelata indifferenza le due donne che, dopo averlo incoronato con lo sekhemty, ossia con l'unione delle due corone, posavano ai suoi piedi la colonna circondata di papiro e di loro, a simbolo delle due terre. Doveva ammettere a sè stesso: nonostante il disprezzo che provava per la sua matrigna per come si comportava con suo padre, lei era decisamente più brava di lui, e possedeva un ka più potente. "Fare qualcosa..."

Stava eseguendo il rito del "giro del muro", perciò non si poteva dire che non cercasse di darsi da fare, eppure non era soddisfatto. Conosceva il significato di quella procedura, ma non la sentiva interamente sua. Non era diventato Horus e Seth, nè il Faraone delle due terre: era rimasto solo e semplicemente il principe Tuthmosis, con una corona troppo importante e pesante sulla testa, null'altro. questo pensiero lo tormentava: desiderava andare in guerra, sconfiggere gli ittiti, rendere grande l'Egitto... Invece si rendeva conto di essere solo un incapace. Si risedette sul trono, allentando la presa sugli scettri, sentendosi estremamente stanco.

«Stai bene?» Su un'altro trono accanto a lui, la Grande Sposa Reale, Marytre, più giovane di lui, lo guardava con occhi grandi e preoccupati. «Mi sembri triste...»

«Tutto bene» mormorò lui, guardandola di sottecchi. Quella bambina era sua moglie e la sua sorellastra. Qual'era il suo ruolo? E lui, cosa doveva fare con lei? Era totalmente indifferente nei suoi confronti. Fissò lo sguardo a terra, per non guardare più gli occhi fin troppo perspicaci di Marytre, che, se non possedeva la stessa forza d'animo della madre, aveva comunque il potere di sconvolgere le persone con la sua franchezza innocente, tipica di Maat.

Sentì il sacerdote che interpretava Horus dire, con la sua voce forte: «desheret» Tuthmosis alzò lo sguardo in tempo per vedere il dio falco posare la corona sulla testa di Hatshepsut, che si alzò quindi per mostransi al popolo, il quale si inchinò con maggior enfasi e maggior gioia di quanto non avessero riservata a lui. Ma non doveva essere solo la reggente? Lo sguardo di lei guardava fieramente di fronte a sè, ed un leggero sorriso sicuro le increspava le labbra carnose, mentre scrutava la folla con occhi neri e decisi. Non vi erano più nuvole scure nel suo mantello di Nut, e i lineamenti del suo viso, tesi e concentrati, ricordavano da vicino i volti impressi nella pietra dei faraoni del passato e che Tuthmosis aveva ammirato più volte in compagnia del padre.

La piccola mano di Marytre gli sfiorò il braccio. «Io non capisco molto» ammise. «Ma sembra che abbiano incoronato la mamma...»

Tuthmosis annuì vagamente, non potendo darle torto. In fondo, per tutti sarebbe stato molto meglio essere governati da lei, cosciente dei suoi compiti, che da lui, un piccolo ragazzino ignorante e incapace. "Fare qualcosa..." Anche rimanere a guardarla era fare qualcosa? No, non sarebbe rimasto nell'ombra. L'Egitto, un giorno, l'avrebbe persa e, se non fosse riuscito a riprendersi, la terra che tanto amava sarebbe precipitata nel caos primordiale da cui Amon, suo padre, l'aveva liberata. "Fare qualcosa..." Si, imparare ad essere come lei. Alzò lo sguardo sulla folla e cercò di assumere lo stesso atteggiamento.

Hatshepsut gli scoccò un'occhiata in tralice, quasi sorpresa del suo atteggiamento, cambiato in un istante. Non se ne curò troppo, perchè non era quel ragazzo che doveva impressionare. «Guardami, Teti» pensò, fissando la folla. «Guarda il Faraone Maatkara Khenemet-Imen» E, camminando lungo il muro, come in precedenza aveva fatto anche Tuthmosis, ripensò al funerale del giorno precedente.

 

Reviews:

Ayu-chan: Ciao ^^ Dai disegni che ho visto, l’indole dell’artista ce l’hai eccome!^^ Davvero Teti ti somiglia? Che coincidenza! No, io generalmente mi sforzo di lottare ma perdo costantemente, perché sono troppo pigra per impegnarmi veramente ù_ù Che scansafatiche che sono… I libri te li ho consigliati già in chat, che dire… Spero che ti piacciano! Bye ^^

Tiger Eyes: Ciao ^^ Allora grazie mille per l’aiuto ^^ Non preoccuparti, prenditi pure tutto il tempo che vuoi per la mail, tanto per adesso la storia la finisco così come l’ho progettata la prima volta, poi vorrei dedicarmi all’altra prima di riprendere questa… E anche per l’altra ci vorrà parecchio tempo perché voglio che venga proprio bene bene, non come questa che tutto sommato ho dovuto anche fare in un tempo stabilito, per via del concorso. Aspetterò quindi tue notizie prima di “sfruttarti” (perdonami!) per la storia sulla prima piramide (progetto per il quale vorrei proprio discutere con te perché ho una certa idea in mente e vorrei avere la tua opinione) ^^ Credimi, le mie conoscenze non sono poi così vaste come sembra (basti pensare che io sapevo che Tuthmosis aveva distrutto il nome della matrigna subito dopo l’incoronazione O.o…)… So solo che vorrei continuare a “studiare” per sapere ancora di più, molto di più! Anche se so che la vera cosa che vorrei conoscere è impossibile da capire…^^’’ Si, sapevo la storia dei nomi (non deriva dalla leggenda di Amon e Iside, in cui lei afferma “colui il cui nome viene pronunciato resta in vita?” o qualcosa di simile, perché adesso non ricordo le parola esatte ^^’’), solo che 1-scrivere tutte le volte Hatshepsut era lungo (la solita pigra -.-’’) e 2-volevo dare un senso di “familiarità” al rapporto tra Teti e Hat e perciò ho utilizzato il nostro sistema, non conoscendo quello egiziano :-P Comunque alla fine sono riuscita a infilarci anche il tempio ^^ Mi è bastato modificare un pezzo, visto che in origine Teti si sarebbe dovuta occupare della cappella a Karnak… ma così è meglio! Grazie per i consigli! E anche per i complimenti ^///^ Che concorso pubblico tenti? In ogni caso, in bocca al lupo ^^ Bye^^

   
 
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