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Autore: Dira_    25/04/2010    12 recensioni
La guerra è ormai finita, Harry è un auror e sta per avere il suo secondo bambino.
Degli strani sogni e la misteriosa comparsa di un neonato decisamente particolare turbano la sua pace, tornando a scuotere la famiglia Potter sedici anni dopo, quando Tom, il bambino-che-è-stato-salvato, scoprirà che Hogwarts non solo nasconde misteri, venduti come leggende, ma anche il suo oscuro passato...
La nuova generazione dovrà affrontare misteri, intrighi, nuove amicizie e infine, l'amore.
“Essere amati ci protegge. È una cosa che ci resta dentro, nella pelle.”
Può davvero l’amore cambiare le carte che il destino ha messo in tavola?
[Next Generation]
Genere: Azione, Mistero, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Albus Severus Potter, James Sirius Potter, Nuovo personaggio, Rose Weasley, Scorpius Malfoy
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nuova generazione
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Doppelgaenger's Saga' Questa storia è tra le Storie Scelte del sito.
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Grazie ancora a chi mi ha recensito. Per rispondere alle domande di alcuni, la fic finirà entro, probabilmente se non prima, il capitolo 50 secondo la mia numerazione, il che significa tra circa una decina di capitoli. ^^
@Rorothejoy: Grazie ^^ Sì, c’è già in mente un sequel di questa boiatella, anzi, già scritto l’introduzione e deciso il titolo. Sarà un po’ più het, ma non mancherà lo slash, sovrano! XD
@altovoltaggio: certo che ha a che fare con la tua recensione! Istintivamente hai usato la parola giusta. E poi c’è da dire che uno dei passatempi preferiti di Tom Lo Stratega sono proprio gli scacchi, ergo… XD Hai capito esattamente il motivo per cui quel furbone di Doe ha usato la bacchetta di Tom. ;) La questione del flusso magico è semplice: Jamie è l’unico ad aver ereditato la simpatica caratterisca che, quando si arrabbia, perde il controllo dei propri poteri e fa esplodere roba, come il papà. ^^

@Trixina: Grazie XD Per la bacchetta di Tom… errore mio. In realtà è simile a quella di Harry (e quindi sì, di Voldemort) ma non avrei dovuto metterci la piuma di fenice, come mi ha fatto notare un’altra ragazza, considerando che raramente le fenici concedono le proprie piume. C’è solo un’analogia, sensata, ma solo quella comunque. ;) Grazie per i complimenti!
@Simomart: Grazie per i complimenti! Devo ammettere che le scene d’azione mi riescono meglio delle altre, e sì, il parallelismo è un po’ voluto. Del resto, i figli spesso somigliano ai genitori, pur non essendo delle loro copie. Per quanto riguarda Doe, sì, è un mercenario. Come ha fatto spesso notare fa quel che fa perché è pagato (e sì, anche perché è un sociopatico pazzo che si diverte nel suo lavoro xD) e Tom c’entra con i Doni della morte, ma NON è uno dei doni della morte che sono tre e rimarranno tre. XD Doe comunque sì, non ha tenuto conto del fatto che Tommy avrebbe spifferato tutto ad Al. Hai notato i tanti piccoli indizi che ho lasciato, quindi GRAZIE. A volte penso di essere proprio negata nel thriller. T_T
@NickyIron: Ciao! Grazie per la segnalazione, è stata una mia leggerezza, in effetti non è possibile che abbia una piuma di fenice. Provvedo a correggere. ;) La fenice non è un caso, no, tornerà e sarà importante. Grazie per seguirmi!

 
 
****
 
 
Capitolo XL






I've got this feeling that there's something that I missed

Every second, dripping off my fingertips
A clock is ticking, but it's hidden far away
(Somewhere a clock is ticking, Snow Patrol)¹




Hogwarts, due del mattino.
Corridoio.

 
Teddy si era assicurato che effettivamente Rose e Scorpius fossero tornati alla propria Casa.
Poi era corso, bacchetta alla mano, verso l’ufficio della Prynn.
Non poteva crederci. Di essere stato così ingenuo. Di non aver capito chi si nascondesse dietro il sorriso di quella donna. I ragazzi non potevano aver mentito. Ed era questo che lo sconvolgeva.
Avevano avuto il responsabile, o a questo punto considerando i fatti, uno dei responsabili di tutto ciò che era successo in quei tre mesi, sotto il naso. E nessuno di loro, nessuno, se ne era reso conto.
Quando arrivò al piano dove era locato l’ex ufficio della McGrannit ingoiò un sussulto e serrò la presa sulla bacchetta. La pesante porta di noce dell’ufficio era spalancata.
Si avvicinò di soppiatto, ascoltando i suoni che provenivano all’interno. C’era qualcuno.

Mise le spalle al muro della porta e poi con un movimento fluido - non pensava di ricordare così bene l’addestramento auror - spianò la bacchetta di fronte a sé.
Se ne trovò un’altra davanti e il viso pallido e spaventato…
Di James.
James!” Abbassò la bacchetta. Il ragazzo non fece lo stesso. Tale era l’adrenalina che lo guardava con gli occhi sgranati dalla paura e il respiro affrettato. “James, fermo, sono io!”
Il ragazzo sussultò di colpo, facendo un passo indietro. “Teddy…” Articolò.

Dietro di lui, un corpo a terra.
La Prynn, morta e accanto Albus, appoggiato ad una delle scansie, che lo guardava con sguardo gemello di paura e confusione.
“Ragazzi, cosa diavolo ci fate qui? Cosa… che è successo?”
Al aprì la bocca per rispondere ma non ne uscì alcun suono. Scosse la testa un paio di volte.

“L’abbiamo trovata così.” Rispose per lui James, abbassando il braccio. “L’abbiamo trovata così e…”
Rumori sopra e alle spalle di Teddy lo avvertirono che i fantasmi avevano fatto il loro lavoro. Il castello si era svegliato.

“Dovete andarvene. Subito.” Decise in fretta. “Non dovreste essere qui…”
“La bacchetta…” Mormorò Al, guardando il cadavere della donna. “Tom…” Singhiozzò, senza lacrime.

“L’hanno rapito. Ci sono riusciti.” Ringhiò James. “L’hanno portato via attraverso il camino.”
“Il camino?” Teddy ricordava che l’unico collegamento con la polvere volante in tutto il castello era quello nell’ufficio del preside.

L’ha riattivato. Mio Dio. Nessuno, nessuno di noi si è accorto di nulla.
“Sì, il camino. Quando siamo entrati lei era già morta e il camino… Era… era stato appena usato.” James sembrò scollare le parole dal palato. Raggiunse il fratello, tirandolo via dall’angusto spazio in cui si era rifugiato. Al non oppose resistenza, ma Teddy, seguendo il suo sguardo vide qualcosa che non avrebbe mai voluto vedere.
C’era una bacchetta a terra. Non la riconobbe, non subito. Poi lanciò uno sguardo a James, come a chiedere spiegazioni. E capì.
“È di Tom…” Sussurrò il ragazzo, stringendo la presa sul braccio del fratello. Teddy ricordò come era raro che si toccassero quei due, se non per punzecchiarsi o azzuffarsi. In quel momento James sembrava fare di tutto per tenerselo vicino.
“Va bene.” Disse, sperando di suonare convincente. “Va bene, ora tornate ai vostri…” Esitò, cambiando idea. “Jamie, porta Al con te alla Torre. Non restate soli, per nessun motivo. Io resterò qui ad aspettare gli altri professori.”
“Perché?” Sussurrò Al. “Se n’è già andato… l’intruso.” 

“Non ha importanza. Non voglio comunque che restiate separati. In ogni caso, non potete restare qui.”
James non replicò, limitandosi a tirare Al. In quel momento sembrava avere tutta l’intenzione di andarsene il più in fretta possibile. Poteva capirlo. Avrebbe voluto farlo anche lui.
“John Doe.” Mormorò Al, inchiodandosi di fronte alla porta. “È stato John Doe. Il rapitore, quello che ha portato via Tom.”
“Al…” Lo strattonò James. “Che cazzo stai dicendo? Andiamo.”
“Tom non c’entra niente. È stato lui, è stato John Doe!” Il tono della voce di Al era un crescendo. Ad un certo punto parve persino spezzarsi. Inspirò. “Non c’entra niente, non voleva!” La cosa che più inquietò Teddy fu vedere gli occhi del minore dei Potter completamente asciutti, privi di qualsiasi emozione che non fosse una genuina e completa angoscia. “Teddy, lui non voleva!”
“Va bene Al…” Gli sorrise appena: farli rimanere lì non era una buona idea. Albus non avrebbe retto una raffica di domande e forse anche recriminazioni. Era così pallido che sembrava stesse per svenire da un momento all’altro.

Merlino, sta per avere un crollo nervoso
 “Va bene, ho capito. Lo troveremo, sta’ tranquillo.” Fece un cenno a James, che lo tirò via, sebbene con una certa goffa premura.
Quando se ne furono andati, e sperò davvero che non incontrassero nessuno sulla loro strada, Teddy guardò il volto di pietra di Ainsel, congelato in uno spasimo di sorpresa.
Si sentì la bocca secca.
Avada Kedavra.
Un morto, una bacchetta a terra e uno studente, Tom, sparito. E solo un nome.
John Doe. Come dire Signor Nessuno.
Sentì dei passi dietro di sé, e si voltò. Il preside guardava incredulo il corpo della Prynn e dietro di lui, con i mantelli lucidi di pioggia, con ore di sonno arretrato e i visi stanchi e tirati, Harry e Ron.
Ted non disse nulla, aspettò che Harry abbracciasse con lo sguardo l’intera scena.
“Siamo arrivati troppo tardi.” Sussurrò l’uomo, passandosi una mano sulla fronte.

“C’è dell’altro…” Disse a quel punto il giovane. “Harry, James ha detto che il Mantello è sparito. Il mantello dell’invisibilità.”
 

****
 
 
Hogwarts, due del mattino.
Torre Grifondoro, Sala Comune.
 
 
Rose fissò per circa la ventesima volta le lancette del grosso orologio sopra il camino.
Era enorme e per certi versi piuttosto di cattivo gusto, dipinto con lacche rosso e oro.
Scandiva il tempo con le panciute lancette di ottone, lentamente.
Erano passate da poco le due. Del mattino.

Scorpius stava accanto a lei, con un braccio attorno alle sue spalle. La seta della sua vestaglia era incredibilmente calda, e sapeva di pulito.
Era felice che fosse lì.
James fissava le fiamme del camino, ostinatamente, cercando di non guardare l’orologio, e finendo inevitabilmente per lanciargli uno sguardo ogni dieci secondi circa. Rose l’aveva cronometrato.
E Al…
Serrò appena le labbra, lanciando uno sguardo al cugino. Era seduto sul davanzale di una delle finestre, e non aveva aperto bocca da quando James l’aveva letteralmente spinto attraverso il buco del ritratto.
Fissava fuori dalla finestra, e sembrava piccolo e incredibilmente indifeso dentro i vestiti spiegazzati. Era quasi certa che avesse un labbro gonfio per chissà quale colpo. James non aveva detto niente, e lei non aveva chiesto. Ma tra le occhiate all’orologio, ne aveva anche intercettata una, colpevole, rivolta al fratello.
Era fuori di sé quando è scappato. Non mi stupisce che Jamie abbia dovuto fermarlo con la forza. Quando vuole è testardo come una mandria di muli.
Erano passati solo dieci minuti da quando James e Al erano entrati, eppure sembravano ore.
La faccia dei fratelli Potter era stata una doccia fredda. Rose non aveva mai visto James con un’espressione del genere addosso.
Né lei né Scorpius avevano ancora trovato il coraggio di aprire bocca.
Tirò un sospiro; sopra di loro i compagni stava dormendo il sonno dei giusti, ignari di cosa si stesse scatenando fuori dalle mura protettive della torre. Lily e Hugo, la mattina dopo si sarebbero svegliati, vestiti e diretti verso la Sala Grande, con pensieri oscillanti tra la fame e la noia delle lezioni.
Rose in quel momento avrebbe dato tutto per far parte della schiera di ignoranti e strisciare sotto le coperte calde della sua stanza.
Sentì i capelli di Scorpius sfiorargli la guancia. Si voltò, e vide che la fissava.
“Chiediglielo.” Disse soltanto, premendole le labbra contro la tempia. Era quasi irreale, in quel momento, quel contatto. Servì però a Rose per riscuotersi dalla sua apatia.

Si alzò in piedi, sciogliendosi dall’abbraccio del ragazzo. Albus non si era spostato di un millimetro. Gli si sedette accanto.
“Al.” Gli posò una mano sul ginocchio. Era freddo e rigido. Accanto alla finestra faceva piuttosto freddo. “Che è successo?”
Il ragazzo non rispose. Continuò a fissare la finestra, ma era chiaro che non stesse guardando proprio un bel niente. Se Rose non l’avesse conosciuto bene, avrebbe detto che era sotto-shock.

Invece stava solo pensando. Al, sebbene a volte soffrisse di un’orribile forma di impulsività, repentina come il morso di un serpente, poi finiva inevitabilmente per pensare. Rielaborare.
Era il suo modo per gestire lo stress, aveva commentato una volta sua madre; estraniarsi dal mondo e macinare meccanismi mentali.
“L’hanno… rapito, vero?” Lanciò uno sguardo a James, che annuì, impercettibilmente.
“C’era la sua bacchetta.” Disse finalmente il serpeverde. Gli tremava la voce, ma era più ferma di quanto avesse pensato, considerata la situazione. “Chi l’ha rapito ha ucciso la professoressa Prynn e l’ha disarmato.”
Rose sentì di nuovo quella strana sensazione di irrealtà. Stava davvero succedendo a loro?
“Perché l’hanno rapito?”
“Non lo so.”
“Ma…”
“So quello che mi ha detto Tom so che la Prynn aveva un complice, John Doe. E so che lo sapeva, quando la Prynn l’ha portato via. L’aveva capito, che la professoressa… e mi ha allontanato. Ed io…” A questo la voce gli si ruppe. “Io gliel’ho lasciato fare.”  
“Ha cercato di salvarti il culo, idiota!” Sbottò James. “Forse l’unico che si è comportato in modo sensato è stato proprio lui!”
“Devi dirci cos’è successo.” Esordì Scorpius. Si alzò dal divano, infilandosi indolentemente le mani nelle tasche della vestaglia. “Apriranno un’indagine per scomparsa di mago minorenne. E per come mi sembra di aver capito che stiano le cose, non credo che Dursley si trovi in una bella posizione.”
“Che intendi dire?” Mormorò confusa Rose. Era chiaro che Tom fosse una vittima. Cos’altro poteva essere?

Al invece si morse un labbro, lanciando uno sguardo di sottecchi a Scorpius. “Sarà sicuramente mio padre ad occuparsi delle indagini. Tom non sarà indagato.”
“Tuo padre? E dimmi, Potter, tuo padre di cosa è capo? Ricordamelo.”
“Dell’Ufficio Auror, che domande idiote!” Sbuffò James. “La pianti con questa retorica da due soldi e arrivi al punto?”

Scorpius sospirò, lanciando loro un’occhiata esasperata. “L’ufficio auror si occupa della cattura dei maghi oscuri. Maghi oscuri. Non rapitori di maghi minorenni. Non è una delle loro competenze. Non ci arrivate? Il vostro eroico padre non è autorizzato a condurre nessun tipo di indagine.” Si massaggiò il retro della nuca, come se sentisse una fitta all’idea che potessero essere stati tanto ingenui. “Non da quando si è scoperto che il pazzo che ha liberato i Naga non era un mago oscuro. E già lì era palese abuso di potere, secondo mio padre. Pare che abbiano chiuso un occhio perché si trattava di Harry Potter.” Scandì con uno sbuffo. “Ma non stavolta. Il Ministero non permetterà altri conflitti di interessi. Incaricheranno un altro ufficio di indagare sulla sparizione. Quindi, per riassumere, ad Al conviene condividere quello che sa con noi… Pare che più testimoni possibili alla difesa aiutino.”
“Ma di che stai parlando?!” Sbottò James confuso. “Tommy sarà pure antipatico come avere un dorsorugoso su per il culo, ma è stato rapito.”
“A rigor di logica, l’ha detto Al, la Prynn l’ha portato via con sé, e lui non ha opposto resistenza. E parliamo del Mantello dell’invisibilità. Quanti sapevano che ce l’avevi tu?”
James non replicò a questo. Lanciò invece uno sguardo al fratello, che era impallidito e sfuggiva allo sguardo degli altri. “Albie? Che cazzo vuol dire? Malfuretto ha ragione?”

Albus si passò una mano trai capelli, lanciando uno sguardo ai tre: aveva sperato che non giungessero a troppe conclusioni; pretesa ridicola considerando che sia Rose che Scorpius erano peggio di quella coppia di investigatori babbani, Sherlock e Holmes.  
Non ha opposto resistenza. Non c’erano segni di lotta. La sua bacchetta era abbandonata a terra, e Tom non l’avrebbe mai lasciata, si sarebbe fatto amputare un braccio piuttosto…
Non è stato Tom. Maledizione. È stato incastrato.
Lanciò uno sguardo alle espressioni confuse e di attesa dei tre.
 “Al.” Lo riscosse Rose. “Tom quant’è coinvolto in questa storia?”
Ma come faccio a spiegarvelo e farvelo accettare come io l’ho accettato?
 
 
 
****
 
 
Hogwarts, due e mezzo del mattino.
Ufficio della professoressa Prynn.
 
“Non ci sono segni di lotta, Harry.” Esordì Ron, dopo aver lanciato un lungo sguardo valutativo alla stanza. “L’omicidio della Prynn è stato veloce, e premeditato. Lei non se lo aspettava, il suo omicida invece aveva programmato di farlo.” Indicò il viso della donna. “È stata sorpresa.”
“Sì…” Harry si tolse gli occhiali, per massaggiarsi la sella del naso. Era stanco, furioso. Erano anni che non provava quella sensazione di accecante impotenza. Dalla sua adolescenza, per la precisione.

E non è decisamente una bella sensazione.
“È terribile…” Sussurrò il Preside. “Terribile, uno studente rapito. Sotto i nostri occhi. Organizzato per mesi… come abbiamo potuto non accorgerci di nulla? Come ho potuto far entrare questa donna qui, e lasciargli studiare le sue abitudini, fare in modo che si guadagnasse la fiducia di tutti noi?”
“Nessun poteva sospettare nulla, preside.” Cercò di consolarlo Ted. “Ainsel era… al di là di ogni sospetto.” Lanciò uno sguardo ai due auror. “Ha aiutato ad organizzare la festa di Halloween. Gli studenti la adoravano e avevamo tutti molta considerazione per lei, come docente.”
“La festa di Halloween, cioè quando sei stato aggredito.” Harry fece una smorfia. “Durante le feste c’è un continua via-vai di persone da Hogsmeade, per cibo, attrezzatura, costumi. Brillante, innegabile. John Doe sarebbe potuto entrare indisturbato in qualsiasi momento della giornata.”

Il preside si passò le mani sul viso. “Come abbiamo potuto essere così ciechi?”
“Non si dia colpe che non ha, professore.” Sospirò Harry. “Se potessimo leggere le intenzioni delle persone, la nostra vita sarebbe più semplice. Purtroppo neanche la legimanzia ci riesce, e sì che è quanto più simile alla lettura del pensiero che esista.”
Se mi fossi mai preso la briga di impararla da ragazzo, con Piton, forse adesso avrei capito cosa passava per la mente di Thomas… Cosa lo tormentava, invece di fare sciocche congetture.

Vere a questo punto, ma non sufficientemente supportate da fatti per farmi muovere.  
“Adesso?” Si informò Teddy.
“Dirameremo un ordine di cattura per questo John Doe. Certo, aiuterebbe se qualcuno l’avesse visto in faccia. O che non avesse un mantello dell’invisibilità per nascondere se stesso e Tom.” Commentò con un lieve sospiro. Ron gli lanciò un’occhiata attenta.

Lo so, amico mio…
Ron era il metro del suo giudizio. Per quanto da ragazzo avesse più o meno coscientemente fatto della sua bandiera l’infrangere le regole, nell’età era diventato un monumento alle procedure. Le conosceva tutte, e fungeva da grillo parlante quando lui dimenticava – o fingeva di dimenticarne una.
Che poi fosse ascoltato o meno, come commentava sempre, era un altro discorso.
Harry sapeva cosa diceva lo sguardo dell’amico: non erano autorizzati a fare un bel niente. Quel caso si presentava come sparizione di minore.
Nulla, quindi, che possa interessare l’ufficio Auror.
“Qual è il problema, Harry?” Lo riscosse dai suoi pensieri il figlioccio. Gli sorrise.
Teddy ha un empatia straordinaria.

“Il problema è…”
 
“Il problema è che il Signor Potter non è autorizzato a condurre questa indagine.”


La voce fredda e formale suonò come uno sparo dentro la stanza.
Harry si voltò per trovarsi di fronte ad una delle tante facce della sua adolescenza. Una delle più antipatiche, per giunta.
Zacharias Smith. Aveva saputo anni prima di come fosse stato promosso sergente nei Tiratori Scelti, la seconda forza magica del Ministero, assimilabile per certi versi allo Scotland Yard²

del mondo babbano. Avrebbe riconosciuto quel naso schiacciato ovunque. Sfortunatamente le calvizie aveva del tutto eliminato la famosa zazzera bionda per cui era tanto celebre da ragazzo.
Accanto a lui c’era il professore di Aritmazia, Finch-Fletchley, e altri due Tirati Scelti, in borghese. Il professore sembrava confuso quanto il Preside. “Ha detto che il caso di rapimento di Dursley è stato assegnato a lui…” Mormorò, guardando in direzione di Harry e Ron.
Ed ha tutte le ragioni per dirlo… – Pensò Harry, fingendo un sorriso. “Zacharias, è un peccato rincontrarci in queste circostanze, dopo tanti anni…”
“Taglia corto, Potter.” Lo interruppe spiccio. “Devo chiederti di lasciare la scena del delitto e portare via i tuoi… sottoposti.” Soggiunse con evidente sarcasmo, lanciando uno sguardo sia a Ron che a Teddy.

“Il professor Lupin è un testimone, mi risulta. Oltretutto, lavora qui come docente.” Gli fece notare con pacatezza, nonostante dentro ribollisse all’idea che neppure gli anni avevano scalfito la pomposità di quel pallone gonfiato. 
“Come se non sapessi che ti ha mandato a chiamare lui. Sbaglio o è il tuo figlioccio? Uno dei tuoi, praticamente.” Replicò l’uomo, con un sorrisetto di sufficienza. “In ogni caso lo interrogherò, non preoccuparti. Ora, se non ti spiace, devo rinnovarvi l’invito a lasciare il castello.”
“Si tratta del nipote di Harry, Smith.” Sbottò Ron, lanciandogli un’occhiataccia. “Non potresti avere un po’ di tatto, per la miseria?”
L’uomo lo guardò irritato. “Lo sto avendo, Weasley. Non l’ho arrestato, per esempio, per abuso di ufficio e delle proprie competenze. Il Ministero sa che stavi continuando ad indagare sulla faccenda dei Naga, Potter. È già stato inoltrato un procedimento disciplinare. Quindi fatemi il favore. Levatevi dai piedi e lasciatemi fare il mio lavoro.” Sorrise sottile. “Voi avete i vostri pericolosi maghi oscuri a cui badare, o mi sbaglio?”
Harry afferrò un braccio di Ron, di scatto, vedendo le orecchie dell’amico virare pericolosamente al rosso. “Figlio di…!”
“Andiamo, Ron. L’agente Smith ha ragione.” Gli costava enormemente lasciare tutto nelle mani di quell’imbecille, che ancora conservava livore per gli anni scolastici. Non era tranquillo a lasciare la salvezza di Thomas nelle sue mani. Ricordava di come fosse stato visto scappare via, durante la battaglia di Hogwarts, spintonando via primini. 

Per reduci come lui e Ron, quello era sufficiente per non lasciargli neppure in mano un caso di lite tra vicini.
Ma non spetta a noi decidere…  E non possiamo restare neppure qui. Questo è l’ultimo chiaro richiamo di Kingsley.
Andandosene strinse appena la spalla di Teddy con una mano. Il ragazzo gli lanciò uno sguardo. E capì.
Sorrise leggermente e Harry vide in quell’espressione gli occhi di Remus quando gli aveva detto che sì, lasciava casualmente la mappa del Malandrino sulla scrivania.

Hai ragione, Zacharias. Teddy è uno dei miei ragazzi.
Ed io non lascio i miei ragazzi nei guai.
 
 
 
****
 
 
L’imperio non era un incantesimo totalizzante.
Per certi versi, dipendeva da chi e da come veniva eseguito. I principianti, riuscivano solo a strapparti un breve stordimento e qualche ordine mal digerito. Un mago dotato di una forza di volontà nella media riusciva ben presto a liberarsi.
I più abili, invece, ti lasciavano chiuso nelle pareti della tua mente, in uno spazio bianco infinito, in cui il senso del tempo si annullava e la tua coscienza vagava priva di punti di riferimento.
Chi l’aveva subito una volta, subito davvero, lo ricordava per il resto della sua vita come un sogno orribile, perché neutro e senza fine.
Tom, quando si risvegliò, capì che non era più sotto imperio perché si rese conto di essere in un dove, una stanza umida e fredda e in un quando, la luce dalla feritoia di una finestra sprangata era pallida, lattiginosa. Era la luna.
Ha smesso di piovere…
Si rese conto di avere le mani legate dietro la schiena. La corda era spessa, robusta e umida e gli serrava i polsi in una morsa bruciante.
Gli occhi ci misero un po’ a mettere a fuoco l’intero arredamento della stanza. Dopo una manciata di attimi, ricordò tutto.

Al, la confessione, il bagno, la Prynn… con Doe. L’ha uccisa.
Sentì un sapore disgustoso alla bocca dello stomaco. Gli occhi gli dolevano e facevano fatica a mettere a fuoco. Sembrava trovarsi nella stanza in cui si era incontrato per la prima volta con Doe. Il camino all’angolo, morto e freddo. La sagoma delle due poltrone, del tavolino…
Eppure c’era qualcosa che non andava. Era come se fosse tutto immerso in una nebbia filamentosa.
E il pavimento, che avrebbe dovuto essere di legno, aveva l’odore della terriccio bagnato.
Dove sono?
Sentì un rumore di passi alla sua destra e poi una luce accecante, che risultò essere quella di una candela. Distolse lo sguardo, abbacinato.
“Oh, ti sei svegliato. Pensavo avresti dormito tutta la notte. Beh, meglio così. Risparmiamo tempo.”
Doe.

I lineamenti del suo viso, ora riconoscibili alla luce della candela, erano di una tranquillità agghiacciante.
In quel momento capì quanto fosse terrificante la banalità del viso di John Doe.
Chiunque può uccidere. La banalità del male.³
Doe tirò un lieve sospiro e Tom sentì l’odore acre del fumo riempirgli le narici; si era acceso una sigaretta.
“Quella Prynn. Non sono misogino Thomas, non fraintendermi, ma le donne non sono proprio tagliate per la strategia. Voglio dire, pensava davvero di aver fatto un accordo!” Fece una breve risata. “È divertente, in un certo senso. Dove possa arrivare l’essere umano per ambizione.”

Non disse nulla. Doveva esserci un modo per liberarsi e fuggire da lì.
Qui dove poi? Sono nel villaggio in cui sono stato materializzato la prima volta? No. C’è qualcosa di strano. Questo posto ha l’odore…
Lo conosceva, quell’odore. Chiuse gli occhi. Sì. Era lo stesso odore che per anni aveva sentito, tutte le estati, quando passava i pomeriggi a giocare a nascondino con Albus.

Una grotta. È l’odore dell’interno di una grotta.
“Dove siamo?” Chiese. “Questa non è la casa.”
Doe inarcò le sopracciglia. Era seduto accanto a lui, alla sua altezza. “Beh, a quanto pare l’incantesimo sta perdendo il suo effetto.” Fece una pausa. “No, non è la casa.”
“Dove siamo?”
“Lo sai dove siamo. Sei un ragazzo intelligente, Thomas.”
“In una grotta.” Strattonò leggermente le corde, inghiottendo un gemito quando sentì la pelle tendersi dolorosamente. “Perché mi hai tolto dall’imperio?”
“Perché devo mostrarti delle cose. E sotto imperio non capiresti più di un bambino di pochi mesi.” Sospirò, alzandosi in piedi. “Un lavoraccio, il mio. Fortunatamente, ben pagato.”
“Perché mi hai rapito?”

“Perché sono pagato. Sono un mercenario, Thomas.” Scrollò le spalle. “Per certi lavori bisogna avere un certo distacco emotivo. Chi mi ha chiesto di recuperarti è… piuttosto coinvolto nella tua storia personale. E poi non parlerei di rapimento. Io ti sto solo recuperando. Sei stato rapito quando eri un neonato.”
“Da Artemius Coleridge.”
“Esatto. Era un mitomane. Ti credeva la reincarnazione di Voldemort e credeva che portandoti via dall’Organizzazione ti avrebbe liberato.” Fece una pausa. “Una seria di coincidenze ti ha portato a farti salvare nientemeno che dal Salvatore. Piuttosto ironico, come vedrai. C’è voluto molto per ritrovarti. Ti avevano dato un nome babbano…” Fece una lieve smorfia. “Capisci, essendo iscritto nei registri anagrafici babbani eri praticamente irrintracciabile. Ma poi sei arrivato ad Hogwarts.”
“Ho ancora il mio cognome babbano.” Gli fece notare. Non c’erano uscite, per quanto potesse vedere. Il buio rendeva la stanza, o la grotta, del tutto uniforme.

Ma ci devono essere… mi deve aver portato qui in qualche modo…
“Certo, ma sei un mago.” Continuò Doe, ignaro dei suoi pensieri. “ Credimi, Tom, non sei un tipo che passa inosservato. Ora, non starò a dilungarmi, ma sapevamo quanti anni avevi. Sapevamo che eri sicuramente un mago. E sapevamo che eri in Inghilterra. Quanti bambini, nel mondo magico, sono nati nel tuo anno Thomas? Escludendo chi ha deciso di studiare a scuole magiche estere, non più di una ventina… E così, eccoti qui.”
“E la Prynn? Che significa che era del governo americano?”
“Lo era, sì. Diciamo che l’Organizzazione per cui lavoro è ricercata internazionalmente. E tu sei parte dell’Organizzazione in un certo senso. Un pezzo importante. Ainsel era venuta in Inghilterra per proteggerti, ma… beh, ormai conosci la storia.”
“Che diavolo significa?” Ringhiò: era un miracolo riuscisse a mantenere la calma. In realtà, lui stesso si stupiva di non essere ancora stato inghiottito dalla paura.

Era stato rapito, era senza bacchetta, legato e alla mercé di un mago che avrebbe potuto lanciargli in ogni momento una maledizione, e ordinargli anche di uccidersi, se avesse voluto.
Dubitava fosse quello, comunque, il suo piano. Gli serviva vivo, era evidente, o non si sarebbe preso tutto il disturbo di organizzare quel teatrino solo per cercare di portarlo via con sé di sua spontanea volontà.
Doe sorrise, strappandolo dai suoi pensieri. “Bene. È arrivato il momento delle spiegazioni, credo.” Si alzò, sfilandosi la sigaretta dalle labbra. Si diresse verso il punto più buio di tutta la stanza, e tornò con quella che sembrava una bacinella di zinco, portandola davanti a lui. Teneva tra le dita due fialette, contenenti un liquido argenteo.
Tom istintivamente si ritrasse contro la parete.

Doe stese le labbra in un sorrisetto sgradevole. “Non fare quella faccia. Non ho intenzione di storditi con delle pozioni. Non mi serve. Comunque, mi stupisce che tu non abbia riconosciuto queste due fialette.” Le fece tintinnare tra di loro, davanti ai suoi occhi. Produssero un suono limpido, come campanelli d’argento.
“… Ricordi.” Sussurrò. “Sono ricordi imbottigliati.”
E la bacinella era evidentemente un pensatoio rudimentale.

“Molto bene, Signor Dursley.” Confermò l’uomo. “Ricordi. Non sono miei, naturalmente, ma del mio datore di lavoro. Voleva che li vedessi. Voleva che tu sapessi. Ma solo quando saresti stato pronto.” Gli lanciò un’occhiata. “Adesso credo che tu lo sia.”
Tom lo vide indugiare sul suo viso, sicuramente pallido, i capelli umidi e appiccicosi e la posizione innaturale in cui era bloccato. Alla sua mercé.

Sentì la rabbia strisciargli attraverso le vene, ma si impose di dominarsi.
Non c’era molto, del resto, che potesse fare. Non era Harry Potter, lui. Nessun arcano potere l’avrebbe soccorso. Certo, aveva atterrato quel Naga. Ma non ricordava come l’avesse fatto.
Doe inoltre non era un ominide privo di discernimento: anche se ostentava una posa rilassata lo stava tenendo d’occhio, e la bacchetta era a portata di mano, spuntando dalla tasca della giacca che portava sotto il mantello.
Doe versò il contenuto di una delle fialette dentro la bacinella. Il liquido filamentoso si trasformò in bruma azzurrina. Glielo posizionò immediatamente davanti.
Nonostante tutto, nonostante la paura, Tom non poté fare a meno di sentirsi la bocca secca per l’aspettativa.
“L’attesa è il peggiore dei veleni, non è vero?” Mormorò Doe, con tono confidenziale. “Avanti, dacci un’occhiata. Scoprirai chi sei. Da dove vieni. E soprattutto perché sei nato. Quante persona al mondo possono avere una simile possibilità?”
“Perché, ho possibilità di rifiutare?”
Doe sogghignò. “Thomas, Thomas. Come se volessi.” Poi non gli lasciò il tempo di rispondere. Gli afferrò bruscamente la testa e lo spinse contro la superficie della bacinella.
Tutto divenne della consistenza della nebbia e Thomas precipitò nel ricordo.

 
 
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Note:
*Scappa evitando la folla inferocita, con pale e forconi, dissennatori e quant’altro*
Ve l’avevo detto che avreste rimpianto i capitoli di stasi! *piagnucola*
1. Qui la canzone.

2. Scotland Yard, o lo Yard è la sede fisica della polizia metropolitana dell’area di Londra. Per informazioni qui.
Come ho già detto, leggendo su Hp Lexicon ho evinto, da quel poco che la Row ha lasciato sull’argomento, che gli hit wizard (tradotti a culo con ‘auror tiratori scelti’, quando non sono auror) si occupano di crimini comuni, mentre per quanto riguarda gli auror, loro si occupano di maghi oscuri, sette e quant’altro. Maggiori informazioni qui
3. Espressione coniata dalla filosofa e storica Hannah Arendt.
 
  
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