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Autore: Arts    26/04/2010    10 recensioni

Sono un'esperimento. Lo so. Suona strano. Sono cresciuta in laboratorio sotto terra, senza sapere niente del mondo di fuori. La mia vita è sempre stata quella di una cavia di laboratorio, di un qualcosa che non è considerato come vivo.
Ma sono riuscita a scappare. Ho scoperto che il mondo di fuori non è un'impresa facile come pensavo.
Ho scoperto che anche lì bisogna saper sopravvivere.
Ho scoperto da poco, inoltre, che la mia vita non è altro che un test.
C'è qualcosa da risolvere.
La cosa buffa è che se faccio il puzzle, questa volta, salvo il mondo.
E' una cosa ridicola, ma mi sembra di aver avuto una promozione: da esperimento a eroina dell'universo. Insomma, mica male per una ragazza alata, no?
[Dalla storia] 
«All’Istituto, che tipo di esperimenti fanno?»
Lo sguardo che gli rivolsi era freddo come il ghiaccio, quando risposi: «Cose tipo me, hai presente?»
«Cose orribili, insomma», replicò lui e mi fece un sorrisetto di superiorità che sentii di odiare assolutamente con tutto il mio cuore.
Gli lanciai uno sguardo sprezzante. «Non siamo fatti per essere belli, siamo fatti per saper uccidere».
Genere: Azione, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Arijane si guardò allo specchio per l’ennesima volta e, sempre per l’ennesima volta, si chiese che cosa fosse diventata: chi era quella persona, quella ragazzina, che le rimandava i suoi stessi gesti e le sue stessi espressione dal vetro dello specchio?

Chi era lei?

James non le aveva voluto dire niente. Ormai, Arijane non era più un esperimento: era qualcosa di diverso e come tale era trattata. Aveva una nuova camera, al piano di sopra, più grande e quasi più umana di quelle che l’avevano preceduta.

Diversa, lei era diversa come la camera. Ma in che modo diversa? Continuò a guardarsi allo specchio: l’immagine rifletteva una ragazza sui dodici anni, alta e magra, con dei lunghi capelli biondi come il sole e due grandi occhi nocciola, e una pelle chiara, anzi, chiarissima, quasi bianca. Ecco, la pelle era liscia e vellutata, ma allo stesso tempo era troppo bianca.

Come quella dei morti, si disse lei.

Lo stomaco le si contorse quando pensò al quel paragone. Arijane sapeva solo una cosa della nuova se stessa, una cosa che le faceva paura e allo stesso tempo riuscire quasi a entusiasmarla: lei non poteva più morire. Così aveva detto James.

Ma allo stesso tempo  quando ripensava a se stessa e quelle parole capiva che c’era qualcosa di profondamente sbagliato in quella frase. Qualcosa dentro di se, la prima volta che James le aveva confidato quelle parole, si era smosso e la sensazione che aveva provato non era stata per niente bella, soprattutto quando gli occhi scuri e imperscrutabili di James l’avevano guardata con intensità e lei aveva avuto l’impressione che lui potesse sentire tutti i suoi pensieri.

Lei non poteva morire.

Una volta, si ricordò con una fitta allo stomaco, aveva chiesto a Fire se loro sarebbero dovuti morire un giorno; le aveva chiesto questo perché Fire quel giorno aveva avuto un combattimento, quel giorno, e per errore aveva ucciso un bambino della sua stessa età, a quel tempo, avevano circa dieci anni – lei ne aveva sette – e le aveva chiesto: «Fire, ma noi dovremo morire un giorno, vero? Come quel bambino lì?»

Fire l’aveva guardata, calma, e le aveva stretto la meno intrecciando le dita con quelle della bambina: «Sì, Ari, noi dovremo morire, un giorno; tutti muoiono, il punto non è quando muoiono, è quello che fanno prima di morire», aveva detto.

Ari l’aveva guardata furiosa e seccata: «Io non voglio morire! Perché dobbiamo morire? Non c’è un modo per non morire?». Sì, perché a lei la morte faceva paura. Perché morire? Faceva male ed era brutto e ci doveva essere per forza un modo per evitarlo.

«No, non credo. Non mi ricordo chi, insomma… qualcuno mi ha detto che c’è solo modo per non morire: rimanere nella memoria delle persone. Ma questo non credo che sia vero: come si a far rivivere qualcuno attraverso la propria memoria? Impossibile»

Eppure, Arijane aveva immagazzinato quella risposta decisa a non dimenticarla mai: c’era un solo modo per non morire, si ripeteva, rimanere nella memoria delle persone. E non le importava quello che diceva Fire perché era troppo tardi: una nuova certezza le si era insediata nel cuore, per quanto stupida e insensata.

Chiuse gli occhi.

La vista le si era appannata per via delle lacrime. Le mancava Fire, ma allo stesso tempo si sentiva delusa e amareggiata dal sua tradimento. Il piccolo petto era scosso dai singhiozzi. Piano, si avvolse nelle sue stesse ali e rimase lì, nel suo bozzolo piumato, a piangere.

Pianse a lungo.

Se ci fosse stata Fire, sicuramente, avrebbe assunto quel suo cipiglio tutto serio e da dura che ormai Arijane conosceva a memoria,  e le avrebbe intimato di non piangere per nessun motivo.  Ma Arijane sapeva che anche se Fire le avesse ordinato bruscamente di non piangere, allo stesso tempo, dopo qualche secondo, si sarebbe poi avvicinata e le avrebbe asciugato le lacrime con il dorso della mano, dolcemente, stringendola in un abbraccio che non suonava per niente materno o dolce visto che Fire non era particolarmente espansiva, ma sarebbe stato comunque l’abbraccio di Fire e, come sempre, l’avrebbe consolata meglio di mille parole.

Dov’era Fire in quel momento?

Alla fine, lei avrebbe saputo cosa fare, cosa dire e, nonostante tutto, Arijane sapeva che avrebbe ancora seguito ciò che le chiedeva Fire, perché una parte di lei sperava ancora che non l’avesse abbandonata; una parte di lei non voleva rimanere sola proprio lì, sull’orlo del baratro.

Aveva paura.

Ora che rischiava di cadere giù e non c’erano più lei o James a salvarla, ora tutti avevano abbandonato le maschere che avevano indossato dalla sua nascita, ora, chi le avrebbe impedito di cadere giù?

 

«Te lo chiedo un’ultima volta, mostro. Che cosa sei esattamente?»

Dolore.

Caldo.

Sudore.

Paura.

Confusione.

La stanza era buia, e si riuscivano a intravedere solo due sedie al centro di essa, illuminate da una lampada scialba appesa al soffitto che, ronzando, produceva una luce intensa e molto più fastidiosa del debole neon a cui ero stata abituata fin dalla nascita.

Il ragazzo che avevo davanti mi fissava. I lineamenti del volto erano duri e quasi aggressivi, la mascella serrata e due paia di occhi scuri, neri come il carbone, inquieti e pericolosi come quelli di un animale selvatico. I capelli erano ricci del colore dell’oro. Mi ricordava un leone. Con il suo sguardo fiero, orgoglioso che riusciva a mettere paura con una sola occhiata.

Ma non a me. Mi avevano bendato la spalla, sussurrando che il proiettile non era rimasto nel mio corpo; e ora mi ritrovavo lì legata a una sedia, nella ridicola parodia di un interrogatorio.  «Ti rispondo un’ultima volta, genio, che non ne ho idea. Ho solo un nome e un numero a identificarmi. Non ho idea del mio vero nome, e figurarsi cosa sono, okay? Mi chiamo Fire, comunque»

«Non m’importa del tuo nome, o del tuo numero o quello che diavolo vuoi. Voglio sapere da dove vieni e, soprattutto, che cosa sono quelle cose che hai sulla schiena»

«Si chiamano ali, al mio paese»

«Al mio paese, le ali ce l’hanno gli uccelli, non le ragazze», ribatté lui. «Fatto sta che ormai le ho proprio viste tutte. E dimmi una cosa, canarino, voli?»

«Attento. L’ultimo che mi ha dato un soprannome è morto», lo informai duramente, continuando a fissarlo con lo stesso sguardo sprezzante che lui mi riservava; mi chiedevo come mai mi guardava con così tanto odio… che gli avevo fatto? Possibile che lì fossero così aggressivi con tutti? Che lì per loro non fossi altro che un'altra nemica, come quegli zombie?

«Per mano tua? Oh andiamo. Quanto puoi pesare? Quaranta chili? Meno? Non avresti la forza nemmeno di battermi a braccio di ferro. E nelle tue condizioni, poi. Sfidi troppo la tua fortuna, ragazzina, è la buona stella non ti salva sempre se azzardi troppo»

Sorrisi di scherno,  un sorriso così amaro che superai perfino lui. «Se esistesse una buona stella allora mi avrebbe parato il culo quando gli Addetti mi hanno fatto trasformato in quello che tu chiami mostro, che non ero neanche nata. Se esistesse una buona stella o se esistesse anche solo la semplicissima fortuna, molte persone non sarebbero dovute morire»

Feci una paura, lo guardai intensamente, infuriata, ripensando ad Ari a cui era toccato il destino peggiore. «Se la fortuna esistesse, o quello che diavolo è, allora io non sarei qui e i veri mostri, quelli che io ho visto per una vita, sarebbero morti ora. Ma non esiste. Niente»

«Hai appena dimostrato che parli troppo sapendo troppo poco, ragazzina», disse lui.

Non risposi in alcun modo, ma mi limitai a guardarlo, cercando di riversare in quell’occhiata tutto il veleno che sembrava scorrermi lungo le vene in quel momento. Come poteva fare quell’espressione? Come se avesse la sola, minima, idea di ciò che io sapevo e che lui, probabilmente, non avrebbe scoperto neanche se avesse vissuto tre volte la sua vita.

«Sei un’arma del Governo?»

 Ebbe il silenzio come risposta.

«Tu non sei di qui. Si vede. Tralasciando le ali, se fossi di qui ormai ti avremmo già sott’occhio da tempo e invece compari ora, senza che nessuno si accorga di niente e combatti contro i fusi di cervello come se fossero tuoi nemici. È un bel rompicapo e con pochi pezzi del puzzle non riusciremo a risolverlo. In fondo, le uniche istituzioni, nel mondo, sono quelle del Governo e la Resistenza. Non c’è molta scelta. O sei una di noi, o sei una di loro. A meno che non ci sia un terzo fattore…»

«Che cosa intendi per Governo?», ripresi finalmente parola.

«E’ impossibile che tu non sappia del Governo, tutti lo sanno. Se sei nel mondo – e ovviamente non sei nata ora – te ne accorgi di come vanno le cose e non credo che le altre città siano molto diverse da questa, quindi smettila di fare l’innocente»

Inarcai un sopraciglio. «E’ possibile che tu sia così stupido da non capire da dove provengo, ma sta sicuro che era in un posto in cui ricevevi ben poche notizie del mondo di fuori»

Lui fece un sorrisetto. «Non sfidarmi, ragazzina. Dammi di nuovo dello stupido e giuro che non ti faccio portare cibo per una settimana. Poco m’importa cosa vuoi sapere tu, sono io qui quello che fa domande e voglio sapere se c’è un terzo fattore»

«C’è sempre un terzo fattore. Probabilmente è l’unico che conosco io. O almeno ciò che ho capito vedendo il quadro completo della situazione. Non posso dirti niente, però, se tu non mi dici ciò che sai tu. Tu, genio, non riusciresti a fare il puzzle»

Sembrò sul punto di dire qualcosa, ma probabilmente ci fu qualcosa nel mio sguardo che gli fece cambiare idea, perché si limitò a snocciolare una serie d’informazioni dopo l’altra: «Il Governo è una dittatura, ci controlla tutti. Controlla ogni città del mondo, quasi, ormai e in tutte regna l’assoluta proibizioni di qualsiasi cosa senza il permesso di esso»

Wow, sembrava che avesse imparato quel discorso a memoria. Quindi, quella città cos’era esattamente…? «Nonostante, tutto esiste una fazione opposta: noi, i Ribelli al Governo. Le nostre città sono state lasciate in pace alla fine dal Governo dopo che ci siamo infettati del morbo di Campbell. Hai visto quelle persone lì, quella specie di polizia, sono delle persone infette: sono tipo zombie che perdono ogni facoltà mentale e logica. Devono mangiare carne in continuazione, sennò muoiono Il Governo li usa come armi»

«E poi, esiste un terzo fattore, mi dici tu. Il punto è stabilire con chi sta»

Sorrisi amaramente, ora capivo tutto. «Sta con il Governo. Lo chiamano L’Istituzione. E’ un Istituto di Ricerca che ha base sotto terra da quello che so. Lì fanno degli esperimenti, creano armi, discutono di cose importanti, lì è il centro di tutto… credo»

Mi vennero improvvisamente in mente i Cacciatori dell’Istituto: senza logica, senza pietà, capaci solo di eseguire gli ordini. E poi mi venne in mente un’altra cosa: dove finivano le carcasse degli esperimenti morti negli scontri? Rabbrividii. L’immagine raccapricciante di un cacciatore che addentava al collo un esperimento morto mi attraversò la mente.

«Che tipo di esperimenti?», chiese il ragazzo interrompendo il filo dei miei pensieri.

«Cosa?», dissi ripensando all’Istituto. I ricordi mi passavano davanti a gli occhi come flashback troppo veloci per essere messi a fuoco.

«All’Istituto, che tipo di esperimenti fanno?», insistette lui. Mi squadrò sospettosamente da capo a piedi, soffermando lo sguardo sulle mie ali color ruggine.

Gli feci un bel sorriso, che sarebbe risultato amichevole se non lo stessi apertamente prendendo in giro, come se mi stessi divertendo in quella situazione. Lo sguardo che gli rivolsi era freddo come il ghiaccio, quando risposti: «Cose tipo me, hai presente?»

«Cose orribili, insomma», replicò lui e mi fece un sorrisetto di superiorità che sentii di odiare assolutamente con tutto il mio cuore.

Gli lanciai uno sguardo sprezzante. «Non siamo fatti per essere belli, siamo fatti per saper uccidere».

 

 

 

 

 

Angolo dell'Autrice

Si, lo so. Sono in ritardo e da questo capito non si capisce un accidente, di nuovo! Praticamente stiamo qui a unire i pezzi del puzzle che sembrano scontati... ma non lo sono per niente xD Aspettate e vedrete ò.ò Mi sono presa una cotta per il biondo dell'interrogatorio, anche se è decisamente troppo irritante, ma almeno non ha la una doppia personalità come James! Oddio, perché nella mia testa tutti i personaggi maschi sono tremendamente belli? T.T Questo complica la situazione a me e anche a Fire, diciamolo! xD 

 

Risposte ai Commenti

A Sweetophelia: Tu hai decisamente inquadrato la situazione per ora. Ma... alcune cose sono ancora da vedere. Io e il resto dei miei amici ci chiediamo cosa Ari sia diventata °_° Si, credo che tocchi a James dircelo, ma lo sapete com'è James... cioè, non contare mai su di lui per avere informazioni chiare xD Ehi, spero comunque che questo capitolo ti sia piaciuto. Comunque, Fire deve avere delle brutte situazioni, ormai è così che le va la vita e credo che sia sia abituata alla grande O.O Cioè, la cosa che mi ha fatto ridere è stata che non aveva imparato a volare neanche da un giorno che già le hanno sparato alla spalla... cioè, diciamocelo, questa è jella xD

 A Lewaras: Non credo che Fire vedrà nella mente delle persone... spero di no! Cioè, anche lei no. Non è che possono essere tutti telepatici, eh! ò.ò (Calippo? XD Oddio, calippo me lo devo scrivere xD) NY disabitata... una specie, diciamo che non ha abitanti molto normali a parte i ribelli. Aaaah, e poi per la questioncina Governo, Resistenza, Istituto... lo so che è tutto molto... ehm... strano O.O Vedrò di far risolvere le cose per meglio, o almeno, spero. 

Una cosa delle cose che so sicuramente è che Arijane svilupperà idee pericolose, appena scoprirà cos'è diventata. Un pò per tutti. Ma soprattutto, voglio far vedere l'Istituto da fuori, il punto è come. Bè, vedrò quello che riesco a fare. Spero che il capitolo ti sia piaciuto =)

 

Bye Bye

 

  
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