57
Dopo essere stato con molta noncuranza l’artefice della
salvezza di Mablith lo straniero tornò a rinchiudersi
nella sua stanza alla locanda del vecchio Brescon,
piccola ma discretamente arredata, e liberatosi sia del mantello che del
cappello ancora fradici di pioggia andò a sedersi all’unico sgabello che c’era.
Sul tavolo accanto a lui avanzavano
ancora i resti di una cena frugale a base di formaggio e verdure, interrotta
con ogni probabilità nel momento in cui, dalla finestra aperta, aveva sentito gli abitanti parlare dei problemi all’argine.
Era sul punto di rimettersi a
mangiare quando, da dentro la giacchetta che indossava, giunse una tenue luce
intermittente. Affondata una mano all’interno ne prese
fuori un cristallo elementale che, attivatosi, proiettò l’immagine a mezzo
busto di una giovane donna dai tratti orientali.
«Sono qui.»
«Bentrovato. Dove ti trovi?»
«In un villaggio
di nome Mablith, a una trentina di chilometri da Narimia. Dovrei essere a Basel per domani
sera.»
«È proprio di questo che volevo
parlarti. Il comando centrale ha appena ricevuto una comunicazione dalla
polizia di Basel. L’uomo che eri stato incaricato di catturare è stato
arrestato nel pomeriggio.»
«Arrestato?»
«A quanto pare la polizia aveva un
infiltrato nella banda del nemico, e alla prima occasione buona si sono buttati
a pesce sull’obiettivo senza badare a tutto il resto.»
«Immagino non volessero che
qualcuno andasse lì a dirgli come fare il loro lavoro.»
«Qualcosa del genere.»
«In questo caso, se non avete più
bisogno di me tornerò sui miei passi.»
«Che fretta c’è? Ormai sono tre anni
che corri da una parte all’altra del continente come una scheggia impazzita.
Prenditi una pausa. Mablith non sarà il posto più movimentato di questo regno, e di certo non il più salubre, almeno in
questo periodo, ma almeno è tranquillo.»
«Non ho bisogno di pause. Sono nel
bel mezzo di un viaggio.»
«Ti ricordo che quando hai accettato
questo incarico ti sei impegnato a seguire le mie istruzioni per una settimana.
Il lavoro sarà anche stato portato a termine, ma restano ancora tre giorni alla
scadenza. Quindi, per altri tre giorni farai quello
che ti dico io.
Buone vacanze.»
«Aria, aspetta.» tentò di dire lo
straniero, ma la ragazza, ridendo sotto i denti, scomparve, e il cristallo si
spense «La odio quando fa così».
Ormai la fame gli era passata, e
sembrava intenzionato ad andarsene a letto, quando una strana sensazione gli
fece volgere lo sguardo verso la porta; fulmineo, afferrò un coltello, con un
misto di forza ed eleganza, lo lanciò con precisione chirurgica nella
strettissima fessura tra il battente e lo stipite.
Dave lo vide schizzare ad un centimetro dal viso per andare a conficcarsi nella
parete del corridoio, e per la paura cadde all’indietro, ritrovandosi seduto
per terra; era arrivato lì già da qualche minuto, ma dopo aver afferrato la
maniglia e aver tirato leggermente la porta verso di sé aveva visto lo
straniero impegnato in quella conversazione.
Si era detto che non sarebbe stato
educato interrompere, che poteva essere male interpretato, ma la verità era che
aveva una paura matta all’idea di doversi confrontare con quella persona e che
dentro di sé stava solo cercando una scusa per non doverlo fare.
Prima ancora di poter rialzare la
testa vide la porta spalancarsi di netto e lo straniero che lo sovrastava.
«Mi… mi dispiace!» cercò di
discolparsi «Non volevo origliare, ve lo garantisco. È
solo che vi ho sentito parlare e…»
«Tu eri all’argine, giusto?»
domandò lo straniero come se non fosse accaduto nulla
«S… sì, giusto. Mi chiamo Dave.
Molto… molto piacere».
A quel punto lo straniero rientrò
nella sua camera lasciando la porta aperta e Dave, interpretando quello come
l’autorizzazione ad entrare, fattosi forza varcò la
soglia, chiudendosela alle spalle; a quel punto, non si poteva tornare
indietro.
«Ecco… io ero… sì, ero venuto per
ringraziarvi. Per quello che avete fatto, intendo. Sì insomma, per averci aiutati».
Era chiaramente e palesemente
nervoso, e probabilmente non aveva la benché minima idea di quello che stava
dicendo; una sola cosa la sapeva, e cioè che stava deliberatamente cercando di
evitare l’argomento principale, il motivo per il quale era andato fin lì.
Indifferente a quello che diceva il
suo inatteso ospite lo straniero si versò una tazza
del tè che si era fatto portare insieme alla cena: il vecchio Brescon aveva dovuto sudare sette camice per trovare
qualcosa degno di essere bevuto, ma del resto non erano molti gli abitanti del
posto che amassero bere il tè.
Alla fine Dave, per cercare di
smuovere il suo interlocutore, decise di porre quella domanda della quale era
certo di conoscere la risposta.
«Voi… siete Regis, non è vero?».
Di colpo lo straniero si immobilizzò, rimanendo con la tazza ferma a pochi
centimetri dalla bocca; le sue dita strinsero un po’ più forte il manico di
ceramica, la mano libera invece tremò leggermente.
«All’inizio non vi ho riconosciuto,
poi, vedendo il modo in cui vestite, mi sono ricordato di certe storie che ho
avuto modo di ascoltare nel corso dei numerosi viaggi con mio padre. Ho sentito
molto parlare di voi.»
«E se anche lo fossi?» domandò lui,
pensando probabilmente che fosse inutile tentare di negare.
Dave ebbe un altro momento di
esitazione, ma decise quasi subito di non esitare, nel timore di perdere quel
coraggio che gli era stato necessario per iniziare la
conversazione. Prima che la sua mente potesse dirsi pronta
si ritrovò in ginocchio, prostrato come un servo.
«Vi prego. Ve lo chiedo per favore.
Mi prenda come suo allievo».
Regis lo guardò senza proferire
parola, e più passavano i secondi più Dave si sentiva le tempie rigate dal
sudore e il cuore andare a mille; la risposta, se c’era, doveva arrivare in
fretta, o l’emozione avrebbe avuto la meglio e lui
sarebbe scappato da quella stanza come se avesse avuto il diavolo alle costole.
«Vorresti diventare mio allievo?»
«Ve ne prego. Conosco un po’ di
magia, e so già recitare alcuni incantesimi, ma ho ancora molta strada da fare
per potermi considerare un vero stregone. Sotto la vostra guida sento che
potrei raggiungere nuovi livelli di conoscenza e ampliare così il mio sapere.
Quindi, ve lo chiedo un’altra volta.
Vorreste prendermi come vostro allievo?».
Di nuovo, lo straniero non aprì
bocca, guardando ora Dave ora fuori dalla finestra; la pioggia era
fortunatamente passata, un toccasana per gli abitanti di Mablith, e già le
prime stelle cominciavano ad apparire oltre la coltre di nuvole.
«Niente da fare.» fu infine la sua
risposta, la più dolorosa che potesse scegliere.
Dave sentì un colpo al cuore, e se
per un istante aveva visto Mandy avvicinarsi ora invece la vedeva
sparire sempre più, inghiottita dalle tenebre.
«Perché?»
«Non sei pronto. E non hai le
qualità per essere uno stregone.»
«Non ho le qualità?»
«Inoltre, sono nel bel mezzo del
viaggio. Non ho tempo per istruire un allievo.»
«Ve ne supplico!» esclamò Dave
prostrandosi ancora di più «Ve lo sto chiedendo dal profondo
del cuore. Diventare un vero stregone è estremamente
importante per me.
Se non riesco a raggiungere questo
traguardo, non ho motivo di esistere».
Regis lo guardò in modo strano,
come se volesse scrutarlo all’interno, poi bevve il suo tè.
«A cosa serve la magia?»
«Come!?»
replicò Dave interdetto
«Trova la risposta a questa
domanda, la sua vera risposta, e prenderò in considerazione la tua richiesta».
Ma che razza di domanda era?
Era una di quelle domande alle
quali si potevano dare mille e una risposte possibili,
tutte potenzialmente corrette e dettate quasi esclusivamente dal pensiero
dell’interrogato.
Forse, pensò Dave, Regis aveva solo
creato un espediente che gli permettesse di declinare la richiesta senza un no
vero e proprio, ma il ragazzo pensò che il guerriero che gli stava di fronte non era il genere di persona che apprezzava i giri di
parole: se voleva dire una cosa la diceva chiara e tonda, dritta in faccia,
senza tanti fronzoli.
Aveva detto di trovare
«Hai a disposizione tre giorni per
trovare la risposta, perché tanto sarà il tempo che trascorrerò qui.»
«Ho capito.»
«Ora, col tuo permesso, vorrei
dormire un po’.»
«Vi ringrazio di tutto. E vi auguro
un felice riposo».
Inutile dire che quella notte Dave non riuscì a chiudere
occhio. Continuava a girarsi e rigirarsi sotto le coperte pensando alle parole
di quello che già considerava il proprio maestro e ad
una possibile risposta da offrire al quesito che gli aveva rivolto.
Verso mezzanotte la pioggia riprese
a cadere, meno intensa ma comunque fragorosa, ma l’argine creato dallo
straniero incredibilmente resse all’impetuosità del fiume, rendendo addirittura
quasi superflua la presenza di un piccolo presidio di uomini che sorvegliasse
costantemente la situazione per avvisare prontamente la popolazione in caso di
nuovo pericolo.
Le gocce d’acqua che si infrangevano sul tetto e sul vetro della finestra accanto
al suo letto lo distraevano, impedendogli di pensare, e questo non faceva altro
che accrescere il suo nervosismo.
Alla fine la stanchezza per il
lungo viaggio e per il massacrante lavoro al fiume si rivelarono
più forti della sua determinazione nel trovare la risposta corretta, e il
ragazzo cadde inesorabilmente in un sonno profondo; purtroppo a forza di
pensare aveva fatto le tre, e già al sorgere del primo sole fu costretto ad
alzarsi per svolgere un compito non certo semplice.
Anche se l’emergenza inondazione
era rientrata la prima onda aveva provocato dei danni,
seppur lievi, alla parte bassa del villaggio, soprattutto alla scuola,
l’edificio più a valle, e molti tra uomini e ragazzi furono costretti per la
giornata successiva a tralasciare i loro doveri per dedicarsi alla rimozione di
fango e detriti; ma certi obblighi, come foraggiare le bestie e badare ai
campi, andavano comunque espletati, e di conseguenza coloro ai quali fu detto
di svolgere i compiti abituali si ritrovarono una mole di lavoro ben più alta
rispetto a quella abituale.
Dave ad esempio fu costretto a
condurre al pascolo non solo le capre della sua famiglia, ma anche quelle di
tutti gli altri allevatori del villaggio, per un totale di almeno duecento
bestie. Non potendo andare a scuola i suoi due fratelli più grandi, Dylan e
Yullie, andarono con lui; malgrado fossero ancora
piuttosto piccoli sapevano entrambi condurre gli animali, e si offrirono di
aiutarlo. Con loro c’era anche Andy, un amico di Dave, incaricato invece di
portare al pascolo le mucche.
Il freddo e la pioggia dell’ultima
notte avevano lasciato spazio ad un cielo terso e ad
un clima tutto sommato gradevole, ma i ragazzi per ogni evenienza avevano con
sé i loro impermeabili.
Raggiunto il solito pascolo, una
vasta malga sulle pendici della montagna ad est, Dave
si sedette ad una pietra e ricominciò a meditare sulla domanda fattagli da
Regis, e nel contempo teneva d’occhio le capre per essere sicuro che non si
allontanassero troppo.
Poco lontano, Dylan e Andy
ammazzavano il tempo giocando a carte, Yullie invece si dedicava come al solito al suo passatempo preferito, la creazione di
corone di fiori.
Dave si sentiva confuso: l’oscurità
continuava ad ammantare le parole del maestro, ma durante il tragitto aveva
pensato più volte che perdendosi nella natura,
l’essenza stessa dal quale scaturiva la magia, forse gli sarebbe stato più
facile trovare la risposta che stava cercando.
Come aveva appreso a scuola, la magia altro non era che un immenso fiume di energia che,
sgorgando direttamente dal cuore del mondo, lo attraversava in lungo e in
largo, un fiume al quale alcuni esseri venti, tra i quali gli uomini, potevano
attingere, a condizione di possedere le conoscenze necessarie per farlo.
Purtroppo, alla fine della
giornata, nulla di nuovo era riuscito a produrre, e come il sole cominciò a
discendere venne il momento di prendere la via del ritorno con la consapevolezza,
da parte di Dave, di aver già sprecato il primo dei tre giorni a propria
disposizione.
Quanto lui, i suoi fratelli e Andy
tornarono a Mablith il villaggio era in fermento; qualcun altro aveva
riconosciuto lo straniero, e la notizia, viaggiando come un fulmine, aveva
fatto rapidamente il giro delle abitazioni.
Dalla modesta locanda il nobile
Regis era stato invitato a trasferirsi nella villa del signor Greede, che dopo
avergli offerto ogni sorta di prelibatezza e avergli messo a disposizione la
più confortevole delle camere lo aveva ringraziato mille volte per i servigi
resi al suo villaggio e lo aveva pregato di restare un altro po’, trattenendosi
per tutto il tempo che avesse voluto.
Ma Regis, declinando educatamente
l’offerta, ribadì che avrebbe lasciato Mablith entro
tre giorni, evitando però di puntualizzare, col rischio di venire frainteso,
che se fosse stato per lui se ne sarebbe andato anche subito.
Tuttavia, qualcosa in Dave si era
mosso. Forse non aveva trovato la risposta alla domanda, ma c’era una cosa che
voleva fare, e anche se poteva benissimo essere considerata un’azione avventata
e tutto sommato inutile, visto che ora come ora le sue
possibilità di venire preso come allievo erano prossime allo zero, questo non
cambiava la sua decisione.
Aveva nascosto la verità a tutti,
compresa la sua famiglia, ma almeno per una volta, una volta
nella vita, voleva essere sincero, e dire le cose direttamente.
Quando lui e i suoi fratelli
entrarono in casa il resto della famiglia era già
pronto per cenare; suo padre aveva lavorato come un forsennato per tutto il
giorno spalando fango, riparando muri e trainando carriole, e neanche due bagni
di fila nell’acqua saponata erano bastati a togliergli completamente il fetore
di dosso.
Dave era deciso e risoluto, ma
scelse di lasciar passare la cena prima di esternare i suoi pensieri; tuttavia,
ben prima che i piatti venissero svuotati, il suo
atteggiamento silenzioso e sovrappensiero era già stato notato, e sua madre
alla fine gliene chiese la ragione.
Il ragazzo tirò un gran sospiro:
ancora una volta, se si fosse iniziato non si sarebbe
potuti tornare indietro.
«Papà. Mamma. C’è una cosa di cui
devo parlarvi».
Un gesto, si sa, vale come mille
parole, e far sollevare dal tavolo la pentola della zuppa e farla levitare
placidamente fin sul ripiano fu più che sufficiente a
lasciare l’intera famiglia come pietrificata. Il punto di non ritorno era ormai
stato superato.
Dave parlò serenamente, gentile ma
risoluto. Rivelò tutto: la sua amicizia con Mandy, la promessa che si erano scambiati, e la decisione di usare la sua natura di
stregone per mantenere quella promessa.
E i suoi genitori ascoltarono, in
silenzio e con rispetto; nessuno dei due aprì bocca per tutta la durata del
discorso, ma si capiva dai loro sguardi che la loro incredulità aumentava ogni
secondo un po’ di più.
«E questo è tutto. Ora sapete ogni
cosa. Il nobile Regis ha detto che se supererò la sua prova prenderà in
considerazione l’idea di fare di me il suo allievo.
Volevo che sapeste, e mi dispiace
di avervi nascosto la verità per tutto questo tempo».
Sua madre sembrava sull’orlo delle
lacrime, suo padre invece lo guardava con un misto di severità e
interrogazione, come a volersi accertare che ciò che aveva appena detto suo
figlio fosse vero. Di tutt’altro tipo fu la reazione dei suoi fratelli: se fino
a quel momento avevano visto nel loro fratellone una
sorta di idolo, un braccio forte a cui aggrapparsi e sempre pronto ad aiutare,
ora invece appariva ai loro occhi come una sorta di supereroe.
«Ma allora.» disse Yullie con gli
occhi che luccicavano «Il nostro onii-chan è uno
stregone!»
«Per il momento sono ancora ad un livello molto basso. Ho imparato qualcosa
addestrandomi da me stesso e leggendo qualche libro di magia dalla biblioteca
del signor Greede.
Ma se diventerò
l’apprendista del nobile Regis potrò diventare finalmente un vero stregone, e
onorare la promessa che io e Mandy ci siamo scambiati. Vorrei sapere che voi
condividete la mia scelta».
Suo padre continuò a fissarlo in
silenzio, poi si alzò e andò alla finestra, dandogli le spalle.
«La vita è la tua, Dave. E noi non
abbiamo diritto di giudicare le tue decisioni.»
«Ma,
caro…» tentò di obiettare la moglie
«Se questa è la strada che hai
scelto, allora così sia».
Dave si sentiva felice, perché ora
sapeva di avere l’approvazione di suo padre; tuttavia, per qualche motivo, non
riusciva ad esserlo del tutto, ma decise di non
pensarci.
«Vi ringrazio infinitamente».
Andò a letto con l’animo decisamente più sollevato, e a differenza dell’ultima notte
riuscì ad addormentarsi quasi subito mentre, libero da pensieri, rifletteva
sulla domanda di quello che sentiva sempre più come il suo futuro maestro.
Dormì così bene da non riuscire, la
mattina dopo, a svegliarsi alla sua solita ora; lo svegliarono, ormai a giorno
fatto, dei rumori provenienti dall’esterno, e accortosi di che era ora corse ad affacciarsi alla finestra per vedere di cosa si
trattava.
Il recinto era aperto, segno che le
capre dovevano già essere state portate al pascolo, forse da Dylan; suo padre
invece stava spingere su per la collinetta un grosso covone di fieno destinato
agli animali. Era lui a produrre il rumore che lo aveva svegliato, e vedendolo
ebbe un sussulto: di solito quel lavoro lo faceva lui, tutte le mattine, subito
dopo essersi svegliato.
Suo padre era un uomo forte, che
sapeva lavorare, ma a causa di una brutta caduta di alcuni anni prima ormai
faceva fatica a svolgere quel tipo di lavori, che richiedevano un grande
dispendio di energie.
Subito si vestì e scese al piano di
sotto, ma proprio mentre stava per uscire senza neanche consumare
un po’ della colazione che sua madre, uscita per il giorno di mercato, gli
aveva lasciato sul tavolo, dalla finestra della cucina vide sua sorella Yullie,
che stava giocando sotto il portico, correre in aiuto del padre, che ormai era
sul punto di perdere la presa.
Insieme, i due riuscirono a
guadagnare finalmente la meta, ma lo sforzo compiuto da Glasnet era evidente;
si teneva la schiena e stava chiaramente soffrendo, come ogni volta che
svolgeva mansioni di quel tipo.
«Papà, stai bene?» domandò Yullie
«Tranquilla, non è niente.»
«Non era meglio se chiedevi aiuto
al fratellone?»
«Yullie, non possiamo fare sempre
affidamento su Dave. Finora abbiamo contato anche troppo sul suo aiuto. Ora
però è giunto per lui il momento di scegliere la sua strada, e semmai dovesse
riuscire a fare ciò che si è proposto dovremo imparare ad andare avanti senza
di lui».
Dinnanzi ad una simile prospettiva, la
prospettiva di perdere il suo fratellone, Yullie, superata la meraviglia
iniziale per saperlo uno stregone, iniziò a piangere.
«Io non voglio che il fratellone
vada via!»
«Lo so che è difficile da
accettare, piccola.» le disse il padre abbracciandola «Lo
è per tutti noi. Ma dentro di te devi essere felice.
Lui ha la possibilità di realizzare il suo sogno».
Dave si sentì male come non mai, e
pensò di stare per morire.
Stupido.
Stupido. Ceco. Stolto. Egoista.
Non c’erano parole diverse per
potersi descrivere.
Aveva pensato solo a sé stesso, al suo sogno, senza curarsi minimamente di tutto
il resto. La sua famiglia dipendeva da lui, necessitava del
suo aiuto per andare avanti, ma lui non ci aveva pensato due volte a gettare
via tutto solo per inseguire quella specie di miraggio.
Che poi, valeva davvero la pena di
dannarsi tanto per cercare di raggiungere qualcosa che probabilmente non
sarebbe mai accaduto?
Chi gli diceva che anche diventato uno stregone non sarebbe mai riuscito ad aspirare
alla mano di Mandy, in un sistema ancora sostanzialmente bigotto e retrogrado
come quello di Fiya?
Aveva trascurato la sua famiglia; i
suoi genitori, che tanto avevano fatto per lui. Che diritto aveva di farsi
chiamare uomo se in nome del suo egoismo sacrificava e scartava tutto il resto?
Di colpo, un lampo gli abbagliò la
mente.
Ma allora… eccola!
Eccola la risposta! E l’aveva
sempre avuta sotto il naso! Ogni giorno, in ogni momento della sua vita! La
risposta alla domanda del nobile Regis era elementare, ma allo stesso tempo
impossibile da trovare per chi non l’avesse arbitrariamente cercata.
Venti minuti dopo, veloce come un
fulmine, stava correndo lungo un sentiero che si inerpicava
attraverso la foresta del versante nord della valle.
Poco prima era stato alla residenza
del signor Greede e aveva chiesto di poter parlare con il nobile Regis, ma il
vecchio maggiordomo, Gustav, gli aveva risposto che Regis in quel momento non
c’era.
«Mi dispiace. È uscito
questa mattina presto.»
«Ha detto dove
sarebbe andato?»
«Ha chiesto al padrone di
indicargli un posto tranquillo, dove potersi allenare in tranquillità.»
«E il sindaco dove gli ha detto di
andare?»
«Ai Campi Lurian, se non ho capito male».
Come se avesse avuto il diavolo
alle costole Dave raggiunse infine i Campi Lurian, una tranquilla prateria situata non troppo in alto
dove, di quando in quando, portava anche a pascolare le capre.
E come previsto, Regis era lì.
Chiuso in meditazione, aveva tutto
intorno a sé una decina di grossi tronchi di legno appositamente conficcati nel
terreno, e come spalancò gli occhi gli bastarono un
paio di colpi di spada, estratta e manovrata ad una velocità incredibile, per segarli
tutti a metà.
Dave rimase senza parole di fronte
a tanta abilità, e anche quando Regis si accorse di lui tutto quello che riuscì
a fare per interminabili secondi fu restare immobile
con la bocca spalancata e l’espressione inebetita.
Riacquistato finalmente
l’autocontrollo, si avvicinò al maestro e i due, come la notte precedente,
restarono a lungo a fissarsi senza dire nulla. Poi, il ragazzo si decise a
parlare, ma stavolta non cadde in ginocchio; se voleva diventare un uomo, la
prima cosa da fare era comportarsi come tale.
«Nobile Regis. Con il vostro
permesso vorrei ritirare la richiesta che vi ho fatto di prendermi come vostro
allievo».
Il guerriero non replicò, e neppure
diede segno di essere rimasto colpito o quantomeno interessato; si limitò a
guardarlo dritto negli occhi. Quello sguardo fece tremare non poco Dave, che
tuttavia si sentì finalmente libero da un peso opprimente.
«Ho sbagliato. Ho messo me stesso e i
miei desideri davanti a tutti. Sono stato un presuntuoso e un egoista, e non ho
pensato neppure per un secondo a quanto questa mia
decisione avrebbe potuto gravare su coloro che facevano tanto affidamento su di
me».
Una lacrima gli rigò il viso;
provava una gran vergogna verso sé stesso, e sentiva
il bisogno di confidarsi.
«Io… io volevo usare la magia per
aiutare le persone. Per fare del bene. È questo che avevo promesso a Mandy. Di fare del mondo un posto migliore. Ma quando lei se n’è
andata, quando l’ho vista allontanarsi da me, ho cominciato a considerare la
magia solo uno strumento per poterla raggiungere, per poter
stare di nuovo assieme a Lei.
È con questo pensiero in testa che
Vi ho chiesto di essere vostro allievo, e me ne vergogno profondamente. Questo
non è il modo d’agire di uno stregone».
Infine, asciugatosi gli occhi, e
saldo come non mai, concluse.
«Dopotutto, è a questo che serve la
magia. Per fare del bene agli altri, non a sé stessi».
Regis rimase impassibilmente immobile,
ma, d’un tratto, sfoderò un’espressione strana, come
di malcelata soddisfazione, e le sue labbra parvero piegarsi in un accenno di
sorriso.
«Prova superata.» poi aggiunse «In
tutti i sensi».
A quella risposta Dave si sentì
soddisfatto di sé stesso: forse aveva rinunciato
all’idea di diventare l’allievo di Regis, anche se la cosa indubbiamente gli
bruciava un pochino, ma se non altro aveva dimostrato di possedere il cuore e
lo spirito necessari a superare la sua prova.
Con l’animo molto più sollevato
fece ritorno al villaggio, e una volta lì aiutò il padre a spalare il fieno e
la madre il pranzo. Si sentiva tranquillo e in pace,
libero da un peso che per troppo tempo gli aveva schiacciato il petto.
Si aera confidato, aveva raccontato
tutto, e ora che non aveva più segreti, neppure per sé
stesso, poteva guardare al futuro con nuovi occhi: forse un giorno sarebbe
diventato uno stregone, forse sarebbe riuscito ad aspirare alla mano di Mandy,
ma non avrebbe pesato sulle spalle di altri per riuscire nel suo intento. Ma, soprattutto, non avrebbe più considerato la magia come
un semplice strumento per raggiungere i suoi obiettivi.
Intanto la notizia della sua natura
di stregone, portata soprattutto dai suoi fratelli, cominciò a fare il giro di
Mablith, e molti abitanti cominciarono ad andarlo a cercare per avere un saggio
delle sue abilità.
Erano da poco passate le tre del
pomeriggio, e Dave stava aiutando Dylan a rimettere le capre nel recinto,
quando all’improvviso, per la prima volta dopo tanto tempo, la campana in cima
alla torre che si stagliavano lungo il versante più ripido della valle prese a
suonare all’impazzata.
Mablith si trovava non molto
lontano dalla zona più occidentale del regno di Fiya, ed
anche se i Kalimi erano un popolo per la maggior parte pacifico e dedito al
nomadismo vi erano delle tribù che facevano del brigantaggio e della razzia
delle fertili terre di Fiya la loro principale di reddito.
Attaccavano a ondate, ogni volta
che le rotte di migrazione li portavano vicini ai villaggi, ora da una parte
ora dall’altra, ma sempre con crudeltà ed efficacia spaventose; arrivavano dal nulla, velocissimi, in sella a cavalli o
cammelli, piombavano su un villaggio, rubavano tutto quello che potevano,
uccidevano chiunque gli capitasse a tiro e si ritiravano dopo aver appiccato il
fuoco.
La banda che stava per attaccare
Mablith era una delle peggiori, che aveva lasciato dietro di sé
un’interminabile linea di sangue e ora si apprestava a fare una nuova vittima.
Giunsero dal valico, dalla via
diretta, cavalcando i loro enormi cammelli e brandeggiando ogni sorta di arma,
ma soprattutto quelle tipiche dei Kalimi, archi e scimitarre.
Se si escludevano i pochi mercenari
a contratto che facevano da guarnigione per la
residenza del signor Greede non c’erano soldati a Mablith, e di certo non
abbastanza da poter contrastare quaranta guerrieri pesantemente armati, quindi l’unica
cosa da fare per gli abitanti era rifugiarsi nel palazzo-fortezza del loro
sindaco, facilmente difendibile, e aspettare che passasse la tempesta.
Fortunatamente i predoni vennero avvistati quando erano ancora abbastanza lontani, e
questo diede a tutte le famiglie di Mablith il tempo di raggiungere la casa del
signor Greede, il cui portone venne immediatamente sprangato e bloccato con
tutto quello che si poteva, dalle travi di legno ai comodini.
«Papà, riesci a vederli?» domandò
Dave raggiungendo suo padre sul ballatoio delle mura
«Sono vicini.» rispose Glasnet
indicando una nuvola di polvere che si avvicinava a tutta velocità «Saranno qui
in pochi minuti».
Purtroppo, improvvisamente la
signora Madison iniziò a gridare in tutte le direzioni di non essere riuscita a
ritrovare sua figlia.
«Mia figlia Lory
è ancora lì fuori!» urlò rivolta al sindaco «Era andata a raccogliere fragole!»
«Che cosa facciamo,
signor sindaco?» domandò una delle guardie.
La situazione era complicata:
nessuno, nonostante il clima di fratellanza che univa la gente di Mablith,
sembrava aver voglia di mettere un piede all’esterno con quell’orda di barbari
in procinto di gettarsi sulla valle per andare a cercare una bambina che poteva
essere chissà dove, se non addirittura già morta.
La stessa signora Madison, in preda
alla disperazione, cercò di uscire, ma suo marito, ugualmente disperato ma
comunque ancora sano di mente, la trattenne.
«Vi prego! Dovete salvarla! È la mia
bambina!».
Le urla e i pianti di quella povera
donna spaccarono il cuore di molti, ma continuava ad albergare il timore di
uscire; poi, d’un tratto, Dave intravide una figurina
piccola e gracile sbucare da dietro una casa del villaggio ormai deserto.
«Eccola! La vedo!».
Era proprio
lei, la piccola Lory, con il suo cestino pieno di
frutti di bosco; era tornata già da alcuni minuti, e non trovando nessuno nella
sua casa, situata in un punto isolato al limitare della foresta, era andata a
cercare i suoi genitori a Mablith, e ora si trovava proprio nell’occhio del
ciclone, lì dove la tempesta in procinto di scatenarsi.
La voglia di uscire all’esterno
passò da poca a nulla, e a questo punto neanche le preghiere disperate della
signora Madison sembravano capaci di smuovere gli animi. Ma
Dave aveva già preso la sua decisione; aveva appena capito cosa doveva fare uno
stregone, ma soprattutto un uomo, per definirsi tale, e ora avrebbe messo in
pratica quei precetti.
«Vado io!» disse, e senza pensarci
saltò giù dalle mura
«Dave, aspetta!».
In una disperata corsa contro il
tempo Dave raggiunse la piccola Lory, che ancora
vagava senza meta tra per le strade di Mablith
chiamando la mamma, ma prima che potesse portarla al sicuro i predoni si
avventarono sul villaggio, rendendo impensabile il ritorno al palazzo.
«Dannazione!»
Il ragazzo raggiunse la propria
casa e, aperta una botola nascosta sotto il tappeto della sala da pranzo,
rivelò un piccolo scomparto intagliato nella pietra dove lui e la sua famiglia
erano solito conservare il pane, e vi fece entrare Lory.
«Resta qui e fai silenzio. Vedrai
che andrà tutto bene».
La bambina, com’era comprensibile,
si fece pregare, e pianse all’idea di restare sola, ma poi volle dare fiducia
agli occhi sinceri e amorevoli di Dave e si rannicchiò quatta quatta sul fondo dello scomparto, che venne
immediatamente sprangato.
All’improvviso, mentre il ragazzo
era in procinto di trovarsi anche lui un nascondiglio, un predone entrò in casa
sfondando la porta e subito gli si avventò contro; Dave riuscì ad evitare il
primo colpo, che spaccò in due il tavolo, e raccolto un grosso coltellaccio da
carne lo usò per tentare di difendersi.
Ma era un’impresa disperata: lui non
aveva nessuna esperienza di combattimento, mentre i Kalimi, e soprattutto i
predoni, erano delle eccezionali macchine da guerra che uccidevano con estrema
abilità.
Per evitare che il nemico potesse
accorgersi della presenza di Lory Dave tentò di
spostare il combattimento all’esterno, ma trovatosi la strada verso la porta sbarrata decise di salire al primo piano.
L’aggressore gli andò dietro, e si vide venire contro ogni sorta di oggetto e
suppellettile in grado di rallentarlo, ma niente sembrava capace di farlo
desistere.
Dave tentò di barricarsi nella sua
camera, ma anche quella porta venne sfondata, e dopo
un brevissimo scambio di colpi, in cui la morte arrivò a sfiorarlo più di una
volta, il ragazzo venne letteralmente lanciato oltre la finestra.
Fortunatamente atterrò sull’erba, attutendo la caduta, ma quel mostro continuò ad inseguirlo saltando giù a sua volta, e quando Dave, mezzo
intontito dal colpo, riuscì a rialzare gli occhi, i nemici, da uno, erano
diventati sei.
Pensò che fosse davvero la fine, che
sarebbe morto prima di poter realizzare il suo sogno, ma il destino aveva in
serbo altri progetti per lui; proprio quando stava per alzare la spada,
l’aggressore originale venne assalito lateralmente da
una figura velocissima e letale che lo trafisse inesorabilmente sotto l’ascella
senza lasciargli scampo.
Il predone rovinò a terra già morto, e Dave poté scorgere la figura del suo
salvatore.
«Nobile Regis!».
Gli altri banditi, lasciato perdere Dave, si concentrarono sul nuovo arrivato,
che capirono subito essere su un altro livello; si lanciarono all’attacco tutti
insieme, ma questo non servì a salvare nessuno di loro, perché morirono uno
dietro l’altro nel giro di dieci secondi.
A quel punto, tutti i predoni che
avevano assistito allo scontro si accanirono su Regis, lasciando
perdere completamente la razzia del villaggio. Alcuni di essi tirarono
frecce infuocate, ma il guerriero riuscì a respingerle tutte facendo ruotare
vorticosamente la sua spada.
Purtroppo una di queste, lanciata
con meno precisione, invece di dirigersi verso di lui lo scavalcò, entrò da una
finestra nella casa di Dave e si conficcò in un mucchio di lenzuola smesse, che
subito presero fuoco. Furono sufficienti solo pochi secondi perché
l’abitazione. essendo fatta per buona parte di legno,
diventasse un immenso braciere, e Dave sentì un brivido lungo la schiena al
pensiero che Lory era ancora all’interno.
Regis era troppo impegnato a
contrastare gli attacchi dei predoni, quindi l’unica persona in grado di
aiutare la bambina era lui. Fattosi forza si lanciò
all’interno della casa, già avvolta dalle fiamme, ma appena fu dentro si rese
conto di aver voluto fare, a suo rischio e pericolo, il passo più lungo della
gamba: tutto bruciava, il calore era immenso e il fumo, oltre a coprire la
vista, arrivava fin nel profondo dei polmoni, rendendo impossibile respirare.
Solo andando a tentoni
riuscì a raggiungere la cucina, e come sentì la piccola piangere e tossire si
avventò sulla botola, aprendola; Lory era ancora
cosciente, ma aveva respirato tanto di quel fumo che non riusciva a smettere di
tossire.
«Tranquilla, ci sono io! Ti porterò
fuori di qui!».
Ma il ritorno si rivelò molto più
difficile, sia perché Dave era costretto a portare Lory
sulle spalle sia perché il fumo diventava sempre più denso, e le fiamme sempre
più alte.
«Ho paura.»
«Cerca di resistere. Ormai ci siamo».
All’improvviso, una porzione del
soffitto cedette, e le travi infuocate minacciarono di cadere addosso ai due
ragazzi. Fu sufficiente un attimo, un briciolo di convinzione, e quasi senza
rendersene conto Dave, alzato il braccio destro, fermò le travi, che restarono
sospese a mezz’aria qualche istante per poi cadere più lontano.
Dave non credeva ai suoi occhi:
fino a pochi giorni prima non se lo sarebbe neanche sognato di fare una cosa
simile. Allora era vero che, se usata pensando agli altri invece che a sé stessi, la magia diventava molto più potente.
Senza riflettere oltre il ragazzo
riuscì finalmente a riguadagnare l’uscita.
All’esterno, nel frattempo, i
predoni stavano cadendo uno dietro l’altro sotto i colpi di Regis, che risultava ai loro occhi come una fortezza inespugnabile.
Inoltre gli abitanti, imbaldanziti e rinvigoriti dalla sua presenza, impugnata
ogni sorta di arma si erano a loro volta lanciati all’attacco per difendere il
proprio villaggio.
Alla fine cinque avversari, tra i
pochi ancora in vita o in grado di combattere, circondarono Regis, con
l’intento di attaccarlo da tutte le direzione;
incredibilmente, dopo essersi guardato un momento intorno, il guerriero
rinfoderò la spada, rimanendo immobile al centro del cerchio con il volto
disteso e gli occhi chiusi.
I predoni rimasero comunque cauti,
poi, all’unisono, attaccarono.
Fulmineo, Regis riaprì gli occhi, e
come aveva fatto poche ore prima con i pali di legno
estrasse fulmineo la spada, movendola con tale maestria e precisioni che gli servirono
due soli colpi per eliminarli tutti.
A quel punto i superstiti tentarono
la fuga, ma vennero bloccati e assaliti da una folla
inferocita che solo l’arrivo del signor Greede riuscì a placare.
Tutti acclamarono Regis come il
loro salvatore, ma anche Dave ebbe la sua ben meritata quantità di elogi. Se
non fosse stato per lui Lory non sarebbe
sopravvissuta, e nessuno più della madre della bambina lo ricoprì di ringraziamenti. Lo stesso sindaco di congratulò con lui,
e tutti questi complimenti fecero nascere nel ragazzo un misto di soddisfazione
e umiltà; soddisfazione per essere stato capace di
fare la sua parte, umiltà per l’essere consapevole che uno stregone doveva fare
del bene per definizione, senza aspettarsi o pretendere alcun tipo di
ringraziamento.
Il bilancio finale fu di dieci
morti e trenta prigionieri, che vennero coperti di
catene e rinchiusi in una vecchia capanna dove, tra le altre cose, veniva
stoccato il concime per i campi. Alcune case erano state danneggiate, altre
distrutte, ma niente che non si potesse riparare.
«Ho già avvisato la polizia
militare.» disse Regis il giorno dopo ai confini del villaggio, già pronto a
ripartire «Verranno a prenderli tra qualche giorno.»
«A nome di
tutto il villaggio» disse il signor Greede «Voglio ringraziarvi mille volte per
ciò che avete fatto. Mablith avrà un debito nei vostri confronti che
difficilmente potrà risanare. Vi offrirei una ricompensa, ma so che per voi
sarebbe quasi un insulto.
Quindi, grazie».
Regis non replicò, e messosi il
cappello riprese la propria strada, salutato dagli
abitanti. Dave non salutava, né sembrava felice.
Con Regis se ne andavano tutte le
sue speranze, dopotutto. Forse sarebbe riuscito, un giorno, a trovare un altro
maestro, ma sapeva che neanche a cercare cent’anni ne avrebbe trovato un altro
uguale.
Ai suoi genitori aveva spiegato già
la sera prima le ragioni per cui aveva deciso di rinunciare ad andare con Regis
pur avendo risolto brillantemente il suo enigma, e ancora una volta loro non
avevano detto niente, se non che la vita era sua e che
poteva usufruirne come meglio voleva. D’un tratto,
alzato casualmente lo sguardo, si accorse che tutti, e soprattutto la sua
famiglia, lo stavano guardando, e sorridevano.
Sua madre, dolce e amorevole come
non mai, gli si avvicinò con in mano un fagottino
contenente, a giudicare dal profumo, le sue migliori prelibatezze.
«Mamma…»
«Ho pensato di prepararti il pranzo.
Ci sono tutte le cose che ti piacciono di più».
Sembrava un giorno come un altro,
quando gli preparava il cesto con cui mangiare una volta giunto dal pascolo, ma
nonostante sorridesse i suoi occhi lucidi erano ad un passo dal pianto. Dave
inizialmente non riuscì a comprendere, ma poi gli bastò guardare i volti dei
suoi compaesani per capire.
«Sai qual è una delle mie massime,
Dave?» disse il signor Greede «Se non vivi per gli
altri sei un egoista. Ma se non vivi anche per te stesso, beh, sei un idiota.»
«Signor Greede…»
«Vai, fratellone.» disse Yullie
«Noi siamo con te.»
«Falli tutti neri, quegli aristrocratici.» disse Dylan, che proprio non sopportava i nobili
«Si dice
aristocratici.» lo corresse la sorella
«E allora? È la stessa cosa!
Mostragli di cosa siamo capace noi della campagna.»
«Dylan… Yullie…».
Suo padre andò da lui e,
sorridendo, gli mise una mano sulla spalla.
«Ci hai aiutato molto in tutti
questi anni Dave. Ma ora è tempo che tu ti faccia la tua vita.»
«E mi raccomando, scrivici.» disse
la vecchia Treiba «Facci sapere come stai.»
«E soprattutto.» disse il signor
Greede «Evita i guai. Per quanto possibile».
Dave era sul punto di piangere, ma
non volle farlo; non volevano ammetterlo, ma i suoi
genitori stavano facendo un grande sacrificio, soprattutto in quel momento,
dove tutto era da ricostruire, quindi non voleva disonorare questo sacrificio
con le lacrime.
Nuovamente, sua madre gli porse il
cesto del pranzo, e lui, con un sorriso, lo prese.
«Vi ringrazio. Grazie di tutto
cuore. Siete i migliori genitori del mondo.»
«Abbi cura di te.» disse Glasnet.
Dave abbracciò
entrambi, salutò i suoi fratelli, poi si mise a correre.
«Maestro, aspettatemi!».
Regis si fermò, parve quasi
sorridere, e aspettò che il ragazzo lo raggiungesse per poi rimettersi in
marcia. Il sogno era incominciato. Quanto sarebbe durato, e come si fosse si sarebbe concluso, lo avrebbe deciso lui.
Il giorno dopo, Elys e Viola sprizzavano energia da tutti
i pori, o almeno cercavano di darlo a vedere, quindi il cammino, dopo una così
lunga sosta, poté finalmente riprendere.
La discesa fu molto più facile, e a
metà giornata i ragazzi erano già in vista del prossimo villaggio.
«Novellino, che hai da sorridere?»
domandò Elys vedendo Dave stranamente allegro
«Oh, niente.» rispose lui «Vecchi
ricordi.»
«Siamo quasi arrivati.» disse
Sakura «Prima del tramonto dovremmo riuscire a raggiungere quel villaggio.»
«Che bello!» disse Viola «Finalmente stanotte si dorme in un vero letto! Dopo una
settimana in un sacco a pelo non mi ricordo più di avere le ossa!».
Anche Regis era contento di
lasciarsi finalmente alle spalle quelle dannate montagne per fare ritorno a più
verdi pianure, ma proprio quando i ragazzi avevano iniziato a percorrere il
sentiero che li avrebbe definitivamente condotti a valle, improvvisamente una
figura scura saltò da sopra il costone lungo cui stavano percorrendo e piombò
su di loro.
Riuscirono a spostarsi in tempo, e
quando la polvere si diradò comparve ai loro occhi un
individuo alto e longilineo, un elfo sicuramente, che indossava una tunica nera
da battaglia e brandiva come armi una coppia di guanti provvisti ognuno di tre
lunghi ed affilatissimi artigli ricurvi.
I capelli erano bianchissimi, la
pelle stranamente pallida, e gli occhi, azzurri all’inverosimile, erano lo
specchio di un animo manifestatamente malvagio.
«Finalmente ci incontriamo. Siete
pronti per l’inferno?».
Nota dell’Autore
Eccomi qua!^_^
Roba da matti! Quasi
un mese per aggiornare!
Lo so, è un tempo
abnorme, e io stesso ne sono schifato, ma ho delle
valide giustificazioni per questo immane ritardo: innanzitutto, vengo da una
settimana a dir poco infernale, con cinque esami in sette giorni, di cui due lo
stesso giorno, e anche il ritorno alle lezioni è stato decisamente traumatico.
Inoltre, in questi
ultimi tempi ho cominciato a dedicare sempre più attenzioni al mio agognato
romanzo, quindi cerco di trovare il tempo per fare entrambe le cose.
Da ora in poi cercherò di farmi attendere
un po’ meno, promesso.
Grazie come sempre a Selly e Akita.
A presto!^_^
Carlos Olivera