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Autore: Carlos Olivera    28/04/2010    2 recensioni
Ogni cosa ha un suo corso.
I regni sono come gli uomini; nascono, vivono, ed infine muoiono.
Ad ogni impero ne succede sempre un altro, in un ciclo senza fine.
La profezia a lungo dimenticata sta per avverarsi, e la guerra che molti credevano finita è prossima a ricominciare, ma questa volta ci sarà spazio solo per un vincitore.
Gli eroi scelti dal destino, a loro insaputa, si sono imbarcati in un'impresa che li porterà a varcare le porte di una realtà ignota, incredibile, ma anche piena di pericoli, pericoli sconosciuti e letali.
Buona Lettura.
Genere: Avventura | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Millennium War'
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Dopo essere stato con molta noncuranza l’artefice della salvezza di Mablith lo straniero tornò a rinchiudersi nella sua stanza alla locanda del vecchio Brescon, piccola ma discretamente arredata, e liberatosi sia del mantello che del cappello ancora fradici di pioggia andò a sedersi all’unico sgabello che c’era.

Sul tavolo accanto a lui avanzavano ancora i resti di una cena frugale a base di formaggio e verdure, interrotta con ogni probabilità nel momento in cui, dalla finestra aperta, aveva sentito gli abitanti parlare dei problemi all’argine.

Era sul punto di rimettersi a mangiare quando, da dentro la giacchetta che indossava, giunse una tenue luce intermittente. Affondata una mano all’interno ne prese fuori un cristallo elementale che, attivatosi, proiettò l’immagine a mezzo busto di una giovane donna dai tratti orientali.

«Sono qui.»

«Bentrovato. Dove ti trovi?»

«In un villaggio di nome Mablith, a una trentina di chilometri da Narimia. Dovrei essere a Basel per domani sera.»

«È proprio di questo che volevo parlarti. Il comando centrale ha appena ricevuto una comunicazione dalla polizia di Basel. L’uomo che eri stato incaricato di catturare è stato arrestato nel pomeriggio.»

«Arrestato?»

«A quanto pare la polizia aveva un infiltrato nella banda del nemico, e alla prima occasione buona si sono buttati a pesce sull’obiettivo senza badare a tutto il resto.»

«Immagino non volessero che qualcuno andasse lì a dirgli come fare il loro lavoro.»

«Qualcosa del genere.»

«In questo caso, se non avete più bisogno di me tornerò sui miei passi.»

«Che fretta c’è? Ormai sono tre anni che corri da una parte all’altra del continente come una scheggia impazzita. Prenditi una pausa. Mablith non sarà il posto più movimentato di questo regno, e di certo non il più salubre, almeno in questo periodo, ma almeno è tranquillo.»

«Non ho bisogno di pause. Sono nel bel mezzo di un viaggio.»

«Ti ricordo che quando hai accettato questo incarico ti sei impegnato a seguire le mie istruzioni per una settimana. Il lavoro sarà anche stato portato a termine, ma restano ancora tre giorni alla scadenza. Quindi, per altri tre giorni farai quello che ti dico io.

Buone vacanze.»

«Aria, aspetta.» tentò di dire lo straniero, ma la ragazza, ridendo sotto i denti, scomparve, e il cristallo si spense «La odio quando fa così».

Ormai la fame gli era passata, e sembrava intenzionato ad andarsene a letto, quando una strana sensazione gli fece volgere lo sguardo verso la porta; fulmineo, afferrò un coltello, con un misto di forza ed eleganza, lo lanciò con precisione chirurgica nella strettissima fessura tra il battente e lo stipite.

Dave lo vide schizzare ad un centimetro dal viso per andare a conficcarsi nella parete del corridoio, e per la paura cadde all’indietro, ritrovandosi seduto per terra; era arrivato lì già da qualche minuto, ma dopo aver afferrato la maniglia e aver tirato leggermente la porta verso di sé aveva visto lo straniero impegnato in quella conversazione.

Si era detto che non sarebbe stato educato interrompere, che poteva essere male interpretato, ma la verità era che aveva una paura matta all’idea di doversi confrontare con quella persona e che dentro di sé stava solo cercando una scusa per non doverlo fare.

Prima ancora di poter rialzare la testa vide la porta spalancarsi di netto e lo straniero che lo sovrastava.

«Mi… mi dispiace!» cercò di discolparsi «Non volevo origliare, ve lo garantisco. È solo che vi ho sentito parlare e…»

«Tu eri all’argine, giusto?» domandò lo straniero come se non fosse accaduto nulla

«S… sì, giusto. Mi chiamo Dave. Molto… molto piacere».

A quel punto lo straniero rientrò nella sua camera lasciando la porta aperta e Dave, interpretando quello come l’autorizzazione ad entrare, fattosi forza varcò la soglia, chiudendosela alle spalle; a quel punto, non si poteva tornare indietro.

«Ecco… io ero… sì, ero venuto per ringraziarvi. Per quello che avete fatto, intendo. Sì insomma, per averci aiutati».

Era chiaramente e palesemente nervoso, e probabilmente non aveva la benché minima idea di quello che stava dicendo; una sola cosa la sapeva, e cioè che stava deliberatamente cercando di evitare l’argomento principale, il motivo per il quale era andato fin lì.

Indifferente a quello che diceva il suo inatteso ospite lo straniero si versò una tazza del tè che si era fatto portare insieme alla cena: il vecchio Brescon aveva dovuto sudare sette camice per trovare qualcosa degno di essere bevuto, ma del resto non erano molti gli abitanti del posto che amassero bere il tè.

Alla fine Dave, per cercare di smuovere il suo interlocutore, decise di porre quella domanda della quale era certo di conoscere la risposta.

«Voi… siete Regis, non è vero?».

Di colpo lo straniero si immobilizzò, rimanendo con la tazza ferma a pochi centimetri dalla bocca; le sue dita strinsero un po’ più forte il manico di ceramica, la mano libera invece tremò leggermente.

«All’inizio non vi ho riconosciuto, poi, vedendo il modo in cui vestite, mi sono ricordato di certe storie che ho avuto modo di ascoltare nel corso dei numerosi viaggi con mio padre. Ho sentito molto parlare di voi.»

«E se anche lo fossi?» domandò lui, pensando probabilmente che fosse inutile tentare di negare.

Dave ebbe un altro momento di esitazione, ma decise quasi subito di non esitare, nel timore di perdere quel coraggio che gli era stato necessario per iniziare la conversazione. Prima che la sua mente potesse dirsi pronta si ritrovò in ginocchio, prostrato come un servo.

«Vi prego. Ve lo chiedo per favore. Mi prenda come suo allievo».

Regis lo guardò senza proferire parola, e più passavano i secondi più Dave si sentiva le tempie rigate dal sudore e il cuore andare a mille; la risposta, se c’era, doveva arrivare in fretta, o l’emozione avrebbe avuto la meglio e lui sarebbe scappato da quella stanza come se avesse avuto il diavolo alle costole.

«Vorresti diventare mio allievo?»

«Ve ne prego. Conosco un po’ di magia, e so già recitare alcuni incantesimi, ma ho ancora molta strada da fare per potermi considerare un vero stregone. Sotto la vostra guida sento che potrei raggiungere nuovi livelli di conoscenza e ampliare così il mio sapere.

Quindi, ve lo chiedo un’altra volta. Vorreste prendermi come vostro allievo?».

Di nuovo, lo straniero non aprì bocca, guardando ora Dave ora fuori dalla finestra; la pioggia era fortunatamente passata, un toccasana per gli abitanti di Mablith, e già le prime stelle cominciavano ad apparire oltre la coltre di nuvole.

«Niente da fare.» fu infine la sua risposta, la più dolorosa che potesse scegliere.

Dave sentì un colpo al cuore, e se per un istante aveva visto Mandy avvicinarsi ora invece la vedeva sparire sempre più, inghiottita dalle tenebre.

«Perché?»

«Non sei pronto. E non hai le qualità per essere uno stregone.»

«Non ho le qualità?»

«Inoltre, sono nel bel mezzo del viaggio. Non ho tempo per istruire un allievo.»

«Ve ne supplico!» esclamò Dave prostrandosi ancora di più «Ve lo sto chiedendo dal profondo del cuore. Diventare un vero stregone è estremamente importante per me.

Se non riesco a raggiungere questo traguardo, non ho motivo di esistere».

Regis lo guardò in modo strano, come se volesse scrutarlo all’interno, poi bevve il suo tè.

«A cosa serve la magia?»

«Come!?» replicò Dave interdetto

«Trova la risposta a questa domanda, la sua vera risposta, e prenderò in considerazione la tua richiesta».

Ma che razza di domanda era?

Era una di quelle domande alle quali si potevano dare mille e una risposte possibili, tutte potenzialmente corrette e dettate quasi esclusivamente dal pensiero dell’interrogato.

Forse, pensò Dave, Regis aveva solo creato un espediente che gli permettesse di declinare la richiesta senza un no vero e proprio, ma il ragazzo pensò che il guerriero che gli stava di fronte non era il genere di persona che apprezzava i giri di parole: se voleva dire una cosa la diceva chiara e tonda, dritta in faccia, senza tanti fronzoli.

Aveva detto di trovare la Vera Risposta, il che stava a significare che c’era qualcosa al di sopra delle varie opinioni che si potevano avere, una sorta di valore superiore che accumunava il modo di intendere la magia proprio di ogni stregone, ed era questa verità suprema ciò che Dave doveva ricercare.

«Hai a disposizione tre giorni per trovare la risposta, perché tanto sarà il tempo che trascorrerò qui.»

«Ho capito.»

«Ora, col tuo permesso, vorrei dormire un po’.»

«Vi ringrazio di tutto. E vi auguro un felice riposo».

 

Inutile dire che quella notte Dave non riuscì a chiudere occhio. Continuava a girarsi e rigirarsi sotto le coperte pensando alle parole di quello che già considerava il proprio maestro e ad una possibile risposta da offrire al quesito che gli aveva rivolto.

Verso mezzanotte la pioggia riprese a cadere, meno intensa ma comunque fragorosa, ma l’argine creato dallo straniero incredibilmente resse all’impetuosità del fiume, rendendo addirittura quasi superflua la presenza di un piccolo presidio di uomini che sorvegliasse costantemente la situazione per avvisare prontamente la popolazione in caso di nuovo pericolo.

Le gocce d’acqua che si infrangevano sul tetto e sul vetro della finestra accanto al suo letto lo distraevano, impedendogli di pensare, e questo non faceva altro che accrescere il suo nervosismo.

Alla fine la stanchezza per il lungo viaggio e per il massacrante lavoro al fiume si rivelarono più forti della sua determinazione nel trovare la risposta corretta, e il ragazzo cadde inesorabilmente in un sonno profondo; purtroppo a forza di pensare aveva fatto le tre, e già al sorgere del primo sole fu costretto ad alzarsi per svolgere un compito non certo semplice.

Anche se l’emergenza inondazione era rientrata la prima onda aveva provocato dei danni, seppur lievi, alla parte bassa del villaggio, soprattutto alla scuola, l’edificio più a valle, e molti tra uomini e ragazzi furono costretti per la giornata successiva a tralasciare i loro doveri per dedicarsi alla rimozione di fango e detriti; ma certi obblighi, come foraggiare le bestie e badare ai campi, andavano comunque espletati, e di conseguenza coloro ai quali fu detto di svolgere i compiti abituali si ritrovarono una mole di lavoro ben più alta rispetto a quella abituale.

Dave ad esempio fu costretto a condurre al pascolo non solo le capre della sua famiglia, ma anche quelle di tutti gli altri allevatori del villaggio, per un totale di almeno duecento bestie. Non potendo andare a scuola i suoi due fratelli più grandi, Dylan e Yullie, andarono con lui; malgrado fossero ancora piuttosto piccoli sapevano entrambi condurre gli animali, e si offrirono di aiutarlo. Con loro c’era anche Andy, un amico di Dave, incaricato invece di portare al pascolo le mucche.

Il freddo e la pioggia dell’ultima notte avevano lasciato spazio ad un cielo terso e ad un clima tutto sommato gradevole, ma i ragazzi per ogni evenienza avevano con sé i loro impermeabili.

Raggiunto il solito pascolo, una vasta malga sulle pendici della montagna ad est, Dave si sedette ad una pietra e ricominciò a meditare sulla domanda fattagli da Regis, e nel contempo teneva d’occhio le capre per essere sicuro che non si allontanassero troppo.

Poco lontano, Dylan e Andy ammazzavano il tempo giocando a carte, Yullie invece si dedicava come al solito al suo passatempo preferito, la creazione di corone di fiori.

Dave si sentiva confuso: l’oscurità continuava ad ammantare le parole del maestro, ma durante il tragitto aveva pensato più volte che perdendosi nella natura, l’essenza stessa dal quale scaturiva la magia, forse gli sarebbe stato più facile trovare la risposta che stava cercando.

Come aveva appreso a scuola, la magia altro non era che un immenso fiume di energia che, sgorgando direttamente dal cuore del mondo, lo attraversava in lungo e in largo, un fiume al quale alcuni esseri venti, tra i quali gli uomini, potevano attingere, a condizione di possedere le conoscenze necessarie per farlo.

Purtroppo, alla fine della giornata, nulla di nuovo era riuscito a produrre, e come il sole cominciò a discendere venne il momento di prendere la via del ritorno con la consapevolezza, da parte di Dave, di aver già sprecato il primo dei tre giorni a propria disposizione.

Quanto lui, i suoi fratelli e Andy tornarono a Mablith il villaggio era in fermento; qualcun altro aveva riconosciuto lo straniero, e la notizia, viaggiando come un fulmine, aveva fatto rapidamente il giro delle abitazioni.

Dalla modesta locanda il nobile Regis era stato invitato a trasferirsi nella villa del signor Greede, che dopo avergli offerto ogni sorta di prelibatezza e avergli messo a disposizione la più confortevole delle camere lo aveva ringraziato mille volte per i servigi resi al suo villaggio e lo aveva pregato di restare un altro po’, trattenendosi per tutto il tempo che avesse voluto.

Ma Regis, declinando educatamente l’offerta, ribadì che avrebbe lasciato Mablith entro tre giorni, evitando però di puntualizzare, col rischio di venire frainteso, che se fosse stato per lui se ne sarebbe andato anche subito.

Tuttavia, qualcosa in Dave si era mosso. Forse non aveva trovato la risposta alla domanda, ma c’era una cosa che voleva fare, e anche se poteva benissimo essere considerata un’azione avventata e tutto sommato inutile, visto che ora come ora le sue possibilità di venire preso come allievo erano prossime allo zero, questo non cambiava la sua decisione.

Aveva nascosto la verità a tutti, compresa la sua famiglia, ma almeno per una volta, una volta nella vita, voleva essere sincero, e dire le cose direttamente.

Quando lui e i suoi fratelli entrarono in casa il resto della famiglia era già pronto per cenare; suo padre aveva lavorato come un forsennato per tutto il giorno spalando fango, riparando muri e trainando carriole, e neanche due bagni di fila nell’acqua saponata erano bastati a togliergli completamente il fetore di dosso.

Dave era deciso e risoluto, ma scelse di lasciar passare la cena prima di esternare i suoi pensieri; tuttavia, ben prima che i piatti venissero svuotati, il suo atteggiamento silenzioso e sovrappensiero era già stato notato, e sua madre alla fine gliene chiese la ragione.

Il ragazzo tirò un gran sospiro: ancora una volta, se si fosse iniziato non si sarebbe potuti tornare indietro.

«Papà. Mamma. C’è una cosa di cui devo parlarvi».

Un gesto, si sa, vale come mille parole, e far sollevare dal tavolo la pentola della zuppa e farla levitare placidamente fin sul ripiano fu più che sufficiente a lasciare l’intera famiglia come pietrificata. Il punto di non ritorno era ormai stato superato.

Dave parlò serenamente, gentile ma risoluto. Rivelò tutto: la sua amicizia con Mandy, la promessa che si erano scambiati, e la decisione di usare la sua natura di stregone per mantenere quella promessa.

E i suoi genitori ascoltarono, in silenzio e con rispetto; nessuno dei due aprì bocca per tutta la durata del discorso, ma si capiva dai loro sguardi che la loro incredulità aumentava ogni secondo un po’ di più.

«E questo è tutto. Ora sapete ogni cosa. Il nobile Regis ha detto che se supererò la sua prova prenderà in considerazione l’idea di fare di me il suo allievo.

Volevo che sapeste, e mi dispiace di avervi nascosto la verità per tutto questo tempo».

Sua madre sembrava sull’orlo delle lacrime, suo padre invece lo guardava con un misto di severità e interrogazione, come a volersi accertare che ciò che aveva appena detto suo figlio fosse vero. Di tutt’altro tipo fu la reazione dei suoi fratelli: se fino a quel momento avevano visto nel loro fratellone una sorta di idolo, un braccio forte a cui aggrapparsi e sempre pronto ad aiutare, ora invece appariva ai loro occhi come una sorta di supereroe.

«Ma allora.» disse Yullie con gli occhi che luccicavano «Il nostro onii-chan è uno stregone!»

«Per il momento sono ancora ad un livello molto basso. Ho imparato qualcosa addestrandomi da me stesso e leggendo qualche libro di magia dalla biblioteca del signor Greede.

Ma se diventerò l’apprendista del nobile Regis potrò diventare finalmente un vero stregone, e onorare la promessa che io e Mandy ci siamo scambiati. Vorrei sapere che voi condividete la mia scelta».

Suo padre continuò a fissarlo in silenzio, poi si alzò e andò alla finestra, dandogli le spalle.

«La vita è la tua, Dave. E noi non abbiamo diritto di giudicare le tue decisioni.»

«Ma, caro…» tentò di obiettare la moglie

«Se questa è la strada che hai scelto, allora così sia».

Dave si sentiva felice, perché ora sapeva di avere l’approvazione di suo padre; tuttavia, per qualche motivo, non riusciva ad esserlo del tutto, ma decise di non pensarci.

«Vi ringrazio infinitamente».

Andò a letto con l’animo decisamente più sollevato, e a differenza dell’ultima notte riuscì ad addormentarsi quasi subito mentre, libero da pensieri, rifletteva sulla domanda di quello che sentiva sempre più come il suo futuro maestro.

Dormì così bene da non riuscire, la mattina dopo, a svegliarsi alla sua solita ora; lo svegliarono, ormai a giorno fatto, dei rumori provenienti dall’esterno, e accortosi di che era ora corse ad affacciarsi alla finestra per vedere di cosa si trattava.

Il recinto era aperto, segno che le capre dovevano già essere state portate al pascolo, forse da Dylan; suo padre invece stava spingere su per la collinetta un grosso covone di fieno destinato agli animali. Era lui a produrre il rumore che lo aveva svegliato, e vedendolo ebbe un sussulto: di solito quel lavoro lo faceva lui, tutte le mattine, subito dopo essersi svegliato.

Suo padre era un uomo forte, che sapeva lavorare, ma a causa di una brutta caduta di alcuni anni prima ormai faceva fatica a svolgere quel tipo di lavori, che richiedevano un grande dispendio di energie.

Subito si vestì e scese al piano di sotto, ma proprio mentre stava per uscire senza neanche consumare un po’ della colazione che sua madre, uscita per il giorno di mercato, gli aveva lasciato sul tavolo, dalla finestra della cucina vide sua sorella Yullie, che stava giocando sotto il portico, correre in aiuto del padre, che ormai era sul punto di perdere la presa.

Insieme, i due riuscirono a guadagnare finalmente la meta, ma lo sforzo compiuto da Glasnet era evidente; si teneva la schiena e stava chiaramente soffrendo, come ogni volta che svolgeva mansioni di quel tipo.

«Papà, stai bene?» domandò Yullie

«Tranquilla, non è niente.»

«Non era meglio se chiedevi aiuto al fratellone?»

«Yullie, non possiamo fare sempre affidamento su Dave. Finora abbiamo contato anche troppo sul suo aiuto. Ora però è giunto per lui il momento di scegliere la sua strada, e semmai dovesse riuscire a fare ciò che si è proposto dovremo imparare ad andare avanti senza di lui».

Dinnanzi ad una simile prospettiva, la prospettiva di perdere il suo fratellone, Yullie, superata la meraviglia iniziale per saperlo uno stregone, iniziò a piangere.

«Io non voglio che il fratellone vada via!»

«Lo so che è difficile da accettare, piccola.» le disse il padre abbracciandola «Lo è per tutti noi. Ma dentro di te devi essere felice. Lui ha la possibilità di realizzare il suo sogno».

Dave si sentì male come non mai, e pensò di stare per morire.

Stupido.

Stupido. Ceco. Stolto. Egoista.

Non c’erano parole diverse per potersi descrivere.

Aveva pensato solo a stesso, al suo sogno, senza curarsi minimamente di tutto il resto. La sua famiglia dipendeva da lui, necessitava del suo aiuto per andare avanti, ma lui non ci aveva pensato due volte a gettare via tutto solo per inseguire quella specie di miraggio.

Che poi, valeva davvero la pena di dannarsi tanto per cercare di raggiungere qualcosa che probabilmente non sarebbe mai accaduto?

Chi gli diceva che anche diventato uno stregone non sarebbe mai riuscito ad aspirare alla mano di Mandy, in un sistema ancora sostanzialmente bigotto e retrogrado come quello di Fiya?

Aveva trascurato la sua famiglia; i suoi genitori, che tanto avevano fatto per lui. Che diritto aveva di farsi chiamare uomo se in nome del suo egoismo sacrificava e scartava tutto il resto?

Di colpo, un lampo gli abbagliò la mente.

Ma allora… eccola!

Eccola la risposta! E l’aveva sempre avuta sotto il naso! Ogni giorno, in ogni momento della sua vita! La risposta alla domanda del nobile Regis era elementare, ma allo stesso tempo impossibile da trovare per chi non l’avesse arbitrariamente cercata.

Venti minuti dopo, veloce come un fulmine, stava correndo lungo un sentiero che si inerpicava attraverso la foresta del versante nord della valle.

Poco prima era stato alla residenza del signor Greede e aveva chiesto di poter parlare con il nobile Regis, ma il vecchio maggiordomo, Gustav, gli aveva risposto che Regis in quel momento non c’era.

«Mi dispiace. È uscito questa mattina presto.»

«Ha detto dove sarebbe andato?»

«Ha chiesto al padrone di indicargli un posto tranquillo, dove potersi allenare in tranquillità.»

«E il sindaco dove gli ha detto di andare?»

«Ai Campi Lurian, se non ho capito male».

Come se avesse avuto il diavolo alle costole Dave raggiunse infine i Campi Lurian, una tranquilla prateria situata non troppo in alto dove, di quando in quando, portava anche a pascolare le capre.

E come previsto, Regis era lì.

Chiuso in meditazione, aveva tutto intorno a sé una decina di grossi tronchi di legno appositamente conficcati nel terreno, e come spalancò gli occhi gli bastarono un paio di colpi di spada, estratta e manovrata ad una velocità incredibile, per segarli tutti a metà.

Dave rimase senza parole di fronte a tanta abilità, e anche quando Regis si accorse di lui tutto quello che riuscì a fare per interminabili secondi fu restare immobile con la bocca spalancata e l’espressione inebetita.

Riacquistato finalmente l’autocontrollo, si avvicinò al maestro e i due, come la notte precedente, restarono a lungo a fissarsi senza dire nulla. Poi, il ragazzo si decise a parlare, ma stavolta non cadde in ginocchio; se voleva diventare un uomo, la prima cosa da fare era comportarsi come tale.

«Nobile Regis. Con il vostro permesso vorrei ritirare la richiesta che vi ho fatto di prendermi come vostro allievo».

Il guerriero non replicò, e neppure diede segno di essere rimasto colpito o quantomeno interessato; si limitò a guardarlo dritto negli occhi. Quello sguardo fece tremare non poco Dave, che tuttavia si sentì finalmente libero da un peso opprimente.

«Ho sbagliato. Ho messo me stesso e i miei desideri davanti a tutti. Sono stato un presuntuoso e un egoista, e non ho pensato neppure per un secondo a quanto questa mia decisione avrebbe potuto gravare su coloro che facevano tanto affidamento su di me».

Una lacrima gli rigò il viso; provava una gran vergogna verso stesso, e sentiva il bisogno di confidarsi.

«Io… io volevo usare la magia per aiutare le persone. Per fare del bene. È questo che avevo promesso a Mandy. Di fare del mondo un posto migliore. Ma quando lei se n’è andata, quando l’ho vista allontanarsi da me, ho cominciato a considerare la magia solo uno strumento per poterla raggiungere, per poter stare di nuovo assieme a Lei.

È con questo pensiero in testa che Vi ho chiesto di essere vostro allievo, e me ne vergogno profondamente. Questo non è il modo d’agire di uno stregone».

Infine, asciugatosi gli occhi, e saldo come non mai, concluse.

«Dopotutto, è a questo che serve la magia. Per fare del bene agli altri, non a stessi».

Regis rimase impassibilmente immobile, ma, d’un tratto, sfoderò un’espressione strana, come di malcelata soddisfazione, e le sue labbra parvero piegarsi in un accenno di sorriso.

«Prova superata.» poi aggiunse «In tutti i sensi».

A quella risposta Dave si sentì soddisfatto di stesso: forse aveva rinunciato all’idea di diventare l’allievo di Regis, anche se la cosa indubbiamente gli bruciava un pochino, ma se non altro aveva dimostrato di possedere il cuore e lo spirito necessari a superare la sua prova.

Con l’animo molto più sollevato fece ritorno al villaggio, e una volta lì aiutò il padre a spalare il fieno e la madre il pranzo. Si sentiva tranquillo e in pace, libero da un peso che per troppo tempo gli aveva schiacciato il petto.

Si aera confidato, aveva raccontato tutto, e ora che non aveva più segreti, neppure per stesso, poteva guardare al futuro con nuovi occhi: forse un giorno sarebbe diventato uno stregone, forse sarebbe riuscito ad aspirare alla mano di Mandy, ma non avrebbe pesato sulle spalle di altri per riuscire nel suo intento. Ma, soprattutto, non avrebbe più considerato la magia come un semplice strumento per raggiungere i suoi obiettivi.

Intanto la notizia della sua natura di stregone, portata soprattutto dai suoi fratelli, cominciò a fare il giro di Mablith, e molti abitanti cominciarono ad andarlo a cercare per avere un saggio delle sue abilità.

Erano da poco passate le tre del pomeriggio, e Dave stava aiutando Dylan a rimettere le capre nel recinto, quando all’improvviso, per la prima volta dopo tanto tempo, la campana in cima alla torre che si stagliavano lungo il versante più ripido della valle prese a suonare all’impazzata.

Mablith si trovava non molto lontano dalla zona più occidentale del regno di Fiya, ed anche se i Kalimi erano un popolo per la maggior parte pacifico e dedito al nomadismo vi erano delle tribù che facevano del brigantaggio e della razzia delle fertili terre di Fiya la loro principale di reddito.

Attaccavano a ondate, ogni volta che le rotte di migrazione li portavano vicini ai villaggi, ora da una parte ora dall’altra, ma sempre con crudeltà ed efficacia spaventose; arrivavano dal nulla, velocissimi, in sella a cavalli o cammelli, piombavano su un villaggio, rubavano tutto quello che potevano, uccidevano chiunque gli capitasse a tiro e si ritiravano dopo aver appiccato il fuoco.

La banda che stava per attaccare Mablith era una delle peggiori, che aveva lasciato dietro di sé un’interminabile linea di sangue e ora si apprestava a fare una nuova vittima.

Giunsero dal valico, dalla via diretta, cavalcando i loro enormi cammelli e brandeggiando ogni sorta di arma, ma soprattutto quelle tipiche dei Kalimi, archi e scimitarre.

Se si escludevano i pochi mercenari a contratto che facevano da guarnigione per la residenza del signor Greede non c’erano soldati a Mablith, e di certo non abbastanza da poter contrastare quaranta guerrieri pesantemente armati, quindi l’unica cosa da fare per gli abitanti era rifugiarsi nel palazzo-fortezza del loro sindaco, facilmente difendibile, e aspettare che passasse la tempesta.

Fortunatamente i predoni vennero avvistati quando erano ancora abbastanza lontani, e questo diede a tutte le famiglie di Mablith il tempo di raggiungere la casa del signor Greede, il cui portone venne immediatamente sprangato e bloccato con tutto quello che si poteva, dalle travi di legno ai comodini.

«Papà, riesci a vederli?» domandò Dave raggiungendo suo padre sul ballatoio delle mura

«Sono vicini.» rispose Glasnet indicando una nuvola di polvere che si avvicinava a tutta velocità «Saranno qui in pochi minuti».

Purtroppo, improvvisamente la signora Madison iniziò a gridare in tutte le direzioni di non essere riuscita a ritrovare sua figlia.

«Mia figlia Lory è ancora lì fuori!» urlò rivolta al sindaco «Era andata a raccogliere fragole!»

«Che cosa facciamo, signor sindaco?» domandò una delle guardie.

La situazione era complicata: nessuno, nonostante il clima di fratellanza che univa la gente di Mablith, sembrava aver voglia di mettere un piede all’esterno con quell’orda di barbari in procinto di gettarsi sulla valle per andare a cercare una bambina che poteva essere chissà dove, se non addirittura già morta.

La stessa signora Madison, in preda alla disperazione, cercò di uscire, ma suo marito, ugualmente disperato ma comunque ancora sano di mente, la trattenne.

«Vi prego! Dovete salvarla! È la mia bambina!».

Le urla e i pianti di quella povera donna spaccarono il cuore di molti, ma continuava ad albergare il timore di uscire; poi, d’un tratto, Dave intravide una figurina piccola e gracile sbucare da dietro una casa del villaggio ormai deserto.

«Eccola! La vedo!».

Era proprio lei, la piccola Lory, con il suo cestino pieno di frutti di bosco; era tornata già da alcuni minuti, e non trovando nessuno nella sua casa, situata in un punto isolato al limitare della foresta, era andata a cercare i suoi genitori a Mablith, e ora si trovava proprio nell’occhio del ciclone, lì dove la tempesta in procinto di scatenarsi.

La voglia di uscire all’esterno passò da poca a nulla, e a questo punto neanche le preghiere disperate della signora Madison sembravano capaci di smuovere gli animi. Ma Dave aveva già preso la sua decisione; aveva appena capito cosa doveva fare uno stregone, ma soprattutto un uomo, per definirsi tale, e ora avrebbe messo in pratica quei precetti.

«Vado io!» disse, e senza pensarci saltò giù dalle mura

«Dave, aspetta!».

In una disperata corsa contro il tempo Dave raggiunse la piccola Lory, che ancora vagava senza meta tra per le strade di Mablith chiamando la mamma, ma prima che potesse portarla al sicuro i predoni si avventarono sul villaggio, rendendo impensabile il ritorno al palazzo.

«Dannazione!»

Il ragazzo raggiunse la propria casa e, aperta una botola nascosta sotto il tappeto della sala da pranzo, rivelò un piccolo scomparto intagliato nella pietra dove lui e la sua famiglia erano solito conservare il pane, e vi fece entrare Lory.

«Resta qui e fai silenzio. Vedrai che andrà tutto bene».

La bambina, com’era comprensibile, si fece pregare, e pianse all’idea di restare sola, ma poi volle dare fiducia agli occhi sinceri e amorevoli di Dave e si rannicchiò quatta quatta sul fondo dello scomparto, che venne immediatamente sprangato.

All’improvviso, mentre il ragazzo era in procinto di trovarsi anche lui un nascondiglio, un predone entrò in casa sfondando la porta e subito gli si avventò contro; Dave riuscì ad evitare il primo colpo, che spaccò in due il tavolo, e raccolto un grosso coltellaccio da carne lo usò per tentare di difendersi.

Ma era un’impresa disperata: lui non aveva nessuna esperienza di combattimento, mentre i Kalimi, e soprattutto i predoni, erano delle eccezionali macchine da guerra che uccidevano con estrema abilità.

Per evitare che il nemico potesse accorgersi della presenza di Lory Dave tentò di spostare il combattimento all’esterno, ma trovatosi la strada verso la porta sbarrata decise di salire al primo piano. L’aggressore gli andò dietro, e si vide venire contro ogni sorta di oggetto e suppellettile in grado di rallentarlo, ma niente sembrava capace di farlo desistere.

Dave tentò di barricarsi nella sua camera, ma anche quella porta venne sfondata, e dopo un brevissimo scambio di colpi, in cui la morte arrivò a sfiorarlo più di una volta, il ragazzo venne letteralmente lanciato oltre la finestra. Fortunatamente atterrò sull’erba, attutendo la caduta, ma quel mostro continuò ad inseguirlo saltando giù a sua volta, e quando Dave, mezzo intontito dal colpo, riuscì a rialzare gli occhi, i nemici, da uno, erano diventati sei.

Pensò che fosse davvero la fine, che sarebbe morto prima di poter realizzare il suo sogno, ma il destino aveva in serbo altri progetti per lui; proprio quando stava per alzare la spada, l’aggressore originale venne assalito lateralmente da una figura velocissima e letale che lo trafisse inesorabilmente sotto l’ascella senza lasciargli scampo.

Il predone rovinò a terra già morto, e Dave poté scorgere la figura del suo salvatore.

«Nobile Regis!».

Gli altri banditi, lasciato perdere Dave, si concentrarono sul nuovo arrivato, che capirono subito essere su un altro livello; si lanciarono all’attacco tutti insieme, ma questo non servì a salvare nessuno di loro, perché morirono uno dietro l’altro nel giro di dieci secondi.

A quel punto, tutti i predoni che avevano assistito allo scontro si accanirono su Regis, lasciando perdere completamente la razzia del villaggio. Alcuni di essi tirarono frecce infuocate, ma il guerriero riuscì a respingerle tutte facendo ruotare vorticosamente la sua spada.

Purtroppo una di queste, lanciata con meno precisione, invece di dirigersi verso di lui lo scavalcò, entrò da una finestra nella casa di Dave e si conficcò in un mucchio di lenzuola smesse, che subito presero fuoco. Furono sufficienti solo pochi secondi perché l’abitazione. essendo fatta per buona parte di legno, diventasse un immenso braciere, e Dave sentì un brivido lungo la schiena al pensiero che Lory era ancora all’interno.

Regis era troppo impegnato a contrastare gli attacchi dei predoni, quindi l’unica persona in grado di aiutare la bambina era lui. Fattosi forza si lanciò all’interno della casa, già avvolta dalle fiamme, ma appena fu dentro si rese conto di aver voluto fare, a suo rischio e pericolo, il passo più lungo della gamba: tutto bruciava, il calore era immenso e il fumo, oltre a coprire la vista, arrivava fin nel profondo dei polmoni, rendendo impossibile respirare.

Solo andando a tentoni riuscì a raggiungere la cucina, e come sentì la piccola piangere e tossire si avventò sulla botola, aprendola; Lory era ancora cosciente, ma aveva respirato tanto di quel fumo che non riusciva a smettere di tossire.

«Tranquilla, ci sono io! Ti porterò fuori di qui!».

Ma il ritorno si rivelò molto più difficile, sia perché Dave era costretto a portare Lory sulle spalle sia perché il fumo diventava sempre più denso, e le fiamme sempre più alte.

«Ho paura.»

«Cerca di resistere. Ormai ci siamo».

All’improvviso, una porzione del soffitto cedette, e le travi infuocate minacciarono di cadere addosso ai due ragazzi. Fu sufficiente un attimo, un briciolo di convinzione, e quasi senza rendersene conto Dave, alzato il braccio destro, fermò le travi, che restarono sospese a mezz’aria qualche istante per poi cadere più lontano.

Dave non credeva ai suoi occhi: fino a pochi giorni prima non se lo sarebbe neanche sognato di fare una cosa simile. Allora era vero che, se usata pensando agli altri invece che a stessi, la magia diventava molto più potente.

Senza riflettere oltre il ragazzo riuscì finalmente a riguadagnare l’uscita.

All’esterno, nel frattempo, i predoni stavano cadendo uno dietro l’altro sotto i colpi di Regis, che risultava ai loro occhi come una fortezza inespugnabile. Inoltre gli abitanti, imbaldanziti e rinvigoriti dalla sua presenza, impugnata ogni sorta di arma si erano a loro volta lanciati all’attacco per difendere il proprio villaggio.

Alla fine cinque avversari, tra i pochi ancora in vita o in grado di combattere, circondarono Regis, con l’intento di attaccarlo da tutte le direzione; incredibilmente, dopo essersi guardato un momento intorno, il guerriero rinfoderò la spada, rimanendo immobile al centro del cerchio con il volto disteso e gli occhi chiusi.

I predoni rimasero comunque cauti, poi, all’unisono, attaccarono.

Fulmineo, Regis riaprì gli occhi, e come aveva fatto poche ore prima con i pali di legno estrasse fulmineo la spada, movendola con tale maestria e precisioni che gli servirono due soli colpi per eliminarli tutti.

A quel punto i superstiti tentarono la fuga, ma vennero bloccati e assaliti da una folla inferocita che solo l’arrivo del signor Greede riuscì a placare.

Tutti acclamarono Regis come il loro salvatore, ma anche Dave ebbe la sua ben meritata quantità di elogi. Se non fosse stato per lui Lory non sarebbe sopravvissuta, e nessuno più della madre della bambina lo ricoprì di ringraziamenti. Lo stesso sindaco di congratulò con lui, e tutti questi complimenti fecero nascere nel ragazzo un misto di soddisfazione e umiltà; soddisfazione per essere stato capace di fare la sua parte, umiltà per l’essere consapevole che uno stregone doveva fare del bene per definizione, senza aspettarsi o pretendere alcun tipo di ringraziamento.

Il bilancio finale fu di dieci morti e trenta prigionieri, che vennero coperti di catene e rinchiusi in una vecchia capanna dove, tra le altre cose, veniva stoccato il concime per i campi. Alcune case erano state danneggiate, altre distrutte, ma niente che non si potesse riparare.

«Ho già avvisato la polizia militare.» disse Regis il giorno dopo ai confini del villaggio, già pronto a ripartire «Verranno a prenderli tra qualche giorno.»

«A nome di tutto il villaggio» disse il signor Greede «Voglio ringraziarvi mille volte per ciò che avete fatto. Mablith avrà un debito nei vostri confronti che difficilmente potrà risanare. Vi offrirei una ricompensa, ma so che per voi sarebbe quasi un insulto.

Quindi, grazie».

Regis non replicò, e messosi il cappello riprese la propria strada, salutato dagli abitanti. Dave non salutava, né sembrava felice.

Con Regis se ne andavano tutte le sue speranze, dopotutto. Forse sarebbe riuscito, un giorno, a trovare un altro maestro, ma sapeva che neanche a cercare cent’anni ne avrebbe trovato un altro uguale.

Ai suoi genitori aveva spiegato già la sera prima le ragioni per cui aveva deciso di rinunciare ad andare con Regis pur avendo risolto brillantemente il suo enigma, e ancora una volta loro non avevano detto niente, se non che la vita era sua e che poteva usufruirne come meglio voleva. D’un tratto, alzato casualmente lo sguardo, si accorse che tutti, e soprattutto la sua famiglia, lo stavano guardando, e sorridevano.

Sua madre, dolce e amorevole come non mai, gli si avvicinò con in mano un fagottino contenente, a giudicare dal profumo, le sue migliori prelibatezze.

«Mamma…»

«Ho pensato di prepararti il pranzo. Ci sono tutte le cose che ti piacciono di più».

Sembrava un giorno come un altro, quando gli preparava il cesto con cui mangiare una volta giunto dal pascolo, ma nonostante sorridesse i suoi occhi lucidi erano ad un passo dal pianto. Dave inizialmente non riuscì a comprendere, ma poi gli bastò guardare i volti dei suoi compaesani per capire.

«Sai qual è una delle mie massime, Dave?» disse il signor Greede «Se non vivi per gli altri sei un egoista. Ma se non vivi anche per te stesso, beh, sei un idiota.»

«Signor Greede…»

«Vai, fratellone.» disse Yullie «Noi siamo con te.»

«Falli tutti neri, quegli aristrocratici.» disse Dylan, che proprio non sopportava i nobili

«Si dice aristocratici.» lo corresse la sorella

«E allora? È la stessa cosa! Mostragli di cosa siamo capace noi della campagna.»

«Dylan… Yullie…».

Suo padre andò da lui e, sorridendo, gli mise una mano sulla spalla.

«Ci hai aiutato molto in tutti questi anni Dave. Ma ora è tempo che tu ti faccia la tua vita.»

«E mi raccomando, scrivici.» disse la vecchia Treiba «Facci sapere come stai.»

«E soprattutto.» disse il signor Greede «Evita i guai. Per quanto possibile».

Dave era sul punto di piangere, ma non volle farlo; non volevano ammetterlo, ma i suoi genitori stavano facendo un grande sacrificio, soprattutto in quel momento, dove tutto era da ricostruire, quindi non voleva disonorare questo sacrificio con le lacrime.

Nuovamente, sua madre gli porse il cesto del pranzo, e lui, con un sorriso, lo prese.

«Vi ringrazio. Grazie di tutto cuore. Siete i migliori genitori del mondo.»

«Abbi cura di te.» disse Glasnet.

Dave abbracciò entrambi, salutò i suoi fratelli, poi si mise a correre.

«Maestro, aspettatemi!».

Regis si fermò, parve quasi sorridere, e aspettò che il ragazzo lo raggiungesse per poi rimettersi in marcia. Il sogno era incominciato. Quanto sarebbe durato, e come si fosse si sarebbe concluso, lo avrebbe deciso lui.

 

Il giorno dopo, Elys e Viola sprizzavano energia da tutti i pori, o almeno cercavano di darlo a vedere, quindi il cammino, dopo una così lunga sosta, poté finalmente riprendere.

La discesa fu molto più facile, e a metà giornata i ragazzi erano già in vista del prossimo villaggio.

«Novellino, che hai da sorridere?» domandò Elys vedendo Dave stranamente allegro

«Oh, niente.» rispose lui «Vecchi ricordi.»

«Siamo quasi arrivati.» disse Sakura «Prima del tramonto dovremmo riuscire a raggiungere quel villaggio.»

«Che bello!» disse Viola «Finalmente stanotte si dorme in un vero letto! Dopo una settimana in un sacco a pelo non mi ricordo più di avere le ossa!».

Anche Regis era contento di lasciarsi finalmente alle spalle quelle dannate montagne per fare ritorno a più verdi pianure, ma proprio quando i ragazzi avevano iniziato a percorrere il sentiero che li avrebbe definitivamente condotti a valle, improvvisamente una figura scura saltò da sopra il costone lungo cui stavano percorrendo e piombò su di loro.

Riuscirono a spostarsi in tempo, e quando la polvere si diradò comparve ai loro occhi un individuo alto e longilineo, un elfo sicuramente, che indossava una tunica nera da battaglia e brandiva come armi una coppia di guanti provvisti ognuno di tre lunghi ed affilatissimi artigli ricurvi.

I capelli erano bianchissimi, la pelle stranamente pallida, e gli occhi, azzurri all’inverosimile, erano lo specchio di un animo manifestatamente malvagio.

«Finalmente ci incontriamo. Siete pronti per l’inferno?».

 

 

Nota dell’Autore

Eccomi qua!^_^

Roba da matti! Quasi un mese per aggiornare!

Lo so, è un tempo abnorme, e io stesso ne sono schifato, ma ho delle valide giustificazioni per questo immane ritardo: innanzitutto, vengo da una settimana a dir poco infernale, con cinque esami in sette giorni, di cui due lo stesso giorno, e anche il ritorno alle lezioni è stato decisamente traumatico.

Inoltre, in questi ultimi tempi ho cominciato a dedicare sempre più attenzioni al mio agognato romanzo, quindi cerco di trovare il tempo per fare entrambe le cose.

Da ora in poi cercherò di farmi attendere un po’ meno, promesso.

Grazie come sempre a Selly e Akita.

A presto!^_^

Carlos Olivera

  
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