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Autore: Aurelia major    28/04/2010    5 recensioni
Stralci dalla teoria alla pratica, quando l’amor conteso, inseguito, ipotizzato e alla fine compiuto, si trasforma in convivenza. E la vita comune si sa, non è mai una passeggiata…
Genere: Comico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Haruka/Heles
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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Tranquillità e operoso raccoglimento.

Ecco che cosa avrebbe suggerito, ad un osservatore casuale, la posa in cui Setsuna si rilassava alla fine della sua giornata, quando finalmente chiudeva i pesanti tomi di astrofisica e andava ad accoccolarsi sulla sua poltrona preferita. Dove, paga della quiete di cui si circondava e nella quale prosperava, chiudeva gli occhi e lasciava che i lunghi capelli cadessero a coprirle parte della curva del fianco, intanto che aggraziata poggiava il gomito sul bracciolo e si protendeva verso la tazza fumante di tè appena fatto.

Un giorno come tanti, una sera qualunque nella sua routine. “Che pace.” Pensò e stava giusto portandosi il recipiente alle labbra, quando il campanello fece udire imprevisto il suo trillo.

“Strano.” Si disse andando ad aprire, non aspettava nessuno e in genere le sue conoscenze si premunivano sempre di avvertirla prima di passare a trovarla, ché spesso faceva le ore piccole nel laboratorio dell’università. In ogni caso comunque quella visita inattesa non l’infastidiva e a cuor leggero si apprestò alla porta, atteggiando il volto ad una gradevole espressione di benvenuto. Ignorava infatti che il compimento di quell’atto d’ospitalità avrebbe messo una pietra tombale sul suo riposo, ma ne ebbe le prime avvisaglie quando sull’uscio la sua imperturbabile calma ebbe il primo, di una lunga serie, dei tracolli imprevisti che quella sera il destino le aveva riservato. Pure non fu tanto l’identità del visitatore a sorprenderla, quanto lo stato in cui versava. Tanto che non ci provò neppure a mascherare lo sconcerto innanzi all’inequivocabile avvilimento che fisionomia Michiru denotava e lo sconforto palese dell’amica in un sol colpo la trasportò a ritroso attraverso il tunnel dei ricordi, giù, giù, fino agli albori della loro conoscenza. Già, anche in quel frangente le era piombata d’improvviso tra capo e collo in un giorno di pioggia mentre era intenta a studiare e il bollitore per il tè fischiava.

Comparazione questa che immediatamente mise Setsuna sul chi vive, in quanto, a tutta prima, la congruenza le sembrava fin troppo fortuita per non essere foriera di qualche catastrofe. “Ahi, ahi”, si disse intanto che il sospetto prendeva sempre più piede dentro di lei, “questa visita preannuncia guai”.

Ciononostante non diede fiato alla sue fosche previsioni, ché con quella faccia l’altra di tutto aveva bisogno, tranne che delle sue profezie da Cassandra nel deserto. Perciò sollecita l’invitò ad entrare e, mettendole un braccio attorno alle minute spalle, la sospinse gentilmente, ma con fermezza, verso il divano. Nel frattempo comunque non poté evitare che i suoi pensieri s’involassero in svariate e plausibili tangenti le quali, sebbene assai numerose, inevitabilmente convergevano nel medesimo interrogativo: Che ha combinato stavolta Haruka?

Domanda questa che la portava nuovamente al raffronto con gli avvenimenti del passato come se fosse una sorta di dejavù, salvo per il fatto che ai tempi lei e Michiru erano pressoché sconosciute l’una all’altra, anche se poi il tempo, gli avvenimenti e l’assiduo frequentarsi le avevano rese molto più che amiche.  

“Confidenti sarebbe stata la parola più adatta.” Pensò. “Eppure”, aggiunse, sogguardandola mentre la ragazza inane si lasciava cadere a peso morto sui morbidi cuscini, “sembra così sconvolta da non avere neppure l’energia per reagire.”

Un particolare questo assai preoccupante ai suoi occhi proprio perché, sempre seguitando nel giochino del paragone tra le due situazioni, in quella precedente, malgrado non avessero abbastanza confidenza da rivolgersi la parola, Michiru non aveva avuta nessuna remora a prenderla autoritariamente di petto affinché le dicesse quanto sapeva. Cioè poco e niente, esattamente come allo stato attuale e il fatto che adesso invece non le chiedesse nulla, ma si limitasse semplicemente a cercare il conforto della sua presenza, la metteva oltremodo in ansia.

“Devo piantarla coi corsi e ricorsi storici.” S’impose osservandone lo scarso mordente e l’aria stravolta. Accidenti, appariva intimamente scossa, per non menzionare il fatto che aveva gli occhi pesti come se avesse pianto durante tutto il tragitto che l’aveva portata fin lì. Insomma c’era pressante l’esigenza di mettere le carte in tavola, ma da dove cominciare?

“Quella è pazza.” Affermò Michiru di punto in bianco, togliendola dall’impasse ma mettendola in uno, se possibile, ancora più gravoso. E infatti Setsuna si mosse un po’ a disagio sotto quello sguardo cilestrino, che in quel momento appariva stranamente vitreo. Comunque sia non era tanto l’affermazione in sé per sé a crearle disagio, giacché  il fatto che Haruka fosse una pazza furiosa per lei era un dettaglio da tempo acclarato e addirittura lapalissiano. No, quel che faceva stare sulle spine piuttosto era il timore che quanto stava per esserle rivelato avrebbe potuto metterla nella terribile condizione di  dover schierarsi per l’una o per l’altra. Evenienza che rifuggiva come la peste e che faceva sempre di tutto per scongiurare, portandosi spesso nella traiettoria pericolosa dei piatti che si tiravano appresso, al fine di pacificarle e mantenere intatto il legame e l’affetto che portava ad ambedue.

“Dai.” Si incitò per darsi coraggio e soprattutto perché come al solito, ancora una volta e

nunc et semper in saecula saeculorum, per il bene della patria le toccava prendere il toro per le corna. “Ti va di parlarne?” L’invitò quindi e, come per il sopracitato bovino, quell’esortazione ebbe su Michiru lo stesso effetto di una cappa scarlatta fatta sventolare in Plalza de Toros.

“Prima dammi qualcosa da bere.” Fu la risposta e, visto che Setsuna allungò la mano verso la teiera, sorprendentemente Michiru sibilò: “Non quella sbobba per educande Setsuna, voglio qualcosa di forte!”

“Meno male che sono pronta a tutte le evenienze.” Pensò quest’ultima cercando di non stupirsi, andando verso il cucinino e tornandone con alcune di bottiglie di sake. Un tragitto breve certo, ma sufficiente per fantasticare su una versione di Michiru imbolsita, sciattamente abbigliata e con la bocca spalancata da un riso sguaiato, protagonista assoluta di un festino dove, per la delizia degli astanti, ballava la famosa danza dei ventagli. “Praticamente uguale sputata alla signora Ichinose alla Ikkoku Kan.” Pensò tentando di scacciare il raccapriccio e porgendole quanto le era stato chiesto.

Ma forse chissà erano già entrate in una delle loro fasi di totale simbiosi mentale, giacché Michiru ignorò quell’inutile orpello che era il bicchiere e, proprio come l’ubriacona testé evocata, le strappò il boccione dalle mani e vi si attaccò con foga. A questo punto Setsuna non poté che chiedersi a lei quale parte sarebbe toccata, Akemi o Setsuya? E vallo a sapere, in ogni caso, dopo una sorsata abbondante, Michiru senza ulteriori indugi la fissò con occhi di fuoco e diede fiato alle trombe.

“L’altro giorno sarei dovuta restare a provare in auditorium fino a tardi”, cominciò, “invece avevo dimenticato uno spartito importante e sono dovuta tornare a casa.”

“Non attesa immagino.” Fece Setsuna, andando dritta all’essenziale, persuasa d’aver capito immediatamente di cosa si trattasse e convinta quindi che tentare d’indorare la pillola sarebbe stato del tutto inutile.

“Esatto.” Fu la risposta, dopodiché il silenzio, un tacere che Setsuna percepì carico di significati, tanto che in quella pausa prolungata ci vide suffragate tutte le sue saccenti illazioni e che dovette pungolarla perché andasse avanti. Oltre al fatto che  nel frattempo Michiru s’era nuovamente attaccata alla bottiglia. “Non dirmelo”, esclamò dunque mantenendo la compostezza e il tono autorevole che supponeva si dovesse tenere innanzi a quello che era fuori da ogni dubbio uno scenario adulterino, “l’hai beccata a letto con un’altra?”

“No, peggio.” Replicò Michiru con voce terrea. “L’ho sorpresa con l’uccello tra le mani.”

Inutile dire che sulla placida ragazza questa risposta esplosiva ebbe un effetto a dir poco devastante, tant’è che la sua prima reazione fu di strapparle la bottiglia di modo che anche Michiru potesse beneficiare dello stupore novello nell’osservarla tracannare come un’avvinazzata di lungo corso. Pure non c’era spazio per riflessioni estranee a quella rivelazione e Setsuna, che sperava tanto d’aver capito male e che più di ogni altra cosa non voleva assolutamente immaginarsi la scena di Haruka alle prese con certi… argomenti, chiese esitante: “Era a letto con un uomo?”

“No cara, altrimenti non sarei qui, ti pare?” Rilanciò Michiru con espressione quanto mai esplicativa e lo sguardo leggermente annebbiato di una che è sulla soglia di una solenne sbornia. In effetti non aveva detto a Setsuna che aveva cominciato ad alzare il gomito molto prima che maturasse la decisione di andare a trovarla. In ogni caso la sola menzione del tradimento fu sufficiente a renderne l’angelicato volto in un qualcosa di molto simile a quello di un’erinni, tanto che Setsuna subito intese che nel qual caso Michiru davvero non sarebbe potuta essere là. Già, con Haruka morta ammazzata e giacente all’obitorio, probabilmente sarebbe stata in stato d’arresto, per non menzionare poi la fine cruenta che avrebbe riservato al supposto compagno di merende.

E qui per un folle attimo, dando briglia sciolta alla sua fantasia alimentata a base di innumerevoli thriller, Setsuna presunse che, amante com’era del sashimi, Michiru avrebbe anche potuto ridurre entrambi gli adulteri in tanti piccoli pezzi da mettere in salamoia e da guarnire e aromatizzare successivamente, al fine di gustarseli accompagnati con bella Sapporo gelata. Come Hannibal Lecter praticamente, rendendo lei, nell’atto postumo di andarla a trovare, attraversando il corridoio del carcere di massima sicurezza, una novella Clarice Starling. “Ok, mi ha dato alla testa.” Ammise spassionata prendendo, a scopo terapeutico e lenitivo, un altro sorso copioso dalla fiasca piena di magia. Dopodiché, con la serietà tipica di chi è sul filo esiguo tra l’essere ciucca e coi sensi acutizzati dall’alcool, la sollecitò ad esplicarsi. “E allora scusa, ma di quale uccello stiamo parlando?”

“Dell’ara brasiliana che s’è comprata perché le tenga compagnia mentre studia.” Replicò sdegnata generando nella sua interlocutrice un immenso sollievo, ma soprattutto una grassa gragnola di risate. “C’è poco da ridere”, continuò stizzita, “mettiti un attimo nei miei panni e dimmi come ti sentiresti tu se la persona che si professa innamorata di te preferisce accompagnarsi ad una bestia piuttosto che a te! E per inciso, l’ha pure battezzata Saudade quella deficiente, spero tanto che la gatta se la mangi accidenti a lei!”

“Non lo so”, riuscì a balbettare Setsuna preda com’era della ridarella, “penso solo che il pappagallo ci metterà meno tempo di te a ripetere tutte le parolacce che sente!”

“Okay, lasciamo perdere per un attimo questa cosa.” Propose nel tentativo di riportare la conversazione su di un binario di serietà ed agitando la mano allo stesso modo che avrebbe usato per scacciare una mosca. “A questo punto è meglio che ti racconti tutto, sennò passo io per la squilibrata della situazione.”

“E lasciamo perdere l’uccello, tanto ormai ne abbiamo fatta una filosofia di vita.” Replicò Setsuna giocando coi doppi sensi e alludendo parimenti al fatto che la cronica mancanza di tempo l’impediva di cercarsi un fidanzato, ma l’altra era troppo presa dai propri crucci per badarci e non colse.   

“Suna amica mia”, cominciò accorata Michiru, alla quale l’alcool faceva l’effetto di renderla viepiù veemente nel pigiare sull’emotivo, “tu sai quali e quante fantasie abbia avute su Haruka finché non ci siamo messe insieme.”

“Come no”, rispose dandole una vigorosa pacca sulle spalle e, visto che già gli antichi romani duemila anni prima avevano enunciato che in sakè veritas, non ebbe nessuna remora a spiattellarle come la pensasse a riguardo, “e se è per questo ancora continui, facendomi due marroni così.”

“Per forza!” Replicò Michiru con enfasi, sbattendo il palmo sul tavolino in mezzo a loro. Dopodiché sbottò in un succinto e assai poco elegante porca zozza giacché s’era fatta male. “E’ sempre così indecifrabile accidenti a lei!”

“Uhh e quale abisso di mistero hai scoperchiato vivendoci assieme?” La rintuzzò Setsuna ormai nuovamente preda della ridarella, un po’ per quel che aveva appena visto, ma soprattutto perché era in piena fase allegrotta. In effetti si stava divertendo tanto e si rammaricò assai di non aver a portata di mano una telecamera con cui immortalare l’amica che, impeccabilmente vestita e pettinata con la sua apparente aria snob, trincava ed imprecava peggio d’uno scaricatore di porto.

“Non t’immagineresti mai, Suna, mai!” Proruppe a questo punto Michiru che, diversamente da lei, era nel gorgo della sbronza triste e perciò molto facile alla commozione. E infatti fu scoppiando a piangere che le si gettò tra le braccia, allorché Setsuna per solidarietà l’abbracciò e cominciò a frignare con lei.

“Che ti ha fatto quella carogna? Dillo a Setsuna tua!” Esclamò come nelle migliori sceneggiate napoletane.

“E’ una maniaca fissata! Conosci qualcun altro che tiene le sneakers allineate su una mensola secondo l’uso che ne deve fare? E guai a spostargliele, mi fa delle storie esagerate se mi azzardo!”

Non esagerava, in effetti Haruka davvero soleva disporre le sue scarpe mediante una millimetrica precisione, determinata non solo dal colore e dal modello, ma anche dal grado d’usura e d’impiego. Tant’è, nella sua stanza aveva appunto una serie di ripiani ove facevano bella mostra di sé scarpette da corsa, da marcia, da bici, da moto, oltre ai geta dei quali andava fierissima e che ultimamente usava per casa, facendo rimbombare i suoi passi fin al piano terra. In effetti qualche inquilino già aveva cominciato a lamentarsi per quel ciabattare che gli risuonava alle orecchie con lo stesso clangore di una trottata di cavalleria.

“E fosse solo quello.” Singhiozzò Michiru determinata ormai a vuotare il sacco, ché il tormento per quanto stava andando scoprendo dacché avevano casa assieme, non le dava più pace. “Da quando ha cominciato a studiare per quei maledetti esami d’ammissione al MIT è nervosa peggio di una gatta incinta e sai cosa fa quando si vuole prendere un momento di relax?”

“Si mette a testa in giù e fa le spaccate?” Congetturò Setsuna carezzandole la testa e ripescando dalla memoria una delle abitudini che d’Haruka più l’avevano sconcertata  quand’ancora vivevano insieme negli States. 

“Sì anche.” Rispose sbrigativa, come se l’amica avesse menzionato un’abitudine talmente normale da risultare trascurabile nel dettaglio. “Ma non è questo il punto, perché dei del cielo, se hai in casa me a tua completa disposizione, e capiscimi bene che intendo dire con la locuzione a completa disposizione, ma porca vacca come minimo pretenderesti un’orgia di coccole, giusto?!”

“Troppo semplice come spiegazione.” Ponderò Setsuna annuendo a più riprese, non tanto per la saggezza dell’ammonizione, quanto perché le girava maledettamente la testa per tutto il sakè bevuto fin lì. Inoltre, considerato l’effetto che le stava facendo, a quel movimento ondulato cominciò a prendere un colorito verde, indi dovette smetterla malgrado l’aria assennata che le dava. E quando si fu ripresa un tantino dal voltastomaco continuò: “E invece che fa la nostra eroina?”

“Ancora scarpe, ti rendi conto? Tira fuori tutte quelle che ci sono in casa e si mette a lustrarle manco per vivere facesse lo sciuscià! Ti giuro, per settimane ho continuato a chiedermi com’era possibile che me le ritrovassi sempre lucidate a specchio nonostante non le pulissi mai. Poi una notte mi sono svegliata, nel letto non c’era e l’ho trovata al tavolo della cucina che spazzolava e ci dava dentro. E il bello sai qual è?”

“Che si veste e si trucca da cantante dei Kiss quando lo fa?” Ipotizzò Setsuna alla ricerca della soluzione più assurda. In effetti, le suggerirono le voci di dentro che i fumi alcolici le stavano evocando, precettando Michiru, lei stessa ed Hitomi, al prossimo Halloween avrebbero potuto interpretare la band al completo.   

“Peggio, dopo aver studiato si ripassa gli argomenti lavorando a maglia!” Sbottò Michiru  ripensando a quando aveva scoperchiato quest’ennesimo altarino. E grande era stato il suo sconcerto quando se l’era trovata davanti che sferruzzava matematicando. Certo, da quando era cominciato il tour de force di Haruka sui libri stava godendo di un inconsueta generosità manifatturiera da parte sua. Ché studiando, studiando le aveva sferruzzato  una sciarpa, un maglione dal complicato intreccio e persino un bel paio di mutandoni di lana, hai visto mai ci fosse l’eventualità che tenesse un concerto pro orsi bianchi al Polo? Certo, pensava, un regalo è sempre bello per chi lo fa e per chi lo riceve, pure questa mania dell’apprendimento tramite il lavoro a maglia stroncava sul nascere qualsiasi tentativo di conversazione tra loro. Infatti negli ultimi tempi, qualsiasi domanda le rivolgesse, veniva zittita inevitabilmente con un: “Per favore Michi, sto contando le maglie.”

“Ti rendi conto Suna?!” Chiese senza riuscire a reprimere un singhiozzo il quale, più che di pena amorosa, era dovuto al fatto che ormai avevano dato definitivamente fondo alle bottiglie.

“Eh vabbé dai, in fin dei conti si tratta di una cosa innocua.”

“Innocua un corno! L’altro giorno siamo scese a comprare i giornali e quella svergognata dell’edicola quando le ha chiesto di darle Confidenze sai che le ha risposto? Che ha il culo scolpito nel marmo!”

“Non sarà mica la prima allupata che le fa un complimento sconcio, ormai avresti dovuto farci il callo.”

“Forse, ma io rivoglio la mia donna! Quella che mi mollava con tutti i piatti da lavare perché aveva voglia di farsi un giro in moto e assolutamente per i fatti suoi! Rivoglio quella che al massimo mi grugniva buongiorno al mattino e mi ringhiava di non romperle alla sola menzione dell’immondizia da portare dabbasso! Ma soprattutto rivoglio quella che invece di vestirmi di lana merinos, mi faceva la lingerie a coriandoli nei momenti meno opportuni! Non mi piace questa versione casalinga disperata Setsuna, rivoglio la bastarda senza creanza di cui mi sono innamorata e me ne frego se questo significa che verrà bocciata, minchia!”

“E allora andiamoglielo a dire!” Esclamò invitta, scoppiando in un applauso spontaneo al culmine di quell’arringa. E Michiru, ormai completamente incapace di connettere, ma  soprattutto talmente annebbiata da non cogliere le conseguenze derivanti da quanto stavano per fare, entusiasta approvò.

Così fu che le due furono caricate da un taxista il quale, impietosito dalla deboscia di quelle che era più che evidente fossero delle ragazze di ottima famiglia alle prese con la loro prima sbronza, le portò attraverso la città e poi addirittura fino all’ascensore del palazzo. Lì poi si soffermò a raccomandarsi caldamente col portiere al fine che  s’accertasse arrivassero a casa sane e salve, ma  pure non dessero fuoco all’intero stabile. Non che l’uomo fosse un malpensante, anzi in linea di massima era una persona tollerante e che soprattutto si faceva gli affari suoi, ciononostante dopo l’incessante blaterare che gli era toccato sentire durante tutto il tragitto, voleva essere certo che quelle due non causassero altri danni all’umanità. Quanto al portiere e la mission impossibile che gli era stata affidata,  chiaro che non poteva portarle fin tra le coltri e rimboccar loro pure le lenzuola, però tentò di fare del suo meglio accompagnandole nell’ascesa fino all’ultimo piano e, visto che ormai aveva afferrato di chi stessero parlando e in che termini, gli parve di afferrare appieno la reale portata della ciucca che teneva avvinte quelle isteriche. Haruka Tenou il pilota sciupafemmine che si comporta come una dama di San Vincenzo? Che razza di fregnaccia! Pensò ridacchiando della stupidità femminile e poi, visto che le accurate esplorazioni speleologiche di Michiru nella sua borsetta non riuscivano a cavarne fuori le chiavi e che lui si era decisamente rotto le scatole di star lì ad aspettare come un cretino, con decisione pigiò il campanello, nella speranza che l’idolo di tutti i macho fosse in casa.

C’era ovviamente e quando, ancor beata nella sua ignoranza, Haruka aprì la porta si ritrovò davanti uno scenario che neppure nei suoi incubi peggiori avrebbe potuto immaginare, ché spostando lo sguardo stupefatto dalla figura del portiere ghignante a quella di Setsuna che la guardava con aperta sfida, sebbene fosse piegata in una genuflessione innaturale sulle gambe dischiuse a X, per finire su Michiru che col rossetto sbavato e i capelli da facocero le inveiva contro con parole incomprensibili, meditò per un attimo di chiudere la porta e far finta di non conoscerli.

Ma non poté, anche perché la donna di cui era innamorata con un Prendimi a pesci in faccia come una volta carogna! le stava praticamente ordinando di trattarla male se ancora l’amava, intanto che il portiere del suo palazzo le stava suggerendo di contenerne gli atteggiamenti licenziosi con un garbato Signore meglio che non la mandi più da sola in giro la sua fidanzata, per finire con la sua migliore amica che la stava decisamente esortando a darle rapida un paio di ceffoni e a togliersi di torno perché aveva urgente bisogno della toilette intimandole Picchiala e fammi andare al cesso Haru!. Tutto ciò mentre il pappagallo, oltremodo innervosito da quella cacofonia, faceva piovere su di loro a raffica l’ultima parolina che aveva imparato. Per cui, mentre Saudade continuava a ripetere Coglione! Coglione! dall’alto del suo trespolo, cosa poteva fare Haruka se non congedare cortesemente l’uomo e prendere quelle due per la collottola al fine di metterle immediatamente con la testa sotto l’acqua fredda?

Nulla appunto, salvo far loro una cagnara senza fine, per poi andare a rompere il muso al portiere spifferone, quando l’indomani si ritrovò etichettata come una vera e propria mammoletta e con l’intera faccenda, oltremodo romanzata, scritta pari pari sulla cronaca pettegola del giornale del mattino.

Morale della favola? Nelle settimane che seguirono, col diradarsi della mole dello studio, anche le sue manie si affievolirono e pian piano tutto tornò alla normalità. Quanto alle due baccanti poi, da quella sera evitarono accuratamente qualsiasi alcolico, sia perché il solo odore le nauseava, ma soprattutto perché avevano impressa a lettere di fuoco nel cervello la promessa che Haruka aveva fatto loro mentre pareva volesse affogarle sotto il getto della doccia. Ché semmai le avesse beccate a bere, aveva giurato strapazzandole esattamente come Michiru aveva desiderato facesse, le avrebbe prese a schiaffoni a due mani finché la somma non sarebbe diventata dispari. Insomma, fattisi due conti, Michiru e Setsuna capirono che in fondo anche quello era amore. 

 

 

 

 

N.d.A.

Beh, quasi mi verrebbe da dire bentornata stupidaggine! Ma, celie a parte, sento di dover fare  una piccola precisazione, giacché presumo che chi non abbia letto le precedenti avventure cui ho fatto protagoniste queste due mentecatte, alcuni passaggi potrebbero risultare ostici. Indi rimando chi sentisse l’esigenza di un chiarimento in proposito al capitolo 14 di “Ipotesi per un ritratto a colori” sperando che non suoni quale pubblicità occulta. Quanto all’espediente della storiella becera dell’edicolante e della rivista Confidenze mi si perdoni l’abuso in virtù del fatto che quest’ultimo capitolo prende spunto esattamente dal rammentare questa barzelletta che faceva furore ai tempi della mia infanzia. Il che la dice lunga sulla cialtronaggine dei fervori creativi che m’ispirano… ;)  

 

   
 
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