Tranquillità
e operoso raccoglimento.
Ecco
che cosa avrebbe suggerito, ad un osservatore casuale, la posa in cui
Setsuna si
rilassava alla fine della sua giornata, quando finalmente chiudeva i
pesanti
tomi di astrofisica e andava ad accoccolarsi sulla sua poltrona
preferita. Dove,
paga della quiete di cui si circondava e nella quale prosperava,
chiudeva gli
occhi e lasciava che i lunghi capelli cadessero a coprirle parte della
curva
del fianco, intanto che aggraziata poggiava il gomito sul bracciolo e
si protendeva
verso la tazza fumante di tè appena fatto.
Un
giorno come tanti, una sera qualunque nella sua routine. “Che
pace.” Pensò e
stava giusto portandosi il recipiente alle labbra, quando il campanello
fece
udire imprevisto il suo trillo.
“Strano.”
Si disse andando ad aprire, non aspettava nessuno e in genere le sue
conoscenze
si premunivano sempre di avvertirla prima di passare a trovarla,
ché spesso
faceva le ore piccole nel laboratorio
dell’università. In ogni caso comunque
quella visita inattesa non l’infastidiva e a cuor leggero si
apprestò alla
porta, atteggiando il volto ad una gradevole espressione di benvenuto.
Ignorava
infatti che il compimento di quell’atto
d’ospitalità avrebbe messo una pietra
tombale sul suo riposo, ma ne ebbe le prime avvisaglie quando
sull’uscio la sua
imperturbabile calma ebbe il primo, di una lunga serie, dei tracolli
imprevisti
che quella sera il destino le aveva riservato. Pure non fu tanto
l’identità del
visitatore a sorprenderla, quanto lo stato in cui versava. Tanto che
non ci provò
neppure a mascherare lo sconcerto innanzi all’inequivocabile
avvilimento che fisionomia
Michiru denotava e lo sconforto palese dell’amica in un sol
colpo la trasportò a
ritroso attraverso il tunnel dei ricordi, giù,
giù, fino agli albori della loro
conoscenza. Già, anche in quel frangente le era piombata
d’improvviso tra capo
e collo in un giorno di pioggia mentre era intenta a studiare e il
bollitore
per il tè fischiava.
Comparazione
questa che immediatamente mise Setsuna sul chi vive, in quanto, a tutta
prima, la
congruenza le sembrava fin troppo fortuita per non essere foriera di
qualche
catastrofe. “Ahi, ahi”, si disse intanto che il
sospetto prendeva sempre più
piede dentro di lei, “questa visita preannuncia
guai”.
Ciononostante
non diede fiato alla sue fosche previsioni, ché con quella
faccia l’altra di
tutto aveva bisogno, tranne che delle sue profezie da Cassandra nel
deserto.
Perciò sollecita l’invitò ad entrare e,
mettendole un braccio attorno alle
minute spalle, la sospinse gentilmente, ma con fermezza, verso il
divano. Nel
frattempo comunque non poté evitare che i suoi pensieri
s’involassero in svariate
e plausibili tangenti le quali, sebbene assai numerose, inevitabilmente
convergevano
nel medesimo interrogativo: Che ha combinato stavolta Haruka?
Domanda
questa che la portava nuovamente al raffronto con gli avvenimenti del
passato
come se fosse una sorta di dejavù, salvo per il fatto che ai
tempi lei e
Michiru erano pressoché sconosciute l’una
all’altra, anche se poi il tempo, gli
avvenimenti e l’assiduo frequentarsi le avevano rese molto
più che amiche.
“Confidenti
sarebbe stata la parola più adatta.”
Pensò. “Eppure”, aggiunse,
sogguardandola mentre
la ragazza inane si lasciava cadere a peso morto sui morbidi cuscini,
“sembra
così sconvolta da non avere neppure l’energia per
reagire.”
Un
particolare questo assai preoccupante ai suoi occhi proprio
perché, sempre
seguitando nel giochino del paragone tra le due situazioni, in quella
precedente, malgrado non avessero abbastanza confidenza da rivolgersi
la parola,
Michiru non aveva avuta nessuna remora a prenderla autoritariamente di
petto affinché
le dicesse quanto sapeva. Cioè poco e niente, esattamente
come allo stato
attuale e il fatto che adesso invece non le chiedesse nulla, ma si
limitasse
semplicemente a cercare il conforto della sua presenza, la metteva
oltremodo in
ansia.
“Devo
piantarla coi corsi e ricorsi storici.” S’impose
osservandone lo scarso mordente
e l’aria stravolta. Accidenti, appariva intimamente scossa,
per non menzionare
il fatto che aveva gli occhi pesti come se avesse pianto durante tutto
il
tragitto che l’aveva portata fin lì. Insomma
c’era pressante l’esigenza di mettere
le carte in tavola, ma da dove cominciare?
“Quella
è pazza.” Affermò Michiru di punto in
bianco, togliendola dall’impasse ma
mettendola in uno, se possibile, ancora più gravoso. E
infatti Setsuna si mosse
un po’ a disagio sotto quello sguardo cilestrino, che in quel
momento appariva stranamente
vitreo. Comunque sia non era tanto l’affermazione in
sé per sé a crearle
disagio, giacché il
fatto che Haruka
fosse una pazza furiosa per lei era un dettaglio da tempo acclarato e
addirittura lapalissiano. No, quel che faceva stare sulle spine
piuttosto era
il timore che quanto stava per esserle rivelato avrebbe potuto metterla
nella
terribile condizione di dover
schierarsi
per l’una o per l’altra. Evenienza che rifuggiva
come la peste e che faceva
sempre di tutto per scongiurare, portandosi spesso nella traiettoria
pericolosa
dei piatti che si tiravano appresso, al fine di pacificarle e mantenere
intatto
il legame e l’affetto che portava ad ambedue.
“Dai.”
Si incitò per darsi coraggio e soprattutto perché
come al solito, ancora una
volta e
nunc
et semper
in saecula saeculorum, per il bene della patria le
toccava prendere il toro per le corna. “Ti
va di parlarne?” L’invitò quindi e, come
per il sopracitato bovino,
quell’esortazione ebbe su Michiru lo stesso effetto di una
cappa scarlatta
fatta sventolare in Plalza de Toros.
“Prima
dammi qualcosa da bere.” Fu la risposta e, visto che Setsuna
allungò la mano
verso la teiera, sorprendentemente Michiru sibilò:
“Non quella sbobba per
educande Setsuna, voglio qualcosa di forte!”
“Meno
male che sono pronta a tutte le evenienze.” Pensò
quest’ultima cercando di non
stupirsi, andando verso il cucinino e tornandone con alcune di
bottiglie di
sake. Un tragitto breve certo, ma sufficiente per fantasticare su una
versione
di Michiru imbolsita, sciattamente abbigliata e con la bocca spalancata
da un
riso sguaiato, protagonista assoluta di un festino dove, per la delizia
degli
astanti, ballava la famosa danza dei ventagli. “Praticamente
uguale sputata
alla signora Ichinose alla Ikkoku Kan.” Pensò
tentando di scacciare il
raccapriccio e porgendole quanto le era stato chiesto.
Ma
forse chissà erano già entrate in una delle loro
fasi di totale simbiosi
mentale, giacché Michiru ignorò
quell’inutile orpello che era il bicchiere e,
proprio come l’ubriacona testé evocata, le
strappò il boccione dalle mani e vi
si attaccò con foga. A questo punto Setsuna non
poté che chiedersi a lei quale
parte sarebbe toccata, Akemi o Setsuya? E vallo a sapere, in ogni caso,
dopo
una sorsata abbondante, Michiru senza ulteriori indugi la
fissò con occhi di
fuoco e diede fiato alle trombe.
“L’altro
giorno sarei dovuta restare a provare in auditorium fino a
tardi”, cominciò,
“invece avevo dimenticato uno spartito importante e sono
dovuta tornare a
casa.”
“Non
attesa immagino.” Fece Setsuna, andando dritta
all’essenziale, persuasa d’aver
capito immediatamente di cosa si trattasse e convinta quindi che
tentare
d’indorare la pillola sarebbe stato del tutto inutile.
“Esatto.”
Fu la risposta, dopodiché il silenzio, un tacere che Setsuna
percepì carico di
significati, tanto che in quella pausa prolungata ci vide suffragate
tutte le
sue saccenti illazioni e che dovette pungolarla perché
andasse avanti. Oltre al
fatto che nel
frattempo Michiru s’era
nuovamente attaccata alla bottiglia. “Non dirmelo”,
esclamò dunque mantenendo
la compostezza e il tono autorevole che supponeva si dovesse tenere
innanzi a
quello che era fuori da ogni dubbio uno scenario adulterino,
“l’hai beccata a
letto con un’altra?”
“No,
peggio.” Replicò Michiru con voce terrea.
“L’ho sorpresa con l’uccello tra le
mani.”
Inutile
dire che sulla placida ragazza questa risposta esplosiva ebbe un
effetto a dir
poco devastante, tant’è che la sua prima reazione
fu di strapparle la bottiglia
di modo che anche Michiru potesse beneficiare dello stupore novello
nell’osservarla tracannare come un’avvinazzata di
lungo corso. Pure non c’era
spazio per riflessioni estranee a quella rivelazione e Setsuna, che
sperava
tanto d’aver capito male e che più di ogni altra
cosa non voleva assolutamente
immaginarsi la scena di Haruka alle prese con certi… argomenti, chiese esitante:
“Era a letto con un uomo?”
“No
cara, altrimenti non sarei qui, ti pare?” Rilanciò
Michiru con espressione quanto
mai esplicativa e lo sguardo leggermente annebbiato di una che
è sulla soglia
di una solenne sbornia. In effetti non aveva detto a Setsuna che aveva
cominciato ad alzare il gomito molto prima che maturasse la decisione
di andare
a trovarla. In ogni caso la sola menzione del tradimento fu sufficiente
a
renderne l’angelicato volto in un qualcosa di molto simile a
quello di
un’erinni, tanto che Setsuna subito intese che nel qual caso
Michiru davvero non
sarebbe potuta essere là. Già, con Haruka morta
ammazzata e giacente all’obitorio,
probabilmente sarebbe stata in stato d’arresto, per non
menzionare poi la fine
cruenta che avrebbe riservato al supposto compagno di merende.
E
qui per un folle attimo, dando briglia sciolta alla sua fantasia
alimentata a
base di innumerevoli thriller, Setsuna presunse che, amante
com’era del
sashimi, Michiru avrebbe anche potuto ridurre entrambi gli adulteri in
tanti
piccoli pezzi da mettere in salamoia e da guarnire e aromatizzare
successivamente,
al fine di gustarseli accompagnati con bella Sapporo gelata. Come
Hannibal
Lecter praticamente, rendendo lei, nell’atto postumo di
andarla a trovare, attraversando
il corridoio del carcere di massima sicurezza, una novella Clarice
Starling. “Ok,
mi ha dato alla testa.” Ammise spassionata prendendo, a scopo
terapeutico e
lenitivo, un altro sorso copioso dalla fiasca piena di magia.
Dopodiché, con la
serietà tipica di chi è sul filo esiguo tra
l’essere ciucca e coi sensi
acutizzati dall’alcool, la sollecitò ad
esplicarsi. “E allora scusa, ma di
quale uccello stiamo parlando?”
“Dell’ara
brasiliana che s’è comprata perché le
tenga compagnia mentre studia.” Replicò
sdegnata generando nella sua interlocutrice un immenso sollievo, ma
soprattutto
una grassa gragnola di risate. “C’è poco
da ridere”, continuò stizzita,
“mettiti un attimo nei miei panni e dimmi come ti sentiresti
tu se la persona
che si professa innamorata di te preferisce accompagnarsi ad una bestia
piuttosto che a te! E per inciso, l’ha pure battezzata Saudade quella deficiente, spero tanto
che la gatta se la mangi
accidenti a lei!”
“Non
lo so”, riuscì a balbettare Setsuna preda
com’era della ridarella, “penso solo
che il pappagallo ci metterà meno tempo di te a ripetere
tutte le parolacce che
sente!”
“Okay,
lasciamo perdere per un attimo questa cosa.” Propose nel
tentativo di riportare
la conversazione su di un binario di serietà ed agitando la
mano allo stesso
modo che avrebbe usato per scacciare una mosca. “A questo
punto è meglio che ti
racconti tutto, sennò passo io per la squilibrata della
situazione.”
“E
lasciamo perdere l’uccello, tanto ormai ne abbiamo fatta una
filosofia di
vita.” Replicò Setsuna giocando coi doppi sensi e
alludendo parimenti al fatto
che la cronica mancanza di tempo l’impediva di cercarsi un
fidanzato, ma l’altra
era troppo presa dai propri crucci per badarci e non colse.
“Suna
amica mia”, cominciò accorata Michiru, alla quale
l’alcool faceva l’effetto di
renderla viepiù veemente nel pigiare sull’emotivo,
“tu sai quali e quante
fantasie abbia avute su Haruka finché non ci siamo messe
insieme.”
“Come
no”, rispose dandole una vigorosa pacca sulle spalle e, visto
che già gli antichi
romani duemila anni prima avevano enunciato che in
sakè veritas, non ebbe nessuna remora a
spiattellarle come la
pensasse a riguardo, “e se è per questo ancora
continui, facendomi due marroni
così.”
“Per
forza!” Replicò Michiru con enfasi, sbattendo il
palmo sul tavolino in mezzo a
loro. Dopodiché sbottò in un succinto e assai
poco elegante porca zozza
giacché s’era fatta male.
“E’ sempre così indecifrabile accidenti
a lei!”
“Uhh
e quale abisso di mistero hai scoperchiato vivendoci
assieme?” La rintuzzò
Setsuna ormai nuovamente preda della ridarella, un po’ per
quel che aveva
appena visto, ma soprattutto perché era in piena fase
allegrotta. In effetti si
stava divertendo tanto e si rammaricò assai di non aver a
portata di mano una
telecamera con cui immortalare l’amica che, impeccabilmente
vestita e pettinata
con la sua apparente aria snob, trincava ed imprecava peggio
d’uno scaricatore
di porto.
“Non
t’immagineresti mai, Suna, mai!” Proruppe a questo
punto Michiru che,
diversamente da lei, era nel gorgo della sbronza triste e
perciò molto facile
alla commozione. E infatti fu scoppiando a piangere che le si
gettò tra le
braccia, allorché Setsuna per solidarietà
l’abbracciò e cominciò a frignare con
lei.
“Che
ti ha fatto quella carogna? Dillo a Setsuna tua!”
Esclamò come nelle migliori
sceneggiate napoletane.
“E’
una maniaca fissata! Conosci qualcun altro che tiene le sneakers
allineate su
una mensola secondo l’uso che ne deve fare? E guai a
spostargliele, mi fa delle
storie esagerate se mi azzardo!”
Non
esagerava, in effetti Haruka davvero soleva disporre le sue scarpe
mediante una
millimetrica precisione, determinata non solo dal colore e dal modello,
ma
anche dal grado d’usura e d’impiego.
Tant’è, nella sua stanza aveva appunto una
serie di ripiani ove facevano bella mostra di sé scarpette
da corsa, da marcia,
da bici, da moto, oltre ai geta dei quali andava fierissima e che
ultimamente
usava per casa, facendo rimbombare i suoi passi fin al piano terra. In
effetti
qualche inquilino già aveva cominciato a lamentarsi per quel
ciabattare che gli
risuonava alle orecchie con lo stesso clangore di una trottata di
cavalleria.
“E
fosse solo quello.” Singhiozzò Michiru determinata
ormai a vuotare il sacco,
ché il tormento per quanto stava andando scoprendo
dacché avevano casa assieme,
non le dava più pace. “Da quando ha cominciato a
studiare per quei maledetti esami
d’ammissione al MIT è nervosa peggio di una gatta
incinta e sai cosa fa quando
si vuole prendere un momento di relax?”
“Si
mette a testa in giù e fa le spaccate?”
Congetturò Setsuna carezzandole la
testa e ripescando dalla memoria una delle abitudini che
d’Haruka più l’avevano
sconcertata quand’ancora
vivevano insieme
negli States.
“Sì
anche.” Rispose sbrigativa, come se l’amica avesse
menzionato un’abitudine talmente
normale da risultare trascurabile nel dettaglio. “Ma non
è questo il punto,
perché dei del cielo, se hai in casa me a tua completa
disposizione, e
capiscimi bene che intendo dire con la locuzione a completa
disposizione, ma
porca vacca come minimo pretenderesti un’orgia di coccole,
giusto?!”
“Troppo
semplice come spiegazione.” Ponderò Setsuna
annuendo a più riprese, non tanto
per la saggezza dell’ammonizione, quanto perché le
girava maledettamente la
testa per tutto il sakè bevuto fin lì. Inoltre,
considerato l’effetto che le
stava facendo, a quel movimento ondulato cominciò a prendere
un colorito verde,
indi dovette smetterla malgrado l’aria assennata che le dava.
E quando si fu
ripresa un tantino dal voltastomaco continuò: “E
invece che fa la nostra eroina?”
“Ancora
scarpe, ti rendi conto? Tira fuori tutte quelle che ci sono in casa e
si mette
a lustrarle manco per vivere facesse lo sciuscià! Ti giuro,
per settimane ho
continuato a chiedermi com’era possibile che me le ritrovassi
sempre lucidate a
specchio nonostante non le pulissi mai. Poi una notte mi sono
svegliata, nel
letto non c’era e l’ho trovata al tavolo della
cucina che spazzolava e ci dava
dentro. E il bello sai qual è?”
“Che
si veste e si trucca da cantante dei Kiss quando lo fa?”
Ipotizzò Setsuna alla
ricerca della soluzione più assurda. In effetti, le
suggerirono le voci di
dentro che i fumi alcolici le stavano evocando, precettando Michiru,
lei stessa
ed Hitomi, al prossimo Halloween avrebbero potuto interpretare la band
al
completo.
“Peggio,
dopo aver studiato si ripassa gli argomenti lavorando a
maglia!” Sbottò Michiru
ripensando a quando
aveva scoperchiato
quest’ennesimo altarino. E grande era stato il suo sconcerto
quando se l’era
trovata davanti che sferruzzava matematicando. Certo, da quando era
cominciato
il tour de force di Haruka sui libri stava godendo di un inconsueta
generosità
manifatturiera da parte sua. Ché studiando, studiando le
aveva sferruzzato una
sciarpa, un maglione dal complicato
intreccio e persino un bel paio di mutandoni di lana, hai visto mai ci
fosse l’eventualità
che tenesse un concerto pro orsi bianchi al Polo? Certo, pensava, un
regalo è
sempre bello per chi lo fa e per chi lo riceve, pure questa mania
dell’apprendimento
tramite il lavoro a maglia stroncava sul nascere qualsiasi tentativo di
conversazione tra loro. Infatti negli ultimi tempi, qualsiasi domanda
le
rivolgesse, veniva zittita inevitabilmente con un: “Per
favore Michi, sto
contando le maglie.”
“Ti
rendi conto Suna?!” Chiese senza riuscire a reprimere un
singhiozzo il quale,
più che di pena amorosa, era dovuto al fatto che ormai
avevano dato definitivamente
fondo alle bottiglie.
“Eh
vabbé dai, in fin dei conti si tratta di una cosa
innocua.”
“Innocua
un corno! L’altro giorno siamo scese a comprare i giornali e
quella svergognata
dell’edicola quando le ha chiesto di darle Confidenze
sai che le ha risposto? Che ha il culo scolpito nel marmo!”
“Non
sarà mica la prima allupata che le fa un complimento
sconcio, ormai avresti
dovuto farci il callo.”
“Forse,
ma io rivoglio la mia donna! Quella che mi mollava con tutti i piatti
da lavare
perché aveva voglia di farsi un giro in moto e assolutamente
per i fatti suoi! Rivoglio
quella che al massimo mi grugniva buongiorno al mattino e mi ringhiava
di non
romperle alla sola menzione dell’immondizia da portare
dabbasso! Ma soprattutto
rivoglio quella che invece di vestirmi di lana merinos, mi faceva la
lingerie a
coriandoli nei momenti meno opportuni! Non mi piace questa versione
casalinga
disperata Setsuna, rivoglio la bastarda senza creanza di cui mi sono
innamorata
e me ne frego se questo significa che verrà bocciata,
minchia!”
“E
allora andiamoglielo a dire!” Esclamò invitta,
scoppiando in un applauso
spontaneo al culmine di quell’arringa. E Michiru, ormai
completamente incapace
di connettere, ma soprattutto
talmente
annebbiata da non cogliere le conseguenze derivanti da quanto stavano
per fare,
entusiasta approvò.
Così
fu che le due furono caricate da un taxista il quale, impietosito dalla
deboscia
di quelle che era più che evidente fossero delle ragazze di
ottima famiglia
alle prese con la loro prima sbronza, le portò attraverso la
città e poi
addirittura fino all’ascensore del palazzo. Lì poi
si soffermò a raccomandarsi caldamente
col portiere al fine che s’accertasse
arrivassero
a casa sane e salve, ma pure
non dessero
fuoco all’intero stabile. Non che l’uomo fosse un
malpensante, anzi in linea di
massima era una persona tollerante e che soprattutto si faceva gli
affari suoi,
ciononostante dopo l’incessante blaterare che gli era toccato
sentire durante tutto
il tragitto, voleva essere certo che quelle due non causassero altri
danni all’umanità.
Quanto al portiere e la mission impossibile
che gli era stata affidata, chiaro
che non
poteva portarle fin tra le coltri e rimboccar loro pure le lenzuola,
però tentò
di fare del suo meglio accompagnandole nell’ascesa fino
all’ultimo piano e,
visto che ormai aveva afferrato di chi stessero parlando e in che
termini, gli
parve di afferrare appieno la reale portata della ciucca che teneva
avvinte
quelle isteriche. Haruka Tenou il pilota
sciupafemmine che si comporta come una dama di San Vincenzo? Che razza
di
fregnaccia! Pensò ridacchiando della
stupidità femminile e poi, visto che
le accurate esplorazioni speleologiche di Michiru nella sua borsetta
non
riuscivano a cavarne fuori le chiavi e che lui si era decisamente rotto
le
scatole di star lì ad aspettare come un cretino, con
decisione pigiò il campanello,
nella speranza che l’idolo di tutti i macho fosse in casa.
C’era
ovviamente e quando, ancor beata nella sua ignoranza, Haruka
aprì la porta si
ritrovò davanti uno scenario che neppure nei suoi incubi
peggiori avrebbe
potuto immaginare, ché spostando lo sguardo stupefatto dalla
figura del
portiere ghignante a quella di Setsuna che la guardava con aperta
sfida,
sebbene fosse piegata in una genuflessione innaturale sulle gambe
dischiuse a
X, per finire su Michiru che col rossetto sbavato e i capelli da
facocero le
inveiva contro con parole incomprensibili, meditò per un
attimo di chiudere la
porta e far finta di non conoscerli.
Ma
non poté, anche perché la donna di cui era
innamorata con un Prendimi a pesci in faccia
come una volta
carogna! le stava praticamente ordinando di trattarla male
se ancora l’amava,
intanto che il portiere del suo palazzo le stava suggerendo di
contenerne gli
atteggiamenti licenziosi con un garbato Signore
meglio che non la mandi più da sola in giro la sua fidanzata,
per finire con
la sua migliore amica che la stava decisamente esortando a darle rapida
un paio
di ceffoni e a togliersi di torno perché aveva urgente
bisogno della toilette intimandole
Picchiala e fammi andare al cesso Haru!. Tutto
ciò mentre il pappagallo, oltremodo innervosito da quella
cacofonia, faceva
piovere su di loro a raffica l’ultima parolina che aveva
imparato. Per cui,
mentre Saudade continuava a ripetere Coglione!
Coglione! dall’alto del suo trespolo, cosa poteva
fare Haruka se non
congedare cortesemente l’uomo e prendere quelle due per la
collottola al fine
di metterle immediatamente con la testa sotto l’acqua fredda?
Nulla
appunto, salvo far loro una cagnara senza fine, per poi andare a
rompere il
muso al portiere spifferone, quando l’indomani si
ritrovò etichettata come una
vera e propria mammoletta e con l’intera faccenda, oltremodo
romanzata, scritta
pari pari sulla cronaca pettegola del giornale del mattino.
Morale
della favola? Nelle settimane che seguirono, col diradarsi della mole
dello
studio, anche le sue manie si affievolirono e pian piano tutto
tornò alla
normalità. Quanto alle due baccanti poi, da quella sera
evitarono accuratamente
qualsiasi alcolico, sia perché il solo odore le nauseava, ma
soprattutto perché
avevano impressa a lettere di fuoco nel cervello la promessa che Haruka
aveva
fatto loro mentre pareva volesse affogarle sotto il getto della doccia.
Ché semmai
le avesse beccate a bere, aveva giurato strapazzandole esattamente come
Michiru
aveva desiderato facesse, le avrebbe prese a schiaffoni a due mani
finché la
somma non sarebbe diventata dispari. Insomma, fattisi due conti,
Michiru e Setsuna capirono che in fondo anche quello era
amore.
N.d.A.
Beh,
quasi mi verrebbe da dire bentornata stupidaggine! Ma, celie a parte,
sento di
dover fare una
piccola precisazione,
giacché presumo che chi non abbia letto le precedenti
avventure cui ho fatto
protagoniste queste due mentecatte, alcuni passaggi potrebbero
risultare ostici.
Indi rimando chi sentisse l’esigenza di un chiarimento in
proposito al capitolo
14 di “Ipotesi per un ritratto a colori” sperando
che non suoni quale pubblicità
occulta. Quanto all’espediente della storiella becera
dell’edicolante e della
rivista Confidenze mi si perdoni
l’abuso
in virtù del fatto che quest’ultimo capitolo
prende spunto esattamente dal
rammentare questa barzelletta che faceva furore ai tempi della mia
infanzia. Il
che la dice lunga sulla cialtronaggine dei fervori creativi che
m’ispirano… ;)