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Autore: NeverThink    02/05/2010    5 recensioni
Si dice che non ci sia niente di meglio dell’amore.
Si dice che l’amore elevi l’animo dell’uomo, ingentilendolo.
Si dice che l’amore ti trascina, ti travolge e ti sconvolge.
In fondo è vero, lo so perché l’ho provato.
Ma soprattutto si di dice che l’amore sia irrazionale…

[..] Poi ci sono giorni in cui, invece, non ti va di fare ciò che dovresti fare. Ed era ciò che stava succedendo a me in quel momento. Mentre con la mente mi perdevo in spazi infiniti, nel mare azzurro dei Caraibi, nella bianca e sottile sabbia della spiaggia, qualcuno bussò crudelmente alla porta. Riemersi dall’oceano di fantasia e immaginazione mi ero immerso ritornando alla realtà… che di certo non era tanto dolce ed assolata come quella dei Caraibi.
Ero steso sul piccolo divano, con la testa che penzolava dal bracciolo e spirali di fumo che si alzavano nell’aria. La luce della luna, pigra e chiara, filtrava attraverso il vetro, illuminando la piccola stanza.
Si, quello non era decisamente una spiaggia caraibica. Sospirai e spensi la sigaretta nel posacenere poggiato ai piedi del divano. [..]
[Non è Robsten... più o meno]
Genere: Commedia, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Kristen Stewart, Nuovo personaggio, Robert Pattinson
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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You could be my unintended
Choice to live my life extended
You could be the one I'll always love
You could be the one who listens to
my deepest inquisitions
You could be the one I'll always love
I'll be there as soon as I can
But I'm busy mending broken pieces
of the life I had before.
Muse, unintended.

 

Capitolo nove

Musicista

 

Uscii dalla doccia e perle trasparenti caddero sul pavimento dai capelli. Così presi un asciugamano per eliminare l’acqua che me li schiacciava sulla fronte. Avvoltomi un salvietta in vita mi diressi in cucina ed azionai la macchinetta del caffè, ma, mentre tornavo in camera, il cellulare squillò.
Mi voltai di scatto verso il tavolo, sul quale era poggiato il telefono e sperai fosse lei. Quando lessi il nome scossi il capo e sorrisi. Sbagliato.
«Ragazzina.» dissi dirigendomi in camera.
«Ehi, Bob. Ascolta, potresti portare del vino?»
«Okay. Sì, non preoccuparti sto benissimo. Anche  tu? Oh, beh, mi fa piacere.» dissi aprendo il cassetto della biancheria.
«Ti hanno mai detto che fa male bere durante il pomeriggio, signor Pattinson?»
«No, credo di no. Bianco o rosso?»
«Bianco.»
«Okay.»
«A dopo, Bob. Non fare tardi!» esclamò e l’immaginai sorridere.
«Se il traffico me lo permetterà.»
«Divertente.», e riappese.
Scossi il capo ridacchiando e, poggiato il telefono sul tavolo, mi diressi in camera. Indossai un paio di jeans ed una maglia grigia a manica corta, afferrai le chiavi della macchina e la giacca in pelle poggiata sulla sedia all’ingresso ed uscii di casa, ignaro della serata che mi si prospettava davanti.


Bussai ripetutamente alla porta di legno scuro, dondolando sui talloni, fino a che, Rachel, non aprì la porta dopo diverse imprecazioni.
«Ti reputo responsabile del mio scontro con il divano.» disse spostandosi per farmi entrare.
«Ciao, anche a te, ragazzina.» dissi entrando e fermandomi dinanzi a lei, che si spostò appena per chiudere la porta. Quando si mise dritta, notai che la distanza fra noi non era molta, con un passo avrei potuto eliminarla del tutto.
«Ciao, Bobby.» disse sorridendo.
La fioca luce proveniente dalla cucina si rifletté nei suoi occhi turchese e la sua pelle sembrava aver la stessa consistenza della seta. Aveva alcune ciocche di capelli raccolte dietro la testa, così da scoprirle parte del viso, altre ricadevano in grandi onde sulle spalle esili. Fu strano, ma la trovai bellissima.
Sorrisi. «Mi spieghi come hai fatto?»
«E’ semplice Pattinson: afferri la maniglia e tiri la porta.»
Scossi il capo. «Bella questa. No, idiota, lo scontro col divano.»
Fece spallucce. «Sono inciampata mentre correvo. Non chiedermi come ho fatto perché non ne ho idea.» disse prima di voltarsi e dirigersi in cucina dalla quale proveniva un odore di verdure grigliate. Solo allora mi resi conto che indossava un grembiule con sopra disegnati dei biscotti, che le copriva parte della canotta color della notte e pantaloni scuri.
«Tenuta da lavoro?» chiesi indicandola ed entrando nella cucina. Mi bloccai di colpo e sgranai gli occhi.
«Cosa c’è?» chiese corrugando la fronte.
«La tua cucina è… rossa e gialla.» dissi scioccato.
«Due dei miei colori preferiti.» disse sorridendo. «Lo so, è un po’ eccentrica. Tutta la casa lo è. C’è colore ovunque.» disse avvicinandosi al piano della cucina e tagliando delle zucchine.
Sorrisi e mi tolsi la giacca poggiandola su una sedia.
«Il vino?» chiesi mostrandole la bottiglia.
«Poggialo sul tavolo.» disse indicandomi col coltello.
«Ehm… Rachel, ti sarei grato se facessi attenzione con quella lama.» dissi avvicinandomi con cautela.
«Hai paura?» disse in un risolino.
«Molta.»
«Femminuccia.» sospirò ritornando al lavoro.
«Decisamente cortese.»
«Perché invece di ciarlare inutilmente non mi dai una mano?» chiese. «Nel secondo cassetto accanto al frigo ci sono le posate, prendi un coltello.» disse guardandomi e sorridendo con dolcezza.
Abbozzai un sorriso ed aprii il cassetto prendendo un coltello, aiutandole poi ad affettare dei pomodori.
«E così vivi sola.» dissi voltandomi appena verso lei, che invece non distolse lo sguardo dalle verdure.
«Sì.» rispose impassibile, poi dopo alcuni istanti, poggiò le mani sul piano della cucina. Si voltò verso me, alzando il capo per potermi guardare negli occhi, rivelandomi il cielo turchese dei suoi. «Ti rendi conto di quanto sia sciocca la tua domanda?» chiese alzando le sopracciglia.
Mi morsi il labbro inferiore, reprimendo un sorriso. «Effettivamente.»
Rachel scosse il capo prima di chinarsi ed aprire l’anta di un pensile della cucina. Ne estrasse una padella prima di scattare diritta.
«Ecco.» disse sorridente.
Sorrisi di rimando e, prima di tornare a tagliare i pomodori, l’osservai versare verdure a cubetti nella padella e posarla sui fornelli.
«Invece di osservarmi inebetito, perché non continui a tagliare a fette i pomodori?» chiese accendendo il gas.
Sbattei più volte le palpebre udendo le sue parole e, scuotendo il capo, risi. «Perdonami, ragazzina. Non credevo fossi così… agile in cucina.» ironizzai cercando di nascondere l’improvviso, irrazionale, imbarazzo.
Lei si voltò corrugando le sopracciglia. «Certo, come no. Ti va una birra, star
«Con molto piacere.» risposi finendo di tagliare l’ultimo pomodoro.
Rachel si voltò e, quasi saltellando si diresse verso il frigo bianco ricoperto di calamite, aprendone l’anta.
«Collezione?» chiesi prima di dirigermi verso il lavabo e sciacquarmi le mani.
«Sì. Provengono da ogni parte dell’America e del mondo… più o meno.», afferrò le birre e le poggiò sul piano della cucina, cercando in un cassetto il cavatappi.
Mi asciugai le mani con una salvietta appesa accanto al lavandino e mi diressi verso il frigo per osservarle. Era un’esplosione di colori, di forme, di riproduzioni. Avvicinai il viso ignorando Rachel che stappava le bottiglie ed osservai le calamite. Osservai in particolare la riproduzione di una salice, dannatamente reale.
«Tieni.» mormorò Rachel passandomi la bottiglia. Mi voltai verso lei per afferrarla. Solo allora mi accorsi che guardava la stessa calamita con un sorriso a colorarle il sottile viso.
«Me la regalò la nonna.», chinò appena lo sguardo fissandosi la punta della scarpe. «Da bambina Pocahontas era il mio film d’animazione preferito, e lo è tutt’ora. Consideravo  nonna Sally, come… nonna Salice, e io la chiamavo così. Insomma, la classica nonna che sa darti buoni consigli, che parla con citazioni, saggia, che ti induce a fare la cosa giusta, anche ti sembra la più sbagliata.» bevve un sorso di birra, prima di alzare gli occhi sul mio viso. «E’ la mia preferita.»
«Cos’è l’è successo?» mormorai. Per alcuni istanti i sui occhi limpidi, d’un tratto fattisi impenetrabili e simili ad uragano, solcarono i miei, in cerca forse di conferme di un qualcosa a me sconosciuto. Poi si voltò e si diresse verso i fornelli, girando le verdure con un mestolo di legno.
Quando parlò la sua voce era seria, quasi sembrava non appartenerle. Alle mie orecchie apparve d’un tratto la donna che in realtà era. «Cancro allo stomaco. E’ morta l’anno scorso.»
«Mi dispiace.» mormorai con sincerità. Mi avvicinai ai fornelli, affiancandola.
«Oh, beh, prima o poi tocca a tutti, no?» disse e quando si voltò nei suoi occhi guizzarono sofferenza e dolore, che inutilmente cerco di nascondere con un amabile sorriso.  Bevve un sorso di birra. «Allora? Ti va di fare un giro della casa?»


«E questa era la mia camera.» disse uscendo dalla stanza e soffermandosi in corridoio. «Lo so, è un’umile dimora, ma per una persona è perfetta. Per me, è perfetta. Ci entrano tutte le mie cose e se mia madre viene a trovarmi dorme sul divano.» disse sorridendo.
Feci un risolino. «E’ davvero bella. Come ho già detto: un’esplosione di colori.»
Lei dondolò sui talloni, scostandosi una ciocca di capelli dal viso. «C’è ancora una stanza da vedere: il seminterrato.»
Inclinai il capo di lato. «E cosa c’è, lì? Scheletri e cadaveri?»
«Ah-ah. No.», roteò gli occhi e, percorrendo il corridoio fino al piccolo soggiorno, dove vi  era un divano a tre posti rosso, ed una poltrona blu, davanti ad un televisore ed un tavolino orientale, aprii una porta che quasi si confondeva col muro… giallo. Al buio scendemmo una piccola rampa di scala, fino a che Rachel non accese una luce.
«Voilà.» disse aprendo le braccia. In fondo alla stanza, vicino al parete, vi era una batteria. Mi guardai intorno notando le mura color della crema.
«Camera insonorizzata?» chiesi stupefatto.
Lei annuì e si poggio allo stipite della porta, incrociando le braccia al petto. «Dai entra.» disse con un cenno del capo.
Sorrisi ed entrai. Quando le passai accanto il suo profumo mi colpì ancora con delicatezza.
«Suoni la batteria?» chiesi guardando lo strumento, ma notando subito un basso. «Ed il basso?»
«Sì… più o meno. Suono la batteria e chitarra da quando avevo dieci anni. Ed ora sto cercando d’imparare il basso. Nella band sono solo voce e chitarra ritmica –delle volte.» disse mentre sfiorar avo le corde del vecchio Fender.
«Waw.» dissi voltandomi a guardarla e solo allora mi resi conto che si era avvicinata, distanziando a de appena cinquanta centimetri.
«Oh, beh, è il vecchio, e quasi defunto, basso di Nick, il bassista della band. Non a caso da sempre problemi.» aggiunse in un risolino.
«Potrei sentirti suonare?» chiesi senza distogliere il mio sguardo dal suo.
Rachel arricciò le labbra in una smorfia.
«Dai, ragazzina.» dissi dandole un leggero spintone.
«Okay,» sbuffò,«Bob
Camminando, evitando accuratamente i diversi cavi, giunse alla batteria, per poi prendere posto. Con la testa mi fece cenno di chiudere la porta, così scattai eseguendo i muti ordini.
Mi voltai, guardandola. Sembrava ancor più piccola dietro i tamburi, ed il suo viso quasi era dissonante con l’imponente strumento. Imbronciata lei mi guardò e alla luce del neon i suoi occhi erano quasi celeste. Le feci cenno di iniziare mentre mi sedevo sulla moquette blu, con un gomito poggiato su una gamba piegata. Per un attimo i suo occhi parvero perdersi nei miei, come se stesse perdendosi in infinite congetture, in personali pensieri a me ignoti. Poi sbatté ripetutamente le palpebre come per riprendersi da quegli attimi di amnesia e prese in mano le bacchette.
Sorrisi di quella stramba ragazza.
«Pronto per l’inferno?» chiese alzando ritmicamente le sopracciglia.
Risi. «Assolutamente sì.»
«Maledetto.» ringhiò.
«Dai, ragazzina, non casca di certo il mondo!»
«Okay, okay!» esclamò lei alzando le mani, come in segno di difesa. Chiuse gli occhi e quando gli aprì batte con violenza sui tamburi. Con lo sguardo fisso sulla batteria cominciò a muovere energicamente le braccia e non potei non chiedermi dove trovasse tutta quella forza, tutta quella energia. Un susseguirsi di apparenti rumori, creatori di un straordinario ritmo, inondarono la stanza. I capelli ondeggiavano ad ogni suo movimento finendole davanti al viso. Con il viso rivolto verso destra batteva con violenza le bacchette sui tamburi sinistri, e poi il charleston, e ancora la gran cassa. L’energia che il suo fragile corpo conteneva sembrava sprizzarle da ogni poro. Con occhi sgranati l’osservavo muoversi con agilità, quasi saltare sullo sgabello. Poi il ritmo si fece sempre più debole, fino a cessare.
Fui sorpreso dalla sua bravura, dalla passione che ella ci metteva nel muovere le braccia, nel creare ritmi e nel perdersi in ciò che faceva. Apparve in quel momento la ragazza ribelle che per molti era, quella che infrange le regole, sicura di se stessa e mi chiesi se fossi solo io, invece, a riconoscere in lei dolcezza e semplicità. Mi chiesi come apparisse Rachel agli occhi del pubblico o degli altri che avevano avuto modo di conoscerla. Dolce e simpatica come si presentava ai miei occhi, o ribelle e forte come appariva in quel momento, dietro il grande strumento?
«Allora? E’ abbastanza per una ragazzina?» chiese e un lampo di malizia le attraversò gli occhi chiari.
Alzai le sopracciglia. «Mi hai sorpreso, Rachel.» dissi sincero.
«Come tutti.» disse alzandosi e posando le bacchette su un tamburo.
Mi alzai e lei mi venne incontro, le labbra appena dischiuse per permetterle di respirare con la bocca.
«Quanta modestia.» la canzonai.
«Senti chi parla.» disse passandosi una mano fra i capelli, scoprendo la fronte dalla scura frangetta, rivelandomi il suo viso sottile, per intero.
Risi. «Sul serio, Rachel, sei stata… divina. Credo tu abbia talento.»
«Grazie, Bob.» disse lei sorridendo, indugiando con lo sguardo nel mio.
Scrollai le spalle. «Solo verità.»
«Dai, genio, andiamo a mangiare. Muoio di fame.» disse poi raggiante, prendendomi sottobraccio.
«Sai, mia cara, Rachel, dovrei venire più stesso da te.»
«Certamente per il piacere della mia compagnia, no?» chiese in un risolino.
«Certo!» esclamai cominciando a salire la scale, il suo braccio ancora intrecciato al mio.
«Meno male. Io credevo per via della mia camera insonorizzata.»
«Ma cosa ti passa per la mente. Ovvio che è per le came-… per il piacere della tua compagnia.» mi corressi scuotendo il capo e facendola ridere.
«Idiota.» disse dandomi un leggero spintone e facendomi scontrare con lo stipite della porta.
«Ahi, mi sono fatto male.»
Lei si voltò e alzò le sopracciglia. «Povero Bobby, su, tanto passa.» disse sorridendomi e carezzandomi la spalla dolorante.
«Malefica.» mormorai.
Rachel fece spallucce. «Nah.»
Poi si voltò dirigendosi in cucina. E non potei non pensare che Rachel era l’amica mai avuta.

 

*

Eccomi qui… ancora.
Allora, chiedo umilmente perdono se non posso ringraziare a modo coloro che hanno recensito, ma, davvero, oggi sono incasinatissima… e questa settimana non si prospetta di certo migliore –stupido quinto anno.
Ad ogni modo, ci tengo tantissimo a regalare un piccolo spazio agli angeli che, gentilissimamente hanno recensito lo scorso capitolo.
Grazie, Xx_scrittrice_xX,
Nessie93,
ginevrapotter,
PiccolaKetty,
KeLsey,
Railen,
Ryry_.
Grazie, gradi di cuore.

E grazia soprattutto a te, mia galattica uditrice.
E ricorda che per qualunque cosa  io ci sono.
Ti voglio bene.

A voi, un bacio,
                      Panda.

   
 
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