All
night long
* 19.30 *
Doveva essere uno scherzo.
Non c’erano altre
spiegazioni. Per quale motivo altrimenti un perfetto sconosciuto mi si sarebbe
avvicinato, salvandomi da un attacco calcolato di un gruppo di carogne?
Guardai ancora il ragazzo fermo
di fronte a me: mi fissava con due occhi di un celeste talmente chiaro da
essere disarmante nella sua innocenza. Era una finta però: bastava abbassare lo
sguardo sulle labbra atteggiate in un sorriso malizioso e scaltro per capire
che era tutt’altro che innocuo.
Era alto, almeno venti
centimetri più di me; indossava quello che doveva essere uno smoking ma era
incompleto: pantaloni neri che gli cadevano a pennello ed una camicia bianca,
senza cravatta e con i primi bottoni aperti. Si intravedeva la pelle bronzea
del petto e si intuivano chiaramente muscoli ben definiti sotto quel po’
di stoffa chiara.
Non aveva alcuna giacca ed
era quello che stonava leggermente, distinguendolo dal resto degli uomini nella
sala: tutti in nero dalla testa ai piedi.
Mi osservava silenzioso con
un accenno di divertimento sul viso. Mosse la mano verso l’alto,
portandola nei capelli neri che scompigliò con un gesto fluido, quindi si
avvicinò a me leccandosi le labbra rosse che risaltavano particolarmente nel
viso abbronzato.
Io arretrai spalancando gli
occhi: ma che stava succedendo quella sera?
Lui sorrise, atteggiando il
viso in un espressione rassicurante a cui non credetti neppure per un istante:
non mi piaceva quel ragazzo. Era troppo.
Troppo attraente, troppo
alto, troppo atletico, troppo bello, troppo sconosciuto, troppo tutto.
Soprattutto poi troppo
giovane: non poteva avere più di venticinque anni e a dirla tutta non poteva
essere veramente attratto da me! Doveva avere sicuramente un qualche giochetto
in mente.
Scossi violentemente la
testa, mentre mi rendevo improvvisamente conto di essermi dimenticata una cosa
a dir poco fondamentale e che mai avrei dovuto dimenticare: ero sposata, santo
Dio!
Lui rise, distraendomi dai
miei pensieri: sembrava realmente interessato al mio comportamento che a quanto
pareva non riusciva a spiegarsi. Si avvicinò ancora di qualche passo, facendomi
arretrare fino a trovarmi con le spalle al muro. Lui mi bloccò ogni via di
uscita posando le sue mani sul muro dietro di me: esattamente ai lati del mio
collo, tanto vicine che riuscivo a sentirne il calore.
Presi un bel respiro,
ricordando di trovarmi in un salone pieno di gente: non poteva succedermi
niente. Non poteva succedermi niente. Sì, l’importante è crederci!
- Cosa vuoi da me?-
- Farti compagnia fino a
domani mattina-
Rispose con naturalezza,
come se la cosa fosse ovvia. Arrossii e abbassai lo sguardo, non riuscendo più
a reggere il suo. Iniziai a temere che volesse approfittare di me in qualche
modo: forse era un ricercato, forse doveva nascondere qualcosa, forse avrebbe
tentato di violentarmi!
Sentii due dita sollevarmi
il mento e incontrai i suoi occhi: mi studiavano assorti e impensieriti.
Quando parlò lo fece
seriamente, con un tono che non ammetteva repliche e che non nascondeva niente:
nessuno avrebbe potuto pensare che stesse mentendo.
- Non ho intenzione di farti
niente: semplicemente ho fatto la grandissima stronzata di promettere allo
sposo di essere qui stasera. E ancora peggio, sono venuto da solo. Non so se
hai notato ma per superare una serata come questa bisogna essere per forza in
due. Ora, mi è sembrato di capire che fossi sola anche tu: ti ho vista in
difficoltà e sono intervenuto. Ti spiace?-
Scossi la testa, piano,
senza smettere di fissarlo negli occhi.
No! No, che non mi
dispiaceva! Oh, mio Dio… avrebbero dovuto ricoverarmi.
Lui sorrise, mostrando una
fila di denti bianchissimi e accarezzandomi con un dito la guancia continuò:
- Mi permetti di essere tuo
marito stanotte?-
Mai come in quel momento mi sembrò
di essere impazzita.
Dovevo aver perso la testa,
non c’erano altre spiegazioni.
Sicuramente dovevo essere
ancora nella cabina del bagno, raggomitolata su me stessa, a versare amare
lacrime. Perché era impossibile che un sensualissimo venticinquenne di nome Edward
si fosse appena offerto di interpretare la parte di mio marito!
Cioè… dovevo star
sognando: quella sarebbe stata semplicemente un’opportunità incredibile e
inaspettata, ma soprattutto irrifiutabile, di concludere la serata a testa
alta.
A me, Bella, non accadevano
cose del genere.
Lui però era ancora davanti
a me, sentivo ancora una scia infuocata sul punto in cui mi aveva sfiorata,
avevo ancora i suoi occhi di cristallo fissi nei miei. Allungai con lentezza
calcolata una mano verso il suo viso, sfiorandogli indecisa la guancia, come
per accertarmi che fosse reale.
Sentii sotto il palmo un
solleticare diffuso, un pizzicore dovuto a piccoli peli che cercavano di
crescere; continuai a far scorrere le dita, arrivando fino al collo e fu a quel
punto che la sua mano mi strinse il polso, fermando la mia. Lessi un accenno di
tormento nei suoi occhi che scomparve però non appena sentii ancora la sua
voce:
- E’ un sì o un no,
Bella?-
Annuii, non sapendo più che
fine avesse fatto la mia voce: sembrava essere scomparsa improvvisamente. Il
sorriso di Edward mi stordì, abbagliandomi. La sua mano lasciò il mio polso e
prese posto velocemente nella mia, stringendola forte.
- Andiamo-
Mi trascinò con sé verso i
tavoli, senza darmi modo di fare o dire alcunché: era lui a condurre il gioco.
Un gioco sbagliato, pericoloso, che non avrei dovuto fare.
Un gioco anche terribilmente
eccitante, avrei dovuto aggiungere.
Pensai a Mike, bloccato nel
suo ufficio e sommerso dai fascicoli e mi sentii in colpa: cosa stavo facendo?
Mi ero trovata un marito sostituto. Si poteva o c’era qualche regola non
scritta che lo vietava? Non ebbi modo di rispondermi che Edward si fermò di
colpo.
Mi colse di sorpresa e quasi
gli sbattei contro, lui ebbe ottimi riflessi però: mi sorresse immediatamente,
mettendo le sue mani sui miei fianchi.
- Che tavolo hai, amore?-
- Il dieci-
La voce era tornata, ma lo
stupore non se ne era andato: mi aveva chiamato “amore?”
Sorrisi fra me e me mentre
raggiungevamo il tavolo, pensando alla risposta che mi ero data ancora una
volta da sola: in fondo aveva ragione, eravamo sposati o no?
Edward lanciò
un’occhiata ai segnaposto sul tavolo, trovò il mio e spostò la sedia per
farmi sedere.
Rimasi sconcertata da quel
gesto di cavalleria: quanto… quanto tempo era che qualcuno non faceva una
cosa così per me? Lui mi sorrise ancora, sembrava quasi che non riuscisse a
smettere.
Presi posto, accomodandomi e
continuando a studiare i suoi movimenti: lui prese il segnaposto della
posizione accanto alla mia e si allontanò velocemente. Qualche tavolo più in là
scambiò due segnalini e tornò da me. Quindi poggiò il segnaposto appena preso e
si sedette con un sospiro:
- Ora siamo allo stesso
tavolo-
- Edward Cullen-
Lessi in un sussurro dal suo
cartellino. Lui annuì, leggendo al contempo il mio e poi ridacchiò:
- Ah, tesoro, ma allora non
hai voluto prendere il mio cognome!-
Sorrisi, contagiata dalla
sua euforia: sembrava un bimbo a Natale, un bimbo bellissimo, certo.
Gerardo avvicinò la sua
sedia alla mia, attaccandole quasi e mi avvolse con un braccio la vita.
Si piegò su di me, iniziando
a baciarmi il collo languidamente. Io mi irrigidii di colpo: cosa diavolo stava
facendo?! Si era parlato di fingere ma non…
- Bells, devi
scioglierti… rilassati, dolcezza-
Feci per scostarlo brutalmente:
non avevo alcuna intenzione di lasciarmi coinvolgere fino a quel punto in
quella recita malsana. Marito e moglie sì, ma non in quel modo! Non erano
quelli i patti!
Mi sentivo un’attrice
da quattro soldi che per altro interpretava una parte già vista in milioni e
milioni di film: solo che io non ne ero nemmeno in grado.
Ero sul punto di mollargli
un sonoro ceffone, forte abbastanza da slogargli la mandibola, quando mi
accorsi che tutte le altre sedie del tavolo si stavano riempiendo: presero posto
i nostri quattro compagni e finalmente capii il perché del gesto di Edward.
Lo sentii ridacchiare vicino
al lobo del mio orecchio mentre lo stringeva piano con i denti, attaccandosi
ancora di più a me: a quel punto non riuscii più a fermarmi e mettendogli le
mani sul petto tentati di allontanarlo. Lui oppose un po’ di resistenza,
poi si staccò di buon grado con un sospiro abbastanza sonoro e mormorò, a voce
bassa ma facilmente udibile dai presenti:
- Piccola, tu così mi farai
impazzire-
Lo disse con un tono tale da
farmi salire un brivido lungo tutta la schiena: ci volle tutta la mia forza di
volontà per impedirmi di girarmi verso di lui. Ma non potevo farlo: sapevo che
in quel caso il leggero rossore che mi colorava le guance avrebbe raggiunto
livelli di allarme.
Mi distrassi invece,
ignorando volutamente il suo braccio che mi stringeva e la sua mano che
lentamente mi solleticava il fianco; mi concentrai sulle altre persone del
nostro tavolo: con sollievo mi accorsi che non conoscevo nessuno e che non
c’era nemmeno una ragazza del gruppo delle iene.
Con sconforto invece notai
che fra i componenti delle due coppie, due dovevano avere all’incirca
l’età di Edward e due la mia: mi assalì il solito senso di ansia mentre
iniziavo a riflettere su cosa potessero star pensando di noi due che avevamo
circa dieci anni di differenza.
- L’amore non ha età-
Sgranai gli occhi sentendo
le parole che Edward mi aveva sussurrato: come aveva fatto a capire a cosa
stessi pensando? Lo guardai con un misto di sorpresa e gratitudine: era
riuscito con quattro parole ad arginare la mia crisi, lui mi sorrise e quindi
si rivolse agli altri, cercando di eliminare il disagio che regnava su tutti.
- Non ci conosciamo, vero?
Permettete che mi presenti: io sono Edward e lei è mia moglie Bella-
Si presentarono anche gli
altri: il primo a parlare fu Jasper, il più giovane, che parlò anche per la sua
fidanzata Alice; entrambi timidi e minuti sembravano usciti da un film di elfi:
era come se fossero fatti di porcellana, sottili e delicati. Poi prese invece
la parola Rosalie: alta, molto più di me anche senza i tacchi pensai con un
briciolo di invidia, una cascata di capelli ricci e rossi ed una voce
squillante; il marito era un omone calvo e leggermente sovrappeso, con un
sorriso tanto bonario quanto ingenuo, che sembrava non respirasse nemmeno senza
il permesso della compagna. Il genere di coppia di cui ci si chiede insomma
“Cosa ci fa una come lei con lui!?”
Edward al mio fianco
sembrava aver ascoltato gli altri per davvero, rispondendo e commentando cose
da loro dette e a cui io non avevo prestato attenzione: uno dei miei tanti
difetti è proprio quello di non riuscire a concentrarmi a lungo, finisco sempre
per distrarmi prima del dovuto.
Ricominciai ad ascoltare la
conversazione mentre gli uomini avevano appena cominciato un’accesa
discussione sul calcio, cosa di cui non mi sorpresi affatto: avevo letto un
articolo una volta, in cui si vedeva come il cervello dei maschi fosse
unicamente diviso fra sport, auto, sesso e cibo.
C’era poi anche il relativo
per le donne che avevo preferito non guardare.
- Ti vanno gli antipasti,
Bells?-
Ritornai alla realtà con un
sobbalzo, girandomi di scatto e trovando il viso di Edward vicinissimo al mio
che mi guardava interrogativo. Cosa mi aveva chiesto?
Lui sembrò capire qualcosa,
perché con un mezzo sorriso annuì fra sé e sé. Quindi si rivolse ad un
cameriere appena alla mia destra di cui non mi ero per niente accorta, dicendo
che due porzioni miste andavano benissimo, grazie.
Mentre il cameriere
aspettava che anche gli altri ordinassero, Edward mi fece l’occhiolino,
dandomi un bacetto a stampo e sussurrando a fior di labbra:
- Soffri di calo
dell’attenzione, tesoro?-
Spalancai gli occhi al suo
gesto, sentendomi ancor più a disagio, prima di rispondere con aria fintamente
afflitta:
- Sì, la mia è a breve
termine, che ci vuoi fare?-
Lui rise, cogliendo forse
l’accento aspro nelle mie parole che non era dovuto alla sua domanda
quanto al fatto che continuava a non mantenere alcuno spazio fra di noi.
Fece per rispondere ma venne
interrotto da un altro cameriere che ci servì, poggiando due diversi piatti sul
tavolo. Diedi un’ occhiata distratta al contenuto del mio, quasi
completamente indifferente.
Aspettai che anche gli altri
fossero pronti e infilzai una carotina con la forchetta. L’avevo appena
messa in bocca quando Edward mi chiamò con un leggero pizzicotto che mi fece
sobbalzare:
- Rosso o bianco?-
Accennò con il mento alle
bottiglie di vino e mi rivolse uno sguardo interrogativo.
- Perché?-
Si avvicinò come suo solito,
tanto da abbracciarmi quasi del tutto prima di sussurrare con il tono di chi
spiega qualcosa di molto semplice ad un bambino molto piccolo:
- Sono tuo marito, ti sembra
che non debba sapere che vino beve mia moglie? Come ti servo poi, tesoro? Non
posso avere lacune di questo genere!-
Sorrisi, per poi sussurrare
a mia volta, in tono quasi cospiratorio ed alquanto divertito:
- Bianco, allora. E tu?-
- Io no-
Si sporse per afferrare una
bottiglia e riempì il mio calice: un bicchiere lungo e affusolato di vetro
pregiato. Si accorse probabilmente della mia aria sconcertata alla sua risposta
secca, perché poco dopo si decise a spiegare:
- Non posso bere, amore: poi
mi prendo una bella sbronza e chi ci sta attento a te?-
Lo disse con sicurezza, come
fosse una cosa normale e che aveva sempre fatto. Eppure non riuscii a
credergli: non saprei dire il perché ma non mi sembrava fosse quella la verità,
come se un qualcosa nei suoi occhi, per un momento non più limpidi come al
solito, mi avesse lanciato un’avvisaglia.
Edward intuì che il discorso
non era ancora finito e con un sospiro allontanò il braccio dal mio fianco per
estrarre le posate dal suo tovagliolo.
Sorrisi, in parte divertita
da come riuscisse a capire le mie intenzioni fin da subito e aprii la bocca per
interrogarlo ancora. Non la feci però quella domanda: delle fette di prosciutto
nel suo piatto mi distrassero, facendomi dimenticare il mio intento.
- Posso?-
Mi sentii ridicola nel
momento stesso in cui lo domandavo: non ero mica una bambina, insomma. Non era
normale che una cosa qualsiasi non in mio possesso potesse distrarmi a tal
punto!
- Cosa?-
Edward mi guardò senza
capire: era sorpreso che la domanda fattagli non fosse quella che si aspettava
e non era riuscito a capire cosa volessi. Sorrisi imbarazzata, indecisa se
continuare o meno, alla fine mi decisi per il sì: cosa avevo da perderci in
fondo?
- Il prosciutto: io non ce
l’ho-
Dissi tutto d’un
fiato, riuscendo a mala pena a trattenere una risatina nervosa.
Lui sgranò gli occhi,
meravigliato e quando rispose lo fece con entusiasmo, come se il mio buon umore
fosse riuscito a farlo tornare anche a lui:
- Naturalmente, non
c’è da chiedere!-
Ridacchiando e avvicinandosi
di nuovo continuò, allungandosi verso il mio piatto:
- Io invece ti rubo le
mozzarelle-
Ne prese un paio senza che
avessi ancora realizzato, per poi trasferire tutte le sue fettine di prosciutto
dal suo al mio piatto. Il mio sorriso si allargò ancora di più a quel suo
gesto.
Adoravo quel suo modo di
comportarsi tranquillo, sicuro e sempre pronto a tutto: giocoso e brioso tanto
quanto serio e riflessivo. Era come se al tempo stesso impersonasse un
ragazzino ed un adulto.
Continuammo a scambiarci gli
antipasti, scambiandoli di posto, rubandoceli in un coro di risate, incuranti
del fatto che al nostro tavolo ci fossero altre persone e di cosa queste
potessero pensare.
Non erano cose che in quel
momento ci toccavano.
Avevamo trovato un
equilibrio, un nuovo giochino da aggiungere al nostro e non ci facemmo scrupolo
di godercelo fino in fondo.
*
Premesso che solo i primi aggiornamenti
saranno così veloci (li ho già pronti ^^)
Ci tengo a ringraziare di cuore chiunque
passi di qui e riesca a leggere senza scappare a gambe levate **
Se poi lasciaste anche un mini commentino,
così per sapere com’è, mi farebbe ancora più piacere!! ^^
Un bacio e alla prossima!