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Autore: baby80    03/05/2010    8 recensioni
Questa storia è una sorta di continuazione di "André", ci pensavo da tempo e non ho saputo resistere. Oscar è sopravvissuta al 14 luglio, e dovrà affrontare la propria esistenza senza André. Racconterò di questa nuova Oscar, sbocciata in una notte piena di lucciole e appassita, improvvisamente, con la perdita del suo amore. La "mia" Oscar non è malata di tisi.
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altri, Oscar François de Jarjayes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Una fresca brezza mattutina sembra ghiacciarmi il viso, bagnato dalle lacrime.
Delle prodighe lacrime che hanno fatto ritorno, mestamente, tra i miei occhi.
Capita assiduamente, ormai, di destarmi con il pianto in gola.
La notte è mia complice, asseconda ogni mio desiderio, placando il mio dolore, e donandomi pace e silenzio.
Nelle ore in cui i miei occhi, ed il mio cuore, riposano, anche il dolore ed il ricordo di Lui, svaniscono.
Ed in quelle ore che sembrano istanti, tutto mi appare come un tempo, non esiste il male, non vi è la morte, non vi è nulla di tutto ciò.
In quelle ore, che sembrano istanti, Lui non se ne è mai andato.
In quelle ore Lui, il mio André, è ancora qui.
Colta, da un'improvvisa perdita della memoria, dischiudo gli occhi all'alba, donando, ad un paesaggio dalle innumerevoli sfumature rosse, un sorriso.
Il tempo di un istante e la realtà mi colpisce in pieno volto, l'assenza di André mi trafigge il petto.
Il sorriso muore.
Le lacrime vengono alla vita.
Anche questa mattina, la realtà, mi ha sorpresa.
Chiudo gli occhi e permetto al vento d'asciugarmi le guance.
Chiudo gli occhi e lascio, che il vento, accarezzi i miei capelli.
Sono passati due mesi da quando...
Da quando il destino ha deciso per me.
Da quando il destino ha deciso ch'io dovessi continuare a vivere.
La sofferenza è immutata.
Il tempo non guarisce le ferite, il tempo, non ha guarito le mie.
Il tempo infetta le lesioni, aumentando il dolore.
Apro gli occhi, carezzo le guance, ormai asciutte e fredde.
Fredde come...
Come la carne di un morto.
Apro gli occhi e indosso degli abiti.
Da qualche giorno trovo la forza di alzarmi dal letto, fino a quanto l'angoscia mi è sopportabile.
Fino a quando mi è possibile ignorare, il vuoto, che mi è nato dentro.
Un vuoto che non ha fatto che dilatarsi, in questi mesi.
Quel vuoto che non tento nemmeno di colmare.
Nulla potrebbe riempire la perdita della mia anima.
Nulla, e nessuno, potrebbe prendere il posto del mio unico amore.
Ascolto i battiti, rallentati, del mio cuore.
Un cuore a metà che ha perduto il proprio vigore.
Ascolto i sussurri dei miei pensieri, e nuove lacrime solcano gli occhi.
Sono trascorsi 60 lunghissimi giorni, e ancora non mi rassegno all'idea che non lo vedrò più.
Destarmi alla mattina e sapere, che non vedrò i suoi occhi, mi devasta.
Salutare l'alba, e rendermi conto, che non udirò più la sua voce, mi toglie il fiato.
Ma c'è qualcosa che mi sconvolge ancora più nel profondo.
Il timore di non ricordare.
La paura di dimenticare.
Ho paura di non rammentare, un giorno, il suono della sua risata.
Ho il terrore di non ricordare, il profumo della sua pelle.
Non posso dimenticare.
Non voglio, ed anche volendo, forse, non potrei.
Non scorderò mai ciò che ha fatto parte di me per un'intera vita.
Non scorderò mai ciò che mi è stato strappato a forza.
Non scorderò mai la mia mancanza.
Il mio cuore a metà, me lo rammenterà, per il tempo che mi sarà dato vivere.
Il tempo.
Quel tempo che baratterei con povere anime perse.
Quelle povere anime perse, ai margini della Senna, disposti a compiere l'impronunciabile, pur di vivere.
Oh signore, dono a loro, la luce della mia vita.
Dona, a chi loderebbe, la mia esistenza.
Oh signore, regalami il mesto vestiario.
Avvolgi le mie membra, stanche, col sudario eterno.
Oh signore, riportarmi il mio cuore.
Fallo tornare.
Signore, ti imploro, fallo tornare da me, ancora una volta.
Una sola volta.
Una volta solamente, in cui potrò guardare, ancora, nel verde del suo sguardo.
Una volta soltanto, in cui perdermi tra le sue braccia.
Un'unica volta, per fare l'amore con lui, fino al giungere della fine.
Un'unica volta, per sussurrare il mio amore.
Il dolore mi colpisce al costato.
Le lacrime divengono cascate.
Signore prenditi la mia vita.
Prendila ora, ora che il dolore mi è insopportabile.
Ora che il dolore mi sta rendendo pazza.
Sento bussare alla porta, un tocco deciso, non vi è sorpresa in me, non ho bisogno di domandarmi chi potrebbe essere, so esattamente chi si trova al di là della porta.
Nascondo, tra le mani, le perle salate del mio sguardo.

“Entra pure Alain.”
Non adesso, non ora, dannazione!
Lo guardo entrare, il caro Alain, con il quotidiano sorriso sul viso e un vassoio tra le mani.
Lo guardo poggiare il vassoio sul tavolo e farsi serio, cerco di precedere le sue mosse ma lui è diventato  più veloce di me.

“Alain ti prego...”
Troppo tardi, lo vedo mettersi sull'attenti e fare il saluto militare.

“Comandante!”
“Questa storia deve ripetersi ogni mattina, Alain?”
Gli dico portandomi una mano alla fronte in segno di stanchezza.

“Lo so che in fondo ti fa piacere. Come stai oggi, Oscar?”
Mi domanda Alain, con un dolce sorriso sulle labbra.
Rispondo senza parole, alzando le spalle e posando lo sguardo a terra.
Mi avvicino al vassoio, sul quale, come ogni mattina, vi trovo una tazza di latte, un tozzo di pane e, se la fortuna ha assistito la mia ombra, una mela.
Osservo il vassoio e l'inappetenza è l'unica risposta al cibo.
Mangiare, per me, è divenuto un obbligo.
Un obbligo che devo assolvere, mio malgrado, per non amareggiare i miei amici.
Un onere che, questa mattina, mi è particolarmente difficile.
Alain mi guarda con occhi supplicanti, spera, lo so, che io mandi giù almeno un boccone.
Catturo la tazza di latte con mani di pietra, la sollevo dal tavolo a fatica, ho come l'impressione che sia fatta di ferro.
Porto la tazza di latte alle labbra, le dischiudo dinnanzi alla porcellana e un prepotente disgusto mi invade la bocca, le narici, fino a giungere alla bocca dello stomaco.
Le dita mutano in fragili ramoscelli, così deboli da non riuscire a sostenere il peso della porcellana.
La tazza scivola dalla mia fiacca presa, precipitando rovinosamente, sul tavolo.
Il disgusto, giunto allo stomaco, mi contorce le viscere.
Una contrazione involontaria mi rovescia, all'interno.
Porto la mano, ancora fragile, alla bocca, serrando, al di sotto, un inaspettato conato.

“Oscar! Cosa succede?”
Vorrei rispondere ma credo che, se solo provassi a pronunciare una parola, sarebbe la fine.

“Dannazione! Il latte sarà andato a male!”
Vedo Alain avvicinarsi al tavolo, chinarsi su di esso, ed odorare il liquido versato.
Vedo Alain avvicinarmisi, poggiare una mano sulla mia spalla e puntare, il suo viso, dinnanzi al mio.

“Oscar, stai bene? Non credo sia stata colpa del latte, è fresco.”
“Sto bene Alain, non ti preoccupare, ora mi passa. Ho lo stomaco in disordine da qualche giorno. Ma ora sto bene, davvero.”
Fingo sicurezza, nelle parole e nelle azioni, ma ne le parole, ne le azioni, mi vengono in aiuto.
Le parole fuoriescono dalle mie labbra a fatica.
Le mani tremano come fossero foglie al vento.
Lo stomaco non cessa di contorcersi su se stesso.
Il conato, di poco prima, sta percorrendo, di nuovo, i propri passi.
Copro le mie labbra con dita incerte.

“Oscar!”
La voce di Alain giunge, alle mie orecchie, come un lamento strozzato.
Respiro profondamente.

“Alain, sto bene, davvero. Deve essere la stanchezza, ho dormito poco in questi giorni. Ora ti prego, vai, io andrò a stendermi sul letto. Grazie per la colazione.”
Cerco d'essere più convincente di un attimo prima.

“Come vuoi Oscar. Passerò più tardi a controllare se ti senti meglio.”
Lo guardo allontanarsi ed uscire dall'appartamento.
Un respiro profondo.
Un altro respiro.
Un altro ancora.
Provo a spogliare, le labbra, della mia mano.
Cammino con passo incerto verso il letto e mi lascio cadere tra le lenzuola.
Percepisco, ancora, le contrazioni dolorose provenienti dallo stomaco.
Riacquisto la mia consueta posizione, su di un fianco, raccolgo le gambe contro il ventre ed attendo.
Attendo che il malessere si attenui.
Attendo, in realtà, come di consueto, che questo malessere mi porti via con sé.
Sono trascorsi due mesi e ancora bramo la fine.
Scivolo, senza rendermene conto, in un sonno profondo, dal quale riemergo dopo un tempo indefinito.
Dischiudo gli occhi e, il disturbo allo stomaco pare essere svanito.
Mi alzo dal letto e cammino lungo la cucina, fisso il vassoio portatomi da Alain, allungo la mano e agguanto la mela rossa che vi è posata.
Una mela rossa.
La rigiro tra le mani, ne osservo il colore brillante ed intenso.
L'avvicino al naso e ne odoro il profumo.
Profumo di prati verdi.
Profumo di corse a cavallo.
Profumo di duelli con la spada.
Profumo di Lui.
Quante volte ti ho visto, André, giocare con mele simili a questa?
Quante volte ti ho scorto, addentare una mela  pari a questa?
Infinite volte ho veduto, le tue labbra, poggiarsi sulla rossa buccia.
Ed infinite volte ho guardato, col turbamento nel cuore, le tue labbra succhiarne la polpa succosa.
Le sue labbra.
Ho guardato, ho sentito, le sue labbra, compiere gli stessi gesti.
Sulla mia bocca.
Sulla mia pelle.
Un brivido mi percorre la schiena.
Il desiderio mi sorprende.
Il desiderio mi sembra, ora, una orribile mancanza di rispetto.
Come posso desiderare il suo corpo?
Come è possibile che in me sia ricomparsa la lussuria?
Un respiro profondo, e cerco d'allontanare l'ardore, così fuori luogo in questo mio piccolo mondo luttuoso.
Raccolgo i cocci rotti della tazza e, con una pezzuola il latte rovesciato.
Respiro e, quello che è sempre stato profumo, muta, al mio olfatto, in fetore.
Il latte, come qualche ora addietro, mi contorce le budella.
Abbandono la pezzuola, maleodorante, sul tavolo, cercando aria fresca al di fuori della finestra.
Respiro profondamente tentando di rimandare indietro i conati.
Cosa mi sta accadendo? Che le mie preghiere stiano per essere accolte?
Che sia giunta la mia fine?
Oh signore, te ne prego.
Ti supplico, soltanto, di rendere meno sofferente la mia dipartita.
Una dipartita che sta diventando una lunga agonia.
Una contrazione, un conato.
Respira Oscar, respira.
Sollevo le braccia per raccogliere i miei riccioli al di sopra della testa.
Riccioli che, non fanno altro che aumentare, il calore insopportabile, che mi è nato al di sotto della carne.
Innalzo le braccia e percepisco una costrizione al petto.
Sento, chiaramente, la stoffa stringermisi attorno.
Vedo la camicia tendersi, pericolosamente, all'altezza del petto.
Come è potuto accadere che, il mio corpo, sia cresciuto in tal modo?
Come è possibile se, da due mesi, nutrirmi equivale a ingoiare due soli tozzi di pane al giorno?
Respiro profondamente.
Respiro e il fiato non giunge.
Respiro massi di pietra.
Anche il cuore sembra essersi bloccato.
Un fugace pensiero mi attraversa la mente.
Un pensiero così effimero da rasentare la stupidità.
Inalo il dubbio.
Un dubbio che si sta prendendo gioco della mia fragile mente.
Un dubbio che è pura follia.
Un dubbio che terrorizza.
Respira Oscar, respira.
Getto il mio corpo, scosso dal malessere, su quel giaciglio che è divenuto, ormai, il mio rifugio.
Getto il mio corpo sul letto, mentre, con mani tremanti, libero dalle asole, i primi bottoni di madreperla.
Scruto, timidamente, la porzione di pelle liberata e ne rimango sorpresa.
Mi meraviglio di vedere, in me, rotondità così arroganti.
Mi sorprendo di scorgere, in me, una femminilità così evidente.
Respiro profondamente.
Respiro riappropriandomi della mia posizione.
Giaccio su di un fianco, col corpo protetto in un abbraccio.
Sdraiata, tra le mie braccia, serro lo sguardo e immagino lui.
Immagino, tra il buio dei miei occhi, André.
Immagino e, questa notte, non mi pongo domande.
Questa notte non voglio desiderare la fine.
Questa notte non voglio risposte.
Questa notte amerò il mio André, priva di pensieri infausti.
Questa, una notte d'amore.
Questa notte dormirò.
Questa notte.
Nel dubbio.
  
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