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Autore: BigFut    24/08/2005    2 recensioni
Un enorme potere cade nelle mani di un ragazzo, quello di poter controllare la mente delle persone.
Genere: Drammatico, Science-fiction, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Potere

Potere

 

Capitolo 2

La mente, il caso e la pazzia(Bel party!).

 

Una bellissima giornata di sole giungeva al termine nella bella cittadina che si affacciava sul mare. Un caldo torrido ricopriva la città e non si vedeva un filo di vento ormai da diversi giorni. La maggior parte delle persone avevano passato la giornata al mare, o avevano cercato rinfresco sotto gli alberi del giardino della città. Di tutto questo però, a Giovanni non fregava proprio niente visto che era troppo impegnato a prendere a colpi tutto ciò che trovava per la camera. Era stata una giornata alquanto pesante per lui, anche solo fino a un ora prima era felice come una pasqua. I suoi genitori erano partiti, lasciandogli la casa libera per una settimana, pensava che niente al mondo potesse turbare il suo animo, ma evidentemente si sbagliava. Erano un po’ di sere che Massimo era stranamente impegnato e anche se rimaneva sempre sul vago non aveva sospettato nulla, ma quando lo vide in giro, mano nella mano con Elisabetta, la ragazza che piaceva a Giovanni da una vita, il suo umore cambiò radicalmente. Massimo sapeva benissimo quanto importante fosse per lui quella ragazza, anche se lei gli rivolgeva a stento la parola. Così quando Giovanni passò accanto ai due, i quali non l’avevano ancora visto, si limitò a dire un gelido ciao, al quale l’ormai ex amico non osò rispondere. Sentiva una montagna di rabbia crescere dentro di se, ma come i due lati di un foglio, spostati verso il centro formano un innalzamento, il quale se fermato da qualcosa forma un altrettanto grande infossamento, così l’odio del ragazzo si trasformò in una glaciale depressione, la quale durò fino all’arrivo a casa. Qui, una volta seduto sul letto, sul quale rimase più di un quarto d’ora a fissare il vuoto,  l’ira cominciò a tornare. Non c’era più quella vocina che gli ripeteva “Sei in strada, non comportarti da cretino. Anche se vuoi spaccare tutto datti una controllata”. Le sue mani cominciarono a tremare, finché non afferrò di scatto il cellulare, il quale era la cosa più vicina, e lo scaraventò violentemente a terra. Subito dopo cominciò a prendere a calci e a pugni tutte le cose che trovava. Dentro di se sapeva che la sua reazione era alquanto eccessiva, ma non gli importava niente. Voleva squartare quel individuo che un tempo era stato suo amico. Quel essere infame che l’aveva pugnalato alle spalle. Lo voleva vedere sgozzato, impiccato, anzi, sgozzato ed impiccato insieme, mentre lui continuava a lacerare il suo cadavere ridendo a squarciagola. Sentiva l’ira montare come mai gli era capitato nella vita. Tirò un pugno alla scrivania, afferrò il portapenne e lo lanciò contro il muro. Non avrebbe mai pensato che quel lurido verme facesse il doppio gioco, bastardo! Diede un calcio al baule dei vecchi giochi, il quale cadde facendone uscire un sacco di oggetti di cui si era dimenticato l’esistenza. Assieme a quelli anche un mare di ricordi fluirono nella testa del ragazzo. Tutti i migliori momenti della sua vita li aveva passati assieme a Massimo. Un senso di disperazione avvolse il ragazzo che cadde di peso con le ginocchia accompagnato da un gran tonfo. Sentiva dolore a mani e piedi, ma non gli importava. Una lacrima cominciò a scendergli sulla guancia, mentre continuava a fissare il vuoto. Non sapeva proprio cosa pensare, era come se il mondo gli fosse crollato addosso. Era sfinito, incapace di reagire a qualsiasi cosa. “in fin dei conti” disse una nocetta “è solo colpa tua!”.

“No, è stato lui che mi ha tradito!” rispose mentalmente

“Beh” fece quella calma “Elisabetta è una bella ragazza... quanti anni è che ci devi provare con lei?”

“Zitto!”

“La verità è che sei un…»

«ZITTO!!!» gridò mentre spezzava in due un pupazzetto e lo scaraventava a terra.

La vocina era sparita. Al suo posto comparve un silenzio surreale, quasi solido, tanto che a Giovanni pareva di vederlo svolazzare li nell’aria circostante. Ad un certo punto il suo sguardo si abbassò e si posò sul pupazzo di Batman, col quale aveva sfidato diverse volte il pupazzo di Joker posto li affianco, che usava sempre massimo. Lo prese e lo terminò, come aveva già fatto altre volte da piccolo, solo che questa volta definitivamente. Vide topolino che nell’arco di pochi secondi si ritrovò con un paio di orecchie in meno. Più in la c’era Godzzilla, il quale venne decapitato seduta stante. Un ragno perse le zampe, un pupazzo le braccia, altre le gambe o la testa. Sembrava di essere in un campo di battaglia per giocattoli. Il suo sguardo si posò su vari giochi e ogni volta era costretto a mutilarli, per un bisogno interiore di pace che non arrivava mai… finché non lo vide. Era li, lucido come uno specchio anche se non veniva toccato da anni. Lo stesso casco che aveva trovato quattro anni prima, quello che, come molti altri giochi aveva usato solo per un giorno e poi dimenticato, stava ora li, come un idolo di pietra in mezzo ad una folla di fedeli mutilati che lo adoravano, sperando di riavere i loro pezzi mancanti indietro. Giovanni si ricordò di quel giorno, era stato uno dei più divertenti della sua vita, quel giorno con Massimo avevano fatto tutto ciò che lui voleva e si erano divertiti come non mai, ma quei tempi erano passati. Ora l’ex amico era troppo impegnato a fregargli la ragazza che gli piaCEVA!

Il ragazzo prese il casco con decisione, lo porto velocemente in alto, pronto a scagliarlo violentemente in terra, ma a metà della discesa del braccio si bloccò. La scossa… Il padre… Massimo… Non poteva essere che quel casco… In effetti il nonno un po’ di tempo prima di morire a causa di un infarto era parecchio eccitato e farfugliava sempre di aver scoperto qualcosa, almeno così gli avevano raccontato… Osservò una parte della sua faccia riflessa sul casco. Un barlume di speranza si accese dentro il ragazzo il quale viaggiava mentalmente tra le vicende di quel favoloso giorno.

«Oh, non può essere!» esclamò mentre poggiava l’oggetto per terra e si andava a sedere sul letto.

Eppure qualcosa dentro di lui gli diceva che in quel casco c’era qualcosa di potente. Non poteva essere stato solo il caso che in quella giornata sia il padre sia l’amico l’avessero accontentato su tutto.

“Tentare non nuoce” disse la voce di suo padre dentro la sua testa. In effetti non aveva niente da perderci, al massimo si sarebbe ripreso la scossa. Il casco da parte sua brillò un momento sulla cima, fatto che Giovanni interpretò non come lo spostamento della sua visuale, ma come una sorta di occhiolino.

Prese il casco e se lo pose in testa, dopodichè aspettò…

Dopo circa un minuto e mezzo, che al ragazzo parve durare diverse ore, il ragazzo cominciò a credere che il caso, assieme alla sua mente sconvolta dagli avvenimenti gli aveva giocato un brutto scherzo. “Un casco non può cambiare il le decisioni altrui” disse con tono saputello Francesco, il secchione della classe. Non gli aveva neanche dato la scossa, magari si ricordava male. In ogni caso era stato uno stupido, si vergognò di essere stato così infantile da credere alla magia o alla fortuna, così decise di togliersi il casco. Alzò le mani per levarselo quando uno strano rumore lo bloccò. La sua testa si voltò di scatto, mentre le braccia rimasero sospese a mezz’aria in posizione plastica. C’era qualcosa che produceva un brusio strano, fastidioso all’orecchio, cos’era? Era il cellulare, il quale mezzo distrutto per il colpo ricevuto prima stava ora vibrando per terra.

Non poteva essere lei. Sicuramente era un messaggio dei suoi genitori che lo avvisavano di qualcosa, magari che era un cretino a credere alla magia… Eppure in fondo allo stomaco sentiva una leggera brezza gelata che lo attraversava. Era lei. No, perché avrebbe dovuto mandargli un messaggio?

Decise che torturarsi in quella maniera era inutile, bisognava controllare.

Con una certa paura avvicinò la mano al cellulare. Lo prese e sempre molto lentamente, lo portò all’altezza degli occhi. Era un messaggio di Elisabetta nel quale gli confidava l’amore che provava per lui, e che non gli importava di nessun altro. La cosa che lo stupì ancora di più è che era scritto parola per parola tutto quello che il ragazzo aveva diverse volte immaginato quando pensava alle varie possibilità di mettersi con la ragazza, apparte l’ultima riga dove gli spiegava come Massimo fosse un cretino e che stava uscendo con lui solo perché gli faceva pena. Logico, d’altronde cosa ci si poteva aspettare da un superficiale come lui?

 

Il giorno dopo Giovanni si svegliò tra le coperte del letto dei suoi genitori, solo che al suo fianco stava, ancora addormentata, colei che aveva desiderato per lunghissimo tempo. Si sentiva benissimo, niente, neanche un po’ di rabbia o tristezza del giorno prima erano ora presenti in lui, come disciolti da un magico solvente. Si sentiva rinato. Stava fissando la ragazza coperta solo per metà dal lenzuolo, quando un pensiero prese il sopravvento. Era veramente stato il casco a fare tutto quello?

Si portò nella sua camera silenzioso come una tigre nella savana e osservò per l’ennesima volta l’oggetto. Se lo pose sul capo. Doveva provare se funzionava, ma cosa poteva fare? Gli vennero in mente una marea di cavolate, ma niente che potesse andare bene, o che rimanesse nei limiti del decente. Rimase un attimo nell’incertezza, poi decise per una cosa banalissima: desiderò che la ragazza si svegliasse.

«Giovanni?» disse la voce di Elisabetta dall’altra camera.

«Eh… Ci… Si… Perché, che c’è?»

«No, era per sapere dov’eri»

«Sono in camera mia»

«Sto venendo»

«Ok»

Beh, era parecchio frastornato dalla coincidenza, che forse coincidenza non era. Lui non aveva mai creduto alla fortuna o a cose come la magia, ma effettivamente c’era qualcosa di strano in quel casco. Doveva essere certo prima di poter fare qualcosa, visto che il ragazzo si stava alquanto esaltando al pensiero di poter controllare il pensiero delle persone. Doveva avere un idea per confermare la sua ipotesi… Trovato! La ragazza odiava i mirtilli, e anche i frullati, mentre lui odiava solo i mirtilli. “Voglio che Elisabetta faccia tre frullati di mirtilli, uno per lei, uno per me, e uno per l’amico del vicino del fratello di mio zio” pensò.

Il ragazzo aspettò un po’ di secondi, dopo i quali sentì un rumore provenire dalla cucina.

«Che stai facendo?» esclamò rivolto alla ragazza una volta entrato nella stanza.

«Sto cercando dei mirtilli. Sai, voglio preparare tre frullati di mirtilli, uno per me, uno per te, e uno per l’amico del vicino del fratello di tuo zio»

  
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