Atto primo
Shannon adorava correre in moto con la sua Ducati Monster 600 per le colline dei dintorni di Los Angeles e aveva una compagnia di amici motociclisti a cui piacevano le stesse cose: sentire il sole ed il vento sulla pelle, perdersi tra le ombre delle fronde degli alberi tra una curva e l’altra, salire, salire, fiancheggiando prati brulli baciati dalla calura estiva, ritrovarsi sulla cima di una collina e, guardando in giù, scoprire uno scorcio di mare in lontananza, il pendio della città, un bosco verde mai visto in precedenza.
I suoi compagni di avventura, meno di una decina tra cui il suo amico Brent, con moto di diversa cilindrata e marca, erano una sorta di famiglia parallela ed il suo amico Steve, quello che si poteva definire il “capo banda”, organizzava continuamente queste gite in cerca del nulla, solo per il piacere di dare gas alla moto e correre, correre, correre.
Gareggiare, qualche volta.
Quella mattina presto, prima delle nove, si erano trovati tutti dalle parti della casa di Steve, nella zona più vecchia di Hollywood, e, fatti pochi chilometri, si erano fermati inaspettatamente al lato strada su uno spiazzo sterrato, ancora prima di cominciare l’ascesa di una collina.
Steve però non si era tolto il casco, aveva consultato il suo cellulare e aveva gridato al resto della banda, cercando di superare il rombo dei motori: “ASPETTIAMO CHRIS! Sarà qui a momenti.”
E così era stato: alcuni avevano spento la moto, altri l’avevano parcheggiata e Shannon, mentre prendeva un sorso dalla sua bottiglietta d’acqua, era rimasto, con la moto accesa, a fissare un punto indefinito sulla strada che portava a Los Angeles, chiedendosi chi fosse mai questo fantomatico Chris. Non dovette aspettare molto: ad un tratto, dalla curva alla fine della via vide spuntare una moto sparata a tutta velocità, che rallentò non appena vide il gruppo fermo.
Era un Yahama FZ6 Fazer di colore viola e nero.
Sopra, una figura minuta e tutta nervi, con una giacca nera in pelle ricoperta di toppe con i simboli dei vari marchi di moto, pantaloni neri di jeans, stivali in pelle e casco con la stessa fantasia della moto, che ora Shannon vide essere composta di grifoni neri su sfondo viola, le cui code si attorcigliarono. La visiera era scura e non si riusciva a vedere il viso dell’individuo, i suoi occhi.
Il centauro, con una mano guantata, si avvicinò a Steve e gli fece il pollice alzato, indicando la strada che si inerpicava su per la collina.
“OK,
CI SIAMO
TUTTI! VIA CON
Con Shannon dietro, incuriosito dal nuovo personaggio, che, a tutta velocità cominciò ad arrampicarsi sulla collina.
E lui dietro, l’adrenalina che gli scorreva prepotentemente nelle vene, il cuore che aveva avuto un balzo, i muscoli ed i nervi tesi e pronti, una mano sull’acceleratore, un piede appoggiato sul cambio, il corpo piegato sul serbatoio, a rincorrere quell’individuo che velocemente curvava sul primo tornante a destra, una decina di metri avanti.
Shannon
strinse i denti:
Il sole splendeva sulle cromature della moto, il vento muoveva le fronde, la velocità gli entrava sottopelle e Shannon si sentiva in paradiso.
Mancava
ancora
una curva e poi la salita sarebbe finita e Shannon credette ormai di
avere
vinto. Vide dallo specchietto retrovisore destro che
Fu un attimo.
Shannon si era distratto e Chris aveva vinto.
Il motociclista si tolse i guanti e li appoggiò alla sella, poi si sganciò e si tolse il casco: “FurbA vorrai dire…”, disse, sorridendo.
Era una donna.
E Shannon rimase lì a bocca aperta.
La ragazza prese una bottiglietta d’acqua dalla sacca laterale e si mise a bere, cercando di asciugarsi il sudore con un fazzolettino, guardandolo in viso e sorridendo, mentre tutto il resto del gruppo arrivava vicino a loro.
Steve raggiunse i due: “Sei una grande come il solito!”, l’uomo alzò la mano e la donna accettò il ‘cinque’ battendo il palmo sul suo e dicendo: “Grazie, Steve!”
“Ti
presento
un po’ di gente che non conosci. Questo con
La donna alzò una mano in segno di saluto: “Ciao a tutti e due! Piacere di conoscervi…”
“Lei è Christine.”, proseguì Steve, “la nostra pazza su due ruote che ogni tanto ci onora, lavoro permettendo, di essere dei nostri.”
“Ehi, sei brava!”, le disse subito Brent, con il suo solito sorriso cordiale ed aperto.
“No… é Steve che esagera sempre.”, si schernì Christine, scuotendo la testa e sorridendo tranquilla.
E Shannon era sorpreso del modo in cui la ragazza si trovasse a suo agio tra tutti quegli uomini, dei motociclisti, addirittura… ma lei era lì, con un sorriso semplice, senza atteggiamenti da diva o da gnocca, pacifica e tranquilla. Con i capelli castano chiari mossi dal vento, senza un filo di trucco su un volto magro e minuto, con due occhi neri spalancati su di loro. Forse bella. O forse no. Non certo una bellezza hollywoodiana, ma una ragazza normale.
Shannon le si avvicinò, togliendosi gli occhiali: “Ti chiami come la mia batteria…”
Christine spalancò gli occhi: “La tua cosa?”
“Batteria. Sono un musicista. Suono nei ‘30 Seconds to Mars’. Conosci?”
La ragazza scosse la testa: “Ehm… temo di no. Io… beh… ascolto la lirica di solito, non seguo la musica moderna…”
Shannon la fissò sorpreso: “La lirica?”
“Sì… musica classica, sai… io… beh… non ho più l’età per certe cose…”
Steve prese la parola e piazzò la sua battuta: “Per certe cose no, ma per correre in moto, sì!”
Tutti scoppiarono a ridere, mentre il capobanda continuava: “Dai, basta chiacchiere! Ora scolliniamo e andiamo sull’altro colle, e vedrete che spettacolo! Da sopra si vede il lago.”
Il
gruppo
riprese subito le moto e ripartì sgommando e rombando,