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Autore: SHUN DI ANDROMEDA    04/05/2010    3 recensioni
"La grande casa al limitare del deserto era silenziosa. Il caldo giorno aveva ceduto il posto alla notte, fredda e ventosa, il sonno aveva preso possesso dei corpi di tutti, conducendo le menti verso il meritato riposo. Turbini di sabbia si alzavano di quando in quando, sollevati dalle forti correnti d’aria che imperversavano nell’area desertica, il grido solitario dei selhat e dei le-matya rompeva il silenzio della notte; nella grande dimora dell’ambasciatore Sarek, tutte le luci erano spente ormai da ore, ognuno degli abitanti era a riposo nei propri alloggi." Buongiorno! Ed eccomi a voi con la mia nuova fic in due capitoli!! Questa volta, l’ho ambientata a metà tra il III e il IV film, subito dopo la rifusione del katra di Spock dal corpo di Bones e poco prima della partenza dei nostri eroi alla volta della Terra^^ Diciamo che è stata una sfida con me stessa, all’inizio, volevo solo approfondire un po’ il ruolo di Amanda nei film, ma poi mi è sfuggito il controllo e sono finita a scrivere questa fic. Le tematiche di questo racconto dolceamaro sono varie e spero di riuscire ad esprimerle tutte. L’amicizia, la base della fic, l’unica ragione per cui i Sei dell’Enterprise si trovano su Vulcano, il rapporto strano e allo stesso tempo indissolubile che c’è tra il capitano, il suo primo ufficiale e il medico di bordo, tra i loro quattro compagni e tra tutti loro. La famiglia, Kirk ha perso David per cercare di recuperare la persona che è quasi un fratello per lui, Amanda deve a Jim e ai suoi compagni la vita del suo unico figlio, Sarek lo stesso. L’amore, perché io sono una slasher convinta, e anche se piccolo, un accenno alla Spock/Bonny, l’attuale coppia totem, ce lo devo mettere per forza. La determinazione e la volontà che muovono l’Universo, perché se non avessero davvero voluto salvare Spock, non sarebbero mai partiti, se Chekov, Uhura, Scotty e Sulu non avessero voluto VERAMENTE seguire il loro capitano per andare in soccorso del Primo Ufficiale, forse non sarebbero mai riusciti a riportarlo tra i vivi. Grazie della lettura, spero di non essere la sola a imbarcarmi in questa avventura. Lo dedico a Maya, Rowen ed Eerya! GRAZIE DI TUTTO!! KISS SHUN
Genere: Generale, Malinconico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Amanda, Leonard H. Bones McCoy, Sarek, Spock
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Dawn Saga'
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DAWN

CAPITOLO 3

VULCAN DAWN

Le stelle splendevano alte nel cielo nero e scuro, vegliando sul sonno degli abitanti del pianeta.

Un silenzio riflessivo e pacifico aveva avvolto il deserto, rotto di quando in quando dal canto umano e passionale dell’ufficiale della Flotta Nyota Uhura, seduta su una cassa vuota a pochi metri dallo Sparviero. Lo sguardo era perso tra le dune argentate in lontananza, catturato dalle ombre della notte, dai richiami degli animali in caccia che popolavano le distese sabbiose di Vulcano.

Il continuo ciclo della vita e della morte che si ripeteva attorno a lei, la fece riflettere, per la prima volta, in quel lungo esilio.

Tempo non c’era stato, nemmeno per pensare o respirare, tutto era accaduto troppo in fretta e lei non riusciva ancora a capacitarsene.

Suonava meccanicamente, sfiorando piano le corde, beandosi del suono dolce che spandevano a macchia d’olio per ogni dove: non aveva paura! Gli anni nello spazio le avevano insegnato a non averne, ma la sua mente era affollata di pensieri su di sé e sui suoi compagni, e piena di incertezza per il futuro.

L’Enterprise non esisteva più, e loro?

Erano morti con lei, o avrebbero trovato il modo di ritrovare quello che avevano perso?

Il cuore si riempì di dolcezza e affetto pensando a quella sera di pochi mesi prima: il vento che s’alzava sul deserto, la sabbia rossa negli occhi, e il ritmico rumore delle trombe vulcanite che componevano il corteo che era andato ad accogliere i suoi compagni. Che grande emozione che aveva provato nel vederli scendere, assieme, stretti attorno alla barella su cui avevano disteso il corpo privo di sensi di Spock, c’era anche Saavik, erano tutti lì, mancava solo lei.

Aveva abbracciato il suo comandante, sollevata di rivederli tutti vivi e anche se sentiva che doveva essere accaduto qualcosa di brutto per averli fatti viaggiare su quello Sparviero, la presenza di Saavik non era prevista ed erano quindi molte le domande che sorgevano spontanee, Uhura le ignorò, concentrandosi unicamente su quell’ultima parte del viaggio.

Avevano messo in gioco tutto, ormai era andata.

Le mani si erano saldamente strette attorno alla leggera asta metallica che componeva la portantina, il suo passo si era uniformato a quello degli amici e lentamente avevano seguito la solenne processione che si avviava su per l’impervio declivio del monte Seleya, - il cuore pulsante della spiritualità Vulcan -; la donna ne aveva percepito distintamente il respiro e la voce che gli sussurrava parole antiche all’orecchio ma a lei incomprensibili.

E che gioia quando finalmente si erano riuniti, il suo corpo si era mosso istintivamente e tutti si erano stretti attorno al comandante e a Spock mentre il sole si alzava infuocato oltre le cime aguzze dei monti attorno, sentendo calde raffiche che li colpivano in viso.

La notizia della distruzione dell’Enterprise le aveva lasciato l’amaro in bocca, ma si era imposta di non piangere, anche se – come tutti - ne sentiva il bisogno. Scotty tratteneva a stento le lacrime mentre glielo raccontava, ma la donna sapeva che non avevano avuto scelta.

O loro o i Klingon.

Aveva cognizione di quanto doveva essere costato all’amico il dare la morte alla sua nave, "alla sua bambina" come l’aveva sempre affettuosamente chiamata: si era preso cura di lei per anni, l’aveva amorevolmente accudita, proprio come una figlia, e distruggerla con le proprie mani… Doveva essere stato tremendo per lo scozzese.

Ma l’ingegnere era riuscito a riprendersi, concentrando ogni briciola di forza e volontà disponibile sul Bounty e sulle riparazioni, come aveva sempre fatto, mettendoci tutta la passione che poteva ed aveva, vincendo sul dolore e il dispiacere.

E lei?

Uhura strinse i pugni, smettendo di suonare, non era riuscita ad accettare interamente la morte dello scienziato, aveva sempre pensato che sarebbero morti tutti assieme, in qualche battaglia tra le stelle oppure su qualche pianeta lontano nella galassia, o ancora in qualche missione.

Ma sempre assieme.

La morte di Spock era stato un durissimo colpo per tutti, ma soprattutto per l’Ammiraglio e il dottor McCoy. Nyota aveva passato più di metà della propria vita con loro a vagabondare nello spazio, affrontando pericoli; aveva combattuto al loro fianco, aveva sofferto con loro, aveva gioito con loro, ma non li aveva mai visti così abbattuti, così… spenti.

Più volte Christine gli aveva confidato, durante quel ritorno così triste e cupo, di aver sorpreso il medico seduto in poltrona, lo sguardo vacuo e assente mentre borbottava qualcosa di incomprensibile, gli occhi azzurri come il mare fissi insistentemente sui vecchi rapporti delle missioni che avevano affrontato e concluso con successo; cosa stava cercando? Forse un conforto che non poteva avere, che non poteva trovare?

Una spessa coltre di nubi livide aveva circondato i loro spiriti, nascondendo la luce alla vista.

I due ufficiali si erano gettati in quella missione suicida senza pensarci un attimo, avevano seguito l’istinto e il cuore, cercando disperatamente di rimettere insieme i pezzi di quella che era stata un’amicizia meravigliosa, seppur con alti e bassi, che aveva attraversato la Galassia, un’amicizia preziosa che era stata distrutta dalla Morte: ma non per questo si erano dati per vinti; avevano perso tanto, forse troppo, eppure erano rimasti aggrappati a quell’esile speranza di riavere l’amico più importante al proprio fianco, anche nel momento più drammatico. Erano anche loro morti con Spock in quel reattore, Uhura lo sapeva benissimo, erano morti tutti quel giorno, anche se respiravano ancora, anche se potevano sentire il proprio cuore battere.

Ma quando il sole aveva illuminato gli occhi di nuovo vivi del Vulcan, anche Kirk e Bones sembravano essere rinati con lui, un nuovo sorriso al limite delle lacrime aveva rischiarato i visi dei due inseparabili amici, per un attimo anche lei si era lasciata sopraffare dalla gioia, rideva e piangeva con loro, per loro.

Ora il futuro la metteva davanti a una scelta.

Avrebbe avuto il coraggio di andare fino in fondo oppure…

La musicista scosse violentemente la testa, scacciando via quei pensieri come se fossero stati una mosca molesta; non si sarebbe fatta tentare dalla strada più semplice, non era nella sua natura rinunciare e certo non avrebbe lasciato in un momento simile: "ma cosa sto facendo?" si disse, respirando profondamente, "mi fa male pensare." decretò, socchiudendo gli occhi, "non abbandonerò l’Ammiraglio e gli altri." decise il comandante, poggiando con cura lo strumento accanto a sé.

"Ehi, Uhura-chan!"

Il tono allegro e scanzonato di Sulu la fece voltare di scatto, sorpresa, nella luce fioca della passerella vide i due amici di sempre avvicinarsi a lei, un braccio del giapponese cingeva amichevolmente le spalle del sovietico, la testa poggiata contro quella del compagno: "Avete fatto pace, vedo." esclamò, sollevata per la situazione e felice per quel soprannome, "Pavel, dove hai messo i gradi?" chiese poi curiosa, notando la mancanza delle decorazioni sulle spalline; Chekov si scambiò un’occhiata con Hikaru, sogghignando, "non sono più un cagnolino fedele." replicò serio lui, "non so come andrà a finire questa storia," continuò poi, cingendo col braccio libero le spalle di Uhura e stringendola affettuosamente a sé, "ma so che non vorrei affrontare ciò che mi aspetta senza di voi, senza l’ammiraglio, senza il signor Spock e il dottor McCoy." dichiarò il più giovane.

La donna rise, lasciandosi abbracciare: "E a cosa dobbiamo questo tuo improvviso rinsavimento?" domandò l’ufficiale, ricambiando il gesto con trasporto, "al mio migliore amico, Hikaru Sulu!" decretò il russo con uno dei suoi soliti e caldi sorrisi, "non dire cavolate." rispose subito dopo il giapponese, dandogli un pugno scherzoso sulla spalla, "ti ho solo dato una scrollata, ci saresti arrivato tranquillamente da solo, baka!" gridò, incespicando nei propri piedi.

L’orientale scivolò rovinosamente sulla sabbia, trascinando con sé i due amici tra le risate.

Ma c’era qualcuno che non riusciva a trarre sicurezza e tranquillità da quella familiare situazione.

Una figura alta e snella osservava neutra il rotolarsi e i giochi dei tre amici sulla sabbia, dall’alto della rupe che dominava la conca naturale in cui lo Sparviero aveva trovato rifugio, un muro invalicabile per chiunque; Spock si era ritirato lassù ormai da mesi, a malapena la madre riusciva a vederlo, era come un’ombra sfuggente, un fantasma etereo.

L’orlo della tunica veniva smosso dal vento freddo, sollevandosi leggermente sino a mostrare le caviglie pallide e ossute.

Lo scienziato era spaventosamente dimagrito in quegli ultimi mesi, ancora più del solito, come se un fuoco invisibile lo divorasse dall’interno, consumandolo lentamente, come se la morte volesse portarselo via un’altra volta.

Il viso affilato e pallido, simbolo stesso di un’austerità che pensava ormai di essersi lasciato alle spalle da anni, e che aveva quasi del tutto ripreso possesso su di lui, era simile più a quello di una bambola di porcellana che a quello di un essere vivente.

Un brivido freddo gli percorse la schiena, facendolo involontariamente tremare, ma restò lì, fermo, ad osservare i giochi di quelli che un tempo avrebbe potuto chiamare, senza ombra di dubbio, compagni; ma ora, erano semplici volti appartenenti a ricordi che non riusciva a riconoscere del tutto come propri.

I suoi occhi scuri saettarono nell’oscurità, attratti come le falene da quel punto luminoso che era lo Sparviero nel suo nido di sabbia e roccia, attratti da quelle figure che ridevano nella notte, squarciando come un coltello quel gelo che sentiva dentro di sé: era una sensazione curiosa, mai provata, o almeno, non ricordava di averla mai provata.

Razionalmente, quelle memorie che gli vagavano nella mente dovevano appartenergli, ma gli ci sarebbe voluto ancora del tempo prima che tutti i tasselli del puzzle andassero al loro posto.

In quel momento, Sulu alzò lo sguardo e lo notò, Spock poté quasi giurare che stesse sorridendo, aveva perfino alzato un braccio in segno di saluto; tutti lo imitarono, Chekov pure si stava sbracciando, gridava qualcosa che il Vulcan non capì, non era né inglese né vulcaniano, doveva essere, a rigor di logica, russo.

E così Uhura, giunse fino a lassù perfino il suono di qualche nota dolcissima strimpellata sull’arpa.

Volevano che scendesse giù?

Goffamente, lo scienziato alzò a sua volta il braccio, ma si ritrasse subito dopo, sentiva i battiti del cuore risuonargli sin nel petto da quanto erano intensi; l’alieno sparì tra le pieghe della notte, rifugiandosi contro la parete di roccia alle sue spalle: cosa gli stava accadendo?

"è inutile che si nasconda, tanto l’ho vista comunque!"

La voce del medico risuonò calda in quell’aria fredda che permeava ogni cosa.

Lentamente, Spock riemerse dal buio, il suo volto aveva riacquistato quella compostezza che gli era propria: "Non mi ero nascosto da lei, non ne avrei avuto motivo. È stato solo un giramento di testa improvviso a spingermi a cercare appoggio contro qualcosa di solido." spiegò con tono distaccato, poteva distinguere bene la figura del dottor McCoy in piedi davanti a sé; Bones scoppiò sonoramente a ridere, "Cos’è? Ha cominciato a dire bugie?" sogghignò, avvicinandosi ulteriormente.

Poi però lo vide pallido, insanamente pallido, più del solito, e si preoccupò: "Forse non ha tutti i torti." dichiarò l’americano serio, tirando fuori il tricorder ed esaminandolo, i dati che vi leggeva erano decisamente preoccupanti; McCoy ripose infine l’analizzatore, guardando lo scienziato con aria dura, "Non le avevo detto di stare a riposo?" lo rimproverò, afferrandolo per il braccio e passandoselo dietro le spalle, "testardo più di un mulo." brontolò, poggiando la mano sul fianco del compagno e portandolo verso il piccolo edificio che ormai da mesi era il rifugio del Vulcan.

Varcarono la porta e gli occhi di McCoy si ritrovarono immersi nell’oscurità.

A tentoni, cercò con la mano un interruttore sulla parete rocciosa, ma nulla.

Leonard sospirò, frugandosi in tasca fino a trovare quello che cercava: la stanza venne debolmente illuminata da un fascio di luce proveniente da una torcia tascabile; si guardò attorno, scorgendo una brandina sfatta nell’angolo più remoto del piccolo edificio.

Sbuffando seccato, trascinò di peso il Vulcaniano sino al giaciglio, era incredibilmente leggero, troppo; come aveva fatto a dimagrire a quella velocità? Maledicendosi, il medico lo depositò tra le lenzuola, esaminandone il colorito malaticcio con una punta d’ansia, non che fosse mai stato grasso, ma così era esagerato: trasse da tasca una iposiringa e ne iniettò il contenuto nel collo sottile e biancastro dell’amico. Questi ebbe un sussulto, si irrigidì, spalancando gli occhi arrossati e spenti: "Non ti muovere." gli soffiò, prendendo una piccola boccetta dalla taschina interna della giacca; in pochi minuti, una flebo sgocciolava il proprio contenuto dentro il braccio e il corpo di Spock.

L’alieno si riaddormentò stremato.

Il medico teneva il ginocchio poggiato sul materasso scuro, alla luce della torcia da tasca esaminò con attenzione l’espressione sofferente del compagno, anche nel sonno sembrava essere roso da qualcosa che, benché la temperatura fosse normale, Bones avrebbe giurato trattarsi di febbre; pensieroso, gli mise addosso la propria giacca, poi si allontanò verso il tavolino al centro della piccola stanza quadrata, un angolo era debolmente illuminato dal riverbero degli schermi di un certo numero di computer e apparecchi elettronici di ogni genere che stavano ammassati lì, senza una ragione apparente.

Si avvicinò a quello più vicino, attirato dal riflesso blu come il mare delle luci.

L’improvvisa luminescenza lo accecò per un istante, strappandogli un gemito di dolore; sentì un paio di lacrime scivolargli giù dalle pupille ma la mano passò subito ad asciugarle, si sfregò gli occhi per qualche momento, riacquistando una visione d’insieme abbastanza dignitosa.

Ma ciò che vide lo lasciò perplesso e allo stesso tempo con una sensazione di disagio e tristezza a stringergli lo stomaco, le mani si mossero istintivamente a sfiorare lo schermo del computer, come a volersi sincerare che fosse vero e non un sogno.

"COME TI SENTI?"

Erano queste le parole che si stagliavano, placide e lampeggianti nel loro blu intenso, sullo sfondo nerastro dello schermo, una domanda che non aveva ancora avuto risposta e, forse, non l’avrebbero avuta mai; il dottore restò imbambolato dinanzi a quell’aggeggio per un tempo interminabile, anche se dovevano essere passati pochi minuti: apriva e richiudeva la bocca, cercando di trovare qualcosa da dire e ripensandoci all’ultimo momento.

Era una situazione delicata e assolutamente surreale.

Il medico si voltò verso la figura distesa sul lettino, nell’oscurità quasi poteva vedere la pelle insanamente diafana dello scienziato brillare di luce propria, tale era il colore così simile a quello della Luna.

Con uno sbuffo seccato e doloroso, il dottore si poggiò con entrambe le mani contro il macchinario mentre la fronte si poggiava delicatamente sul monitor, le pupille saldamente fisse sulla scritta lampeggiante.

"Idioti…" ringhiò Leonard, stringendo i pugni con foga, le unghie si affossarono nei palmi e sentì distintamente la sensazione del sangue che scivolava viscido lungo la sua pelle; ma quasi non ci fece caso, la rabbia era tale da ottenebrare anche le percezioni del dolore.

Il vecchio brontolone si voltò di scatto, muovendosi nell’oscurità con l’agilità e la capacità di un gatto ma il suo volto, alla fioca luce dei macchinari in funzione, era trasfigurato in una smorfia di rabbia e cupa tristezza; velocemente, raggiunse la lettiga e armeggiò qualche istante con il contenitore che stillava goccia a goccia il proprio contenuto nel corpo prostrato di Spock.

"Abbiamo sbagliato tutto…" mormorò il dottore con aria colpevole, staccando la flebo improvvisata e deponendola con cura sul tavolino, "E a pagare è sempre chi non c’entra nulla." borbottò, caricandoselo in spalla con estrema facilità, un tempo nemmeno sarebbe stato in grado di batterlo a braccio di ferro, figuriamoci sollevarlo.

Strinse i pugni, avrebbero pagato anche quello.

Con cautela, Leonard si mosse verso la porta, deciso più che mai a porre fine a quella storia assurda e priva di qualunque logica, quella logica di cui il compagno e amico andava così fiero, non riusciva a vederla in tutto quel confusionario stato di cose.

"Dottore… Mi lasci… Per favore…"

Il tono debole e affaticato di Spock fece trasalire Bones, colto alla sprovvista, ma egli non si fermò e continuò imperterrito la propria marcia, ignorando le chiamate dello scienziato: "ma neanche per sogno!" esclamò a un certo punto il chirurgo, con tono esasperato, "Lei non resterà quassù un momento di più, prossima fermata, Bounty! E poi, Pianeta Terra!" esclamò, vagamente isterico.

Il Vulcan inarcò elegantemente un sopracciglio, ma era troppo debole per tenere dritta la testa; esausto, si poggiò alla schiena del medico: "Cosa vuole fare…?" sussurrò appena, affossando il viso contro il tessuto della giacca di cuoio del compagno, le braccia abbandonate attorno al collo del dottore, "E lo chiede anche?" soffiò, "da adesso in poi, si consideri agli arresti in infermeria. È disidratato, denutrito e Dio solo sa quant’altro, come medico, e come amico soprattutto, non la posso lasciare quassù, isolato come uno stambecco; Jim mi spellerebbe vivo." sorrise appena, cercando di mostrarsi rassicurante.

L’alieno sospirò, era inutile tentare di far ragionare il medico di bordo, Spock aveva imparato ormai da tempo che non era possibile una simile impresa: il dottore quasi non dava retta nemmeno all’Ammiraglio, figuriamoci a lui.

Il Vulcan si limitò ad annuire, da quello che poteva distinguere attorno a sé, stavano scendendo dalla rocca attraverso l’unico sentiero un poco praticabile; ragionò per un attimo, o almeno cercò di ridurre a più miti consigli la sua mente del tutto indisciplinata, ma non ebbe molto successo in un tale tentativo.

I suoi occhi vennero feriti da una luce improvvisa, strappandogli un lamento di dolore, udibilissimo; egli percepì l’aumento del ritmo del passo di Leonard, che aveva quasi il sapore di una corsa, poi distinse chiaramente il cicaleccio delle voci dei compagni farsi sempre più vicino.

"Pavel, Hikaru, Nyota!" abbaiò McCoy, richiamando l’attenzione dei tre ufficiali; i due uomini alzarono di scatto la testa, sorpresi e spaventati per quell’arrivo improvviso, "Doktor!" esclamò il più giovane, correndogli incontro, "Cosa è successo?" domandò, aiutandolo a tenere su il corpo semisvenuto del loro ex primo ufficiale, "Ne parleremo dopo…" mormorò sollevato il chirurgo, "Forza Sulu-chan, portiamolo in infermeria!" disse agitato il sovietico, portando Spock sottocoperta.

§§§

"Ammiraglio."

Jim si voltò di scatto, notando la figura eterea e quasi impalpabile di Lady Amanda percorrere lentamente il corridoio per avvicinarsi a lui.

"Amanda, cosa ci fa in giro a quest’ora?" chiese Kirk sorpreso, "Cercavo lei." disse la donna, sorridendo appena, "Devo parlarle. So che è molto occupato coi preparativi per la partenza, ma è una cosa importante." proseguì la moglie dell’ambasciatore, tormentandosi le mani inguantate, "non le ruberò più di dieci minuti." lo rassicurò.

Il comandante dell’Enterprise fece un inchino e le dedicò un baciamano, "Lady Amanda, non si preoccupi, abbiamo ancora parecchie ore prima di partire. Sarò felice di ascoltare quello che ha da dirmi." replicò Jim.

L’ufficiale della Flotta si sentì improvvisamente inquieto, vedeva le spalle della donna sussultare per il nervosismo e più ci pensava, più non riusciva a comprenderne il motivo: "prego, mi dica…" esordì l’uomo, nel tentativo di rompere il ghiaccio; lei chinò leggermente il capo, come a voler raccogliere le idee, poi alzò di scatto la testa, gli occhi grigi e fieri ardevano di una strana luce, familiare.

Il comandante ebbe un tuffo al cuore.

"Sono venuta qui a pregarla di portare Spock via con voi." disse secca, riacquistando il suo sangue freddo, "non voglio che resti ancora qui.".

Le parole della madre del suo migliore amico lo lasciarono del tutto spiazzato, per un attimo non seppe cosa rispondere, semplicemente il suo cervello aveva deciso di prendersi una pausa e staccarsi.

Quando tutti i collegamenti neurali tornarono a funzionare più o meno normalmente, rimase comunque scosso dalla richiesta della donna.

"Lady Amanda, se Spock volesse tornare indietro con noi, io sarei il primo ad accoglierlo a bordo e sono sicuro anche gli altri. Ma la scelta sta a lui, non possiamo intrometterci, se non vuole…" il suo tono si era improvvisamente incupito. Spezzando a metà la frase che stava per dire; si morse le labbra.

Ci fu un attimo di silenzio pesante, un silenzio quasi insopportabile.

"Ammiraglio, lei vuole bene a mio figlio?" chiese con tono duro la donna, battendo ritmicamente il piede sul marmo del corridoio; Jim sgranò gli occhi, boccheggiando come un pesce fuori dall’acqua, sentiva il suo cuore saltare alcuni battiti.

"Signora…" sussurrò, nel tentativo di riprendersi, "Ho passato una vita con suo figlio nello spazio, abbiamo lottato assieme sui più remoti pianetucoli del quadrante. Mi creda se le dico che Spock è quanto più vicino a un fratello io abbia al mondo e gli sono profondamente legato, è il mio migliore amico." disse con una punta palpabile di orgoglio nella voce, il suo sguardo s’addolcì un poco, illuminandosi.

Amanda sospirò sollevata: "Allora, la prego, esaudisca il desiderio di questa povera madre. Portatelo con voi indietro, ha bisogno di stare con voi per ritornare quello che era… Deve ritrovare la sua parte umana, la parte vulcaniana lo sta sopraffacendo. La prego!" esclamò con le lacrime agli occhi, afferrandogli le mani, "Solo stando con voi Spock potrà tornare a essere quello di prima. Sa," singhiozzò lei, asciugandosi una lacrima fuggiasca, "Mio figlio non è mai stato affettuoso come un bimbo umano, l’educazione Vulcan non gli ha mai permesso di esserlo, e in un certo senso, sino al momento della sua entrata in Accademia, ne ero fiera, vedevo una sorta di orgoglio malcelato negli occhi di Sarek per quel nostro figlio. Solo dopo, quando ho rivisto Spock a bordo dell’Enterprise, durante il viaggio verso Babel, ho capito davvero…".

La donna si interruppe, prendendo fiato.

"Cosa ha capito?" chiese con voce tremante il comandante, curioso e inquieto, la moglie dell’ambasciatore era una persona davvero particolare.

"Spock non può vivere senza sentimenti." dichiarò con un tenero sorriso dipinto sul volto, un sorriso di mamma, "Per quanto si sia sempre impegnato a fondo per reprimerli, prova sentimenti umani, come li posso provare io o lei, forse anche più intensi, lo vedevo durante l’operazione a Sarek; non staccava gli occhi dal viso del padre… Ma dopo il Fal-Tor-Pan, qualcosa deve essersi spezzato… La prego ammiraglio, le chiedo solo questo, mi restituisca mio figlio.".

§§§§

Dovresti riposare anche tu, o domani crollerai, il viaggio è lungo e hai bisogno di dormire un po’." osservò critico Scotty, poggiando una mano massiccia sulla spalla di Uhura; la donna rise sommessamente, strimpellando distrattamente qualche nota sulla lira: "non ci riuscirei," ammise, "Sono troppo nervosa.".

L’ingegnere le si sedette goffamente accanto, scoccando un’occhiata rassegnata ai due compagni profondamente addormentati a poca distanza da loro, le loro buffe posizioni strapparono un risolino divertito allo scozzese: "Quando si sveglieranno, il torcicollo è assicurato!" esclamò gioviale, "Oh beh, poco male. Problemi di Len!" concluse, tracannando una generosa sorsata di scotch dalla personalissima fiaschetta.

La donna fissò con affetto i due amici appisolati con le teste sulla console, il braccio del giapponese faceva da cuscino al russo, un’espressione beata illuminava il viso del sovietico.

"Come procede di sotto?" chiese il tenente, alzandosi per preparare un caffè al compagno, "Bene, questa piccolina non è da buttare in effetti è stata solo sfruttata e soprattutto progettata male, i Klingon non sanno apprezzare le cose belle della vita, su questo non si discute." brontolò, "i Tubi di Jeffrey non sanno manco cosa siano quei barbari…" si lamentò; l’ufficiale ridacchiò, passandogli una tazza piena di caffè nero, scuro e dal profumo forte: "hai fatto un ottimo lavoro, come sempre!" si complimentò lei, "grazie!" replicò platealmente, baciandole con galanteria la mano, "piuttosto, ho sentito un bel po’ di trambusto prima, cosa avete combinato?" domandò con tono curioso l’uomo.

Uhura s’incupì, stringendo la tazza con forza: "Pavel e Hikaru hanno portato di sotto il capitano Spock, adesso il dottor McCoy è con lui;" replicò laconicamente lei, "non era messo molto bene." aggiunse con aria triste.

Scotty sgranò gli occhi: "Cosa è successo?" incalzò stupito, "Credevo che Len fosse andato a cercarlo per convincerlo a tornare con noi, non dirmi che sono passati alle mani!" esclamò quasi orripilato, "Ma figurati!" lo zittì lei, cercando di riprendere il controllo di sé stessa, "ci ha spiegato che gli è svenuto praticamente in braccio," disse lentamente, "ora sta facendo degli esami, ma chiunque capirebbe che è dimagrito in modo spaventoso in queste ultime settimane, il dottore è preoccupato per questo motivo, vuol dire che non mangia da almeno un mese." concluse, ritornando a suonare.

Lo scozzese sospirò: "Maledetto Khan…" ringhiò, "ne ha fatte troppe, spero che stia marcendo nel più profondo e disgustoso degli Inferi." lo maledisse, battendo poi la propria mano sulla spalla della collega in un gesto rassicurante, "Non preoccuparti per Spock, quello lì ha sette vite più dei gatti e poi, Leonard è il migliore medico di Starfleet. Torneremo indietro assieme, non credo che l’ammiraglio voglia lasciare qualcuno di noi indietro. Abbiamo giurato e andremo sino in fondo!" affermò serio.

La donna rispose con un abbraccio forte e affettuoso.

L’ingegnere glielo lasciò fare, ricambiando a sua volta la stretta.

Lontano, il canto morente di un selhat annunciava l’alba imminente.

§§§

"Cosa voleva fare, eh? Razza di pazzo!"

Le imprecazioni colorite e le grida furiose del dottore riecheggiarono forti sotto le volte metalliche della navicella, rompendo il pigro silenzio scandito dal soffuso ronzio delle macchine.

Spock non rispose, era troppo debole anche solo per muoversi, così si limitò a scuotere impercettibilmente la testa e a poggiare la guancia sul cuscino della lettiga, respirando appena.

McCoy sbuffò, armeggiando con la flebo che aveva approntato per ovviare alla situazione pessima in cui versava il compagno, pensieroso, ne osservò lo sgocciolio, assicurandosi che lavorasse al meglio; poi, seccato, si voltò verso il tavolino, cercando di dare una parvenza di ordine a quel luogo ingombro di bende, boccette vuote, siringhe utilizzate e quant’altro.

Con una manata, buttò tutto dentro un saccone che aveva preso in un angolo della stanza, senza controllare minimamente se ciò che stava eliminando senza pietà servisse o meno, era visibilmente scosso.

Un rumore improvviso alle sue spalle lo fece trasalire, seguito da un gran chiasso metallico, come di qualcosa che s’infrangeva a terra: "Ma che diavolo..?" imprecò, voltandosi, "SPOCK!" gridò di nuovo, gettandosi in avanti e afferrando l’alieno per la manica, "Dove diavolo pensa di andare, eh??" lo rimbeccò severo, spingendolo verso il letto, "non si muoverà di qui, è un ordine!" esclamò duro, facendolo finire sul materasso con il viso premuto contro il cuscino.

Ma il Vulcan oppose resistenza, rialzandosi: "Devo andare dall’ammiraglio…" bofonchiò debolmente, artigliandosi il petto con una mano adunca e scheletrica, "devo parlare all’Ammiraglio, è importante." proseguì con voce arrochita, "Ci penso io ad avvertire Jim, ma lei stia giù! E non si muova!" lo rimproverò, facendo per afferrare la giacca.

Ma una forte presa sul braccio lo bloccò, costringendolo a fissare negli occhi l’alieno: "Non riuscirai a convincermi, dannato elfo…" bofonchiò il dottore, divincolandosi dalla presa, "fino a prova contraria, sono ancora l’ufficiale medico di questa nave ed esigo che lei se ne stia buono e tranquillo sino all’alba." borbottò, frugando in uno dei cassetti, "o mi vedrò costretto a legarla al letto." sogghignò, estraendo le sue temute bande metalliche, "anche se in questo momento, non è la follia generata dallo spazio tholiano il nostro problema, bensì un Vulcaniano testardo e rompiscatole!" ridacchiò, riponendole subito dopo.

"Desidero ripartire con voi…" sussurrò debolmente Spock, cercando di mettersi seduto, "devo chiedere all’Ammiraglio il permesso di rientrare sulla Terra con voi." replicò serio, "la partenza è fissata tra quattro ore punto cinque e, come dovrebbe esserle chiaro, non ho molto tempo." concluse, cercando di scendere dalla lettiga; ma il dottore fu irremovibile: "Non ci pensi neppure!" esclamò, "Ci penso io ad avvertire il comandante, lei resti qui tranquillo. E comunque," sorrise, "non credo abbia bisogno del permesso per unirsi a noi." replicò con aria sorniona, cercando di spostarsi per raggiungere la porta.

Ma i suoi movimenti furono bloccati da una morsa ferrea sul suo polso, il medico sentì il braccio torcersi e subito dopo incespicò nei propri piedi, cadendo a terra rovinosamente; sbatté la testa dolorosamente contro la struttura metallica e percepì un peso considerevole sul proprio petto.

"Dannazione!" imprecò, "Ehi, s’è fatto male?" domandò l'americano, aiutando l'amico a rialzarsi, "ma si, non ascoltiamo il medico, tanto quello che dico io sono solo cavolate. Se le ho ordinato di stare buono a letto un motivo ci sarà!" sbottò, sollevandolo per le ascelle; ciò nondimeno, un tremolio improvviso del terreno gli fece nuovamente perdere l’equilibrio, tra le imprecazioni colorite del povero chirurgo.

Ci fu un rapido sfiorarsi di corpi, di mani, appena percettibile per entrambi, eppure così nitido e chiaro da essere stato quasi un dono del cielo.

Contatto che s’interruppe però quasi subito per l’improvviso alzarsi di Spock, che si andò a risistemare sulla lettiga, tranquillo e docile, anche se Bones, lo poteva giurare, aveva scorto l’ombra di un sorriso indisponente, uno di quelli che per anni lo avevano tormentato e che era quasi certo di non vedere più, sul viso dell’alieno.

Il dottore si rialzò a sua volta, reggendosi al bordo metallico del letto; egli guardò per un lunghissimo istante il compagno, poi gli diede un buffetto scherzoso sulla spalla: "Ora però non si muova di qui, vado a cercare Jim." sorrise, uscendo di volata dalla stanza, il volto visibilmente arrossato.

§§§

"Ben svegliati!" esclamò allegra Uhura, porgendo ai due amici un paio di tazze fumanti di caffè, "Datevi una sistemata!" sorrise lei, "l’Ammiraglio sarà qui tra poco, la partenza è ormai imminente." annunciò, sparendo sotto la propria console per gli ultimi controlli del caso.

Pavel sbadigliò sonoramente, stiracchiandosi: "Ouch.." mugolò, massaggiandosi la base del collo, "Che dolore, non ho mai dormito così male!" scherzò, sorseggiando parte del contenuto della propria tazza; Sulu scivolò dalla sedia, ancora mezzo assonnato, dirigendosi lentamente verso il piccolo bagno all’angolo, il russo poteva quasi sentire il rumore dell’acqua corrente che scivolava sui capelli e sul viso intorpidito dell’asiatico. Qualche minuto dopo e il compagno uscì dai servizi, asciugandosi con un logoro ma pulito straccio; con rapidi movimenti, sfregò il cuoio capelluto, sino ad asciugarlo: "ben tornato tra i vivi!" lo canzonò Chekov, passandogli il contenitore, "Sembravi uno degli spiriti evocati dalla Baba-Jaga!" ridacchiò, sfregandosi gli occhi e sbadigliando nuovamente, "parla lo yokai uscito dal bosco," replicò, abbandonandosi contro la poltrona.

"Ehm, bambini, non per interrompervi," la voce allegra di Scotty risuonò dall’interfono sul bracciolo della postazione di comando, "Che ne dite di cominciare a lavorare?" propose ironicamente l’ingegnere, "la giornata si prospetta lunga e non vorrei prendermi una ramanzina dall’ammiraglio per non aver concluso i preparativi. Quindi, al lavoro!" decretò, chiudendo la comunicazione.

"D’accordo," sbuffò falsamente contrariato il russo, andando a rimettere la propria tazza accanto a quella degli altri, "Sulu, avvia le scansioni e cerchiamo di rientrare a casa tutti interi, non ho voglia che questa carretta Klingon ci esploda sotto i piedi!" gemette, sedendosi alla propria postazione.

Il giapponese gli diede uno scappellotto sulla nuca: "Sono un tuo superiore," inarcò un sopracciglio, "con chi credi di parlare?" ghignò; Chekov sospirò rassegnato, "Niente più gradi, ricordi?" gli agitò sotto il naso l’indice, per poi sospingerlo all’indietro con una semplice pressione del dito indice sulla fronte dell’asiatico, per poi alzarsi, "Vado a sciacquarmi il viso, avvia le scansioni intanto." concluse ridendo, eclissandosi in bagno.

§§§

Tutto era finalmente pronto per la partenza.

I cinque compagni di sempre erano ognuno al proprio posto in plancia, gli occhi fissi sul grande schermo ancora oscuro, in attesa di ordini da parte di Jim, Scotty attendeva a sua volta nella sala macchine un qualunque cenno di vita da parte del suo comandante.

Eppure, sentivano una sorta di nostalgia prenderli, anche se non si erano nemmeno sollevati dal polveroso suolo desertico: sapevano che, molto probabilmente, non sarebbero più tornati? Oppure era altro?

Nessuno voleva rispondere alla domanda.

Tutto quello che avrebbero fatto sarebbe stato andare avanti, senza guardarsi indietro.

Senza rimpianti, era giusto così.

"Un quarto di potenza d’impulso," ordinò improvvisamente Jim, sorridendo appena, "Signor Sulu, ci riporti a casa…".

E il Bounty decollò, alzando un gran polverone; Amanda Grayson osservò con orgoglio la piccola navicella allontanarsi, portandosi via il figlio; Saavik le stava vicino, in silenzio: "Sai, ho fatto un sogno stanotte." disse la donna, con una sfumatura di gioia nella voce, "Non è finita per loro… Non finirà…" le sue labbra s’incresparono come il mare smosso dalla brezza dell’alba, "Li ho visti assieme sul ponte dell’Enterprise…" mormorò Saavik, osservando la nave Klingon, ormai ridotta a un puntino nel cielo infuocato di Vulcano.

"è solo un nuovo inizio." concluse Amanda e la sua risata argentina giunse sino alle stelle.

Si, sarebbe stato un nuovo, meraviglioso inizio.

 

ANGOLO DEL LEMURE:

Buongiorno!! Con questo, si conclude la mia fic^^

Come avete visto, ho fatto qualche piccola modifica alla storia originale, dando più spessore alla figura di Amanda, personaggio che, personalmente AMO (Non a caso è riuscita a far breccia nel cuore di Sarek e non dimentichiamo che è la madre di Spock^^)

Che dire, ringrazio tutti voi, miei fedeli lettori, da Eerya e Rowen ad Abdulla, da Persefone Fuxia a Maya, grazie veramente di tutto, carissimi^^

Qui si conclude Dawn, ma non le vicende rocambolesche degli Enterprise 7 ^^

Quindi, invito tutti voi a continuare a scrivere, per far vivere ancora le storie e i sogni di questi nostri beniamini^^

AUGURI PER TUTTO^^

CHARLIE

 

   
 
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