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Autore: Dira_    04/05/2010    11 recensioni
La guerra è ormai finita, Harry è un auror e sta per avere il suo secondo bambino.
Degli strani sogni e la misteriosa comparsa di un neonato decisamente particolare turbano la sua pace, tornando a scuotere la famiglia Potter sedici anni dopo, quando Tom, il bambino-che-è-stato-salvato, scoprirà che Hogwarts non solo nasconde misteri, venduti come leggende, ma anche il suo oscuro passato...
La nuova generazione dovrà affrontare misteri, intrighi, nuove amicizie e infine, l'amore.
“Essere amati ci protegge. È una cosa che ci resta dentro, nella pelle.”
Può davvero l’amore cambiare le carte che il destino ha messo in tavola?
[Next Generation]
Genere: Azione, Mistero, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Albus Severus Potter, James Sirius Potter, Nuovo personaggio, Rose Weasley, Scorpius Malfoy
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nuova generazione
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Doppelgaenger's Saga' Questa storia è tra le Storie Scelte del sito.
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Ecco qui. Scusate per il ritardo ma la RL mi ha uccisa.  Capitolone questo. Tutte le spiegazioni su Tommy-boy qui.
@Trixina: Harry è assolutamente una mamma chioccia, e come sai, questa storia è un tributo anche a Remus e tutti quelli che non hanno visto la nuova generazione. Jamie alla fine è un bravo fratellone, solo che a volte se ne scorda! XD
@Nickyiron: Vero, lo scorso capitolo era un po’ di stallo, ma si preparava a questo, che penso sia piuttosto decisivo. Spero che ti piaccia e di non averti deluso!
@Sophie: Ciao! Cavolo grazie per la bellissima recensione! Mi riempe di gioia sapere che anche Tom, che è un personaggio originale, quindi un po’ più a rischio sia così apprezzato! Ed hai ragione, Ted è proprio bello. La classica bellezza. XD Non preoccuparti, io questa recensione l’ho trovata davvero un balsamo per il mio piccolo ego scrittorio! XD
@altovoltaggio: beh, anche io sono in ritardo, quindi pari e patta! XD La fenice sarà importante, ma al momento no. XD Poi vedrai! Rose e Scorpius l’hanno visto e grazie per avermelo ricordato, lo userò! (Che tremenda che sono, non mi ricordo IO tutti i particolari della storia! T_T)
@Aga: Ciao! Benvenuta! XD Grazie, grazie per i complimenti a Sy e Tommy! :D
 
 
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Capitolo XLI
 

 
 
 
 
Qualsiasi cosa si possa credere è immagine di verità.
(William Blake, Proverbi Infernali)
 
La verità è sempre disumana.
(Alessandro Baricco, Oceano Mare)
 
 
 
La bruma cominciò a diventare via via sempre più consistente.
Tom non si era mai trovato all’interno di un ricordo, ma capì che quella nebbia azzurra avrebbe formato il luogo in cui esso si era svolto.
Con velocità impressionante diventò densa, compatta  e di un grigio cupo. Quando Tom riuscì a focalizzare dove si trovava capì di essere in un corridoio.
Pietra ovunque, a terra fredda e grigia e alle pareti, dove torce illuminavano fiocamente l’ambiente circostante.
Era il corridoio di un castello, ma non era Hogwarts. L’architettura era diversa, lo stemma che decorava le torce non gli diceva nulla e le dimensioni del corridoio stesso non avevano nulla di familiare.
Passò una mano sul muro, e non si stupì di non trovare consistenza.
Idiota.
Di Doe nessuna traccia. Naturale: i ricordi di un pensatoio potevano essere consultati massimo da una persona alla volta.
Eppure non capiva.
Cosa significava quel corridoio vuoto?
C’era odore di salmastro; lo stesso odore che aveva sentito quando da bambino aveva passato alcuni giorni a Portsmouth con la famiglia.
Siamo vicini al mare…
Mosse qualche passo, guardandosi attorno. Non c’era luce a filtrare dalle pareti, quindi probabilmente quell’ala del palazzo era disabitata.
Sentì poi dei passi concitati provenire da dietro le sue spalle.
Si spaventò, addossandosi al muro, ma poi la logica gli fece tirare un sospiro di sollievo.

Quello era un ricordo e lui lì non esisteva; non era che uno spettatore passivo. Infatti un uomo, in livrea nera e viola, gli passò accanto senza notarlo.
Aveva una faccia anonima, niente che potesse ricordargli qualcuno o qualcosa. Probabilmente, considerando i vestiti, era un servo.
Strano. Di solito la nobiltà magica usa gli elfi domestici…
Considerando anche che era l’unico essere vivente dentro quella memoria, prese l’ovvia decisione di seguirlo. Il passo era affrettato, ed era chiaro che stesse andando a fare qualcosa o ad incontrare qualcuno. Osservandolo vide che portava, reggendolo con una sola mano, un pesante catino fumante e panni di lino.
Tom relegò la paura in un angolo della mente: almeno lì dentro niente poteva fargli del male. Né vederlo, né toccarlo. In quel momento doveva solo guardare. E capire.
Anche se conoscendo Doe non sarà affatto risolutivo ciò che vedrò.
Il servo passò un paio di rampe in scale, in cupo legno di noce. Aveva un candelabro in mano, che reggeva per farsi luce. Anche la mancanza di una bacchetta lo fece pensare.
Che si tratti di un magonò?
Lanciando uno sguardo alle pareti notò degli arazzi. Rappresentavano scene marittime, nature morte, persino scene di guerra, con draghi e cavalieri. Erano tutti magici: i draghi agitavano le ali, mentre le vele delle navi beccheggiavano al vento.
Era una memoria molto precisa, quasi inquietante per certi versi. Chiunque ne fosse il proprietario aveva memorizzato alla perfezione ogni singolo dettaglio di quel castello.
L’uomo svoltò un angolo, sparendo. Tom soffocò un’imprecazione, inseguendolo.
Il corridoio svoltava in un altro ma quello, diversamente dagli altri, sembrava avere delle porte; una di esse era socchiusa e l’uomo ci entrò senza chiudersela dietro.
Tom fu così introdotto in un salotto lussuoso: i mobili erano di lucido legno scuro e i tendaggi erano di diverse gradazioni di viola.

La stanza era comunque immersa nella penombra, eccezion fatta per lo spazio vicino al camino. C’erano due poltrone, e una di quelle era occupata.
L’occupante, all’arrivo del servo, si alzò.
Tom sentì la gola serrarsi in una morsa, quando lo vide. Non lo conosceva, ma c’era qualcosa in lui che lo inquietò.
Era alto, con capelli castani tagliati corti e una veste da mago. Ma la cosa che più lo sconvolse furono gli occhi. Erano i suoi: lo stesso taglio e lo stesso profondo blu cupo.
Parlò brevemente con il servo, a bassa voce, dandogli forse ordini. Quello poi sparì dietro una porta, da cui si sentivano voci e rumori. Forse una stanza da letto, a giudicare dalla disposizione del salotto, che a ben guardare aveva un tocco quasi femminile.  
Sono le stanze di una donna… La moglie?
Un urlo, femminile, squarciò improvvisamente il silenzio che si era creato nella stanza. L’uomo si alzò di nuovo, e si avvicinò alla porta.
Fu fermato da una donna, di mezza età. A Tom ricordò una delle medimaghe del San Mungo. I vestiti erano diversi, ma l’impressione era quella.
“Non può entrare padrone, la prego…” Disse quella, con tono ansioso.
“Si tratta di mio figlio.” Replicò l’uomo. Il tono di voce era freddo, tagliente. Si addiceva perfettamente alla figura austera che impersonava, anche se meno a quella di un padre apprensivo. Tom si avvicinò alla coppia. Più lo guardava, più la sensazione di deja-vu si faceva prepotente. Era come guardarsi in uno specchio, sebbene deformato. Quell’uomo non gli assomigliava in senso classico, no. Era troppo robusto, con un accenno di pancia che tendeva la veste sfarzosa, mentre lui era magro. Le labbra erano sottili e la barba era rossiccia, mentre lui aveva i capelli neri e il minimo accenno di barba. Eppure gli occhi erano gli stessi. E anche il tono sferzante, sarebbe potuto essere il suo con dieci anni di più.
“Lo so, padrone, ma in questo momento…”
“Mio figlio. È vivo?” Continuò, con lo stesso tono imperioso.

“Padrone…” Supplicò la levatrice. L’uomo la scostò, entrando dentro la stanza. Tom lo seguì.
C’era buio, troppo. Persino per i suoi occhi, ormai abituati alla perenne semioscurità di quel luogo. Un enorme letto a baldacchino, coperto da pesanti tendaggi occupava l’intera stanza. Una sola candela illuminava il profilo di una donna, dietro le tende. Lo intravedeva, ma non riusciva a capire se fosse giovane o vecchia. O se avesse in comune con lui qualcosa, come l’uomo. Si voltò verso le finestre socchiuse: era notte e si sentiva l’impetuoso sciabordio delle onde.

Non mi ero sbagliato, siamo vicini al mare.
Un nuovo urlo squarciò la stanza, facendogli accapponare la pelle.
Mentre era occupato a guardare fuori dalla finestra l’uomo si era avvicinato al letto, e aveva  preso qualcosa alla donna. O meglio, qualcuno.

Con un certo malessere, si accorse che lì dentro doveva esserci un bambino. E dall’assenza di vagiti, come dalle urla strazianti della donna, urla in una lingua che non conosceva, capì cosa stava accadendo.
È morto. Il bambino è nato morto.
Si avvicinò all’uomo. Stringeva tra le braccia l’involucro di coperte. Teneva le labbra serrate e ignorava i lamenti della donna che avrebbe dovuto essere sua moglie. Tom capì immediatamente che non era dolore quello che vedeva riflesso negli occhi, così simili ai suoi. Era rabbia, e impotenza.
Conosceva bene quella sensazione.
L’uomo lasciò la stanza, e Tom fece lo stesso. Non lanciò più che un’occhiata alla figura gemente adagiata trai cuscini. La tentazione fu forte, ma le risposte che voleva non le avrebbe avute da un atto di pietà.
“Mio Signore…” Sussurrò il servo, appena rientrò nel salotto. Lo aveva atteso, confortando, sembrava, la levatrice. “Lo dia a me. Ce ne occuperemo noi, faremo in modo che abbia una sepoltura…”
“No.” La voce dell’uomo non vacillò neppure per un attimo. “Mio figlio vivrà.”
Il servo sembrò sgomento. Comprensibile. “Mio Signore… Vostro figlio…”
“So chi può aiutarmi.”
Il servo sembrò tremare. Tom lo vide sgranare gli occhi e deglutire bruscamente. “Padrone, so che ha fiducia in loro, ma questo va oltre le vostre possibilità. Non si può riportare in vita ciò che ormai non lo è più. Neppure la magia più avanzata…”
“Sciocco magonò.” Ringhiò l’uomo. “Cosa ne sai tu di magia, Etzel? Cosa? La magia non potrà ridarmi mio figlio, ma l’Alchimia mi darà la possibilità di crescerne uno.”

Il servo a quell’affermazione sembrò scosso da un brivido profondo. “La scongiuro, padrone, questa è una follia. Non vorrà davvero offrire il corpo di vostro figlio per gli esperimenti di quegli scellerati…”
Silenzio!” Tuonò l’uomo, mentre trafiggeva con lo sguardo l’altro. “Etzel, ho tollerato abbastanza la tua sfacciataggine. La Thule mi ridarà un figlio, ed io darò loro un corpo in cui farlo rinascere. Manda il mio sparviero ad avvertirli che offrirò il mio primogenito.”
“Padrone…” Si alzò la nutrice. Sembrava pallida, e scossa anche lei. “Vostra moglie, il parto l’ha profondamente debilitata…”
L’uomo a quella notizia non sembrò turbato. Tom però capì che in quel momento, per lui, non c’era spazio per altri pensieri che non fosse quello di dare suo figlio a quegli scellerati. Gli occhi brillavano di una luce folle, spaventosa.

Il dolore si poteva manifestare in molti modi, gli aveva detto una volta Harry. 
“Fate il possibile per lei, Sieglinde. Fate il possibile.” Ripeté, mentre la voce si sfilacciava, si faceva più distante.
Tom vide l’ambiente diventare sempre più chiaro, sempre più brumoso.
Sentì uno strappò alla nuca, e un attimo dopo lo investì una luce accecante.
Chiuse gli occhi, accorgendosi di non potersi riparare il viso con le mani. Era legato.

Era di nuovo nella grotta. Con Doe.
“Bentornato Thomas.” Disse quello. Ormai la magia che aveva reso quell’antro simile ad una stanza era scomparsa, e l’uomo era seduto su un rozzo sgabello, davanti a lui. In un angolo era alimentato un fuoco magico che rischiarava appena la stanza ma non la rendeva certo più calda.
Tom non disse nulla, limitandosi ad aspettare che continuasse. Era chiaro che avrebbe continuato.
Di certo non è un tipo di poche parole…
“Allora, come hai trovato il ricordo?”
“Buio.” Commentò quieto. Era frastornato. Ancora aveva nelle narici l’odore della salsedine, e nelle orecchie la voce pacata e disumana dell’uomo con i suoi stessi occhi.

E le grida… le grida di quella donna…
Doe rise appena. “Stringato come sempre, vedo.” Si tamburellò le dita sulla guancia, pensieroso. “Immagino che tu abbia capito chi erano quei due. Non intendo il servo o la nutrice… figure di contorno, quelle.”
Tom sentì uno strano nodo allo stomaco. Non era tristezza, non era angoscia.

Non era niente.
Aveva capito subito che quella coppia tetra era legata a lui, pur non avendo visto in faccia la donna. Eppure non provava niente.
Perché non significano niente per me.
È stata Robin ad allattarmi da bambino. È stato Dudley a farmi da padre. I miei fratelli si chiamano Alice e Vernon. Mi chiamo Thomas Dursley, e la mia famiglia comprende un clan di maghi che vivono in mezzo alla campagna… la mia famiglia comprende i Potter.
“I miei genitori, suppongo.” Disse infine, atono. Doe sembrò sorpreso dalla reazione.
“Ma come? Pensavo che fosse quello che volevi sapere. Chi eri, da dove venivi.”
“Mi hai fatto credere di essere chi non ero, perdonami se ho qualche riserva.” Tese le labbra in un mezzo sorriso, amaro. “Se non altro, adesso so di essere umano.”
“Non proprio.” Lo interruppe Doe. “Quelli erano i genitori del bambino morto. Che hai capito, no, che è morto durante il parto? Persino la magia non può nulla verso certe tragedie. Un problema congenito ai polmoni. Irrimediabile. Molto triste….”
“Cosa diavolo…” Sussurrò. “Cosa significa questo? Hai detto che erano i miei genitori. L’hai detto tu. Adesso.” Sibilò, inghiottendo l’ansia.

Non doveva crollare. Se fosse crollato, se avesse lasciato a Doe campo libero con la sua mente, avrebbe perso il poco controllo che gli rimaneva e a cui doveva aggrapparsi con i denti.
Doe ridacchiò. “Sì, sì… e in un certo senso lo sono. Lui è un mago purosangue, come lei del resto. L’avrai sentita parlare in una lingua che non capivi. Era russo, credo. Sì, mi sembra…” Mormorò meditabondo. “Abbiamo tradotto il ricordo a tuo beneficio, ma a quanto pare neppure il padrone del ricordo conosceva il russo… Curioso, visto che quella era sua moglie.”
“Il padrone suppongo sia…”
“Tuo padre, l’uomo del ricordo. Alberich Von Hohenheim, discendente in linea più o meno diretta con il primo alchimista della storia, Philippus Theophrastus von Hohenheim, meglio conosciuto come Paracelso.” Fece un cenno vago. “Questi nobili… un sacco di nomi. Non so come si chiamasse tua madre però. Spiacente.”  

“Hai detto che non erano i miei genitori.” Insisté, serrando la mascella in una morsa dolorosa.
“Ci sto arrivando.” Sbuffò l’altro. “Sei impaziente, Thomas. Lo capisco… ma non è affatto semplice spiegartelo, sai?”
Era grottesco. Era grottesco come quell’uomo, a poche ore dall’aver assassinato una donna, giocasse con lui ad indovinelli.

Gli venne da vomitare, a pensare che per un periodo aveva pensato che in fondo fossero simili, in quanto complici.
Poteva odiare le persone, poteva considerare buona parte del genere umano, babbano e magico, geneticamente portato all’idiozia…
Ma non sono come lui…
La cosa avrebbe dovuto in qualche modo rassicurarlo della sua umanità.
Ma considerando che sono nelle sue mani…
Inspirò. “Allora spiegami. Non mi sembra che stia cercando di scappare.”
Doe fece un mezzo sogghigno. “Ironico sempre e comunque. È questo che mi piace di te, ragazzino… Bene. Le spiegazioni con il secondo ricordo.” Agitò la fialetta ancora piena di fronte a sé. L’altra l’aveva fatta sparire dentro le tasche del mantello. “Ti senti pronto? Vuoi fare una pausa?”
“Ho scelta?” 

“In realtà no, siamo un po’ stretti con i tempi.” Sogghignò. “Chiedevo pro-forma.”  
Il rito si ripeté un'altra volta. Tom stavolta non aspettò che Doe gli premesse una mano sulla nuca. Si chinò di sua spontanea volontà.
 
 
 
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“… Come ha fatto ad essere così stupido?”
Rose fu la prima ad articolare una frase di senso compiuto, che non fosse un’esclamazione soffocata, quando Albus finì di parlare.
James era terreo e aveva la mascella serrata. Fissava il fratello come se stesse valutando se prendersela con lui o meno. Scorpius invece aveva stampata in faccia un’espressione indecifrabile, ma Al era certo che non avesse nessuna voglia di sorridere in quel momento.

Se l’era aspettato. Lui stesso aveva reagito mollando un pugno a Tom.
Inspirò. “Non si tratta di essere stupidi. Tom… ha sempre voluto sapere la verità sulla sua nascita. Su di sé. Quando vuoi una cosa da tutta una vita… sei disposto a tutto per ottenerla.”
Cazzate.” Ringhiò James, immediatamente. “Ha collaborato con un cazzo di psicopatico assassino. E l’ha fatto per due mesi, prima che fosse preso dai rimorsi di coscienza e corresse a piangere da te!”

“Non è corso…”
“Oh, come no!” Lo fermò. “È venuto in mezzo ad una festa, dopo mesi che non ci calcolava neanche come esseri viventi, e ti ha vomitato addosso le stronzate che ha fatto, sperando che perorassi la sua causa.” Si alzò di scatto, dalla sua poltrona accanto al fuoco. “Non te ne rendi ancora conto Al? È tutta una vita che quel bastardo ti abbindola con i suoi discorsi e ti porta dalla sua parte, come quando ti ha trascinato a Serpeverde!”
Al serrò le labbra. “Non mi ha trascinato da nessuna parte. Il Cappello…”
“Il Cappello ti ha messo nella casa che tu hai scelto, come no!” James fece un sogghigno storto. “Anche adesso… ti stai facendo manipolare. Tommy si è cacciato nella merda e ci si è cacciato volontariamente, mettendo a rischio tutti quanti. È questa la verità, pura e semplice.”

Al si alzò in piedi. Sentiva il freddo ghiacciargli la schiena. Probabile fosse la posizione accanto alla finestra ad avergli acuito quella sensazione. Ma sentiva freddo da quando Tom era andato via con la Prynn. Freddo gelido, fin dentro le ossa.
“Non hai capito niente.” Sibilò, sentendo montare una collera sorda. Premeva in mezzo al petto e faceva male, tremendamente male. “Tom ha avuto paura. Ma tu non lo capisci, vero? Il Grande James Sirius, l’eroe senza macchia…”
Rose si fece avanti, forse intuendo il suo stato d’animo. Le parole infatti gli uscivano fuori meccanicamente, con un retrogusto metallico. Quiete. “Al…” Mormorò, tentando di frapporsi tra lui e James. James non fu così attento. La scansò, parandoglisi davanti. 
“’Fanculo Albie. Se quel John Doe si fosse avvicinato a me, avrei immediatamente chiamato papà, o chi di competenza. Lui l’ha fatto? No. Quindi ha collaborato. Anche se l’ha fatto senza cattive intenzioni, il risultato resta.”

Non capisci… lo sapevo che non avresti capito.
Quando hai una colpa, si fa presto a trovare un colpevole. Gli eroi non perdonano.
Io non voglio essere un eroe. Non mi importa di trovare un colpevole.
Rivoglio Tom.
Sentì la bolla di collera esplodergli nel petto, e non si accorse di aver afferrato James per la stoffa della camicia. Non finché non cominciò a strattonarlo.
“Ehi Al, mollami! Mi stai strappando la camicia!” Protestò l’altro.
A malapena captò la voce del fratello. Aveva parlato tanto, aveva spiegato, aveva raccontato. Tutto, meno i dubbi di Tom sul suo essere umano.

Quelli no. Quelli no, non glieli posso dire. Guarda le reazioni solo a quello che mi hai detto sul tuo rapporto con John Doe.
Dio, Tom, dove sei?
Lo vedi? Ti stanno incolpando. Rosie non parla, James lancia accuse. 
Lo vedi?
Non ce la faccio a farglielo capire.

La bolla non era esplosa. Era rimasta incastrata in fondo alla gola, e sentiva il battito furioso del cuore pompargli nelle orecchie.
“Al…” Si sentì afferrare per i gomiti da James. “Al, che hai?”
Avrebbe voluto dirglielo. Ma quando aprì la bocca per parlare si accorse di non poterlo più fare. Sentì la bolla comprimergli il petto, e capì di non riuscire a respirare.
 
Scorpius ne sapeva qualcosa di crisi di panico. Da piccolo, dopo che aveva assistito al massacro di suo nonno ne aveva avute di deliziose per anni, prima che sua madre, dopo aver mandato sagacemente a quel paese fior di medimaghi venuti dagli angoli più remoti dell’Europa, decidesse di rivolgersi alla medicina alternativa.
Cioè quella babbana.
Suo padre l’aveva perdonata solo quando aveva smesso di piangere e tremare ogni sera prima di andare a dormire.

“Sta avendo un attacco di panico.” Osservò pratico, quando sentì Al tirare i primi respiri spezzati, alla ricerca dell’aria che la sua mente si rifiutava di fargli assimilare.
“Un cosa?” Sbottò James tenendo per le braccia il fratello. “Al!”
“Attacco di panico. È sotto stress. Ti dice niente? Roba babbana.” Sospirò. “Spostati, Potter.”
James lanciò un’occhiata ad Al, che gli si era ancorato addosso e non respirava. Lo tenne stretto. “’Fanculo. Non mi sposto, finchè…”
“Jamie, se non la pianti ti schianto.” Sbottò Rose guardando Al, pallida quanto lui. “Non lo vedi che sta male? Lascia fare Scorpius, se ne sa più di noi!”
Scorpius le rivolse un’occhiata grata, afferrando per un polso il più giovane dei Potter: aveva le pulsazioni accelerate ed era freddo come un ghiacciolo.

Favoloso. Probabilmente è già da un’ora che sta così…
“Potter, fa’ dei respiri profondi.” Gli afferrò il mento e lo costrinse a guardarlo. Si specchiò in due enormi pozze di smeraldo confuse e piene di lacrime. Fu sgomentante.
Adesso capisco che intende Mike quando dice che gli occhi di mini-Potter sono delle maledizioni senza perdono…
“Guardami, Albus.” Disse, cercando di suonare gentile. “Non è nulla. Il tuo corpo sta reagendo così perché sei spaventato. Fidati, io lo so. Pensa a fare dei respiri profondi.” Lanciò uno sguardo di traverso a James, che aveva tirato fuori la bacchetta. “La magia non funziona.”
“E se usassimo un confundus?” Tentò Rose, preoccupata. “Non respira, Scorpius.”
“Certo che respira. Deve solo continuare a farlo.” Le assicurò con un sorriso. “Potter, dov’è finita la tua forza di volontà? Vuoi dirmi che i serpeverde sono solo bravi a scappare dai problemi?” Lo accusò, ma premurandosi di mantenere un tono da civile conversazione. “Non farmi difendere la casata di mio padre. Mi sento a disagio, visto che sono un Grifondoro.”

Al gli lanciò uno sguardo vagamente consapevole. Gli occhi, da vitrei che erano per la crisi, tornarono lucidi. Tiro qualche respiro sincopato, prima di riuscire a stabilizzarsi su un ritmo più o meno normale.
Scorpius gli rivolse un sorrisetto di lode. “Bravo Potter.” Fece un cenno a James. “Ehi, aiutami a distenderlo. Pesa.”
Rose, quando lo fecero sdraiare, si premurò di aggiustargli i cuscini sotto la testa. “Al…” Sussurrò, scostandogli una ciocca di capelli dalla fronte: si era coperto di sudore in pochi attimi, fino a macchiarsi la camicia. “Che gli è successo?”
“Stress. È crollato tutto di un colpo.” Considerò il biondo, guardandolo. “C’era da aspettarselo. Ha mantenuto il controllo fin’ora, ma quando si è sentito attaccato… sapete, la famosa goccia che fa traboccare il vaso.”

“Vuoi dire che è colpa mia?” Scattò James.
“Non ho detto questo. Non funziona così.” Scrollò le spalle.

“Adesso che facciamo?” Mormorò James, guardando il fratello: aveva ancora gli occhi chiusi e sembrava non sentire neanche le carezze di Rose. “Intendo dire… cosa facciamo con quel che ci ha detto? Ci faranno delle domande. Bene o male eravamo tutti fuori quando la Prynn è stata ammazzata. Dovremo dire la verità.”
Rose si morse l’interno della guancia. Al sembrava stremato ma era certa che li stesse ascoltando. “La cosa che più mi preoccupa è che non sarà zio Harry a condurre l’indagine.”
“Già. Ma a chi dovrebbe essere assegnata?” Chiese Scorpius, guardandoli. “Non sono perfettamente a conoscenza dell’organigramma delle forze magiche.” Spiegò poi.
Rose ci rifletté brevemente. “Si tratta di un caso di omicidio e di un rapimento. Credo ai Tiratori Scelti… Però c’è anche da considerare che c’è un mago minorenne rapito.” Si staccò una cuticola dell’unghia, ansiosa. “… È brutto da dirsi, ma ormai la Prynn è morta e non c’è più niente che si possa fare per lei. Il rapimento sarà la priorità, quindi.”
“Caso di scomparsa. Dovrebbe toccare a quelli della sezione ‘scomparsi’.” Ventilò James, facendo schioccare la lingua. “Almeno credo.”
“Tiratori scelti e auror…” Mugugnò Rose. “Secondo mia madre non si possono vedere. È una rivalità che risale alla Prima Guerra Magica. Solo gli auror erano autorizzati all’utilizzo delle maledizioni senza perdono. Questo significava che i tiratori scelti erano molto più a rischio nella cattura di maghi oscuri. Avevano funzioni simili, eppure c’era un differente protocollo… ora si sono specializzati, ma la rivalità e una certa acredine è rimasta a livello dell’organico.”
“La nostra enciclopedia di storia della magia personale…” Ironizzò James. Si passò una mano trai capelli. Al non aveva ancora aperto gli occhi. Era certo che non fosse svenuto, ma non lo scrollò come suo solito, per spingerlo a reagire.

Lo so. Ho fatto una delle mie stronzate. Tom è il suo migliore amico. Posso pensare che sia un vigliacco bastardo, che ha scaricato tutto il peso delle sue colpe su Al, lasciandogli l’onore di giustificarlo…
Ma come reagirei io se un mio amico fosse nei guai?
Guardò Scorpius: ironicamente si era affezionato a Malfoy, alle sue stramberie e all’invidiabile capacità  di essere l’uomo della situazione, senza sforzo.
No. È diverso. Non posso paragonare il rapporto che ho con Malfuretto, o con qualunque dei miei amici, a quello di Albie e Tom.
Per quanto la cosa lo mettesse a disagio, il loro rapporto era oltre.
Assomiglia molto più a quello tra due innamorati.
Si riscosse, quando vide che il fratello stava riaprendo gli occhi. “Ehi, Al… come ti senti?”
“Male.” Rispose sincero. “Dobbiamo concordare una versione.” Sussurrò poi.

“Eh?” Lo guardò stranito, lanciando un’occhiata alla cugina e a Malfoy.
Rose si schiarì la voce. “Come Al?”
“Una versione. Di quello che vi ho raccontato. Deve essere uguale per tutti… Non possiamo evitare di dire la verità.” Si alzò a sedere sul divano. Era pallido e sudato, ma lo sguardo era di nuovo lucido e acuto. “Ma ci sono molti modi per raccontarla.”

Scorpius fece un mezzo sogghigno. Sembrava divertito dalla proposta. “Interessante scelta dei termini, Potter. Direi quasi che hai fregato la frase a mio nonno.”
“Può essere.” Sorrise appena. “È una frase che gira spesso nei sotterranei. Magari l’ha coniata proprio lui.”

“Non lo escluderei.” Replicò. “Vediamo se ho capito… Dobbiamo dare una versione che non ci contraddica a vicenda e che magari metta in luce la buonafede di Dursley.”
“Non avrei potuto riassumerla meglio…” Convenne Al.

“Insomma, ci stai chiedendo di mentire.” Rimbeccò James, ma senza acredine. Sembrava che lo stato del fratello lo rendesse più mite.
Al esitò, passandosi una mano trai capelli. Si sentiva spossato, e avrebbe voluto così tanto dormire. Ma l’adrenalina lo teneva dolorosamente vigile. “No. Tom è nei guai, mentire servirebbe solo a depistare le ricerche… Vi sto chiedendo di essere preparati. Di dire la verità, ma dirla bene.”
Scorpius fece una mezza risata. “Hai mai pensato alla politica, Potter? Hai il mio appoggio, comunque. Raggirare gli idioti del Ministero ha un sapore così dolce…”
“Scorpius!” Sbuffò Rose. “Un’altra delle orazioni di tuo padre?”
“Ovvio. Mio padre detiene la verità per quanto mi riguarda, e questo non è negoziabile.”

Rose sospirò, ma poi prese un’aria determinata, quella che la rendeva inquietante durante i compiti in classe. “Bene. Abbiamo tutta la notte per costruire una versione che renda Tom più vittima che complice. Direi di metterci al lavoro, non ci rimangono molte ore…”
Prima che arrivi il mattino, si svegli la scuola e scoprano tutti che Thomas è sparito e che la professoressa è morta… - Pensò, ma non lo disse.
“Dovrete vedere cosa rimarrà di lui quando avrò finito di prenderlo a calci, dopo che l’avranno ritrovato.” Brontolò James, incrociando le braccia al petto. “Qualcuno ha una barretta di Mielandia? Se dobbiamo stare qui tutta la notte ho bisogno di zuccheri.”

Al inspirò, mentre si sentiva meno infreddolito e un po’ più caldo. Sentiva ancora le mani gelate, e il cuore battergli scosso nel petto. Ma il fuoco del camino dei Grifondoro, anche se bruciava la legna in modo vorace e caotico, riscaldava.
Doveva farcela. Aveva la sua famiglia, i suoi amici. E una missione.
Non è come salvare il mondo, ma chissà, forse questo è il mio lato grifondoro.
Sorrise appena.
Hai visto Tom? Da qualche parte ce l’avevo anche io.
 
 
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Il secondo ricordo era più definito del precedente.
Tom aprì gli occhi su una sala. Uno spazio circolare, con il pavimento in terra battuta, circondato da un colonnato dall’aria austera, interamente di pietra. Sembrava un sotterraneo, dall’aria umida e stantia che si sentiva filtrare alle spalle. Ovunque, sempre, quell’odore salmastro.
L’ambiente era illuminato da torce, che gettavano una luce bluastra, indefinibile, inquietante.
Al centro c’era un gigantesco calderone, simile a quelli che usavano nell’aula di pozioni: l’unica differenza era una stemma scavato nel peltro.
Non poteva avvicinarsi. Quel particolare ricordo non gli dava la possibilità di spaziare. Si accorse infatti di essere bloccato accanto ad una delle colonne; le persone davanti a lui gli davano le spalle, in cerchio, coperte da mantelli neri, inquietantemente simili a quelli dei mangiamorte.

Ma non sono mangiamorte…
Le maschere, per prima cosa, erano assenti. Il viso era coperto dalle ombre, ma concentrandosi riusciva a vedere particolari, come barbe o menti.    
Si concentrò allora sullo stemma del calderone, che sobbolliva di un vapore sulfureo, giallastro. Quattro bracci uncinati, che potevano ricordare il movimento di una ruota, incrociavano una spada corta, forse un gladio.
Era un simbolo.
Il simbolo dell’organizzazione di cui Doe mi ha parlato?
Gli ricordava qualcosa, ma non rammentava dove l’avesse già visto. Non in qualche libro di Storia della Magia, questo era sicuro.
Gli uomini, era presente anche qualche donna, lo evinceva dalle forme esili e formose sotto qualche mantello, sembravano aspettare qualcuno.
Quel qualcuno arrivò, passandogli accanto. Reggeva tra le braccia qualcosa, con estrema cura.
Era Alberich Von Hohenheim. Suo padre.
Il mormorio che fino a poco prima aveva animato i presenti a quel punto tacque. Aspettavano tutti le parole dell’uomo, era evidente.
È il capo? Avrebbe senso. Doe mi ha sempre parlato del suo capo…
Alberich si tolse il cappuccio, con la mano libera. “Fratelli, sorelle. Sono qui per offrire il mio primogenito alla gloria del nostro progetto. Questa sera è speciale, quindi rompete gli indugi e mostrate i vostri volti. Gloria alla Thule.”
Gloria alla Thule.” Recitarono questi. I cappucci vennero calati. Tom cercò con lo sguardo un viso familiare, ma trovò solo tratti stranieri, visi dagli zigomi alti, scavati nel freddo delle terre del Nord. Le parole risultavano addirittura fuori sincrono. Doe non gli aveva mentito; il ricordo era stato tradotto in inglese a suo beneficio.

Riconobbe, o meglio intuì, un viso come quello di un suo compatriota. Non fu difficile, perché era l’unico a sembrare fuoriposto, in quel consesso di ariani. Era più basso di molte di quelle figure, e tarchiato, con muscoli gallesi. Quando abbassò lo sguardo sulle maniche della tunica, tirate fino ai gomiti, ne ebbe la certezza. Aveva il Marchio. Quello era un mangiamorte.
Hohenheim si rivolse proprio a lui. “Coleridge, hai portato il necessario per il rito?”
Artemius Coleridge. L’uomo che mi ha rapito.
“Hohenheim.” Replicò quello, sferzante. Si guardava attorno, con aria disgustata. Era chiaro come non sentisse affatto di appartenere a quel luogo. “Non credo tutt’ora nella riuscita dei tuoi deliri.”
“Lo deciderai quando ne vedrai i risultati, mangiamorte.” Replicò. “Ti ho promesso la rinascita del tuo signore. Ciò avverrà. Riavrai un padrone.”
“Io ho avuto un solo padrone, il grande Lord Oscuro, ed è morto per mano di Harry Potter, il diavolo si prenda la sua anima.” Sputò l’uomo, ma negli occhi gli passò un lampo di aspettativa. “Non servirò tuo figlio, più di quanto non sto servendo te. E comunque, chi dovrei servire? Un cadavere?” Concluse sarcastico, lanciando un’occhiata  al fagotto tra le braccia dell’altro.
Due uomini si mossero per protestare, ma Hohenheim li tacitò con un gesto della mano. “Capisco le tue riserve, inglese. Ma la mia domanda necessita di una risposta. Hai con te le spoglie mortali del tuo signore?”

Coleridge tese le labbra in una smorfia ferina. Sembrava paura mista a rabbia. Tolse da sotto il mantello un involto, della grandezza di un libro ma dalla superficie irregolare. “Erano sorvegliate giorno e notte dagli auror. Non è stato facile…”
“Lo sappiamo. Per questo verrai ricompensato, non preoccuparti.”

“L’unica ricompensa che voglio è che le ossa del mio Signore non siano disonorate.” Replicò, poi passò l’involucro ad uno degli uomini. La sua espressione mutò di nuovo. Adesso c’era un barlume di speranza, mentre il pacchetto veniva scartato con mani attente.
Tom represse un brivido di disgusto quando vide estrarre dalla stoffa delle ossa; erano umane.

Le ossa di Voldemort…
Non riusciva a pensare, ad elaborare una spiegazione a ciò che stava succedendo. Era come uno spettatore passivo, privo di pensieri, che assorbiva senza elaborare.
Era l’unico modo per non impazzire.
Le ossa vennero buttate nel calderone ribollente, che emanò un potente sbuffo dal colore smeraldo.
Le ossa del padre…” Mormorò Coleridge.

Hohenheim fece una smorfia sdegnata. “Niente abracadabra oscuro, mangiamorte. Questa è alchimia. Uno scambio equivalente. Ma per compiere il processo, serve dare qualcosa in cambio. Il peso dell’anima del tuo signore è esile, avendola frammentata ben sei volte. Il sacrificio sarà quindi minore.”
“Quanto minore?” Chiese l’uomo, circospetto.
Il sorriso di Hohenheim fu un sogghigno. “Basterà un piccolo contributo.”
Coleridge evidentemente non si era accorto degli uomini che gli erano arrivati alle spalle. Fu bloccato, e la bacchetta gli fu tolta e consegnata al nobile in pochi attimi. Furono rapidi ed efficienti.

A Tom ricordarono John Doe.
“Che diavolo state facendo?!” Sbottò il mangiamorte. “Volete uccidermi?!”
“Non esagerate adesso, inglese. Dobbiamo richiamare sulla terra l’anima del tuo padrone. Dobbiamo dargli una traccia da seguire, se non vogliamo che altre povere anime si impossessino del corpo di mio figlio. E l’unico che ha una connessione con lui in questa sala sei tu.” Spiegò, mentre si avvicinava al calderone.

Tom in quel momento si accorse che c’era un tavolo, poco distante, con oggetti metallici l’uno vicino all’altro, ordinatamente. Non avrebbero sfigurato in un ospedale. Hohenheim prese uno dei coltelli, testando la lama con la punta delle dita. “Consideralo un atto di fedeltà al tuo Lord Oscuro.”
Tom vide l’uomo tentare resistenza, ma soccombere miseramente. Gli tennero fermo il braccio, il destro, dove c’era il Marchio, mentre la lama incideva la carne. Le urla dell’uomo squarciarono il silenzio della sala, costringendolo a distogliere lo sguardo mentre sentiva un conato di vomito risalirgli lungo la gola.
L’arto venne preso e gettato dentro il calderone.
“Basta…” Sussurrò, anche se nessuno poteva sentirlo. “Basta, ho capito. Basta!
Non voleva continuare a vedere. Ma il ricordo non svanì, e lui non riuscì a scappare.

Vide così Hohenheim, con sguardo freddo e trionfante lasciar cadere il corpo di suo figlio nel calderone. Vide la luce e vide la smorfia di feroce gioia, di totale follia deformare il volto di Coleridge, il suo primo rapitore.
Gli parve quasi di scorgere l’esatto attimo in cui maturò l’idea di portarlo via, quando sentì i vagiti, i suoi vagiti tremare nell’aria.
Chiuse gli occhi, sentendo quelle stesse tenebre ottenebrargli la mente.
 
“Sveglia, principino.”
La voce di Doe. Di nuovo.

Non voleva aprire gli occhi. Non voleva svegliarsi.
Sentì uno dolore sordo alla nuca e si sentì strattonare. Doe l’aveva tirato a sedere. Le giunture di gomiti e ginocchia urlavano. Quanto era stato rannicchiato?
Il volto dell’uomo di fronte a sé era una maschera indecifrabile. Come quelle che aveva visto al museo egizio di Londra, quando era bambino.

Il sorriso della Sfinge…
“Avanti, avanti. Adesso sai tutto. Hai avuto la tua verità.”
“Non è vero…” Le parole gli uscivano come se avesse la lingua impastata di sabbia.
“Ah, non mi credi?” Sogghignò. “Eppure sai che tutto torna. Ti ho mai mentito? Ammettilo, Thomas. Ti ho mai mentito veramente?” Lo teneva stretto per un braccio, costringendolo tra sé e la parete di pietra. Il suo fiato sapeva di whiskey. “Mi dispiace, ragazzo mio. È tutto vero. Tu sei nato così. Sei un contenitore per un’anima monca. Bella definizione, eh? Non è mia.”

“Io non sono Voldemort!” Urlò, o almeno tentò di farlo. Quello che gli uscì fu un sibilo arrochito. “Non sono…”
“No che non lo sei. Voldemort… Un mago forse pazzo, ma grande. Tu sei poco più di un serpentello senza veleno…” Gli afferrò il mento tra le dita, costringendolo ad alzare il viso. “Non c’è niente della sua grandezza in te. Sei solo un mezzo per un fine.”
“… Che fine?”
“Ancora non ci sei arrivato?” Fece schioccare la lingua, apparentemente contrariato. “Il motivo per cui la bella Ainsel avrebbe dovuto proteggerti. Per cui sei stato tenuto al sicuro dietro un’identità anonima. Il motivo per cui Hohenheim ti ha dato proprio l’anima di Voldemort…” Fece un sorrisetto. “Ironica la tua identità. Così vicina a lui…”
“Lui chi…?”
Ma lo sapeva. Lo sapeva e aveva voglia di vomitare, urlare.

“Il vero padrone della morte, Harry Potter.” Gli passò le dita trai capelli, come se fosse davvero qualcosa da usare. Sembravano serpenti che strisciavano lungo la sua testa. O forse stava impazzendo.
“Harry…”
Zio Harry.” Motteggiò feroce Doe. “Possiede i doni della morte. È quelli che noi vogliamo. Ne abbiamo già due. Il Mantello e la pietra della resurrezione, nascosta nel medaglione che ti ho fatto trovare addosso a quel Naga. Ho usato quei lucertoloni per trovarla. Percepiscono il campo magico degli oggetti.” Sorrise, trionfante come un bambino crudele. “Hai sentito subito una connessione con lui, non è vero? Quella pietra è appartenuta a Voldemort per lungo tempo, e mantiene ancora la sua traccia… e poi Thomas?” Lo interrogò, stringendo le dita attorno al suo cranio. “E poi? Cosa manca all’appello?”

“Manca…”
Le parole gli uscirono senza che potesse fermarle. Doe lo aveva in suo potere, e non c’era niente, più  niente che potesse fare. Era solo. Solo al mondo, adesso.

“… La bacchetta. La bacchetta di sambuco.”
 
 
****



Note:
Allora, ecco i chiarimenti.  

Spero di aver dato una spiegazione sensata a tutti gli interrogativi che ho dipanato lungo questi quaranta capitoli.
Alcuni approfondimenti.

La società Thule: è esistita davvero, anche se io di questa utilizzo solo simbolo e nome. È stata un’organizzazione simile ad una setta segreta, che si dice abbia fondato la base del movimento nazista. È stata citata in giochi, libri e quant’altro e persino in Full Metal Alchemist. Qui per maggiori informazioni.  Qui per il simbolo.
Hohenheim: È il vero cognome (o parte del suddetto) di Paracelso. Qui la fonte.
  
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