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Autore: Dira_    08/05/2010    12 recensioni
La guerra è ormai finita, Harry è un auror e sta per avere il suo secondo bambino.
Degli strani sogni e la misteriosa comparsa di un neonato decisamente particolare turbano la sua pace, tornando a scuotere la famiglia Potter sedici anni dopo, quando Tom, il bambino-che-è-stato-salvato, scoprirà che Hogwarts non solo nasconde misteri, venduti come leggende, ma anche il suo oscuro passato...
La nuova generazione dovrà affrontare misteri, intrighi, nuove amicizie e infine, l'amore.
“Essere amati ci protegge. È una cosa che ci resta dentro, nella pelle.”
Può davvero l’amore cambiare le carte che il destino ha messo in tavola?
[Next Generation]
Genere: Azione, Mistero, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Albus Severus Potter, James Sirius Potter, Nuovo personaggio, Rose Weasley, Scorpius Malfoy
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nuova generazione
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Doppelgaenger's Saga' Questa storia è tra le Storie Scelte del sito.
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Capitolo bello farcito questo, causa scarsa connessione e una voglia pazza di stare comunque a scrivere.
Molto angst, un pizzico di dolcezza alla fine. Godetevelo. ;)
@NickyIron: Sì, ammetto che il trhiller confonda. xD Colpa mia, evidentemente che non ho saputo spiegarmi bene! Tom è stato creato non proprio per avvicinarsi a Harry e diventarne il figlioccio, quello è stato un effetto non voluto. Il rapimento da parte di Coleridge non era previsto, ma chissà forse l’ex-mangiamorte è tornato a Diagon Alley proprio per farlo capitare trai piedi proprio a chi la Thule non avrebbe mai pensato che l’avrebbe fatto trovare. La bacchetta di sambuco è di proprietà di Harry, ma non ce l’ha lui. Sta nella tomba di Silente, lui ha la sua vecchia, lo dice la Row nell’ultimo capitolo del Settimo. Altrimenti sarebbe stato proprio tonto, no? ;)
@Aga: Beh, no… capirai in seguito cos’è davvero Thomas, apparte un ragazzo con l’anima di Voldemort. Ricordati, chi è stato l’unico vero avversario di Harry? Voldemort. Chi è che ora ha la bacchetta di sambuco, l’ultimo donno della morte? Harry. ;) Accidenti… proprio sono una frana con gli indovinelli, dovrei darmi alle fic romantiche punto e basta T_T

@Trixina: Ahaah, no, niente fine del mondo magico, anche se effettivamente, ad avere Tre Doni del genere in mani sbagliate c’è un po’ da preoccuparsi. ;P Mi è venuto in mente tutto questo… cazzeggiando invece che studiare! XD Avrei dovuto darmi alle sceneggiature invece che al diritto, tsé! XD Per il resto, mi piace fare le cose davvero per bene e odio le imprecisioni. Infatti su Firefox ho aperta perennemente qualche scheda di Wikipedia o di HPWiki. XD
@Sophie: Sì, so che vi ho fatto penare un sacco… I dubbi saranno risolti alla fine, promesso! (Spero, argh) Beh, Tom non è Voldie, ma… *Risata sadica* Grazie per i complimenti!
 
 
****
 
 
Capitolo XLII
 
 
 



You found yourself a new sensation/ But baby, it's a jungle out t
here
The ones you counted on are all but gone
Baby, it's a jungle out there
(Last man standing, People in Planes) ¹
 
 
 
 
 
6 Novembre 2022, Hogwarts, Sala Grande.
La mattina dopo.
 
 
Hogwarts era la più famosa, nonché unica, scuola di magia di Inghilterra.
Era conosciuta in Europa per la qualità del suo corpo insegnanti, per aver forgiato maghi di grande valore, nonché notabili giocatori di Quidditch.
Ma era una scuola. Piena di adolescenti, con gli ormoni in subbuglio, desiderosi di distrazioni.
E quelle convenzionali erano ben poche, considerando che la scuola era cinta da un lago e dalla impervie montagne delle highlands.

Dunque la scomparsa di Thomas Dursley quella mattina era sulla bocca di tutti. Non si sapeva da chi fosse partita la voce, ma quando Rose e Albus varcarono la soglia della Sala Grande i brusii si intensificarono, mentre occhiate incuriosite investirono la giovane Weasley con la forza di uno tsunami.
Non erano però dirette a lei, ma bensì alla persona a suo fianco, che aveva dormito in una Casa non sua quella notte.
Per farla breve… Al.
Non era un mistero che fosse il migliore amico dello scomparso. Doveva sapere.
Rose gli lanciò un’occhiata: il viso di Al non lasciava trasparire nulla. Contemplava un punto di fronte a sé, con espressione neutra.
Come diavolo fa a nascondere così bene ciò che prova?
Sospirò appena.
Non è questo il punto. Il punto è che lo nasconde così bene che poi si sente addirittura male…
“Al…” Mormorò preoccupata toccandogli il braccio. Lo sentì irrigidirsi. Era ancora vestito come la sera prima, e l’assenza di uniforme era ulteriore motivo di curiosità. “Forse non era il caso di scendere oggi…”
“Avremo solo rimandato l’inevitabile.” Mormorò scrollando le spalle. “E comunque dobbiamo parlare con Lily ed Hugo.” Fece un cenno verso i due ragazzini: Lily era pallida e non partecipava a nessuno dei conciaboli, cosa piuttosto straniante visto che era sempre circondata da fiumi di pettegolezzi. Non si alzò in piedi quando li vide, ma lanciò loro un’occhiata inequivocabile. Hugo invece smise di mangiare.

Si sedettero accanto ai rispettivi fratelli.
“È vero…?” Mormorò Lily tormentandosi una ciocca di capelli con le dita. “Tom è…”
“Sì. È stato rapito.” Concluse Al, servendosi una dose di caffè. Ridicola, notò Rose. Aveva appena bagnato il fondo della tazza. “E la professoressa Prynn era coinvolta. Ora è morta.”  

“Per tutte le palle di drago…” Farfugliò Hugo, e nessuno se la sentì di riprenderlo per aver sputacchiato tutto attorno. “Ma perché?”
“Vorrei saperlo anch’io.”

Rose capì che stava rispondendo solo per dovere. E che non avrebbe dovuto assecondarlo, ma spingerlo ad andare in cucina e farsi servire la colazione dagli elfi domestici.
Ma ormai…
“Com’è che sembrano saperlo tutti?” Chiese, per sviare l’attenzione dal cugino.
Lily fece una smorfia, lanciando un’occhiata attorno a sé. “A me stamattina l’ha detto Fiona Finnigan. Quella cretina ha piagnucolato la scomparsa di uno dei belli di Hogwarts. Gli avrei spedito una fattura, se zio Nev non fosse stato nei paraggi e non fossi stata così sconvolta.” Inspirò appena. “Lo sapete come sono queste cose. Tom ha il suo ridicolo fan club, benché non se ne sia mai accorto. Avranno notato la sua scomparsa e i Tiratori Scelti fuori dalla scuola. Qualcuna avrà chiesto a qualche professore e…”
Al alzò il viso. “Ci sono già i Tiratori Scelti?”
“Perché non è papà a seguire l’indagine?” Chiese invece Lily. “Dovrebbe essere lui!”
“Non è nelle sue competenze.”
“No, aspetta. Era nelle sue competenze sconfiggere un potentissimo mago oscuro e non lo è ritrovare Tom?!” Lily corrugò le sopracciglia. “Si può sapere cosa diavolo…”
“Procedure.” Li interruppe Rose, con un sospiro. “Non siamo più in tempo di guerra, Lils. Le eccezioni esistono solo lì.”

“Che stronzata.” Brontolò Hugo, riassumendo magistralmente il pensiero di tutti.
Lily guardò la porzione di caffè intoccata del fratello. A quel punto gli prese la mano, attraverso il tavolo, stringendogliela forte. “Lo ritroveranno. Chiunque sia il bastardo che vuole fargli del male lo ritroveranno e lo sbatteranno ad Azkaban.”
Al sorrise appena, per tranquillizzarla. Si sentiva gli occhi di tutti puntati addosso, e davvero, capiva il perché. Ma aveva solo voglia di alzarsi e mandare tutti al diavolo.

Non è quello che devi fare. Le voci triplicheranno.
Inoltre, se gli agenti dei Tiratori Scelti erano già arrivati, significava solo una cosa; presto sarebbero cominciati gli interrogatori.
Non sapeva molto delle procedure di indagine del Ministero e si sentiva in ansia: quel poco di cui era a conoscenza glielo aveva raccontato suo padre, ma in tono leggero, discorsivo. Era James quello appassionato ad ogni singola frase che contenesse la parola ‘auror’ e ‘proteggere&servire’.
Io non voglio certo finire a fare un lavoro che mi fa rischiare di perdere pezzi per catturare anti-sociali.
Al terzo anno aveva infatti scelto un curriculum di studio più improntato al settore curativo della magia. Lumacorno stesso gli aveva detto che sarebbe stato un fantastico medimago.
Esagerando come sempre…
Gli venne da sorridere.
In un modo o nell’altro, Tom, avevi ragione. Noi Potter ce l’abbiamo tutti la sindrome da ‘salva-il-tuo-prossimo’.
Era patetico rivolgersi a Tom come se fosse seduto accanto a lui, lo sapeva. Ma aiutava.
Lanciò uno sguardo alla tavola a cui abitualmente sedevano Michel e Loki. C’erano, e Michel gli lanciò una lunga occhiata. Poi gli fece un breve cenno, riprendendo a mangiare. Loki si limitò ad uno sguardo disinteressato.
E poi mi chiedono perché amo la mia Casa…
Il menefreghismo non era necessariamente un difetto. Non essere sezionato con lo sguardo almeno da loro era un sollievo.
“Dove sono Jamie e Scorpius?” Chiese Lily, strappandolo dai suoi pensieri. Adorava la sorellina con tutto se stesso, ma in quel momento avrebbe davvero voluto che lo lasciasse in pace.
“James si stava ancora preparando quando siamo usciti. Malfoy non ne ho idea.” Rispose Rose per lui.
“Capisco.” Annuì Lily. La squadrò meditabonda. “Come fai a chiamare il tuo ragazzo per cognome?”
Rose arrossì, deglutendo a disagio un pezzo di muffin. “Beh, cerco di mantenere un certo distacco quando non ce l’ho spalmato contro.”
“… Sei davvero una ragazza fredda.”
“Oh, va’ all’inferno Lils!” Sbuffò, facendola ridacchiare. Hugo alzò gli occhi al cielo, e poi fece la domanda che tutti stavano più o meno consapevolmente evitando.

“Ci interrogheranno su Tom?”
Scese un breve silenzio.
“Probabilmente.” Lo ruppe Albus, con estrema calma. Era quello a rendere surreale il tutto, rifletté Rose. Il modo in cui Al stava affrontando la vicenda. Se non l’avesse visto la sera prima, aggrappato a James alla ricerca di aria, avrebbe pensato ad una sostituzione con Salazar Serpeverde in persona. “Dite quello che sapete, non preoccupatevi. In ogni caso non siete coinvolti nella vicenda.”
“In quale vicenda?” Spiò Lily corrugando le sopracciglia. “Albie, che sta succedendo? Sapete qualcosa che noi non sappiamo?”
Rose si morse l’interno della guancia: aveva sempre sostenuto che la cuginetta non fosse così svampita come si ostinava a mostrare. E lo dimostrava nei momenti meno opportuni.

Albus sorrise appena. Era un sorriso pallido, con le labbra serrate. A Rose sembrò tanto simile a quei sorrisi che vedeva sui volti dei membri patinati del Ministero.
Falsi.
“Non sono affari tuoi, Lily.” Mormorò gentilmente, prima di alzarsi e lasciare il tavolo seguito da una scia di occhiate.
“Ma che…” Lily diventò dapprima rossa, poi sinceramente sconvolta. “Mi ha praticamente mandato a quel paese!” Era la prima volta che succedeva.
Hugo borbottò qualcosa, e rifilò ad Albus quello che sembrava un solidale sguardo di ispido assenso.
Rose si schiarì la voce. “Lils, cerca di capirlo. Tutti questi occhi addosso lo hanno innervosito. E chi non lo sarebbe? Io ho voglia di uccidere qualcuno, magari pescando nel mucchio.”
“Non è per le occhiate!” Sbottò la ragazzina, un po’ ferita. “Ci siamo abituati, andiamo! Siamo i figli del Salvatore dei Mondi…” Lisciò con aria critica il proprio tovagliolo. “È per Tom, non è vero? Al non ragiona se succede qualcosa a Tom…”
Rose non poté controbattere. Era preoccupata anche lei.

Si sarebbe aspettata lacrime, preoccupazione, dolore e rabbia. Stadi normali di chi rimaneva ad aspettare notizie.
Al, a parte la crisi, era rimasto freddo come un ghiacciolo tutto il tempo.
E ora ci sarà anche l’interrogatorio… E non vorrei che quello scemo si mettesse nei guai per coprire Tom. Ne sarebbe capace. Ci ha fatto elaborare una risposta comune.
Lily le toccò un braccio. Era tornata seria. Doveva ammettere che quando non assumeva quell’aria a gatto sornione assomigliava mostruosamente ad Al. “Cosa possiamo fare per loro Rosie? Dico davvero.”
Rose sospirò guardando la schiena, ancora fasciata di glicine, del cugino mentre si allontanava.
“Niente. È questa la fregatura di essere adolescenti. Proprio un bel niente.”
 
Quando Rose lasciò la Sala Grande, e lo fece con un certo sollievo – occhiate o meno a cui era abituata, quelle le odiava – fu intercettata da Scorpius, che masticava placido una tortina al limone, con un giornale sotto braccio come un rilassato lord babbano.
“Ciao orsetto del cuore!” La salutò, fresco e riposato come una rosa.
“Questo nomignolo è intollerabile. Dimenticatelo immediatamente.” Rimbeccò. “E comunque odio il tuo viso riposato.”
“Ti adoro anche io.” Sorrise l’altro. “Stai andando a lezione?”
“Teoricamente è il motivo per cui sono iscritta qui…” Sospirò, avvicinandosi per farsi passare un braccio attorno alle spalle e portare in un corridoio isolato. Si beò brevemente delle sue labbra che sapevano di limone e zucchero, prima di farsi lasciar andare.

Malfoy – sì, lo chiamava per cognome quanto gli pareva – doveva avere una specie di scia di ferormoni per cui attraeva o tranquillizzava.
Magari qualcosa che c’entra con i suoi geni purosangue impazziti da centinaia di unioni tra cugini…
“L’iscrizione è assicurata compiuti gli undici anni. Non ti crucciare troppo se salti qualche ora di lezione, vista la situazione.” Ribatté. “Mini-Potter dov’è?”
Rose fece una smorfia. “Spero a lezione. Altrimenti dovrò correre a cercarlo. Sono preoccupata…”
“Se la caverà.” Scrollò le spalle, tirandole una ciocca di capelli. “È un piccolo e promettente serpeverde.”
“Detta così sembra una cosa brutta.”
Scorpius sbuffò. “Non lo è affatto. Per me è un complimento di grande valore. Comunque… parlando seriamente tuo cugino è più forte di quanto non si creda. Se ti fosse accaduto qualcosa io sarei a piagnucolare in cima alla torre di Corvonero.”

Rose fece brevemente mente locale. “Perché tutti sanno che Tom e Al sono una coppia? Non l’hanno detto a nessuno!”
“Oh, per Godric.” Alzò gli occhi al cielo, passandole le braccia attorno alla vita, e tirandosela contro. “È talmente palese che solo voi tonti Potter-Weasley non ve ne siete accorti alla prima occhiata. Ad Halloween si sono tenuti per mano una serata intera. Oltre al fatto che a quei due piacciono le femmine come a te piace farti camminare un ragno addosso.”

“Non esagerare adesso.” Borbottò esasperata, dandogli uno schiaffetto sulla mano, ma senza fargli lasciare la presa. “È solo strano che nessuno ci abbia fatto dei pettegolezzi sopra.”
“Psicologia spicciola, Rosey-Posey. Dursley è talmente inquietante che non noti la sua propensione per i maschietti, ma il suo magnetico sguardo tenebroso. Oltre a questo, Albus passa inosservato alla maggior parte del creato, avendo due fratelli vistosi come Poo e Lilian.”

Rose fece un mezzo sorriso. Sapeva che quelle chiacchiere erano un modo gentile per alleggerirle i pensieri. Quello che faceva Scorpius non era mai lasciato al caso.
È un calcolatore nato…
“Quella è la Gazzetta del Profeta?” Chiese, lanciando un’occhiata al plico di carta sotto il braccio del ragazzo.
Scorpius sospirò appena. “Sì, ho intercettato il tuo gufo stamattina.”
“E come scusa?”
“Il mio falco lo ha… Ehm.” Si fermò, prima di sorridergli sfavillante. “Starà bene in un paio di giorni. Circa.
“… Cosa c’è scritto?” Preferì ignorare la sorte del povero gufo di famiglia. Aveva delle priorità in quel momento. “C’è qualche notizia su Thomas?”
“Non c’è molto.” Esitò, con una smorfia. “Ma leggi.” Le mostrò la seconda pagina.

 
 
Rapimento di giovane mago ad Hogwarts. Omicidio di una professoressa. Le indagini affidate al sergente Smith, Tiratori scelti.
“Le indagini sono subito partite, con una ricerca a tappeto nella zona. Lo troveremo.”
“Le pista da seguire non e’ chiara.” Aggiunge l’agente Smith. “La nostra priorita’ Rimane comunque trovare il ragazzo. Ci sono molte domande a cui deve rispondere.”
 
 
“È pazzo?” Sbottò Rose, incredula e furiosa: poteva non avere un rapporto idilliaco con Thomas, ma il cugino rimaneva comunque una vittima, anche se del suo ego gigantesco. “Ha praticamente già detto che Tom non è in una bella posizione!”
Scorpius fece una smorfia, annuendo. “Infatti non mi stupirei se mini-Potter lo prendesse a calci nel culo, durante l’interrogatorio che ne conseguirà. Mio padre conosce Smith. Dice che non merita neanche di essere definito un cretino.”
“Favoloso. Le speranze di Tom sono nelle mani di un idiota?” 

Scorpius schioccò la lingua. “Spera solo che tuo zio si impicci come suo solito. Speralo davvero, Rosie.”
 
 
****
 
Devon, Ottery St. Catchpole.
Casa Potter-Weasley. Mattina.

 
“Harry, calmati.”
Ginny, seduta al tavolo della propria cucina, rimestava con cura il proprio the mattutino mentre il fratello e Hermione cercavano di riportare alla ragione il suo uomo.

Fosse facile…
Conosceva Harry da quando aveva nove anni ed era una ragazzina con le codine, innamorata di un nome e di una cicatrice. Conosceva suo marito da così tanto tempo che sapeva quando era impossibile farlo ragionare.
Per questo guardò con muto sostegno Hermione, impeccabilmente già vestita alle otto di mattina. Ma non fiatò.
Ho più buonsenso di così. 
Calmarmi Hermione? Sono così lontano dalla calma che dovrei prendere la metropolvere per raggiungerla!” Sbottò l’uomo, lanciandole un’occhiata livorosa. Hermione inspirò appena, lanciando un’occhiata alla lettera bollata che campeggiava sul tavolo.
Un’ingiunzione del Ministero. Lui e Ron erano stati sospesi dalle indagini per il caso Thomas Dursley, oltre che caldamente invitati a non ficcare ulteriormente il naso nella faccenda.
C’è sempre qualcuno sopra di te. Il problema è che Harry, abituato com’è ad essere sempre il solo che si erge a paladino contro il Male, non c’è abituato. E non lo sarà mai. – Pensò, con un lungo sospiro interiore.
Ron, con una mano appoggiata sulla guancia e lo sguardo torvo fisso sulla missiva gemella tra le sue mani, scosse la testa. “Burocrati imbecilli.” Si scollò dal palato.
Hermione serrò appena le labbra. “È la procedura, Ronald. Cosa ti aspettavi? Che avrebbero continuato a lasciarvi indagare indisturbati?”
“Non stavamo indagando. Stavamo facendo domande in giro!” Replicò il rosso, a disagio. “E comunque, affidare il caso a Smith! Se avremmo fortuna ritroveremo le ossa di Tom tra una decina d’an-…” Non terminò la frase che il breve bagliore di una fiamma illuminò la stanza.
Harry aveva dato fuoco alla lettera, gettandone poi i resti nel lavabo.
Ginny si limitò ad un sospiro ed ad un lungo sorso del proprio the.
Harry! Cosa credi di aver risolto adesso?” Lo bacchettò invece Hermione.
“Nulla, ma mi ha fatto sentire meglio.” Ribatté quietamente. “Senza offesa Herm. Non dormo da due giorni, il mio figlioccio è stato rapito e un imbecille livoroso è tutto ciò che gli ha dato in dotazione il Ministero per salvarsi. Permettimi di essere un po’ urtato dalla situazione.”
“E c’è pure un omicidio di mezzo.” Aggiunse Ron, fissando la sua lettera, indeciso se fargli fare la stessa catartica fine.

“Non pensarci neanche.” Lo anticipò la moglie. “Harry, capisco come ti senti, credimi. Ma…”
“No, non capisci.” La fermò, serrando la mascella. “Non lo sai. Non sei stata tu, stamattina, a buttare giù dal letto Dudley per comunicargli che suo figlio è stato rapito da non-si-sa chi per non-si-sa-quale motivo, ma ehi, sicuramente c’entra con la magia. Ma non preoccuparti, lo ritroveremo, anche se non ho idea di come.” Prese un respiro, che servì solo a carburare la sua rabbia. “Hai idea di come sia penoso dover comunicare ad un uomo che odia il tuo mondo, che quello stesso mondo gli ha rapito il figlio?!”

Era stata la conversazione più orribile di tutta la sua vita; Dudley poteva non essere il padre più affettuoso ed espansivo della storia con Thomas. Ma lo considerava suo figlio e gli voleva bene.   
 
“Te l’ho affidato! Ti ho affidato mio figlio, l’ho fatto andare alla vostra scuola di strambi! E adesso tu mi dici che è stato rapito da un pazzo maniaco, in una scuola che tu hai definito la più sicura del mondo!”
 
Si era sentito inutile, impotente e soprattutto colpevole. Non che Dudley fosse stato comprensivo: aveva urlato, aveva accusato e aveva minacciato, prima che la moglie gli strappasse la cornetta dalle mani e facesse finalmente delle domande a cui poteva rispondere.
Conclusa la telefonata si era sentito svuotato e persino le rassicurazioni che aveva dato a Robin, le stesse che dava ai parenti dei casi che seguiva, gli erano sembrate ridicole, vuote.
Il fatto è che Dudley ha ragione. Ho fallito.
Thomas aveva dato segni di problemi da due mesi, e lui aveva preferito lambiccarsi in congetture, senza mai arrivare alla vera soluzione, piuttosto che fare l’unica cosa sensata.
Parlagli. E portarlo via da Hogwarts. Tenerlo al sicuro.
“Harry…” Disse Ginny, strappandolo ai suoi foschi pensieri. “Basta colpevolizzarti.” Soggiunse, mentre si alzava e gettava quel che restava del the nel lavabo. “Non ha senso.”
“No? Sono il suo padrino, Ginny. L’ho salvato io dalle fiamme ed io ho fatto carte false, scomodando persino Kingsley per farlo affidare ad una famiglia di mia scelta. Mi sono sempre preoccupato per lui, e quando aveva bisogno di me… ecco che non me ne accorgo!” Sbottò. “E adesso, neanche con tutta l’autorità che il governo inglese mi ha affibbiato riesco a fare niente. Dannazione, mi sembra di essere tornato ad avere diciassette anni con Silente che gioca a dadi con la mia vita!”
“Ma non è così.” Obbiettò tranquilla, prendendogli una mano tra le sue. “Sei un uomo adulto e sei un auror. Tom ti ha mentito, e su questo non avevi controllo. Non puoi pensare di leggere nel pensiero di un adolescente confuso e furioso con il mondo.” Fece una pausa. “Vi hanno escluso dalle indagini, è vero. Era una conseguenza inevitabile, perché voi queste indagini non avreste dovuto neanche farle.”

“Questo ormai è appurato…” Mormorò astioso. Non ce l’aveva con la moglie ed era grato per ciò che stava cercando di fare, ma Thomas era là fuori e lui era bandito dai territori di Hogwarts.
Avrebbe tutto mandato al diavolo, persino il suo posto al Ministero, per cercarlo senza impicci. Ma non poteva.
Non aveva più diciassette anni, ne aveva quarantadue e i colpi di testa erano stati fin troppi. E la verità era che, per quanto disprezzasse Smith, non aveva certo più possibilità di lui di trovarlo al momento attuale.
“Sì, è appurato.” Concesse la donna. “Ma hai ricavato delle informazioni dalle tue… diciamo chiacchierate. Hai comunque seguito delle piste…”
“Che non mi sono servite a niente.”
“Che però possono servire adesso a capire chi sia il rapitore e dove possa averlo portato. Merlino, Harry, sono una giornalista sportiva… conosco il metodo di indagine, ma non pensavo di doverlo spiegare a te!” Inspirò. “Devi dire quello che sai a Smith. Dovete collaborare.”
Ron emise un grugnito sonoro. “E pensi che ci darà retta?”

Ginny inarcò le sopracciglia, come se stesse cercando di capire se il fratello maggiore fosse scemo o meno. “Ricordo come fosse un imbecille pieno di sé. Ma non credo che voglia la morte di un ragazzo sulla coscienza. Dall’intervista che ha rilasciato stamattina al Profeta è chiaro che brancoli nel buio. Adesso la gatta da pelare, ovvero genitori terrorizzati e inferociti, ce l’ha lui. Una mano la apprezzerà sicuramente, se potrà salvargli testa e carriera.”
“Smith punta a diventare capo del suo ufficio.” Intervenne pronta Hermione. “È un arrivista, una macchia come un caso non risolto potrebbe dargli problemi.”

“Che idiota…” Brontolò Ron. “Sarebbe dovuto morire sotto qualche maceria o per qualche maledizione durante la battaglia. Non avrei pianto la sua scomparsa.”
“… Gli scriverò un gufo.” Concesse Harry, dopo un lungo sospiro. “Gli chiederò un incontro. E mi fornirò di bevanda della pace. In quantità massicce.” Soggiunse cupo, mentre posava una mano su quella della moglie, che gli aveva accarezzato la spalla, comprensiva.

“Io sarò con te, amico. Al massimo, possiamo schiantarlo se diventa troppo sgradevole.” Sogghignò Ron, facendolo sorridere.  
Un picchiettare alla finestra della cucina fece voltare tutti. Un gufo di piccola taglia, screziato di marrone e grigio, agitava le ali in una muta richiesta di entrata.

“È il gufo di Ted quello?” Chiese Ron perplesso.
“Tristan, sì.” Annuì Harry, andando ad aprire e sciogliendo la lettera dalla zampa del volatile.
“Perché ho come l’impressione che tu abbia chiesto a Teddy di essere le tue orecchie?” Ventilò Ginny, mentre un’ombra di sorriso gli aleggiava sulle labbra, in piena approvazione.

“Probabilmente perché hai ragione tesoro.” Sorrise l’uomo, scollando la ceralacca. La lesse brevemente, mentre un lampo cupo gli passava negli occhi. “Hanno già cominciato gli interrogatori. La buona notizia è che adesso hanno una descrizione del rapitore.”
“Beh, ottimo, no?” Spiò Ginny perplessa. “Dov’è il problema?”

“Hanno chiamato Teddy, James, Rosie, Lily, Hugo, Malfoy e i due compagni di stanza di Tom.” Elencò, accartocciando la lettera con irritazione.
“Quindi?” Chiese confusa. “Mi sembra che stia solo seguendo la procedura. Interroghi prima le persone più vicine.”

“Appunto. Non ha ancora chiamato Al. Albus è il migliore amico di Tom, Ginny. E Smith deve saperlo per forza a questo punto.”
Hermione esitò, poi si portò una mano alla guancia, pensierosa. “Pensi che si sia già fatto un’idea della dinamica dei fatti? Che stia seguendo una strategia?”
“Penso che stia prendendo tempo con Albus per metterlo sotto pressione. È una tecnica che abbiamo usato spesso anche noi.” Diede un’occhiata a Ron, che annuì. “La persona più vicina al soggetto sa di più, probabilmente si è confessato con lei, o si è lasciato comunque sfuggire qualcosa. Ha delle informazioni, sa di averle. Facendola aspettare la porti ad innervosirsi…”
“Ne stai parlando come se Thomas fosse un sospetto!” Sbottò Ginny incredula. “E nostro figlio suo complice!”
Harry si incupì. “Perché ho paura che sia questa l’idea che Smith si sia fatto.”



****
 
Scozia, Hogwarts.  Aula di Difesa contro le Arti Oscure.
Undici e mezzo di mattina.

 
“Mi dispiace interrompere la lezione, professore, ma Albus Severus Potter deve uscire…”
Teddy alzò lo sguardo dal proiettore, dove stava caricando alcune diapositive sulla classificazione dei troll di montagna. Lanciò un’occhiata al giovane Tiratore Scelto che aveva aperto la porta senza premurarsi di bussare. Impettito e dall’aria efficiente.

Non che pensasse male dei tiratori, ma sicuramente preferiva i mantelli foderati di rosso degli auror.
Più familiari…
Lanciò un’occhiata anche ad Al, seduto in prima fila con Rose. Il ragazzo si era già alzato, e aveva preso la sua roba. “Eccomi.” Disse semplicemente. Vide che giocherellava nervosamente con la cinghia con cui aveva stretto i libri.
“Puoi andare Al, ti farò avere gli appunti della lezione.”
Il ragazzo sorrise appena, facendo un cenno a Rose, che si era sporta a guardarlo.

Erano tutti dannatamente nervosi.
Come  non biasimarli…
Ted aveva detestato il suo interrogatorio. Era stato il primo, e questo se l’era aspettato. Smith era stato arrogante e subdolo. Ma bravo e questo non se l’era aspettato.
A quanto pare sa fare il suo lavoro…
L’uscita di Al fu seguita da una ventina di occhiate. Teddy si schiarì la voce.
“Riprendiamo la lezione ragazzi.”

 
Al si sentiva quasi marcare stretto dal giovane agente: gli stava appiccicato neanche avesse paura che saltasse fuori da una finestra.
Non disse niente però. Non era il caso.
Sapeva che non era normale che l’avessero chiamato per ultimo. Ci doveva essere qualcosa dietro.
Perché non sono stato il primo?
Aspettare, tutte quelle ore, l’aveva messo in un profondo stato d’agitazione.
Il tiratore si fermò davanti ad una porta, la aprì, facendogli cenno di entrare. “Prego.”
Zacharias Smith si era preso un ufficio al piano terra, quello che era stato una volta del primo professore di Difesa Oscura di suo padre, il professor Raptor. Era un’aula in disuso, ma in quel momento era stata approntata per essere una specie di sala interrogatori. Quando l’agente aprì la porta, Al si trovò di fronte ad una stanza vuota, eccezion fatta per una cattedra e una sedia davanti. Smith era seduto dietro e stava sfogliando quello che sembrava un plico di fogli.
Deglutì, nascondendo suo malgrado un sorrisetto di scherno.
È un modo grossolano per intimidire qualcuno, vero Tom?
“Agente…” Formulò cortesemente, stampandosi in faccia un sorriso educato. L’uomo alzò gli occhi e Al capì immediatamente che sospettava di lui. Non sapeva di cosa, però.
“Prego, si sieda Signor Potter.”
Al obbedì, posandosi i libri sulle ginocchia.
“Mi dispiace averla tolta alle sue lezioni, ma il tempo stringe. Penso che capirà.”
Al annuì, non trovando di meglio da fare o dire.

“Bene…” Gli lanciò un’occhiata. “Lei è molto amico di Thomas Dursley, è così? Siete cugini…”
“Adottivi. Tom è stato adottato dal cugino di mio padre.” Chiarificò automaticamente.

L’uomo fece un cenno distratto. “Sì, questo già lo sappiamo. Risponda alla domanda per favore…”
Cosa diavolo è, un esame?

“Sì, è il mio migliore amico. Lo conosco da quando siamo bambini.”
“Siete della stessa casa… Serpeverde.” Si staccò dal palato, lentamente. Al trattenne una smorfia irritata. C’era ancora molta gente che accomunava il verde-argento automaticamente a doppiezza e sospetto.

Se si è troppo stupidi per non vedervi dietro astuzia e intelligenza…
“Compagni di dormitorio, di Casa. Passate molto tempo assieme…”
“Quando non è dai suoi nel Surrey, sempre.” Confermò. Erano domande innocue quelle, chiarificatrici. Inutili. Perché gliele stava facendo?

Maledizione, se avessi ascoltato papà, quando Jam lo riempiva di domande…
“Non è di molte parole, Signor Potter…” Notò l’uomo, stirando le labbra sottili in un sorriso. Se voleva essere un gesto distensivo, Al non lo apprezzò per niente. Anzi, sentiva l’irritazione crescere. Avrebbe dovuto essere fuori a cercare Tom, non a fargli domande inutili sul suo carattere.
“Sono un po’ nervoso…” Mormorò, abbassando lo sguardo. Lo era, ma non nel senso che stava cercando di servire all’altro. Era irritato. Furioso. Spaventato.
“Non c’è nulla di cui debba preoccuparsi. Sono domande di routine… lei… tu… Posso darti del tu?”
No.

“Certo…”
“Bene, Albus…”
“È Al.” Recitò in automatico, prima di deglutire a disagio. L’uomo sembrò sconcertato da quella precisazione, ma non disse nulla.

“Al… che tipo di rapporti hai con Thomas?”
Inspirò appena. Non intendeva nulla. In ogni caso, non era quello il luogo dove doveva spiegare i suoi rapporti con il suo ragazzo.
“Amicizia. Siamo migliori amici, l’ho già detto.”
“No, non hai capito…” Picchietto la piuma sulle labbra, pensieroso. Era un atteggiamento artificioso, era chiaro che stesse facendo una specie di scenetta per impressionarlo.

Esistono davvero adulti così ridicoli?
“Intendo dire, sono sempre stati buoni i rapporti tra di voi? Avete mai litigato? Avuto qualche scontro?”
“Come tutti gli amici, ma poi facevamo pace. Nessuno di noi due ha un carattere facile, ma ci compensiamo…” Replicò sostenuto. Smith sentiva che era ostile, e non gli importò di sembrarlo.

Al diavolo.
“E in quest’ultimo periodo? Litigavate?”
“Come al solito…” Mormorò evasivo. Lanciò un’occhiata al viso dell’uomo. Era rilassato in un’aria amichevole e la cosa non gli piacque per niente. James prima della lezione lo aveva avvicinato, o meglio, lo aveva tirato per un braccio finché non erano stati fuori vista.

 
“Sta’ attento a quello stronzo. Fa’ il simpatico, ma è una serpe. Io ho tenuto duro e gli ho spiattellato la nostra versione. Probabilmente pensa che sia un coglione. Non so però se c’è cascato.”

Nel gergo da primate di James significava che non doveva prenderlo affatto sottogamba.

Incoraggiante…
“Intendi dire che litigavate spesso?” Lo riscosse dai suoi pensieri il poliziotto.
“No.” Serrò le labbra. “Tom non aveva un carattere facile, tutto qui.” Si sentì del sudore gelido scendere lungo la nuca. Aveva l’impressione di stare sbagliando tutto.

Com’è possibile che Jamie e Rosie hanno tenuto duro ed io sto crollando alle prime domande?
“Capisco…” Disse per tutta risposta. “Ultimamente Thomas ti è sembrato strano?”
“Nervoso. Era… nervoso. È stato aggredito all’inizio della scuola ed ha trascorso qualche giorno in infermeria. All’inizio ho pensato che fosse per quello che era sempre di cattivo umore…”
“E poi?”
“Poi ho capito che c’era qualcosa che lo spaventava.” Quella era la parte su cui doveva insistere. Era la verità, dopotutto. “Non sapevo cosa e non riuscivo a farmelo dire, per quanto insistessi… Alla fine me l’ha detto, ieri… ieri sera stesso.” Inspirò bruscamente, mentre sentiva una morsa allo stomaco.

Se solo non l’avessi lasciato andare via con la Prynn… a quest’ora sarebbe ancora qui. Sarebbe al sicuro.
Sarebbe qui.
Smith annuì di nuovo, impercettibilmente. “E tu poi hai detto tutto ai tuoi amici e a tua cugina.”
“Erano preoccupati anche loro. Dopo che io e James siamo tornati alla Torre dei Grifondoro erano con noi. Gli ho raccontato cosa era successo… e quello che avevamo visto nell’ufficio della professoressa.”
“Sì, a questo proposito… Sai che abbiamo ritrovato la bacchetta di Tom?” L’uomo inarcò le sopracciglia, attendendo una risposta. Continuava a passarsi tra le dita quella maledetta piuma.

Al desiderò ardentemente ficcargliela in un occhio.
Perché non sei fuori a cercare Tom?
“Sì, lo so. L’ho vista a terra, vicino alla…” Inspirò, ricordando quegli occhi vitrei, quella smorfia congelata sul viso di una donna che poche manciate di minuti prima era viva. “… alla professoressa.”
“Sai cos’è un Prior Incantato, Al?” Gli chiese inaspettatamente, piantandogli gli occhi nei suoi. Ebbe la sgradevole sensazione che tentasse di scavargli dentro. Cercò di non deglutire o dare qualsiasi segno di disagio.

“Serve per rintracciare l’ultimo incantesimo eseguito con una bacchetta.”
“Molto bene.” Confermò. “L’abbiamo fatto sulla bacchetta di Thomas. Ed è venuto fuori che l’Avada Kedavra è stato lanciato da lì.”
Al sentì una fitta attraversagli la nuca. Per un attimo fu certo di non aver capito bene.

Con la bacchetta di Tom…?
Tom?
No.

Inspirò bruscamente, sentendo una fitta allo stomaco. “Non è stato Tom. L’avrà usata il suo aggressore. Gliel’avrà presa e l’avrà usata per uccidere la professoressa.”
“Certo, questo John Doe…” Aprì uno dei fascicoli sulla cattedra. Probabile contenessero le dichiarazione degli altri. “Il misterioso John Doe.” Schioccò le labbra. “La signorina Weasley ci ha fornito una sua descrizione. Lo ha descritto, cito ‘come un ragazzo biondo, di media corporatura, vostro coetaneo’. Un ragazzo… Forse uno studente?”
“No, no… Non credo.” Balbettò frastornato. Rose non gliene aveva parlato. Cosa diavolo stava succedendo? Quando l’aveva visto?
Poi capì.

Il ragazzo biondo che Rose ha visto parlare con Tom alla Stamberga Strillante.
Era lui!
“La Signorina Weasley non te ne ha parlato?” Spiò, usando un tono odiosamente incredulo. “Faccio fatica a crederci. Pare che tra di voi vi diciate tutto…”
“Non capisco cosa…” Cercò di dominarsi. Sentiva il sudore gelido bagnargli la schiena. Perché non stava andando come aveva pianificato? A quale diavolo di gioco stava giocando quell’agente?

Smith si alzò dalla sedia, scendendo dalla sua posizione rialzata. A vederlo alla sua altezza non sembrava molto alto, e di certo assolutamente poco imponente. Eppure ebbe la sgradevolissima sensazione di essere un insetto sotto la lente di ingrandimento.
“Adesso Al, ti dico cosa penso io di questa faccenda…” Si inginocchiò alla sua altezza. “Penso che John Doe non esista. Penso che Thomas abbia usato l’aggressione dei Naga, nient’altro che il tentativo folle di un mago radiato dall’ordine di vendicarsi, per far credere a tutti di essere ricattato, quando in realtà è lui che ha orchestrato tutto… con l’aiuto della professoressa Prynn, sua complice. In giro si diceva che la bella professoressa fosse invaghita di Thomas, lo sapevi? Che avessero una relazione.”
Cosa…?
Non riuscì a rispondere. Il cervello gli era andato completamente in panne, ma non dalla paura.

Dalla collera.
Quest’uomo è un imbecille.
“Penso anche che abbiano ideato tutto questo per rubare oggetti di valore come la biblioteca del professor Lupin o il Mantello dell’invisibilità di tuo fratello James. Sapeva dov’erano e come prenderli. Al mercato nero valgono centinaia di migliaia di galeoni… e ad un nato-babbano come Dursley la valuta dei maghi può far gola.”
A Tom? La sua famiglia è benestante anche per i canoni magici, idiota!
“E sai anche cosa penso? Penso che ti abbia mentito, inventando un sacco di balle che tu stai supportando, non solo dicendole a me adesso, ma facendole imparare a memoria anche ai tuoi amici e familiari.” Si rialzò, lanciandogli uno sguardo quasi impietosito. “Ragazzino, non credevi mi sarei accorto che avete dato tutti la stessa identica versione? Siete stati insieme una notte intera, per tua stessa ammissione. Avete avuto tutto il tempo.”
Al serrò i pugni: non si era mai sentito così furioso in vita sua, talmente furioso che non riusciva neanche a parlare. In quel momento sentiva la bacchetta nella tasca del mantello pesare come un macigno, urlando per essere liberata e per essere usata per tappare la bocca a quell’incompetente.

“Lei non ha capito niente.” Sibilò sentendo le parole bruciare in gola come acido. “Tom è stato rapito… Tom non ha ucciso nessuno! È stato…”
“John Doe? Un ragazzo misterioso di cui non si ha traccia né notizia, tranne una descrizione sommaria di una ragazza che è stata palesemente plagiata dal migliore amico del soggetto!” Sbottò l’uomo, in uno scoppio di aggressività che lo fece sussultare. “Ragazzino, i fatti parlano chiaro. La bacchetta che ha ucciso era di Thomas Dursley, chi ha aggredito il professor Lupin corrispondeva alla descrizione di Thomas Dursley e tu stai coprendo un…”
Stia zitto!” Urlò saltando in piedi. Sentiva il respiro spezzarsi e prese ampie boccate d’aria per poter continuare. “Tom non è un assassino!”

L’uomo avvampò in volto, palesemente indisposto da quello scoppio di rabbia. “Si sieda, Signor Potter.”
Ma non poteva dargli retta. Sentiva la rabbia offuscargli lo sguardo.
Non sta capendo niente! Tom è là fuori, e loro cercano di incolparlo invece che salvarlo!

Sta perdendo tempo! Sta perdendo tempo prezioso!
“A lei serve un colpevole! È così?!” Lo interrogò senza più timore di fissarlo negli occhi. Gli adulti erano orribili. Perché avrebbe dovuto portar loro rispetto? “A lei non importa niente di ritrovare Tom, a lei importa solo di trovare un assassino!”

Dovrebbero proteggerci. Non dovrebbero ingannarci, uccidere e portarci via!
L’accusa sembrò andare a fondo, da come l’uomo storse il viso in una smorfia. Lo vide sfuggirgli per un attimo lo sguardo. “Si sieda immediatamente!”
“Cosa vuole sapere da me? Se ho chiesto ai miei amici di dire la verità in modo che Tom non venisse messo in una brutta posizione? Sì, l’ho fatto.” Sbottò, mentre sentiva il sudore colargli lungo la fronte. Si stava di nuovo sentendo male, ma non gli importava. Non gli importava neanche di stare aggredendo un membro delle forze di difesa magiche. “Ho detto loro di raccontare come era spaventato, confuso e terrorizzato da qualcuno che lo teneva continuamente in scacco con giochetti mentali! John Doe esiste, e gli ha imbottito la testa di stronzate, per fargli credere di non avere più un amico al mondo, di poter avere la verità sul suo passato e di poterla avere ad un prezzo che non gli ha mai detto… Mai. Questa è l’unica versione che sentirà dalle mie labbra… questa è la verità.” Finì, passandosi una mano sul viso.
Si sentiva fitte continue alla nuca, e gli veniva da vomitare. Chiuse gli occhi, crollando di nuovo sulla sedia.
Non gli importava più niente. Non gli importava se quell’imbecille lo avrebbe sbattuto in cella, non gli importava se l’avrebbe considerato un ragazzino fuori di testa, o un plagiatore, un complice.
“Bene.” Sentì dire dalla voce di nuovo controllata dell’agente Smith. “Credo che possa bastare. Può andare.”
Al aprì gli occhi. Cercò una qualche emozione nel volto dell’uomo, ma non ne trovò nessuna. Non era neppure in grado di cercarle al momento. Si alzò, abbandonando l’aula senza neanche degnare di uno sguardo il Tiratore che avrebbe dovuto scortarlo di nuovo a lezione.

Al!” Sentì urlare alle sue spalle. Era quasi certo fosse la voce di James. Tirò dritto. Qualcosa gli impediva di fermarsi. Anzi, no. Era certo che se si sarebbe fermato sarebbe morto. Uscì dal portone di ingresso, superando il cortile di pietra, tirando persino un colpo ad un gruppo di primini che si scansarono sbalorditi.
“Al, fermati cazzo!”
Era sicuramente James.  

La sua ridicola corsa verso il nulla durò poco però. L’adrenalina che aveva in corpo lo mollò nei pressi della capanna di Hagrid. O forse fu James a placcarlo, non ne fu mai completamente certo.
Si sentì voltare bruscamente. Ah, era proprio James. Notò che non aveva il maglione, ma era in maniche di camicia.

Che idiota… con il freddo che fa va sempre in giro a pavoneggiarsi dei suoi muscoli…
“Al, che è successo? Ho sentito urlare, ero nascosto dietro le armature. Che ti ha fatto quel bastardo di Smith!?” Lo prese per le spalle, tenendolo stretto. Aveva le mani bollenti suo fratello. Si accorse improvvisamente di essere di nuovo freddo come un ghiacciolo.
“Dimmelo!” Lo incalzò. “Se ti ha fatto qualcosa, se ti ha messo versato qualche pozione o fatto qualche fattura per farti confessare qualche puttanata io lo ammazzo!”
“Non ha… capito niente…” Mormorò soltanto, sentendo la voce uscire come un sussurro. Curioso, visto che fino a poco prima aveva urlato. “Non ha capito niente… di Tom. Lo ha… accusato.”

James inspirò. “Ehi, guardami Al.” Disse serio. “Quel figlio di puttana io con questo caso cerca la promozione. Vuole chiudere in fretta le cose… ma l’ha capito che Tom non c’entra. E questo gli rode. Gli abbiamo tutti detto la stessa cosa, e con te voleva giocare l’ultima carta. Voleva farti contraddire… trovare un appiglio, un movente per cui avrebbe dovuto far secca la Prynn e sparire nel nulla. Così invece di cercare un ragazzo rapito avrebbe cercato un assassino. Sai quant’è più facile? Una persona in meno. Ma non ha niente in mano per accusarlo. Niente.
Al assorbì tutto quel discorso come un assetato beveva acqua da una fonte gelata. Sì, aveva un senso.

Se non altro i ragazzi hanno tenuto duro e ti hanno difeso, hai visto Tom?
E poi si rese conto di quanto fosse effettivamente ridicolo parlare con lui. Perché non c’era.
Non c’è…
Improvvisamente quel globo solido di paura, rabbia e dolore, che gli aveva impedito per ore di piangere, manifestare emozioni, si ruppe.
Voglio Tom…
 
James non era mai stato una persona empatica con Albus. A dire il vero di solito era sensibile come una delle padelle a doppio fondo di sua nonna Molly.
E gli stava benissimo.  Era una legge di natura. Erano fratelli maschi.
Quindi non riusciva davvero a capire cosa significava quell’espressione stranissima sulla faccia del fratellino. Gli tremavano tremendamente le labbra però.
Poi si sentì placcare. O meglio, a posteriori capì che era un abbraccio disperato.
Al gli crollò letteralmente tra le braccia. Le gambe gli cedettero e fu costretto a sedersi con lui a terra, per non doverlo reggere a peso morto.
“Al… cosa diavolo…” Essere abbracciato, a terra, in mezzo al campo di zucche di Hagrid con suo fratello era una cosa che non avrebbe pensato di fare neanche quando aveva sei anni.
Figuriamoci a diciassette…
Poi lo sentì piangere. Al gli aveva schiacciato la faccia contro il petto – aveva già detto che gli era franato addosso? – e singhiozzava. Senza ritegno, come lui avrebbe fatto solo in rarissimi casi, da solo, probabilmente a chilometri da qualsiasi presenza umana.
Mormorava qualcosa. Si chinò, goffamente, per cercare di capire e quando decifrò i singhiozzi si sentì serrare il cuore in una morsa.
Chiamava Tom.
E si sentì davvero orribile, per quanto fosse assurdo, a non riuscire a darglielo.
 
****
 
 
Torre di Grifondoro. Pomeriggio.
 
Ted aveva finito le lezioni una decina di minuti prima quel giorno. Aveva congedato i suoi studenti perché non riusciva a concentrarsi a sufficienza. Ed era suo monito interiore dare sempre il massimo durante le lezioni.
Adesso si trovava seduto su una delle soffici poltrone della Sala Comune di Grifondoro, a fissare il fuoco.
L’interrogatorio di Albus si era concluso con Al di nuovo alla Torre, chiuso in camera di James.
Maledizione, che situazione orribile…
Si sentiva impotente. Un ragazzino.
Cosa avrebbe fatto Harry nei miei panni?
Ci rifletté brevemente e stirò un mezzo sorriso.
Probabilmente si sarebbe fatto espellere per aver affatturato Smith… 
Sentì qualcuno scendere le scale. Fu felice si trattasse di James. Era stato lui a riacchiappare Al dopo che era letteralmente scappato da Smith, come lo aveva informato il giovane Tiratore Scelto che si era scusato per non averglielo riportato in classe.
“Come sta?”
James fece una smorfia. “Meglio… Ha pianto come una ragazzina di dieci per un’oretta e poi si è addormentato. Adesso ci sono Rosie e Lils con lui.” Stirò un mezzo sogghigno. “È tornato in sé. Avevo paura, dopo ieri sera, di dover chiamare un esorcista.” Tornò serio, incrociando le braccia al petto. “Smith comunque è un figlio di puttana.”

“Smith ha esagerato.” Convenne con un sospiro, passandosi le dita trai capelli. “Ma sta cercando…”
“Un colpevole. E sperava con tutto il cuore che fosse Tom. Così si sarebbe risparmiato di dover capire chi diavolo era John Doe.” James in quel momento sembrava incredibilmente stanco. Lo erano tutti, ma sembrava decisamente sfibrato.  

“Ti va un the?” Gli uscì di getto sentendosi leggermente inappropriato e ridicolo. Ma tutta quella situazione era inappropriata e ridicola, perciò…
James sorrise, e fu il primo sorriso sincero che gli avesse visto fare da quarantotto ore.
L’ultima volta eravamo ad Hogsmeade e…
Deglutì interiormente.
“Sicuro! Ho proprio bisogno di invecchiettirmi un po’.”
“Oh, falla finita.” Sbuffò, senza riuscire ad essere autoritario: la realtà era che in quella situazione si sentiva ragazzino quanto lui. “Avanti, andiamo. E mettiti qualcosa sopra. Non hai freddo?”
“Io ho sempre caldo.” Replicò afferrandogli una mano e stringendola. Era effettivamente piuttosto bollente. “Senti? Che mi metto a fare uno di quei maglioncini orribili? Mi fanno sentire un idiota.”
Ted represse una leggera risata, infilando la mano in tasca con nonchalance, per evitare che qualcuno degli studenti entrasse e li beccasse mano nella mano.

Inappropriato.
“Non ti facevo così vanitoso, Jamie…”
“Certo che lo sono. Sono un figo, fa parte della dotazione esserlo.” Ghignò irriverente. “Prima tu, Teddy.” Indicò il passaggio con un cenno galante. Ted alzò gli occhi al cielo, e si apprestò a passare per primo.

 
Cinque minuti dopo erano seduti sulle poltrone del suo salottino privato, mentre James guardava con occhi pigro e rilassato il the che sobbolliva nel bricco.
Era una scena… di una certa intimità familiare, doveva ammetterlo.
“Grazie.” Mormorò James, rompendo il silenzio che li aveva accompagnati fino a quel momento. “Ne avevo davvero bisogno. Voglio dire… consolare fratellini emotivi, elaborare piani e tutto il resto… è stancante.”
“Lo immagino.” Gli sorrise. Era in piedi davanti al fuoco, e lo stava attizzando da circa cinque minuti. Ne erano bastati due per far riprendere le braci. Ma aveva bisogno di tenere qualcosa in mano, e di non guardare troppo in direzione dell’altro ragazzo.

Che si era allungato sulla poltrona, facendo salire casualmente la camicia fin poco sopra l’ombelico. E davvero, non voleva notare come i pantaloni gli stessero mollemente appoggiati a qualche impercettibile e  -oh, Merlino benedetto – erotico millimetro sotto la linea del bacino.
Dovrebbero essere casti pantaloni dell’uniforme! Gli ha fatto qualcosa, lo so!
“… Che stai guardando Teddy?” Anche senza alzare lo sguardo lo sentì sogghignare. Sperò di non essere arrossito. E non in faccia.
“Mi chiedevo perché quei pantaloni sembrano avere un taglio diverso dal quello regolamentare.” Spiegò neutro, tornando a guardare il fuoco che scoppiettava allegro – maledetto.
“Perché ci ho lavorato su.” Replicò in tono soddisfatto. “O meglio, ci ha lavorato Lily. Nella versione normale mi stanno in modo atroce… Sembra abbia un pannolone. Non sto bene con le uniformi.”

“Che sciocchezza…” Si schiarì la voce, controllando lo stato del the. Gettò una manciata di foglie a caso, senza rendersi conto che era la miscela mattutina.
“In effetti rendo meglio nudo. Vuoi vedere?”
James!
Lo sentì ridere, e non riuscì ad avercela con lui per essere una carognetta inopportuna. Non trovò nulla da ridire neppure quando si alzò, raggiungendolo. Due nano-secondi dopo si sentì abbracciare da dietro.

A quel punto si irrigidì.
Inopportuno. Inopportuno. Inopportuno.
Specie il modo assolutamente perfetto con cui il corpo di James combaciava con il suo.

“Scusa, scusa…” Lo sentì mormorare contro la sua spalla. “Volevo prenderti un po’ in giro… Mi fa bene, mi fa sembrare che sia tutto normale.”
Teddy sospirò e levò la mano, accarezzandogli una guancia. Era liscia, ma ispida in certi punti. James aveva la barba. Questa cosa stranamente lo intenerì.
“Vedrai che le cose si sistemeranno. Troveranno Tom.”
“Lo spero… o Al.” Esitò. “Al ne morirà…”
“Sono molto amici, è stato un duro colpo per lui.”
“Teddy, sono due innamorati.” Sospirò, con l’aria di chi sputasse fuori qualcosa perché era inevitabile.

“… Scusa?”
Oh, Merlino, Harry ha due…

Beh, c’è sempre Lily.
“Al e Tom giocano a maritino e moglie, più chiaro così?” Ironizzò, ignaro dei suoi retropensieri, come del fatto che avesse dato per scontato che sarebbe rimasto gay e appiccicato a lui per il resto della vita.
Sei un po’ patetico, Ted, vecchio mio.
“Ne sei sicuro?” Si schiarì la voce, togliendo il bricco fischiante dal fuoco. Si stava quasi abituando al peso di James sulla schiena. E alle sue mani sulla vita.
“No, ovviamente… Se non fosse che Albie si sta comportando come una donzelletta abbandonata.” Grugnì una risatina, poi tornò serio. “Questa situazione fa schifo.”
“Migliorerà.” Assicurò.

James fece uno sbuffo, che fu un soffio d’aria calda contro il suo collo. Rabbrividì.
Oh, Ted, è ufficiale. Ti piacciono i maschietti… - Recitò una vocetta odiosa, in fondo alla sua testa.
“Da quando fai l’ottimista Teddy?”
“Cerco solo di dire la cosa giusta…” Guardò con attenzione le due tazze fumiganti che aveva appena riempito fino all’orlo. Non si azzardò però a prenderne una in mano. Era certo che se la sarebbe rovesciata addosso.

“Teddy hai i capelli… Uhm. Direi di un curioso miscuglio di rosso e rosa. Che vuol dire?” Indagò James, con la voce improvvisamente vicinissima al suo orecchio. “Eh?”
“…” Esplicò intelligentemente, sentendosi improvvisamente i jeans tesi all’altezza del cavallo.

Oh. Merlino. Benedetto. Sto tornando un quattordicenne in fregola! 
… Come se lo fossi mai stato. Sto diventando un quattordicenne in fregola.
“Fammi indovinare.” Sentì le mani di James insinuarsi sotto il suo maglione, oltre la sua camicia, direttamente sulla sua pelle nuda. “Ti sto facendo effetto? No, perché un po’ ci speravo…”
“Jamie…” Tentò. Davvero, tentò.
Poi James lo voltò e lo baciò. C’era qualcosa di fondamentalmente diverso nei baci di James, rispetto a quelli di Vic. Non c’era arrendevolezza. Nessuna. Gli si offriva, ma sembrava sfidarlo a prendersi qualcosa.
La qual cosa gli piaceva da morire.
Gli bloccò i polsi, togliendoli dai suoi fianchi, mentre faceva forza per spingerlo lontano dal tavolo.
James rise nel bacio – oh, sentì la sua risata vibrargli sulle labbra – e si fece allontanare, solo il tempo per passargli le braccia attorno al collo e stringersi a lui. Sentiva ogni suo singolo muscolo irradiare calore attraverso la camicia.
In fondo non era così male che avesse sempre caldo, rifletté mentre faceva qualche goffo passo in avanti per poggiarlo su una superficie qualsiasi, per imprigionarlo e per impedirgli di scappare.
Non scappare Jamie…

Rovesciarono nell’ordine metà libreria, un piccolo poggia-piedi, una pila di riviste su uno sgabello, prima che James crollasse sul divano, tirandoselo dietro. Si staccò dal bacio, erompendo finalmente in una risata.
“Cavolo, Teddy, se eri represso!” Ghignò beato. Gli brillavano gli occhi, e vicino al fuoco sembravano cioccolata fondente.
“Sì, lo ero. Tantissimo.” Convenne, mentre cercava di non ridere. Gli passò le mani sulle guance, con attenzione. L’effetto che gli faceva James era stupefacente.
Si sentiva libero. Ed era inebriante come respirare ad alta quota.
“Tantissimo…” Lo imitò. “Ma non preoccuparti, mio povero Teddy. Ti stappo io.” Disse con aria furba, mentre gli afferrava i lembi del maglione e tirava. Si trovò assolutamente d’accordo nel toglierselo.
Del resto fa piuttosto caldo.
“Come funziona questa cosa dello stappare?” Si informò, sentendosi la bocca secca quando, riemergendo dal maglione, trovo improvvisamente James senza camicia.
Come ha fatto a togliersela così velocemente?!
Comunque non era quello il punto. Il punto era che gli piaceva ciò che vedeva. Deglutì, senza sapere che pesci prendere. Piuttosto ridicolo, ne conveniva.
“Teddy, Teddy…” Soffiò James, e Merlino, era la cosa più fottutamente – Merlino, aveva detto fottutamente? – provocante che avesse mai visto. Non era questione di essere uomo o donna.
James era bello. Punto.
“Funziona…” James aveva la bacchetta tra le dita e gli toccò leggermente la maglietta. Un momento dopo era sparita. L’aveva fatta evanescere. “… che stavolta ti insegno io.” Concluse, prima di tirarlo giù.
Le labbra di James erano decisamente da abolire se si voleva mantenere un minimo di dignità.

Perché si trovo a sussultare quando se le trovò ad altezza cuore, impegnate in attività che lo spinsero poi a gemere come mai aveva fatto.
James poi gli diede una spinta, neanche troppo gentile che lo fece ricadere seduto sul maltrattato divano, con la schiena appoggiata ai cuscini. Lo squadrò poi critico, con un sogghigno mefistofelico.

“Così va meglio. È la posizione giusta.”
“… Per cosa?” Non che gli importasse veramente saperlo, ora che James si era liberato dei pantaloni. 

Si sentiva imbarazzato – quello purtroppo faceva parte del suo essere – ma anche incredibilmente eccitato. Forse era la situazione, fuori la furia del mondo, dentro solo loro due, a renderlo meno pensante
Ma lo voleva. Voleva James.
In fondo era talmente semplice…
“Indovina?” Lo riscosse James, sedendoglisi a cavalcioni con una naturalezza invidiabile. Teddy inspirò bruscamente. Il contatto con un’altra eccitazione maschile, per la prima volta, era…
Fantastico.
E mi si perdoni la carenza di aggettivi.
“Niente male, eh?” Sogghignò, incapace a quanto pare di starsene zitto. Teddy sbuffò, tirandogli un pizzicotto sul fianco. Lo sentì ridere sorpreso, mentre gli affondava il viso nei capelli.
“Ora sono arancioni, Teddy…” Mormorò mentre l’ultima barriera di stoffa scompariva, facendogli sentire la morbidezza di quelle natiche sode tra le dita. “… che vuol dire?”
“Indovina…”

 
James, poi, gli sorrise, chinandosi a baciarlo di nuovo, mentre si accomodava tra le sue braccia, sul divano. Ce n’erano stai tanti, di baci, prima, durante e dopo. Non era riuscito a smettere di baciarlo neanche un secondo.
O forse era stato James? Non che avesse importanza.
Gli accarezzò la schiena, stringendoselo addosso, mentre si beava del calore della pelle nuda.
Aveva fatto sesso con un ragazzo. Un maschio. Aveva fatto sesso con James e si sentiva benissimo. È
“Assolutamente inappropriato…” Mormorò tra sé e sé, mentre gli veniva da ridere. Forse era la follia della situazione o qualche gene malandrino riportato a nuova vita.
Chissà…
James si scostò leggermente per guardarlo: probabile che l’avesse sentito.
Fu uno sguardo assorto. Conservava comunque un’ombra di compiacimento, come quando da bambino sbucava fuori da qualche angolo urlandogli ‘te l’ho fatta Teddy!’
Eh sì… me l’hai proprio fatta.
“È stata una lezione molto istruttiva.” Si sentì in dovere di chiarificargli. “Anche se non ho capito bene cosa c’entrasse lo stappare.”
James sbuffò divertito. “È gergo giovanile, Teddy. Non mi aspetto che tu lo sappia, tranquillo.”
“Spiritoso…” Gli tirò un ricciolo arruffato sulla nuca. “Guarda che ho ventiquattro anni.”
“Oh, finalmente! Te ne sei accorto pure tu!”  

Poi sentì che James gli infilava la testa nell’incavo del collo. Gli passò un braccio dietro la nuca, facilitandogli il compito.
Aspettò. Voleva dirgli qualcosa, lo sapeva.
“Ce ne hai messo di tempo…” Sussurrò alla fine. “Ma sei arrivato.”
Da me.
Teddy capì che intendeva proprio quello. Lo sapeva, semplicemente. Con la stessa magica sicurezza con cui quella volta, prima di partire per la Francia, aveva saputo trovarlo trai suoi centinaia di nascondigli preferiti.
Lo strinse a sé, baciandogli la testa.
“Scusami se ci ho messo tanto… Adesso sono qui.”

E non ho intenzione di andarmene. 
 
 
Se è tardi a trovarmi insisti.
Se non ci sono in un posto cerca in un altro,
perché io son fermo da qualche parte ad aspettare te.
(Canto di me stesso, Walt Whitman)
 
 
 
****
 
Note:
1- Qui la canzone. Avevo detto che li avrei riusati? L’ho fatto. XD  

 
Okay, questa aggiunta finale era puro fan-service. Ecco la mancanza di una connessione cosa fa! T_T  
Alla fine ormai si contano pochi capitoli! Tenete duro, gente! ;D
  
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