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Autore: nausicaa    26/08/2005    3 recensioni
Quattro ragazze, quattro adolescenti e un mondo che si aspetta da loro tanto... si aspetta che maturino, che crescano, che imparino a prendere le decisioni giuste ed intanto continua a dire loro: "Siete soltanto delle ragazzine". La vita di quattro amiche tra difficoltà, ragazzi e scuola, nel lungo cammino della che porta dall'infanzia all'età adulta e che si chiama adolescenza.
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Scene di vita adolescenziale

Era tardi. Elena correva per la strada affannatissima, con la cartella strapiena di cose inutili che le batteva sulla schiena. Come aveva fatto a non suonare quella stramaledetta sveglia?? E dire che l’aveva caricata la sera prima, per essere sicura di arrivare in anticipo a scuola; non che le importasse essere puntuale, anzi…lei contava di non andarci proprio quel giorno. Aveva programmato tutto con Vittoria, Bea e Ale: dovevano arrivare prima per non farsi vedere dai compagni. Era rischioso farsi notare nelle vicinanze del “Carcere di massima sicurezza per poveri ragazzi oppressi e maltrattati Carlo Goldoni”, la loro scuola media, ma purtroppo l’unica fermata d’autobus a portata di mano che portasse in centro era situata proprio lì davanti, e rischiavano di farsi sorprendere a marinare la scuola. Quel giorno non avevano impegni scolastici particolari: solo una stupida lezione di educazione civica sui problemi sociologici e di discriminazione razziale che affliggono la nostra società, ma alla 8 Gallery il grande, il mitico, il magico Tiziano Ferro doveva suonare davanti a tantissime fans, che, come loro, andavano al concerto tagliando di brutto la scuola.

Elena intravide da lontano le sue amiche ed il loro umore: nero come la pece. Stavano sedute sui gradini della scalinata, circondate da studenti. Addio concerto. Erano state viste da mezza scuola, ormai non potevano più andarsene via: l’avrebbero uccisa. A passo lento ed incerto si avvicinò all’edificio, cercando di non farsi vedere dall’ amiche… troppo tardi, l’avevano notata. Come furie si avventarono su di lei, in modi diversi: Bea correndo coi pugni chiusi protesi verso di lei, le sopracciglia inarcate e la bocca stretta, serrata ed arricciata; Vittoria saltellando stupidamente ma in modo serio, troppo arrabbiata per stare ferma; Ale camminando a passo severo e ondeggiando per farsi notare. Sta volta si sarebbero veramente incavolate.

«Ma a che ora arrivi???» chiese subito Bea.

«È un casino di tempo che ti stiamo aspettando, che ti eri persa per strada??»

«Addio concerto grazie a te, grandissima imbranata! Come pensi di andartene con tutta questa gente intorno?»

«Prima è passato pure il preside»

«Sempre nei guai ci devi mettere!»

«Ragazze scusate non è colpa mia, la sveglia non è suonata… che ci posso fare?!?» cercò di giustificarsi.

«Tu e la tua cazzo di sveglia: cambiala una volta per tutte, no?»

Il suono della campanella interruppe il litigio delle ragazze, che, senza dire più niente, a passi strascicati, si avviarono verso l’aula di scienze, troppo giù per continuare.

Entrarono i classe e si sedettero in ultima fila, separate di diversi banchi da Elena. Vittoria, Bea e Ale a destra, lei a sinistra… tutte con in testa solo una cosa: il concerto di Tiziano che stavano perdendo.

Elena osservò le ragazze, senza però darlo a vedere: erano le sue amiche di sempre, con cui aveva diviso tutta la sua vita fino a quel momento… tante volte avevano litigato, ma quando succedeva lei ci rimaneva sempre malissimo.

Ale era la più carina del gruppo: capelli castano chiarissimo che al sole divenivano color dell’oro, leggermente mossi, occhi azzurro acqua, profondi e vispi; bocca piccola e labbra sottili, fisico da modella; abiti sempre all’ultima moda.

Vittoria era una ragazza sportiva, sempre pronta a passare dalla piscina alla palestra al campetto; teneva i capelli neri a caschetto raccolti in una piccola coda di cavallo, aveva una carnagione scura che metteva in risalto i suoi occhi marroni; portava tute da ginnastica nuove e ben tenute sempre firmate, che le davano l’aspetto di un’atleta in erba.

Bea era lunatica e stramba: non si poteva descrivere in base al colore degli occhi, dei capelli, del modo di vestire, perché ogni giorno cambiavano in base al suo umore… se una mattina si svegliava contenta, magari perché nella notte aveva sognato di baciare il ragazzo più carino del quartiere, si colorava i capelli di biondo con le bombolette, per essere più affascinante, e gli occhi, da marroni, divenivano improvvisamente chiari grazie alle tante lenti a contatto colorate; se invece la sveglia suonava prima, o non aveva dormito bene, o per qualche strano motivo era di umore “dark”, si tingeva i capelli di nero, applicava lenti scurissime, si cerchiava pesantemente gli occhi con la matita e vestiva di scuro…

Ele sapeva che erano furiose con lei e che non sarebbe riuscita a riconquistare la loro amicizia in fretta… lei al loro posto avrebbe fatto lo stesso. Un concerto di Tiziano Ferro! Gratuito! La possibilità di tagliare la scuola! Tutto era partito per colpa della sua pigrizia. Quando la campanella suonò, provò lentamente ad avvicinarsi alle tre amiche.

«Sentite ragazze, mi dispiace, veramente. Ieri sera sono andata a dormire tardi e mi sono dimenticata di caricarla sull’ora giusta… mi perdonate?»

«Facile: prima combini i guai e poi vieni qui con la faccia da pentita a chiedere scusa; non è così semplice la vita!» la criticò Bea.

«Va bene ma cerca anche di capirci: per colpa tua ci siamo perse il concerto, e per di più oggi pomeriggio dovremo sorbirci pure la lezione di civica… permetti che possiamo essere un bel po’ incacchiate??» si lamentò Vicky.

«Lo so, ma guardate che a quel concerto ci tenevo anch’io… scusate!»

«Ok, dai andiamo che sennò poi il gufo comincia a gufare…» esclamò Ale riferendosi alla terribile prof di lettere, la Servante.

A mezzogiorno, mentre si avviavano a mensa, si accostò loro un gruppo di ragazzi dell’istituto superiore adiacente alla Goldoni e con cui condividevano il cortile, che cominciarono subito a provarci con lei, Ale e Bea.

«Ciao ragazze, dove andate così di fretta?» domandò un biondino dopo essersi passato una mano tra i capelli.

«A ballare, guarda! Secondo te qui in carcere che si fa? Ci si sposta da una cella all’altra.» spiegò sarcastica Ele.

«Beh allora se siamo in carcere dovremmo cercare di consolarci a vicenda…» azzardò un ragazzo dai capelli nerissimi.

«Certo, contaci, subito! Cos’è, ci state provando?» domandò tra lo scettico e il divertito Ale. Vicky se ne rimase in disparte. I ragazzi non la consideravano molto, forse per il suo poco interesse nei loro confronti; l’unico che meritasse veramente la sua attenzione era il fantastico Justin Timberlake, che, stranamente, sembrava non ricambiare.

«Che fate stasera?» domandò per tutta risposta un ragazzo dai capelli castani e gli occhi grigi.

«Ci troviamo a casa di qualcuna di noi per rimpinzarci di pop-corn, guardare un film strappalacrime e parlare di gossip… ti interessa? Vuoi venire a tenerci compagnia?» lo provocò Ele.

«Noi pensavamo piuttosto di proporvi un giro nel parco: vi va?»

«Mmmmh… ci penseremo… va bene una risposta all’uscita?»

«è ok, basta che sia positiva! A dopo allora!», e si allontanarono scherzando raggianti. Molto spesso dei ragazzi proponevano loro di uscire, ma raramente accettavano l’invito, perché le loro uscite serali erano minime: una alla settimana, di sabato. Niente discoteca per le quattro tredicenni, preferivano andare in giro per i bar frequentati dai loro coetanei per baccagliare… la loro attività preferita! L’ora di rientro era sacra e inviolabile: le 22,30, non un minuto di più.

«Che ne dite ragazze, ci andiamo?» chiese loro speranzosa Ale.

«Non so… voi cosa volete fare?»

«Ciccie, lo sapete, io sono già occupata» intervenne Bea.

«Poi mi dovrai spiegare cosa ci trovi ancora in Roberto, ti fa solo soffrire, non ti caga mai…»

Era vero. Il ragazzo di Bea, Roberto, era uno stronzo patentato: adorava, davanti a lei, provarci con tante altre ragazze, dire che le trovava gnocche, migliori, per poi negare l’evidenza. Ultimamente la respingeva perfino… ma lei continuava ad essere legata a lui da un amore forte, profondo, sentito, anche se popolato da tantissimi litigi e sofferenze.

«Lo so ma sapete come lo amo… »

«Dai, prova solo ad uscire con un altro: tutta un’altra vita!»

«Io andrei, sono carini e simpatici… ma sia chiaro: domani sera che è sabato.»

«Certo. Mica possiamo uscire sta sera. E tu, Vicky, che ne pensi?»

«Non credo che verrò, neanche mi hanno cagata…»

«Ma si dai, vedrai che alla fine noteranno anche te, se vieni da me domani pomeriggio sarai completamente irriconoscibile! E dai!» cercò di convincerla Elena.

«Io mi piaccio così come sono» ribattè lei.

«Si, ma è ora di cambiare look, dai che arriva la primavera: basta con queste goffissime tute da ginnastica!» la incoraggiò Ale.

«Ok, se voi alla fine volete ci sto, ma solo se siamo quattro pari, non ho voglia di trovarmi sola» acconsentì allora Vicky.

Bea gettò uno sguardo all’orologio: «Porca zozza ragazze, l’ultimo turno del pranzo finisce dieci minuti!»

A passo acceleratissimo si precipitarono in mensa.

Terminato il pranzo e accortesi dell’ora tarda si catapultarono in classe, dove la servante stava già annoiando l’intera classe con una spiegazione filosofica della “Tempesta” di Shakespeare.

«Alla buonora, care baronesse!» esordì infastidita quando entrarono. Di nuovo quei nomignoli: da quando avevano cominciato a frequentare gli studi in quella scuola la prof le soprannominava “baronesse”, o talvolta “regine”, per sottolineare sgradevolmente il fatto che cercavano di fare sempre quello che pareva a loro. Lentamente presero posto ai loro soliti banchi: Bea accanto a Vicky, con dietro Ale ed Ele. Per tutta l’ora discussero dell’invito di quei ragazzi: alla fine decisero di accettarlo, e quando la campanella suonò si precipitarono all’uscita.

«Ah, ciao. Avete deciso per sta sera?

«Si, siamo d’accordo ad uscire con voi, ma stasera proprio non si può… noi possiamo solo il sabato sera: per voi va bene?»

«Avremmo preferito oggi, ma… vabè, allora a che ora domani?»

«Usciamo alle nove, ci facciamo un giro, ma poi noi per le dieci e mezza dobbiamo essere a casa.»

«Solo le dici e mezza? Così poco? E che si può fare in un’ora e mezza?»

«Ci sbattiamo per locali, no? Cosa volevate fare?» chiese loro Bea.

«La discoteca alle nove è ancora chiusa… » mormorò per tutta risposta il ragazzo biondo.

«A proposito, guardate che non sappiamo neanche come vi chiamate…! Allora?» domandò Ele.

«Lui è Manu, questo è Paolo e… io sono Marco» aggiunse passandosi una mano tra i capelli e lanciando uno sguardo malizioso ad Ale.

«Invece sappiamo benissimo i vostri nomi» intervenne quello che doveva essere Manu, «Bea, Ele e Ale, giusto? È un po’ che vi abbiamo notate… è quell’altra ragazza che non conosciamo, è abbastanza un cesso: dobbiamo tirarcela dietro?» chiese scettico.

«Lei è Vittoria, una nostra amica, e comunque o tutte o nessuna… e, già che ci siete, avete un ragazzo anche per lei? Non ha voglia di venire a fare da tappezzeria.»

«E chi la vuole…? Ehem, cioè voglio dire…»

«Allora se l’unico modo per uscire con voi è portarsi dietro pure la piccoletta, troveremo qualche sfigato anche per lei… dove ci troviamo?» domandò Paolo fissando Ele con interesse.

«Davanti al Mc Donald della stazione» propose Bea.

«è ok… e mi raccomando fatevi belle che in giro ci conoscono!» esclamò Paolo.

«Ma no, non ce n’è bisogno…» mormorò Manu allontanandosi.

Quando se ne furono andati, Vicky, che non aveva sentito la parte del discorso in cui si parlava di lei, esclamò entusiasta:

«Ragazze, domani tutte a casa mia che ci sistemiamo per bene!!»

  
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