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Autore: cartacciabianca    16/05/2010    1 recensioni
L’attivazione del Frutto dell’Eden durante e dopo lo scontro finale ha cosparso Masyaf di una maledizione. Avvenimenti insoliti turbano la quiete della sua gente. Altaїr e Malik, imbrigliato il governo della cittadina, si troveranno ad affrontare le stranezze di una città caduta nelle polveri del tempo e sprofondata nelle paludi della deficienza. Non sono concesse debolezze: il popolo ha bisogno di loro, ma ignorare i propri istinti diventa impossibile quando si ha più bisogno l’uno dell’altro. Un misterioso battaglione armato sta razziando le terre attorno alla roccaforte e minaccia di circondare la base dell’Ordine degli Assassini. Che siano nuovi Templari? Pronti a riaprire vecchie ferite e disposti a sgozzare innocenti pur di annientare una volta per tutte i loro epocali avversari? Oppure è qualcosa di molto più grande dei Templari stessi? Magari una forza sovrannaturale che ha cosparso germogli di guerra e si presenta come la reincarnazione della Potenza Divina...
Per scampare alla morsa della pazzia e risolvere questo mistero, i nostri assassini dovranno tenere a mente due cose soltanto: che niente è reale e che tutto è lecito.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Altaïr Ibn-La Ahad , Malik Al-Sayf
Note: Lemon, OOC, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Spoiler!
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Quando Malik rinvenne dal sonno, poté bearsi qualche altro momento del calore attorno al proprio corpo. Nonostante fosse una sensazione alquanto piacevole, rinunciò a sorridere nel momento in cui riacquistò parte del senno perduto. Fuori dalla finestra, oltre lo spiraglio che le tende permettevano e dove l’orizzonte tracciava il suo magico confine rosato, scorse il cielo schiarire sulle punte delle montagne. Si sollevò lentamente aiutandosi con l’unico braccio che gli restava e mettendosi seduto con le gambe distese sotto le coperte, si accorse di essere solo nella stanza.
Per un breve istante, Malik aveva davvero creduto che Altaїr fosse rimasto al suo fianco tutta la notte, ma era stata una breve illusione dettata da un’erronea speranza, scaturita unicamente da quei falsi desideri che Malik doveva assolutamente imparare a contrastare.
Il falco socchiuse gli occhi e guardò accanto a sé. Le pieghe delle lenzuola mostravano i chiari segni di un corpo stato allungo immobile. Malik carezzò delicatamente quel punto e sentì come Altaїr avesse lasciato già da tempo la sua camera, abbandonando il compagno nella profonda oscurità della notte che ancora avvolgeva Masyaf.
Rivivendo le suggestioni della serata precedente, Malik tornò sdraiato sul letto. Non cercò di riprendere sonno, sapeva bene che sarebbe stato pressoché impossibile oltre che inutile, ormai. Ancora poche ore e sarebbe tornato a mostrare la maschera che più di tutte lo dilettava indossare: indifferenza, compostezza, pazienza. Cosa sarebbe stato quel misero gesto infantile al cospetto delle avverse responsabilità quotidiane che Malik e Altaїr si erano assunti con tanta misericordia? Nulla. Malik doveva trovare la forza per dare un freno a quelle debolezze, o la nebbia della fanciullezza li avrebbe tenuti ciechi entrambi per quel tempo che non potevano permettersi. Se Altaїr era ancora troppo pieno di sé come Malik temeva che fosse, sarebbe stato lui a ritentare di sistemare i tasselli di quel puzzle Fissando il soffitto sopra la sua testa, ripensò a quanto avesse nuovamente contraddetto se stesso, dando ad Altaїr, col suo peccato, l’opportunità di sentirsi troppo vicino a lui.

~ ۞ ~

Un’ombra bianca si muoveva silenziosa sulle scale della Fortezza. I suoi agili e piccoli passi lo condussero sino al pian terreno della costruzione, dove trovò ad attenderlo un tombale silenzio.
L’ingresso principale era presieduto all’esterno da due guardie che gli davano le spalle, mentre tutto il resto era un pozzo nero in cui perdersi nuotando. Per un brevissimo istante, quando Altaїr attraversò la sala da un capo all’altro, i suoi occhi neri riflessero non solo il bagliore argenteo della luna che filtrava i suoi raggi dalle vetrata in alto, ma anche il luccichio appariscente e dorato di un piccolo oggetto celato nel buio.
Altaїr individuò il Frutto dell’Eden, che giaceva a terra tra i piedi di uno scaffale della biblioteca. L’assassino andò in quella direzione; più Altaїr si avvicinava, e più la Mela brillava intensamente nell’oscurità dell’androne. Il ragazzo si piegò sulle ginocchia e scrutò a lungo l’oggetto sotto al suo naso. Scordatelo… pensò Altaїr rivolto alla Sfera, che con i suoi canti angelici e le sue sinuose rotondità dorate provava a tentarlo come una qualsiasi prostituta. Immaginando la triste sorte toccata alla povera Eva e al suo compagno, Altaїr avvolse il Frutto in un panno color porpora, attento a non permettere una fessura una da cui sarebbe potuta scaturire la tentazione. Con la premura di una madre che porta in braccio il neonato, l’aquila di Masyaf risalì le scale a grandi passi svelti e silenziosi. Appena fu sopraelevato rispetto al salone d’ingresso, lanciò un’occhiata oltre il parapetto per accertarsi che nessuno, a parte i due soldati a guardia dell’esterno distratti e mezzi assopiti, avesse colto i suoi spostamenti.
Si era permesso di indugiare già troppo, si disse, poiché aveva lasciato incustodito (seppur ben nascosto ad occhio nudo) il Frutto dell’Eden così a lungo. L’unica scusa che aveva per coprire la sua disattenzione, chiunque sarebbe stato in grado di reputarla sciocca e insignificante rispetto all’immensa responsabilità che Altaїr aveva messo nelle mani del destino. Il Frutto dell’Eden gelosamente custodito tra le sue braccia e avvolto nel panno, com’era stato capace di tentare Malik, avrebbe potuto promettere qualsiasi cosa al primo novizio che gli fosse passato accanto. Quell’oggetto doveva essere tenuto lontano dalla portata di tutti e di nessuno. In un luogo verso il quale persino Altaїr, conoscendone l’ubicazione, avrebbe dovuto provare timore ad avvicinarsi. Subito dopo che ebbe scrutato a lungo l’oscurità, in cerca di un minimo spostamento dell’aria che testimoniasse occhi od orecchie curiose, Altaїr pensò pigramente di sospendere la ricerca del nascondiglio perfetto, preferendo rinchiudere il Frutto in una cassetta di legno intarsiato della libreria accanto alla vetrata che dava sul cortile, assieme a delle vecchie piume bianche sporche di sangue. L’unico autorizzato a toccare con mano quelle penne era unicamente il Maestro della Confraternita che, purtroppo date le circostanze, non era più tra loro. Pertanto, nessuno, se non Malik o Altaїr stesso, l’indomani mattina avrebbe aperto quello scrigno e scoperto la sorpresa nascostavi all’interno.
Quel che Altaїr si era promesso di fare il più in fretta possibile, era tornare dal suo compagno prima che si accorgesse della sua assenza. L’alba ormai prossima, come notò l’assassino voltandosi a guardare attraverso la vetrata, schiariva l’orizzonte e cancellava le prime stelle dal firmamento.

~ ۞ ~

Il mattino seguente Masyaf non era mai stata più caotica. Faceva un caldo infernale e il sole spaccava le pietre, troneggiando sul mondo e facendosi beffe dei mortali dalla sua immensa volta azzurra. Per le strade si era improvvisamente riversata una marea di gente che entrava e usciva dalle mura della cittadella, catturando l’attenzione delle guardie e agitando la popolazione locale. Il frastuono attorno al mercato era assordante: bestiame, grida di bambini, lamenti di vecchi, canti e quant’altro alimentasse il vociare della folla che arrivava sino alla torre più alta della Fortezza.
Accompagnato da alcuni assassini di rango inferiore, Altaїr si era preso il fardello di spostare dalla biblioteca alla torre alcuni grossi e pesantissimi tomi. Quell’ala della fortezza ospitava, come pochi sapevano, una vasta cantina, il cui unico accesso era una stretta botola nascosta sotto la tappezzeria. Ritrovarsi in quel luogo dopo tanto tempo, ad Altaїr suscitò strani sentimenti nell’animo. Poiché i ricordi di quando i Templari avevano attaccato Masyaf reclamando, con voce di Roberto, il Frutto dell’Eden si annidavano ancora, dolorosamente, in lui, non riusciva certo ad ignorare l’immenso fastidio che la visita a tale luogo gli procurava. Le piattaforme dalle quali si erano gettati lui e due altri assassini, al fine di attivare la trappola coi tronchi che avrebbe salvato la cittadella, erano ancora lì, del resto, come tutta la mobilia circostante. Persino le tre guardie che facevano loro da scorta avevano gli stessi volti tenebrosi di chi sta studiando nei dettagli i movimenti di un traditore.
Tentando disperatamente di ignorare quei pensieri, Altaїr accolse la torcia che una guardia gli porse e si avviò per primo attraverso la botola.
Si poteva entrare nella cantina per due vie: una era la rampa di scale e impalcature che dalla botola arrivavano fino al livello più basso della cantina. Il complesso in legno divideva l’immensa profondità della cantina in cinque mezzi piani, l’uno ospitante una vasta gamma di scaffali pieni di libri o vuoti di cui riempirne. L’altro mezzo che consentiva l’accesso era la carrucola, usata per accompagnare lentamente sul fondo della cantina quel che vi si voleva mettere a risposo all’interno. In quella circostanza, Altaїr e i novizi si erano avvalsi di entrambe, aiutandosi con la fune della carrucola per portare i pesanti tomi in fondo alla cantina, e poi smistarli nei vari scomparti e scaffali manualmente.
Altaїr dirigeva l’operazione in prima persona, assistendo con una fiaccola due ragazzi che si occupavano di impilare i volumi. La cantina era molto profonda e altrettanto buia, poiché non c’erano né finestre né lucernari.
Nella cantina, nel corso dei secoli, gli Assassini avevano riposto le reliquie più antiche, le armi più leggendarie, gli oggetti più preziosi, i libri più sacri. A grandi linee, in quel pozzo oscuro di ricchezza e sapienza, cadeva tutto ciò che non doveva andare perduto, ma forse dimenticato.
Approfittando del fatto che alcuni testi di Al Mualim, sotto ordine di Malik, dovevano essere isolati, perciò spostati dalla biblioteca alla cantina, Altaїr aveva portato con sé anche il cofanetto con le piume e, cosa più importante, il Frutto dell’Eden.
Non aveva idea di quanto tempo sarebbe stato necessario nasconderlo lì. Altaїr riteneva insignificante tale particolare, ma respirava l’aria viziata della cantina pregando che la Mela non corresse alcun rischio per secoli, se necessario. Si era prefisso altrettanto duramente l’obbiettivo di studiarne la consistenza, il potere, senza lasciare ad altri l’occasione per farlo. La cantina sarebbe stata come per la Mela, un rifugio per le conoscenze che sarebbero sprigionate da essa.
I due novizi rimasti all’esterno fecero scendere dalla botola un nuovo carico di libri. Sulla cima della pila di tomi, quando la pedana della carrucola fu alla sua altezza, Altaїr riconobbe il cofanetto sigillato così come l’aveva lasciato la notte scorsa. Alle sue spalle i ragazzi avevano finito di sistemare il carico precedente di libri e attendevano che Altaїr desse loro ordine di cominciare a smistare anche quelli.
L’aquila di Masyaf, asciugandosi un rivolo di sudore che gli solleticava la tempia, afferrò il cofanetto e lo mise da parte, promettendosi che se ne sarebbe occupato in privata sede il più tardi possibile. Poi fece cenno ai suoi collaboratori che potevano smistare il nuovo carico di volumi.
Fu un lungo e straziante tormento, ma alla fine Altaїr e i suoi silenziosi inservienti conclusero l’opera commissionata su stesso ordine dell’assassino. A cose fatte, Altaїr diede congedo ai due novizi col cappuccio grigio che l’avevano accompagnato sul fondo della cantina, e li osservò risalire due gradini alla volta e con una certa fretta la spirale di scale che portava sino alla botola. Non appena fu solo, il figlio di nessuno tornò ad accarezzare il legno intarsiato del cofanetto che racchiudeva piume, sangue e conoscenza.
Quelle tre parole, il caldo afoso e il fascio di luce che proiettava su di lui il foro sul soffitto, lo riportarono contro la sua volontà ai giorni trascorsi nella Dimora di Gerusalemme durante le indagini per conto della sua terza vittima. Nella mente si materializzò la figura di Malik, tesa come un chiodo dietro al bancone della Dimora. Con il minimo sforzo, Altaїr ricostruì l’intera scena dalla prima all’ultima battuta tagliente del suo compagno. Il dolore di quel ricordo era pari all’acqua di un torrente che va verso un fiume in piena: lento, potente, agonizzante.
Ma ormai Malik l’aveva perdonato. Sarebbero potuti tornare ad essere chi erano stati una volta, sottolineando oltremodo ciò che li aveva resi così uniti e tanto temuti e rispettati quand’erano solo ragazzini.
Era stata l’idea del perdono raggiunto a scacciare le nuvole della tempesta. La forza che era servita ad Altaїr per combattere e sconfiggere Al Mualim gliela aveva infusa un’unica grandiosa visione: il sorriso, il pentimento e la comprensione sul volto di Malik sarebbero bastati a colmare non uno, ma due cuori di pace e serenità.
L’ultimo tuono che riecheggiava nel cielo, si disse, era tra le sue mani.
Altaїr abbandonò la torcia ad un gancio sulla parete in pietra, e cominciò a scendere le restanti rampe di scale in legno che lo separavano dal fondo della cantina.
-Maestro Altaїr!- lo chiamò uno dei giovani assassini dall’alto della botola aperta. –Dove state andando?!- la sua voce riecheggiò tutt’attorno e giunse alle orecchie di Altaїr irrigidendogli appena le spalle. Nonostante il richiamo, l’aquila continuò a scendere.
-Zitto, scemo!- lo rimbeccò un compagno. –Non dobbiamo intrometterci-.

~ ۞ ~

Malik sedeva nella biblioteca, al piano inferiore del salone d’ingresso della fortezza. Le vesti bianche degli Anziani che si spostavano come fantasmi da una parte all’altra della sala gli passavano sotto al naso senza turbarlo. Era troppo concentrato nella lettura anche solo per accorgersi del continuo via vai di soldati che entravano e uscivano dall’ingresso principale carichi di libri, gli stessi che Malik aveva incaricato Altaїr di far spostare dalla sala del Maestro alla cantina nella torre.
Altaїr e Malik si erano visti giusto in quella circostanza. Nessuno dei due aveva osato accennare parola sull’accaduto della notte passata, e forse era meglio così: a Malik piaceva pensare che meno ne discutevano, più l’obbiettivo che si era prefisso gli tornava semplice.
La luce che entrava dalle piccole finestre con grate lungo le pareti bastava ad illuminare l’ambiente, assieme al candelabro che penzolava dal soffitto e la vetrata dietro la scrivania del Maestro. Era una torrida giornata estiva, e nonostante Malik fosse seduto con la schiena contro la fresca parete in pietra, sentiva ugualmente caldo. Addosso aveva le sue solite vesti, più leggere rispetto a quelle indossate l’inverno scorso, ma ugualmente troppo ingombranti per i suoi gusti. Col passare del tempo, man a mano che la temperatura si alzava col giungere del mezzodì, leggere e concentrarsi gli tornava sempre più difficile, almeno in un ambiente coperto come poteva esserlo il salone d’ingresso.
Richiudendo il libro e mettendoselo sotto l’unico braccio, Malik si alzò in piedi, uscì dalla fortezza, e si avviò sul sentiero che conduceva al villaggio. Abbandonate le ombre del salone, le torride stradine di Masyaf gli sembrarono ancora più calde di quanto ricordasse dalle estati precedenti. I piccioni si appollaiavano sotto i tetti delle case, i bambini giravano a torso nudo o se ne stavano seduti all’ombra di una palma trattenendo il desiderio di correre dietro ad una palla, che li avrebbe cotti a puntino. Le donne indossavano veli leggerissimi, quasi trasparenti. Alle fontanelle c’era la fila per bere o riempire caraffe dopo caraffe. Il caldo favoriva il diffondersi di profumi culinari, ma anche di odori sgradevoli: Malik affrettò il passo vicino alla stalla.
Durante il passeggio per la cittadella, chi lo riconosceva gli faceva un cenno con la mano, col capo o s’inchinava rispettosamente. Guardie, assassini o gente comune, tutti sembravano lieti di incontrarlo sul proprio cammino. Al-Sayf mascherava lo sconforto dietro un soddisfatto sorriso, come se cogliere di nuovo l’equilibrio del mondo tra la propria gente fosse un’impareggiabile liberazione, piuttosto che un immenso sollievo.
In realtà era distratto da molte cose al dì fuori del caldo.
In cima a tutte c’erano le sue iniziative della notte precedente verso il Frutto. Quel che aveva fatto era imperdonabile. Si vergognava sopra ogni dire a camminare tra la sua gente fingendo che non fosse successo nulla. Gli unici informati di cosa era accaduto tra Altaїr, Malik e la Mela del Peccato avevano gelosamente custodito il segreto, dimenticando o semplicemente tacendo ad altri quel che avevano visto succedere.
In secondo luogo, giaceva il nebuloso ricordo delle emozioni provate nel trascorrere la notte col suo compagno di disavventure. Il segno delle sue labbra era ancora impresso sul suo collo, il profumo inebriante del suo corpo lo avvertiva ancora nel profondo, il calore delle sue mani lo solleticava ancora sulla schiena e sul petto.
Malik si fermò ad un tratto nel mezzo del mercato, immerso nel mare di folla che gli camminava ai lati. Ebbe la sensazione di soffocare in un mare in tempesta: oltre al fatto che quel genere di ricordi rischiavano di suscitare in lui certe reazioni, non aveva mai visto tanta gente tutta assieme, soprattutto in una giornata così calda. Sembrava di essere rimasti bloccati nel traffico quotidiano di Damasco durante un’importante festività: fiumi di volti mai visti affollavano la strada e si restava incastrati tra una schiena e l’altra, costretti ad avanzare per la direzione in cui punta la corrente.
Malik trovò e sedé sul bordo di un muretto, riuscendo a tirare un respiro di sollievo dopo essere sfuggito a quel girone infernale.
Ma da dove viene tutta questa gente? Si chiese con un moto di ansia, stupore e scetticismo.
Masyaf contava al massimo la metà delle persone che affollavano il mercato in quel momento. Lanciando un’occhiata fuori dalle mura della cittadella, Malik si accorse di un’altra valanga di donne e bambini accampati come nomadi, mentre sul sentiero che serpentava per le bancarelle se n’era sparpagliata già una prima.
D’un tratto, l’attenzione di Malik cadde su una giovane donna coperta da un velo giallo, che si faceva largo tra la folla con difficoltà, fermandosi ogni tanto ad interpellare qualcuno con alcune domande. Lo spiraglio che il velo consentiva mostrava profondi occhi neri traversati dalla disperazione. Quando la donna si accorse che Malik l’aveva fissata per tutto quel tempo, venne verso di lui con passi infermi.
-Vi prego, dovete aiutarmi!- supplicò lei, inginocchiandosi ai suoi piedi.
Malik aggrottò la fronte, inizialmente perplesso, ma poi si concesse di ascoltare.
-Ho perduto mio figlio!- strillò ella, tra le lacrime. –Vi prego, aiutatemi! Aiutatemi a ritrovarlo! L’avete visto?!-.
-Calmatevi, una cosa alla volta- disse Malik sorreggendola per i gomiti, affinché si alzasse. –Ditemi: cosa sta succedendo qui? Chi è tutta questa gente?- cercò di mostrarsi il più sereno possibile nella speranza che anche la donna si acquietasse.
Ma lei, piuttosto, ignorò le sue parole e ripeté nuovamente: -Mio figlio, signore, l’ho perduto! Vi prego, se potete aiutarmi, ditemi se l’avete visto!- aveva un viso giovane e fino, un corpo non troppo magro e un seno piccolo. Nascosta dagli abiti, poteva avere venti come una quarantina d’anni per via della statura nella media.
Malik, sull’orlo dell’insofferenza, serrò le labbra in una smorfia. Fece per replicare, ribadendo nuovamente la domanda più importante, ma dall’altra parte della strada due guardie col cappuccio grigio vennero di gran corsa verso di lui.
-Malik, grazie al cielo!- il primo azzardò un inchino e l’altro lo imitò.
-Perfetto, non ditemi che anche voi cercate i vostri figli!- eruppe il falco.
Quelli lo guardarono interrogativi per un istante, poi lo stesso che lo aveva chiamato per nome, quello più anziano, mosse un passo avanti e indicò alle proprie spalle. –Guarda che roba, Malik! Sono arrivati durante la notte! Il grosso è accampato fuori dalla città, ma donne e bambini intralciano i carri dei mercanti sul sentiero! Non c’è verso di farli spostare!-.
Malik indugiò un istante. –Da dove spuntano fuori, piuttosto, si può sapere?-.
Quelli alzarono le spalle.
-Avete provato a parlare con loro civilmente?-.
Quella gente aveva tanto l’aria di chi ha passato una brutta esperienza. La donna dietro di sé doveva per forza farne parte, e probabilmente risentiva il dolore nel modo peggiore: con la pazzia.
-Sì, Malik, ma sono sconvolti: le donne piangono, i bambini non ne parliamo! Gli uomini si rifiutano di aprire bocca con chiunque indossi delle armi!-.
-È il caos! Cosa facciamo?- chiese l’altro, terrorizzato.
-Amjad, Jaber, dovete mantenere la lucidità, almeno voi, ve ne prego. Prenderò in mano la situazione personalmente. Amjad, raduna altre guardie e vedete se tra questa gente c’è qualcuno che può far loro da rappresentate e portatelo da me alla Fortezza. Nel frattempo, Jaber voglio che ti occupi di questa donna e l’aiuti a ritrovare suo figlio- dettò Malik alludendo alla fanciulla dietro di sé.
Jaber allungò un’occhiata alle spalle del falco, ma sul suo volto comparve un’espressione confusa. –Certo, ma… quale donna?- chiese.
Malik si voltò, ma trattenne a stento un sobbalzo quando si accorse che la povera dama sembrava essersi volatilizzata nel nulla. Guardò di qua e di là cercandola tra i corpi che animavano le affollate vie del mercato, ma nulla da fare: era scomparsa.
-Dimentica ciò che ho appena detto…- mormorò poco convinto delle sue parole tornando a rivolgersi ai due. –Piuttosto, corri alla Torre e di’ ad Altaїr che ho urgente bisogno anche di lui-.
Jaber annuì e scattò di corsa verso la Fortezza.
Amjad scrutò a lungo il volto del suo superiore, prima di decidersi ad entrare in azione. Malik, non accorgendosi del suo insistente sguardo puntato su di sé, finì per ignorarlo dando ad Amjad il tempo necessario per studiare lo sconforto che si annidava in lui.
-Tutto bene?- volle chiedere quello.
-Sono solo molto turbato, Amjad. Nel caso non avessi assimilato la gravità della cosa, che non è affatto normale, ti suggerisco di attenerti ai miei ordini- rispose Malik in un cupo mormorio.
-No, fratello, io mi riferivo a te- lo contraddisse.
Malik gli scoccò un’occhiata confusa.
Amjad lo fissò dritto negli occhi. -Non ho visto nessuna donna- disse prima di allontanarsi.

~ ۞ ~

Pochi sapevano che dove ora sorgeva quella torre, vi riposavano i resti di un ancor più antico luogo di culto islamico: un edificio tondeggiante il cui ingresso si mostrava sotto forma di otto archi monumentali, pitturati di colori sgancianti rovinatisi nel tempo.
Nessun testo come nessuna mappa indicava la posizione di quel tempio. Altaїr ne aveva abbastanza di leggende e superstizioni che gravitavano attorno a tale costruzione, ma non biasimava chi aveva timore di addentrarvisi. Il mito che proteggeva gli otto archi bastava a tenere lontani occhi curiosi di giovani assassini, perciò erano pochi quelli che acconsentivano a recarsi nella cantina al fine sistemare vecchi libri polverosi.
Altaїr conosceva a mala pena quel luogo che, come molti, prima di lui, aveva imparato a rispettare. Il volere di Malik affinché le carte e gli appunti di Al Mualim venissero isolati nella cantina era solo il pretesto che l’aveva spinto a prendere la fatale decisione di custodire là il Frutto dell’Eden. L’oscurità lo inghiottì quando giunse sul freddo suolo di pietra, il punto più profondo della cantina. Lì gli scaffali coi libri lasciavano aria agli imponenti otto archi decorati, in uno dei quali si diceva dormisse il vero e proprio accesso al tempio, che scavava ancor più negli abissi della terra assieme alle sue leggende: non solo creature mostruose o trappole mortali custodivano segreti e tesori, ma tutti i dolori dell’uomo, quasi il tempio stesso fosse un grande Vaso di Pandora.
Altaїr non credeva a quelle scemenze. Chiunque avrebbe potuto costruire quattro mura sulla cima di una montagna, dove ora sorgeva la Fortezza degli Assassini, e battezzarle col nome di “Tempio Sacro”. La sua, ma la fede di tutti gli uomini vacillava attaccata ad un fragile filo, la cui essenza poteva essere riassunta in sei semplici parole, che a lui erano state insegnate a pronunciare fin dalla più soffice età: Niente è Reale. Tutto è Lecito.
Il duello con Al Mualim gli aveva aperto gli occhi, mostrandogli quanto l’illusione e la menzogna fossero state troppo a lungo gli unici peccati nei quali l’uomo avesse mai galleggiato per secoli. Se era vero tutto ciò che si diceva del Frutto, tutto ciò che Al Mualim sembrava aver scoperto su di esso, persino il possente assassino figlio di nessuno stentava a credere di possedere tanto potere nelle sue mani, e di essere riuscito a sfuggirne prima che fosse troppo tardi.
La sala circolare nella quale si ritrovò era troppo buia per vedere oltre il proprio naso. Altaїr mosse alcuni passi verso il centro e portò avanti la mano libera. Quando arrivò a toccare con le quattro dita quel che si aspettava di trovare dove vagamente ricordava che fosse, si spostò sulla destra e seguì il profilo della colonna portante il primo degli otto archi. Finalmente raggiunse a sfiorare con il palmo la superficie lignea di un tavolo basso, attorno al quale, se ricordava bene, dovevano esserci due mobiletti e alcuni cuscini. Sotto ai propri piedi Altaїr percepì improvvisamente la morbidezza di un tappeto ricamato, seppur pieno di polvere. L’aria era satura, compatta, consumata dalle centinaia di antichi volumi, oggetti e pergamene rinchiusi nei livelli superiori, che respiravano come esseri pulsanti, pieni di vita, pronti ad implodere della loro nobiltà rinnegata.
Altaїr posò il cofanetto sul ripiano e, sedendo in ginocchio a poca distanza da esso, attese per un tempo che gli parve eterno. Scrutò a lungo la minuta figura del bauletto davanti ai suoi occhi neri, che in un ambiente tanto buio, si confondevano con l’oscurità tutt’attorno alla sua figura. Inginocchiato come un umile discepolo dinnanzi ad una possente divinità, Altaїr svuotò la mente e abbandonò i sensi del proprio corpo come gli era stato insegnato dai suoi predecessori, in preparazione ad un omicidio.

“L’anima e il corpo comunicano attraverso un sottile canale che attraversa sia uno che l’altra. Le carni e lo spirito diventano un tutt’uno, mentre la natura sussurra il suo volere e il destino si compie. Rammenta, Altaїr: l’essere umano è sempre una marionetta nelle mani di altri, una macchina costruita da altri, uno schiavo che anche quando pensa di poter vivere libero compiendo azioni che lo facciano sentire tale, è prigioniero di chi o di cosa lo ha forgiato. Io sono il tuo maestro: ti insegnerò l’arte della spada, e sarà con ciò che ti ho insegnato che ti userò e ti comanderò. Anche quando penserai che i miei fili non siano legati ai tuoi, sarà allora che dovrai compiacerti di come il mio semplice ricordo ti dia pena e dolore. Sarai cosciente di aver fatto tutto quello che hai fatto solo grazie a ciò che ti ho insegnato. Quel giorno tornerai da me, invocherai il mio perdono, perché avrai scoperto che quel di cui sei stato sfamato, non potrai mai vivere senza…”

Altaїr si destò con un brivido che gli corse lungo la spina dorsale. Si accorse di avere i pugni stretti sul tavolo, ai lati del cofanetto, e la mascella serrata. Il corpo, quello che credeva di aver assopito assieme ai sensi, era teso come un ciocco e freddo come la pietra.
Le parole che aveva rivissuto nella sua mente appartenevano ad Al Mualim, il giorno in cui aveva dettato lui il nome della sua prima vittima. All’epoca Altaїr era ancora un bambino, appena dodicenne, ma con un grande spirito di osservatore e quel silenzio nell’anima che Al Mualim aveva cercato in molti, prima di trovare lui.
Ora lo stesso silenzio di allora lo inghiottiva, e Altaїr soffocava nel proprio dolore.
Ciascun uomo morto per la sua lama, Altaїr si rendeva conto di averlo ucciso solo perché non gli era mai stato insegnato altro. L’occultamento delle altre possibilità lo aveva rinchiuso in una dimensione forzata delle cose e della ragione, in cui sia corpo che spirito giacevano inermi al servizio altrui. Eppure, Altaїr colse una piccola consolazione nel falso di alcune sue parole: Al Mualim diceva che sarebbe tornato da lui, che avrebbe invocato il suo perdono. Altaїr non aveva mai cercato di ribellarsi. Era successo una volta soltanto nel Tempio di Salomone, ma ormai capiva di essere stato condizionato da altro, non da quella che Al Mualim chiamava ribellione e voglia di libertà. Quel senso di oppressione sarebbe svanito solo successivamente, dopo l’assassinio di Roberto de Sable, solo con la consapevolezza della menzogna e dell’inganno. Solo allora Altaїr aveva osato “ribellarsi”, insorgere, mordere la mano che lo nutriva. Il grandioso guadagno era stato vedere il sole mentre la nebbia dell’illusione svaniva, mentre la cortina dell’occultamento si scioglieva in un’impetuosa tempesta del deserto. Quella dimensione forzata dettata da una religione fasulla era morta, e Al Mualim era precipitato nel baratro che lui stesso aveva creato, ma per altri.
Ma Al Mualim aveva sempre avuto ragione su ogni cosa, fin da principio. Si era accorto della menzogna prima di chiunque altro, e il suo fine di svelarne l’esistenza era nobile, ma i mezzi per ottenerlo inqualificabili… Quindi perché avrebbe dovuto sbagliarsi proprio ora?
Mettere da parte i suoi appunti, le sue ricerche, non avrebbe tenuto lontano l’ingordigia di quelli che sarebbero venuti dopo di loro. Altaїr aveva paura nell’essere costretto ad affidare il proprio sapere, le proprie conoscenze e le proprie conclusioni, assieme alle proprie esperienze, in mani di sconosciuti ai quali sarebbe venuto da porgersi un dubbio infame, che già nei tempi aveva mietuto le sue vittime.
Ma nessuno aveva ben chiaro che il più grande errore umano stava per ripetersi.
Qualcuno stava ricominciando a tessere la tela dell’illusione: decretando che nessuno entrasse nella dimensione veritiera dei fatti, l’aquila e il falco avevano scelto di stendere un nuovo telo della menzogna. Il ciclo si stava ripetendo, anche quando ci si era prefissi di interromperlo.
L’unico modo per fermare tutto questo una volta per tutte, era accertarsi che esistesse un mezzo capace di interrompere la catena e sostituire gli anelli mancanti con un qualcosa di diverso, di fresco.
Altaїr fece un lungo respiro profondo e guardò il cofanetto di fronte a sé. Ormai prossimo al gesto di aprirlo, una penetrante e giovane voce rimbombò nella cantina, richiamando la sua attenzione verso l’alto. Il fascio di luce proiettato dal foro della botola venne oscurato da un cappuccio grigio.
-Maestro Altaїr, presto, salite subito! Malik desidera vedervi, è urgente!-.

~ ۞ ~





















.:Angolo d’Autrice:.
Finalmente sono riuscita ad aggiornare! Incredibile dire a parole che fatica mi sia costata questo capitolo: cercavo disperatamente qualcosa di plausibile da scrivere senza cadere nell’assurdità, ma ora sta a voi decidere cosa merita davvero come critiche e commenti. Esigo ringraziare RebyEMiko e PotterWatch per l’interesse col quale seguono e (spero) continueranno a seguire la fan fiction.
Vorrei rispondere ad entrambe dicendo che, da un punto di vista yaoi, la storia avrà poche (ma buone, speriamo) scene di quel genere. Il carattere della trama è variato: da che era un romantico – avventura – sovrannaturale, si è visto crescere in malinconico – mistero – introspettivo. Il rating, pertanto, non è più rosso, bensì arancione.
Detto ciò, parto con le premesse.
Il personaggio di Malik in questo capitolo è combattuto. Oltre ai problemi nati per via dei “nomadi” di Masyaf, vedremo il nostro assassino senza un braccio alle prese col rifiutare Altaїr, e di conseguenza sé stesso. Maggiori dettagli nel prossimo capitolo.
Altaїr, dal canto suo, ha altrettanti semi in zucca a cui pensare: avverte che la responsabilità del Frutto dell’Eden è tutta nelle sue mani e proprio per questo non ha la minima intenzione di coinvolgere nuovamente Malik. I due vivranno un certo periodo di distacco (durante il quale darò maggior peso alle faccende esterne – nomadi, invasioni, templari…- basta spoiler, dannazione!).
La cantina e successivamente il l’antico tempio sono di mia invenzione. Perciò non vi salga in mente di vagare come anime in pena per tutta la Fortezza del gioco cercando quella maledetta botola, che non esiste! (lol) La location, però, corrisponde alla piazzola dalla quale si getta Altaїr nel primo blocco di memoria, quando arrivano i Templari a Masyaf e lui ha il compito di attivare la trappola. La torre di cui parlo non è quella dalla quale cadono i tronchi, ma quella che è parte integrante delle mura della Fortezza ed è possibile raggiungere con una scaletta in legno. Non so voi, ma io adoro quella piazzola. (La botola è nascosta sotto uno dei tappeti dell’arredo).
Il tempio, così come la cantina, nasce dalla mia fantasia. I tipici archi a volta li conosciamo, e le tradizionali pitture anche! Basti pensare che i cortili di Damasco sono pieni di quel genere di archi!
Chi avrà attirato (spero) la vostra attenzione in questo capitolo immagino sia la misteriosa donna che si dilegua all’improvviso, col beneficio del dubbio lasciatoci da Amjad che sostiene di non aver visto nessuna donna. La fanciulla avrà un ruolo cruciale nella fan fiction, tenete d’occhio lei e come si comporta chi la circonda!
Amjad significa il più glorioso.
Jaber sta per consolatore.
Credo di aver detto tutto.
Vi do appuntamento al prossimo capitolo ^-^ (sperando che anche questo vi sia piaciuto).
A presto!
Caltaccia.
   
 
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