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Autore: Tersy    16/05/2010    0 recensioni
Tersycore è una ragazza come tante. Il suo difetto? Affrontare la vita con ironia e spirito di avventura. Ah... dici che non è un difetto? (Raccolta di racconti brevi)
•Ultimo racconto: L'emozione di Galileo•
Genere: Comico, Introspettivo, Satirico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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L'emozione di Galileo (o De festa)


Odio le feste. Non ci posso fare nulla. Ne sono allergica, mi prende un prurito pazzesco quando mi invitano a un party, e anche la sinusite. Il più delle volte cerco di declinare, mi invento qualche scusa efficace. Alcune volte non mi è possibile rifiutare e sono costretta a presenziare a queste buffonate sociali. Gente ubriaca in casa di gente ubriaca che beve fino a ubriacarsi di nuovo e peggio. Cosa c'è di divertente in questo, nella vodka rovesciata, nei bagni intasati di vomito, nella musica (?) tunz-tunz-tunz che complica i più beceri atti comunicativi?
Odio questo, essere accerchiata da persone decerebrate, senza personalità, sballottate così tanto da tutto (alcool, fumo, droga, house) da misurare la loro presenza/assenza in bicchieri di carta, distribuiti ovunque nell'appartamento.

Odio le conversazioni da festa. Esempio?

Tizio: come ti chiami?
«Tersycore. »
Tizio: come?!
«Ter-sy-co-re.»
Tizio: Persi che?!
« No, no, non ho perso niente. Mi chiamo Ter (ti-e-erre) sy (esse-i) co (ci-o) re (erre-e). Tersycore. »
Tizio: Ah... Ma sei tipo straniera?

Stop. Va fatta una precisazione. È una squisitezza onomastica, ma è importante aggrapparsi alle sfumature. Sottolineare l'ovvio, l'evidente, è stupido. Il “grosso”, difatti, ci seppellisce di continuo. Proviamo un po' a spalare il fango e a scoprire che ne resta di interessante. Il buon 70% dei nomi latinizzati sono di origine straniera (altrimenti non subirebbero il processo di latinizzazione). Gli unici nomi che si possono definire italiani sono quelli che erano in uso presso i nostri avi togati. C'è da dire, dunque, che una Maria potrebbe essere nata nello Sri Lanka , come un Motumbo può essere nato a Vicenza, senza necessariamente che nel primo caso sia figlio di italiani e nel secondo di nigeriani. I nomi non costituiscono (o non costituiscono più) un marchio di fabbrica, un made in. Riflettono solo il gusto più o meno tradizionale, più o meno sobrio, più o meno di tendenza, dei genitori.
I miei mi hanno chiamata Tersycore. In greco antico, significa “colei che si diletta nella danza”. È anche una delle nove Muse, quella che appunto protegge l'arte coreutica. A dirla tutta, la dea ha la i al posto della ipsilon, ma così fa decisamente più vogue.

Torniamo alla conversazione. Ed ecco la mia risposta secca. O seccata. Dipende dalla sensibilità altrui.

«Sono italiana, checché se ne pensi.»
Tizio: Come mai questo nome insolito?

Buongiorno, cliché! Prego, accomodati, non fare complimenti. Gradisci anche da bere?
Oramai convivo lucidamente con questa domanda. Tant'è che ho preparato un testo unico, onnicomprensivo, che soddisfi tutte le curiosità. No, i miei non sono ballerini. No, non mi piace ballare, sono anche incapace in quest'ambito. I miei genitori sono professori di lettere classiche e dato che negli anni di gioventù erano soliti assumere droghe leggere (una mia supposizione, non troppo surreale), decisero che volevano nomi “intellettualmente apprezzabili” per i loro figli. Mio fratello, tanto per darvi un'idea, si chiama Icaro, ma non è appassionato di aviazione. Forse se potessero tornare indietro, ci battezzerebbero come Marco e Francesca, ma ormai quel che è fatto e fatto. E dopotutto, mi piace Tersycore.
La realtà è sempre molto più deludente di quello che si può immaginare. D'altronde, è il ruolo precipuo della fantasia, migliorare il reale. E non mi faccio sfuggire l'occasione.

«Perché mia madre, quand'era incinta, andò in viaggio in Grecia, sul monte Elicona, dove abitavano le Muse. Si vide in sogno proprio Tersicore che le disse che sarebbe stato di buon auspicio chiamare la bambina come la dea. E così fu.»
Tizio: Forte!

A questo punto, tiro un ghigno di compiacenza. È quello che la gente vuole sentire. Ed è quello che nella maggior parte dei casi dice: una valanga di frottole quasi accattivanti. Mi convinco sempre di più che questi festini, questi aperitivi, sono ricettacoli per discepoli. Ognuno cerca di crearsi il suo stuoino di adepti, di cagnolini bavosi che pendano dalle proprie labbra.
Sono satelliti artificiali. Ti orbitano intorno perché sono stati programmati per farlo. Scatteranno foto, analizzeranno e invieranno dati sulla tua persona finché avranno abbastanza carburante. Dopodiché fuggiranno come comete, ma con la coda tra le gambe.

Non vi racconterei tutto questo se non mi fosse accaduto qualcosa di anomalo. Ad una di queste feste, per me tutte uguali e ripetitive, mi si avvicina un ragazzo. Non è bellissimo, ma essendosi distaccato dalla massa, più decentrato, si fa notare.

Tizio: Piacere, Filippo.
«Ciao, Tersycore. »
Filippo: Wow, che bel nome.

Sorrido. Un po' perché mi imbarazzano i complimenti, in generale. Anche quando io non ho alcun merito. Un po' perché abbiamo già saltato gran parte della presentazione standard. L'inizio non è male.

«Grazie. »
Filippo: Cosa fai nella vita?

Vivo. No, non gli ho detto questo. La tentazione, però, è sempre molto forte.

«Studio giornalismo. Anche se mi piacerebbe diventare una sceneggiatrice. »

Non so perché faccio questa specificazione. Non mi ha chiesto: qual è il tuo sogno nel cassetto. Sono sempre più sorpresa dalla duttilità con cui gli uomini svelano agli sconosciuti i loro più intimi desideri. Comunque, lui non si pone il mio stesso problema sulla natura umana.

Filippo: Ti potrei consigliare alcuni corsi da seguire. Non difficile riuscire, ma occorre molto restare nel giro avere i giusti contatti.

Ma che feste frequentavi prima? Perché non ti ho mai visto finora?
Comprendo una briciola dell'emozione provata da Galileo, quando scoprì grazie al suo telescopio i quattro maggiori satelliti di Giove. Poter smentire una teoria consolidata, scoprire che esiste qualcuno che ti gira attorno perché naturalmente attratto da te... è meraviglioso.

«Eppur si muove...»
Filippo: Scusami, hai detto qualcosa?
«No, nulla.»
   
 
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