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Autore: Dita    17/05/2010    3 recensioni
Questa è la mia prima fan fiction su True Blood. Anzi, questa è la mia prima fan fiction. E’ un racconto che all'inizio sembrerà sospeso... ma che poi troverà la giusta collocazione all'interno della saga. La fanfic è ispirata (più per la struttura, che per la trama) all'omonimo film "Before Sunrise - Prima dell'Alba" di Richard Linklater. La fan fiction non ha scopi di lucro ecc ecc, i personaggi appartengono a C. Harris, (a parte qualche piccolo personaggio di mia invenzione). Commentate senza pietà e buona lettura!
Genere: Generale, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Spoiler!
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TB8 “Lasciami” continuavo a ripetere. 
Non mi stava proprio bloccando, ma le sue braccia mi circondavano come una morsa d’acciaio. Mi abbracciava, tenendomi stretta a sé, ma io mi sentivo più come un animaletto braccato da un leone. Era intento ad annusarmi, mentre aspettava una mia reazione. 
Gli avevo appena dato uno schiaffo, ma la sua guancia, da un attimo più rosea, stava già ritornando bianca. Era inutile, la pelle di Eric era inscalfibile, ed Eric era destinato ad essere immutabile ed immortale, e tutto il resto attorno a lui, a sciuparsi e a dissolversi. A volte lo dimenticavo, sembrava essere su questo mondo quanto me, ma non era così. Sapevo ogni cosa sui vampiri, ma in realtà, non capivo, non comprendevo cos’era, chi era. Ero in braccio a qualcosa che andava al di là di ciò che avrei mai potuto concepire. Avevo baciato e schiaffeggiato qualcosa di… Divino? Demoniaco? Qualcosa che sarebbe esistito per sempre. Mi sentii così piccola, così impotente. Poi mi ricordai che non era esattamente così: a Eric scivolava addosso il tempo, non la morte. Poteva ancora di fatto morire e non esistere più, solo che ormai, per lui non era più una cosa naturale, doveva essere indotta. “Eterno finché dura” pensai. 
“Sei calda, e la tua pelle è dolce. Scommetto anche il tuo sangue. Sai di buono.” mi sussurrò con le labbra sulle mie. 
“Si, di sudore e di alcool, che mi hanno versato addosso, laggiù in quel buco, mentre cercavo di passare tra la folla. L’avrò sicuramente anche sui capelli” dissi, più innervosita per il fatto di sentirmi sporca, che per altro. 
Rise. Prese a baciarmi e leccarmi il collo e la gola, fino a risalire sulle mie labbra. 
“I tuoi baci sono falsi come Giuda” cercavo di divincolarmi dalla sua bocca, ma mi teneva premuta contro di sé. 
“Shhh”continuò imperterrito. “Baciami” mi ordinò, prendendomi le braccia e portandosele attorno al collo. 
“No, io sono arrabbiata con te” sfortunatamente per lui usai le mie braccia per allontanarlo dal mio viso. 
“Per cosa, per averti chiesto di uscire?!” 
Veramente, non stavano proprio così le cose. 
“Non cambiare le carte in tavola! Tu mi avevi chiesto di uscire, mentre invece ti servivo come passatempo per il tuo altro appuntamento!” 
“Ma noi siamo usciti, e abbiamo passato una bella serata, e ora siamo qui io e te. Non ti rovinare la notte per una piccola parentesi del mio lavoro” si riattaccò al mio collo, succhiando con foga la mia pelle. 
“Veramente…” avevo perso il filo del discorso. Perché dovevo essere arrabbiata con Eric? Era successo davvero così? 
“Lo stai dicendo per tenermi buona non è vero?” 
“Si” rise “però lo penso davvero”. Mi distese sul sedile, e lui fu sopra di me. Mi sentì affondare verso il terreno. Iniziai a pensare che, oltre me, anche la macchina non avrebbe retto il peso di Eric. 
Guardandomi negli occhi, iniziò a baciarmi sulle labbra, aspettando che io schiudessi la bocca e gli rispondessi. Al diavolo, così feci. 
Mi accarezzava i capelli, mentre la sua lingua si muoveva in perfetto accordo con la mia. Questa volta non furono baci violenti, ma dolci e molto passionali. Il problema si presentò poco dopo, quando mi accorsi che ad Eric i baci non bastarono più, ed era già pronto per qualcos’altro… 
“Cosa vuoi fare?!” chiesi stupidamente. 
“Voglio scoparti” a volte dimenticavo la franchezza di Eric. 
“No” dissi contro voglia, ma Eric si stava già dando da fare con le mani sotto la mia gonna. 
“Il tuo corpo dice il contrario” disse mostrandomi le dita bagnate, portandosele alla bocca. 
“Sei un animale”. 
Avevo fantasticato parecchie volte sulle prestazioni sessuali di Eric, e avevo fatto anche parecchi sogni a riguardo. Certo, avrei preferito una situazione più romantica, ma aveva ragione, desideravamo la stessa cosa. 
Aveva un viso maledettamente bello, dai lineamenti dolci, brillanti occhi azzurri, labbra sottili, leggermente imbronciate… così contrastante dall’imponenza del suo corpo. 
Si lo desideravo, e avrei passato volentieri notti intere tra le sue braccia a sentirlo dentro di me, lo volevo davvero, ma cosa sarebbe successo dopo? Sapevo come sarebbe andata, me l’avrebbe rinfacciato a vita, come solo Eric sapeva fare. Per non parlare delle questioni di potere e possesso che sarebbero venute a crearsi, seguite da priorità politiche e supremazie sociali. Perché Eric era questo, e gli interessava solo questo, il potere, in ogni sua forma. Eric non aveva una casa, aveva un territorio; non aveva amici, aveva seguaci; ed io non ero né un’amica né una compagna, ero un’alleata, e sarei divenuta una sua proprietà se l’avessi lasciato fare. 
“No. Fermati” gli tolsi la mano dalle mie gambe. 
“Perché?” continuava a baciarmi. 
“Non voglio, portami a casa” cercai di scansarmi da lui. 
Si fermò di colpo, non per rispetto, ma perché rimase interdetto. A Eric non si diceva mai di no, e non lo permetteva nemmeno. In certi casi non usava la forza, ma subdolamente, induceva le persone a fare il suo volere manipolandole. Questo era uno di quei casi, e se conoscevo abbastanza bene Mr. Northman, avrebbe fatto lo stesso anche con me. 
“Ho fatto qualcosa che non va?” disse riprendendo ad accarezzarmi. 
Infatti. 
Eric non si metteva mai in difetto, se non aveva un secondo fine. 
Non dovevo girarci attorno, o mi avrebbe riportato sulla sua strada. 
“No, ma voglio tornare a casa. Subito”. 
Si fermò. 
“Che hai?” mi chiese con voce dolce. 
Se avessi iniziato a gocciolare, come diceva lui, mi avrebbe scaricato davanti alla porta di casa in due secondi. Era una cosa che lo metteva a disagio, ma in quel momento proprio non ci riuscivo, mi era difficile piangere a comando; mi ero promessa più volte di chiedere ad Arlene come si facesse, ma era come confessarle che sapevo un suo segreto, e si sarebbe arrabbiata. 
“Voglio solo tornare a casa, sono stanca e non mi va” dissi con aria spazientita. 
Eric si tolse da me guardandomi con ostilità, stava covando una certa irritazione. 
“Aspetta qui” mi disse uscendo dalla macchina. 
Cercai di ricompormi rimettendomi a sedere, sistemandomi il vestito. Feci per aggiustare i capelli e il trucco guardandomi nello specchietto retrovisore, e lo vidi, dietro la macchia. Appena capii la situazione, tolsi lo sguardo, imbarazzata; poi la curiosità fu più forte, e senza voltarmi, allungai gli occhi sullo specchietto, e lo spiai. Era buio, vedevo solo un ombra, ma rimasi ferma a spiarlo lo stesso. Poi lo vidi avere uno spasmo. 
Quando ritornò in macchina, si rimise alla guida dirigendosi verso Bontemps, senza dire una parola. 
Speravo tanto che non sapesse del mio piccolo atto di voyeurismo. 
Guardavamo la strada davanti a noi senza emettere suono. Ogni tanto lanciavo un’occhiata, per controllare la sua espressione, ma era sempre immobile ed inespressivo. 
“Ho lasciato la macchina al Fangtasia” dissi a bassa voce. 
“Te la ritroverai davanti a casa domani mattina” rispose freddamente. 
“Non devi disturbare Ginger per questo” 
“Ginger fa quello che dico io. Avevi fretta di ritornare a casa giusto?” 
Non risposi. 
Il rumore del motore era l’unica cosa che spezzava quell’imbarazzante silenzio. 
“Sei arrabbiato?” chiesi con una certa cautela. 
Non rispose. 
“Eric è stato meglio così. Già tutta la serata è nata come una cosa sbagliata e fraintesa, volevo solo non pentirmene ulteriormente” cercai di spiegargli. 
“Perché sbagliata? Perché sono una delle creature assurde che ti fanno il filo?! Forse dovresti iniziare a chiederti se in te ci sia qualcosa di sbagliato, se tutte queste cose assurde ti stanno intorno” disse con voce calma, senza particolari emozioni. Mi sentii come se avesse preso un pugnale e me lo avesse piantato nello stomaco, e questa volta dovetti impegnarmi per ricacciare indietro le lacrime. 
Ritornò il silenzio per parecchi minuti. 
“Perdonami. Non penso ciò che ho detto. Volevo solo farti male” disse, posandomi una mano sul ginocchio, distogliendo il viso dalla strada. 
“Bhe, missione compiuta sceriffo” dissi levandogli la mano. 
  
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