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Autore: SunVenice    17/05/2010    8 recensioni
Il governo mondiale ordina una strage oltre la Red Line, tre ragazzi sono costretti ad un doloroso esodo per recuperare almeno un pezzo della propria vita, e due mondi, da anni separati, si incontreranno sulla Grande Rotta, svelando un segreto che nessuno avrebbe mai voluto venisse divulgato. "Vuoi sapere chi sono?"
La storia continua dopo quasi tre anni di assenza! (psss! è anche ON HIATUS,perchè? Perchè sono masochista!)
Genere: Avventura, Azione, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai | Personaggi: Barba bianca, Marco, Nuovo personaggio, Portuguese D. Ace
Note: What if? | Avvertimenti: Triangolo
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Le Sirene di Fuoco'
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Kaizoku no Allegretto

L’allegretto del pirata

Atto 5

Atto 5, scena 1

Kobi ed Hermeppo avevano potuto capire molte cose del loro comandante nel corso del loro duro allenamento atto a farli diventare, usando una tipica espressione di Monkey D. Garp, dei veri uomini, ed avevano imparato di conseguenza qualsiasi cosa lo infastidisse, nei minimi dettagli. Avevano notato, spesso a loro spese, come ogni parola, gesto o comportamento fuori luogo provocasse una reazione specifica in Garp, che aumentava di intensità e gravità, procedendo per livelli.

Una parola azzardata, per esempio, corrispondeva ad un sorriso ed ad una lieve punizione corporale, che variava a seconda del soggetto. Hermeppo ne sapeva qualcosa, Kobi un po’ meno.

Un gesto sbagliato e lievemente offensivo nei confronti dei superiori o dei compagni portava ad una punizione più pesante ed ad almeno una settimana o più di digiuno, ma solo dopo aver assistito ad almeno un centinaio di vene gonfiarsi sul pugno del vice ammiraglio. Hermeppo ne sapeva decisamente qualcosa, Kobi sicuramente meno.

Un comportamento decisamente poco rispettoso e menefreghista poteva portarti alla quasi morte, dopo aver visto gli occhi del comandante oscurarsi di un’ira paragonabile solo ad un uragano di proporzioni mastodontiche e le sue spalle tremare come scosse da un forte terremoto. E qui Hermeppo avrebbe potuto scriverci un libro sulle sue esperienze, Kobi, fortunatamente, nemmeno una riga.

Tuttavia, quello a cui le due promettenti reclute stavano assistendo, accostati come di consueto al fianco del vice ammiraglio, usciva completamente dagli schemi da loro creati.

Non c’era modo di descrivere quello che stavano vedendo , anzi, forse c’era: un VULCANO prossimo all’eruzione.

Come fosse possibile che Shanks il Rosso avesse potuto ridurre in quello stato il loro comandante dopo un semplice ed innocuo scambio di battute era a dir poco incredibile, ma di certo sia Kobi che Hermeppo avrebbero preferito che non accadesse.

Tu…” sputò quasi tra i denti, che digrignavano rumorosamente, Garp, puntando uno sguardo pieno di odio verso la faccia sorridente del Rosso, ancora in piedi sul fianco della propria nave, affrontando il vecchio da una distanza che, essendo scandita della presenza del mare tra loro, poteva essere definita “di sicurezza.”

TU…!!!” rincarò la dose il vice ammiraglio ricominciando a tremare pericolosamente stringendo spasmodicamente i pugni, ormai gonfi e pulsanti.

Dalla sua nave Shanks allargò il proprio sorriso, constatando quanto il vecchio non fosse cambiato: sembrava ricordarsi bene di lui, anche se questo pensiero non avrebbe dovuto rallegrarlo più di tanto.

“Lieto di vederti ancora in forma, Garp.” Disse per nulla turbato dal comportamento dell’alto.

Un ruggito simile a quello di un leone proruppe dalla gola del marine, facendo finire Hermeppo direttamente tra le braccia di Kobi, paralizzato anche lui per il terrore.

“FERMA LA TUA BAGNAROLA DANNATO MARMOCCHIO!!!”

Tutti sulla Red Force si portarono un dito alle orecchie, stappandosele, sospirando. A volte si chiedevano se Shanks nascondesse un lato masochista, specie Ben. Sapeva quanto il vecchio Garp fosse suscettibile e la scelta di non fermare la nave e procedere comunque a vele spiegate, senza però calcare troppo sulla velocità in modo tale da permettergli di scambiare qualche parola con il vice ammiraglio, poteva essere definita in un solo modo: completamente folle.

Il Rosso ridacchiò sotto i baffi, cercando in tutti i modi di trattenersi, anche se la cosa gli pareva piuttosto difficile, assistendo in prima fila alle espressioni esilaranti i Garp, imbufalito in quel momento più che mai.

“Mi piacerebbe fermarmi a fare quattro chiacchiere, Garp, ma vedi …” disse con tono innocente grattandosi il retro della propria chioma purpurea, simulando un imbarazzo che Yasopp avrebbe potuto scommetterci anche la vita, era fasullo come un pezzo d’alluminio dipinto di giallo spacciato per oro.

“Io e i ragazzi andiamo di fretta, sai, stiamo andando a fare una visitina al Vecchio Newgate.” Spiegò, aprendo poi gli occhi e sorridendo irriverente, indicando poi con fare furbesco la propria nave con un pollice della sua unica mano “Se vuoi puoi unirti a noi per il resto del viaggio.”

“GGGGGGGGHHHHHHNNNNFFFFF!!!!!” Fu la risposta imbestialita e sbuffata fuori dal naso del marine.

Quel marmocchio se la stava cercando: non solo si stava spudoratamente prendendo gioco di lui davanti a tutti i suoi subordinati, ma lo aveva anche invitato tra le righe a far parte della sua ciurma! LUI! Un MARINE!!

“MOCCIOSO SFRONTATO!!!! FERMA QUEL DANNATISSIMO PEZZO DI LEGNO E VEDRAI COME TI INSEGNERÒ COS’È LA DISCIPLINA!!!!”

A quelle parole tutta quanta l’adulta compostezza di Shanks si dissolse come una bolla di sapone e, come d’abitudine, la sua lingua fece capolino mostrandosi in una rumorosa smorfia infantile in direzione del più anziano.

Bleeeh! La disciplina e io non siamo mai andati d’accordo, nonnino. Ti conviene arrenderti.”

Per poco Ben non si piegò in due dalle risate come già stavano facendo Lucky e Yasopp sotto l’ombrellone, al riparo dal forte caldo al quale solo il loro capitano pareva resistere, mentre accanto a loro, ad occhi stralunati, Roid Brinata guardava completamente incredulo il modo di fare infantile del suo nuovo capitano.

Ma… ma come…?” balbettò allibito senza però riuscire a dare voce alle proprie parole, attirando su di sé non poche occhiataccie da parte degli altri pirati dell’equipaggio, che avrebbero preferito non dover percepire la sua presenza.

Ehm… ” mugugnò imbarazzato ed incerto sulla propria sorte l’ex-schiavista, decidendo di non esporsi troppo per tenere cara la pelle.

 “La prego, signore si calmi!” implorò Kobi al fianco del più anziano, non volendo neppure immaginare come il signor Garp avrebbe scaricato la rabbia non potendo mettere le mani sul diretto responsabile.

Hermeppo invece, vuoi per il caldo, vuoi per la fifa, si era premurato di dileguarsi zitto zitto il più lontano possibile dal vice ammiraglio.

Un ghigno intanto si era formato sotto i baffi grigi del marine, provocando nei suoi sottoposti un brivido lungo la schiena: conoscevano quell’espressione. Significava una cosa sola.

“Ehi, Shanks. Non credi di aver esagerato?” si fece avanti il vice capitano della Red Force, sotto lo sguardo attento di Roid, che non si perdeva silenziosamente nemmeno una battuta di quella strana conversazione.

Naaah. Va tutto secondo i miei piani, tranquillo.” Fece l’imperatore senza mai smettere di sorridere.

Ben inarcò un sopracciglio, dubbioso delle sue parole.

Tu, un piano?”

Neanche quando una palla di cannone si diresse fischiando direttamente verso di lui, Shanks smise di ridacchiare, scaricando prontamente una fitta quantità di haki sufficiente a far esplodere in aria il meteorite di metallo lanciato proprio dalle possenti mani di Garp.

“Visto? Niente di cui preoccuparsi.” Rincarò la dose il bel rosso visibilmente a cuor leggero.

“Vedo.” Rispose con non molto entusiasmo Ben, togliendosi dalla bocca la sigaretta non ancora accesa “E in che cosa consisterebbe questo tuo brillante piano?”

A rispondergli bastò un ghigno furbesco da parte del suo capitano, voltatosi verso di lui proprio mentre il suo haki faceva esplodere un altro paio di bombe scagliate da poco.

“Andiamo da Newgate, mi sembra ovvio.” Disse Shanks, assottigliando poi gli occhi in un sorriso “E il nonnetto ci viene dietro.”

Poco dopo, Ben diede l’ordine a mezzo equipaggio di mettersi ai remi, pregando tutte le divinità marine a lui conosciute che Shanks non finisse per esagerare come suo solito.

 

Atto 5, scena 2, Moby Dick

Una luce di pura determinazione passò sugli occhiali scuri di Betty, per un breve istante prima che, con gesto elegante e teatrale, allungasse una mano in avanti in segno di comando, elargendo un unico e semplice ordine che mandò nel panico Momo, nonostante non capisse il preciso significato di quelle parole.

“Prendetela!!” esclamò la donna.

Momo sbarrò gli occhi, nel vedersi in pochi secondi circondare da almeno una dozzina di infermiere che scattarono immediatamente su di lei, allungando le proprie mani smaltate (che a lei parvero più simile a zampe artigliate) nel tentativo di afferrarla.

La ragazza riuscì a sgusciare miracolosamente via dalle grinfie di tutte quelle donne, indubbiamente agili come delle leonesse, facendosi disperatamente strada sotto i tavoli della mensa, ormai quasi completamente vuoti.

I pochi presenti, tra cui proprio il capitano e i suoi cinque fidati comandanti, guardarono con malcelato divertimento quella specie di corsa ad ostacoli nella quale Momo si era buttata di sua spontanea volontà.

Ace si piegò all’indietro sullo schienale, mettendosi una mano sugli occhi per via del troppo ridere, tenendosi nel frattempo la pancia, ormai dolorante, mentre al suo fianco Satch, Marco, Jaws e Vista si appoggiavano con ben poca dignità sul ripiano del tavolo, soffocando come meglio potevano il divertimento ormai palese sui loro volti.

“Oddio! Non ce la faccio- ahah- no davvero, ditemi che non è vero!” biascicò senza ritegno il comandante della seconda flotta, passandosi una mano sulla fronte, lasciata scoperta dal cappello penzolante dietro la propria schiena.

Accanto a lui Satch tentò di rispondergli, ma dovette rinunciare non appena, con la coda dell’occhio intravide lo scricciolo sfuggire nuovamente alla presa di Carol, decisa più che mai come le altre a farle indossare quella divisa da infermiera che, con passaggi ben studiati, finiva nelle mani di chi si trovava più vicina alla naufraga, dando vita ad una specie di gioco della palla avvelenata dalla quale però Momo pareva non aver alcuna intenzione di partecipare, visto come scappava non appena si ritrovava di nuovo quel vestito rosa scollato e fatto su misura per lei.

I pirati di Barbabianca sapevano bene quanto Mindy, la più brava nei rammendi e negli aggiusti da sarta tra le infermiere, avesse speso su quella divisa, oggetto che riponeva tutte le loro speranze di vedere la piccola dispersa far parte del loro reparto.

Eeek!!”

Peccato che Momo non pareva essere della stessa opinione, a giudicare da come frenava ogni volta alla vista di quell’indumento.

Accanto a loro Edward Newgate faceva di tutto per non cacciare una delle sue colossali risate, ma sembrava ormai al limite della sopportazione.

Le loro sofferenze furono fortunatamente interrotte tuttavia da quella che pareva essere, finalmente, una conclusione a quella corsa sfrenata che aveva fatto da spettacolo a buona parte di loro: la naufraga si era improvvisamente accerchiata  da tutti i lati, senza possibilità di scampo e, per quanto facesse scattare febbrilmente gli occhi sotto tutti i tavoli a lei prossimi, finiva sempre per notare un paio di stivaletti leopardati ben piantati a terra.

Dall’angolo dell’occhio sinistro della ragazza fece capolino una lacrimuccia.

Insomma!  scoppiò inaspettatamente, scuotendo le braccia con fare impaziente, parlando nella sua incomprensibile lingua, lasciando di stucco le infermiere “Non la voglio mettere quella roba! Capito?! No! No e ancora no!!

“Povero scricciolo.” Su si sentì in dovere di dire Satch, ghignando con il suo tipico modo di fare scherzoso ed ottimista, attirando su di sé un’occhiataccia molto eloquente da parte di Ace. Sembrava che di recente il moro non gradisse quel nomignolo. Eppure non era da poco che aveva cominciato ad usarlo.

Azzardò ad un sorriso nei confronti del fratellino, ricevendo però in risposta solo un ringhio sommesso.

Il comandante in quarta sospirò a quella reazione, alzando le mani e lo sguardo verso l’alto per sott’intendere con non aveva detto nulla di male, continuando tuttavia a sorridere imperterrito, mentre con la coda dell’occhio vide Vista alzarsi per soccorrere la ragazza, da bravo gentiluomo.

Il comandante dai lunghi baffi non fece però in tempo a compiere due passi, che già Momo sbalordì sia loro che il resto della ciurma, aggirando con un paio di mosse l’attacco simultaneo di due donne più grandi per poi salire il più in fretta possibile su un tavolo e scavalcarlo, uscendo così dall’accerchiamento nel quale era caduta pochi istanti prima.

All’inaspettato risvolto della situazione alcuni fischi di incoraggiamento si levarono dai tavoli, diretti alla ragazza che stava dando il meglio di sé nonostante i larghi e scomodi vestiti di Marco le impacciassero in modo considerevole i movimenti.

“Vai Momo! Seminale!! Coraggio!!” scattò in avanti Ace con un braccio, esaltato manco stesse assistendo ad una corsa di cavalli. Accanto a lui Marco lo guardò sorridendo, tornando successivamente ad osservare la corsa sfrenata della naufraga.

Erano passati pochi minuti da quando avevano accompagnato Momo nella deserta sala mensa, essendo ormai l’ora di pranzo passata da un pezzo, eppure, nonostante la situazione pareva essersi alleggerita di parecchio, non riusciva a non pensare a quella stranissima luce che aveva visto pulsare sotto la pelle della ragazza.

Poi il suo nome urlato come una nota musicale neanche ventiquattr’ore prima, l’apparizione di un Re dei mari fuori dal proprio territorio … Tutti quegli episodi fuori dall’ordinario, anche per una ciurma come la loro, sembravano collegarsi ad una sola persona: Momo.

Il biondo poggiò il mento sulla mano, strofinandoselo appena con il palmo, avvertendo appena lo strato di ruvida barbetta che lo ricopriva. Ai suoi occhi, quella ragazza, che correva a perdifiato evitando ad ogni passo di incappare in un assalto delle infermiere, non sembrava nulla di speciale. Il suo aspetto era assolutamente normale, tuttavia…

I suoi occhi azzurri si assottigliarono impercettibilmente.

C’era qualcosa che lo lasciava perplesso.

Era stato un bene che lui ed Ace si fossero premurati poco prima di informare il babbo di quello che le avevano visto fare davanti all’infermeria. Si poteva dire che quella notizia aveva risollevato il buonumore dell’imperatore, facendogli pregustare non solo una nuova avventura, ma anche un nuovo componente da aggiungere alla famiglia.

Già, perché che Edward Newgate finisse sempre per adottare qualunque individuo gli ispirasse simpatia e forza di volontà non era affatto un mistero e quella ragazzina, per quanto indifesa e debole all’apparenza non faceva eccezione.

“Ehi, Marco. Tu che fai? Non tifi per la tua pupilla?”

La voce di Ace lo riscosse, facendolo sbuffare da una parte. Era mai possibile che non riuscisse a fare il serio per più di dieci minuti?

Aaah.” Aggiunse subito dopo il moro, sorridendo malizioso, facendo scintillare i proprio occhi neri con malizia “Ho capito!”

Un braccio muscoloso dell’altro gli circondò le spalle, scrollandolo con non molta delicatezza.

“Tu speri nella vittoria delle infermiere! Eh, sporcaccione?”

La Fenice avrebbe ben volentieri sferrato una gomitata nello stomaco del fratellino in risposta, ma si ritrovò a prestare nuovamente attenzione al centro della stanza, dove Momo si stava dirigendo a grande velocità in direzione del babbo, sempre seguita dalla mandria inferocita di infermiere.

Atto 5, scena 3, Arioso dello scricciolo contro i gatti

Mi gettai a capofitto tra i piedi del capitano, aggrappandomi con disperazione ai suoi pantaloni, respirando pesantemente per la lunga corsa.

Poco importava che fino a poche ora prima non mi sarei neppure lontanamente sognata di fare una cosa del genere. Cavoli, c’era la mia dignità in ballo! Di certo sapevo poco su di me, ma di una cosa era certa:  non mi sarei mai messa negli stessi succinti panni delle infermiere!

Mai e poi mai!

Cercai di riprendere fiato, notando con mia immensa gioia che le infermiere si erano fermate, stupite del mio gesto, mentre le mie mani afferravano con più convinzione l’enorme caviglia del capitano.

Quella che mi aveva spinto a cercare rifugio proprio dall’ultima persona che mi sarei mai immaginata era stata un’idea dettata dalla disperazione, ma infinitamente sensata in fin dei conti.

Del resto quel gigantone non mi aveva mai fatto nulla di male e, essendo fino a prova contraria la persona con più autorità sulla nave, avrebbe potuto in qualche modo sbrogliarmi da quella situazione di stallo.

Alzai gli occhi, assumendo la faccia più disperata e supplichevole che riuscii a racimolare dal più profondo del cuore, incontrando così gli occhi stupiti ed ancora un poco sbigottiti dell’enorme uomo dagli strani baffi.

“Signor capitano…!” esclamai  interrompendomi a causa del fiatone che sembrava non volersi decidere ad abbandonarmi “La prego,… mi aiuti!... Non ce la faccio più … a correre!” conclusi, poggiando poi sfinita la fronte sul tessuto ruvido dei suoi pantaloni, sperando in cuor mio che fosse riuscito a comprendere almeno a grandi linee il senso delle mie parole. 

Non avevo neppure la forza di spaventarmi, nemmeno quando sentii la risata cavernosa del gigante perforarmi da parte a parte come una lancia. Sentii altre voci, più vicine, raggiungere le mie orecchie confuse, ma chiaramente divertite.

A quanto pareva il mio comportamento era stato di loro gradimento, anche se io avrei volentieri fatto a meno di assumere il ruolo di pagliaccio della nave.

Vidi con la coda dell’occhio Penelope avvicinarsi quatta quatta sorridendo angelica come suo solito e io di tutta risposta mi aggrappai ancor di più alla caviglia del capitano, aderendo completamente con il corpo ai suoi pantaloni e sorreggendomi sia con le braccia che con le gambe, gonfiando le guance per farle capire che ero arrabbiata con lei. Non mi aspettavo che anche lei si mettesse a rincorrermi per farmi mettere quel vestito osceno.

Un gocciolone apparve sulla testa bionda dell’infermiera, seguita da un’espressione ferita. Oh no, cavolo, no, la faccia da innocente pentita non riuscivo a reggerla! Serrai gli occhi per non incontrare il volto supplicante di perdono di Penelope ed evitare così il senso di colpa che minacciava di assalirmi lo stomaco da un momento all’altro.

Poi sentii qualcosa afferrarmi per la vita, tirandomi via dalla caviglia del capitano in un attimo. Sbarrai gli occhi, voltandomi sorpresa, incontrando un viso sorridente costellato di lentiggini e incorniciato da un chioma di capelli ondulati e neri come gli occhi.

Saa, Momo-chan. Watashi-tachi wa fune ni notte iku?” il sorriso di Ace mi lasciò alquanto perplessa. Non sapevo che cosa mi avesse chiesto e per un attimo mi venne il dubbio che mi stesse portando tra le braccia del nemico rosa, ma, quando mi accorsi che mi stava trasportando in braccio verso l’uscita della mensa, mi dovetti ricredere.

Mi voltai in direzione di Marco, incontrando il suo sguardo, desiderando quasi di chiedergli che cosa stesse succedendo.

Ma prima che potessi anche solo cambiare idea sulle mie intenzioni uscimmo completamente dalla mensa ed Ace mi posò nuovamente a terra, cominciando a camminare incitandomi con una mano delicatamente poggiata sul mio braccio a seguirlo.

Dove stavamo andando?

 

Atto 5, scena 4

Satch scoccò un’occhiatina divertita verso Marco, improvvisamente rabbuiatosi in volto non appena Momo era scomparsa dalla porta accompagnata da Ace. Il suo sorriso si allargò ancora di più, capendo quello che si nascondeva dietro quell’espressione appena turbata da un’ombra di delusione: il suo fratellino aveva una cotta.

 Non era difficile capirlo: era da quando lo scricciolo aveva spiccicato il suo primo ringraziamento nei suoi confronti che Marco aveva cominciato a guardarla in maniera diversa. Se all’inizio il comportamento della Fenice verso la naufraga era stato guidato da una gentilezza di circostanza, in quel momento era più che mai evidente quanto stesse velocemente diventando una gelosia di , per così dire, primo stadio, talmente leggera da passare inosservata anche dallo stesso biondo .

Il comandante in quarta sospirò: era certo che Marco non si fosse ancora accorto di tutto quello che invece lui era riuscito a cogliere nei suoi gesti più recenti, e anche se avesse tentato di farglielo notare non avrebbe ottenuto granché. Marco era certamente il più ragionevole tra i suoi fratelli, ma sapeva anche essere più cocciuto di un mulo, quando ci si metteva.

 Tanto valeva punzecchiarlo e lasciare che gli eventi si sviluppassero da soli, tuttavia… Nella mente di Satch tornò alla mente l’occhiataccia che Ace gli aveva rivolto quando aveva chiamato Momo “scricciolo” e il solo ricordo fece sfumare un po’ il sorriso che si era stampato in faccia poco prima.

“Cavoli.” Sussurrò, accorgendosi che la situazione era più complicata del previsto.

“Uhm? Hai detto qualcosa Satch?” gli chiese Vista, sedutosi nuovamente alla sua sinistra dopo essere ritornato dal suo tentativo a vuoto di salvare la piccola Momo.

Lui non reagì subito, osservando prima il vuoto davanti a sé, poi, scoccando un’occhiata fugace a Marco, ancora perso nelle proprie pene d’amore, ritornò a sorridere come nulla fosse successo.

“Niente, niente. Stavo solo pensando che presto avremo qualcosa di cui parlare, fratellini.” Concluse, lasciando di stucco sia Jaws che Vista.

 

Atto 5, scena 5

Allora…” mormorò Ace, grattandosi la testa da sotto il cappello con fare pensieroso, mentre con una mano accompagnava Momo sul ponte della nave “… da dove cominciamo?” disse infine lanciando un’occhiatina alla ragazza che, ancora confusa da quella situazione, lo guardava ad occhioni spalancati, cercando di capire cosa mai avesse intenzione di fare.

Alla vista di quel faccino, il volto di Ace si aprì istintivamente in un ghigno birichino che fece preoccupare un poco Momo, indecisa se darsela a gambe o meno.

Non le andava proprio di venire strapazzata un’altra volta da quel moro e l’idea di andarsi a rifugiare nuovamente accanto all’imponente figura del capitano era sempre più allettante man mano che il volto di Ace si… avvicinava al suo?!

Il naso di Ace arrivò a stuzzicare con la propria punta quello di Momo, rossa in viso come un pomodoro e rigida come un pezzo di legno, fermandosi lì per un attimo per poi ritrarsi di scatto, lasciando che il moro potesse godersi la vista della ragazza completamente persa nel più completo imbarazzo.

Ace guardò Momo balbettare qualcosa a mezza voce con labbra tremanti, ridacchiando poi a quella scena mentre si abbassava appena il cappello sul viso. Sembrava una fragolina tanto era arrossita.

Il comandante in seconda serrò le labbra, cercando di non scoppiare in una risatina che sarebbe potuta apparire offensiva all’altra, anche se la tentazione era molto forte. Ma, d’altra parte non era per prendere in giro Momo che si era offerto di farle compagnia per il resto della giornata: dovevano ancora fare il giro turistico a cui Betty lo aveva costretto, anche se in quel momento non ne era affatto dispiaciuto.

Avrebbe  avuto tutto il tempo del mondo per rimediare alle sue ultime gaffe con la piccola, specie quella derivata dal loro primo faccia a faccia, date le proporzioni della nave. D’altra parte però la scelta da dove cominciare il giro era ardua: avrebbe rischiato di farla annoiare se avesse cominciato a mostrarle le cose più interessanti e poi i ponti che stavano più in basso.

Ci ragionò un po’ su: la stiva era completamente fuori discussione, troppo in basso e troppo fredda (per non parlare di troppo vicina all’acqua); gli alloggi dei più bassi di grado nemmeno, quegli allupati erano messi peggio di lui in fatto di astinenza ed era già tanto che riuscissero ad annusare anche solo da lontano le infermiere del babbo; la mensa già la conosceva; l’infermeria pure, mmmh, magari…

D’improvviso un’idea gli balenò in testa, facendolo di nuovo sorridere sornione.

Trovato.

“Ok, Momo. Andiamo.” Disse dirigendosi verso un punto preciso della grande imbarcazione, spingendo in avanti il più delicatamente possibile la ragazza che ancora lo guardava dubbiosa.

 

Atto 5, scena 6

Negli immensi ed intricati corridoi della Moby Dick, studiati e costruiti appositamente per consentire il passaggio della mastodontica presenza del capitano Edward Newgate, Marshall D. Teach marciava a passo spedito, ridacchiando a mascelle serrate, facendo mostra della sua putrida ed irregolare dentatura con più convinzione del solito, facendo rabbrividire non di poco i più giovani membri dell’equipaggio che notarono quell’inquietante ed appena percettibile cambiamento.

Tutti sulla nave rispettavano Teach, non solo per l’età e per la distinta abilità con la quale si muoveva in battaglia, simile a quello di un serpente che evita gli ostacoli più piccoli per poi puntare dritto sulla preda nel modo più sicuro possibile, ma anche per il modo in cui era in grado di cambiare radicalmente umore da un secondo all’altro. Molte volte, all’insaputa del babbo, Teach Barbanera non aveva esitato a dar sfoggio della parte peggiore di sé ai membri più inesperti dell’equipaggio, finendo per mandare tra le braccia di Betty e Penelope gran parte dei suoi fratelli con un braccio spezzato a causa di una parolina di troppo.

L’uomo in fondo non si preoccupava di questi piccoli incidenti che il suo carattere a volte provocava. Non era poi tanto strano che qualcuno della ciurma si recasse piagnucolante dalle infermiere e poi nessuno di loro si era mai lamentato dopo essere usciti da quella piccola fetta di paradiso che prendeva il nome di “Reparto Ricovero”.

Si poteva anche dire che la sua era una buona azione, no?

In ogni caso, quello che faceva sorridere in modo così sguaiato Teach non aveva nulla a che vedere con uno dei suoi temibili sbalzi di umore, né tantomeno con l’equipe infermieristica del babbo, bensì con qualcosa di più succulento ed allettante.

La porta della sua piccola cabina gli si richiuse alle spalle con un cigolio appena pronunciato, mentre con ben poca eleganza si lasciava cadere sulla branda, afferrando al volo un piccolo volumetto seminascosto tra i pochi e grossi libri che occupavano disordinatamente lo scaffale a muro mal sistemato sulla parete in legno.

Era un taccuino rosso e pieno di fogli volanti che sporgevano fuori, minacciando di svolazzare allegramente per la stanza da un momento all’altro.

La mano tozza e scura del pirata spalancò con gesto secco il povero libricino proprio dove la sua mente aveva puntato con il pensiero ed i suoi occhi stralunati lampeggiarono di una strana luce mentre scorrevano su quelle parole confuse e veloci scritte di propria mano tempo addietro.

Una risata scivolò sommessa tra i denti, riempiendo la stanza con quel suono minaccioso che prometteva tutto fuorché qualcosa di buono.

Finalmente ne aveva trovata una. Non avrebbe mai creduto di incappare in una di quelle creature in modo così semplice e dire che l’isola dove risiedevano era sconosciuta persino alla Marina. Osservò con fare maniacale ancora un paio di volte gli appunti che era riuscito a su rischio e pericolo a raccogliere su quelle straordinarie creature che aveva cercato più e più volte nel corso della sua vita, ma solo per rinunciarvi dopo aver puntato sul frutto del diavolo da lui cercato.

Il suo ghigno si allargò se possibile ancor più di prima.

No. A questo punto non avrebbe avuto senso cercare un frutto del diavolo. Non con quella piccola fortuna capitata a bordo. Quasi gli scappò da ridere ancora più forte al pensiero che nessuno a parte lui era a conoscenza delle vere capacità di quella ragazzina dall’aria sperduta coccolata dalle infermiere.

Nemmeno quello stupido di Newgate era riuscito a capire la sua vera natura, nemmeno dopo gli ultimi avvenimenti. Ma lui sì.

Gli indizi fin’ora raccolti erano inequivocabili e non lasciavano alcun dubbio.

Ora non gli serviva altro che acchiapparla e procedere con il suo piano. Rilesse ancora una volta le ultime tre righe dei suoi appunti.

“ … Notturne. Vivono di notte al centro dell’isola. Piante come difesa (??). Di giorno se sveglie non escono mai allo scoperto a causa della forte luce del sole e dei predatori.  Linguaggio sconosciuto. Basato su suoni polifonici melodici. Amano la musica. La notte dà loro sollievo fisico e mentale. Sono attirate dalle stelle. …”

Alcune parti di quelle informazioni non gli erano mai state chiare, ma una cosa la capiva: doveva agire di notte.

Ridacchiò ancora una volta, leccandosi oscenamente le labbra  al pensiero dell’immenso potere che si sarebbe presto procurato. Nessuno lo avrebbe sconfitto, né deriso. Nessuno.

Nemmeno Barbabianca.

Sarebbe stato temuto dal mondo intero.

 

Atto 5, scena 7, Arioso al tramonto

Ero sollevata che Ace mi stesse solamente facendo vedere la nave, ma questo non toglieva il fatto che ero arrabbiata. Le mie guance erano gonfie già da un po’ a causa della stizza che il ricordo del suo comportamento di poco prima mi provocava.

Pazzesco. Aveva strofinato il suo naso con il mio! E io come una scema ero rimasta immobile come un pesce lesso! Mi veniva quasi da piangere. Possibile che quel ragazzo non facesse altro che farmi accumulare figuracce su figuracce?

Però, pensai sentendomi la punta del naso prudere dolcemente e io me la strofinai, sentendolo leggermente caldo. E di nuovo mi sentii intorpidita. Che cosa mi succedeva?

Mi riscossi solo dopo che il mio viso scontrò la schiena tatuata di Ace, fermatosi all’improvviso davanti a me, facendomi lanciare un grugnito di disappunto.

“Perché ti sei fermato?” dissi inutilmente, vedendolo solo voltarsi sorridendo come suo solito.

No, no. Niente sorrisetti.

 Per favore. L’ultimo sorrisino che mi aveva fatto era stato succeduto da uno scherzo di pessimo gusto in lavanderia. Al solo ripensarci mi veniva la pelle d’oca. Ma che senso aveva sventolarmi sotto il naso i calzoni sporchi di almeno mezzo equipaggio?!

 Soltanto il ricordo di tutto quel fetore mi faceva venire la nausea.

Purtroppo però la sua espressione ebete non sparì, anzi, si accentuò mentre io indietreggiavo intimorita.

Ima, sugu hairaito wa shite imasu!” Lo seniti dire per poi scattare in un istante su di me circondandomi con un braccio la vita. Arrossii violentemente mentre mi sentii tirare contro il suo petto. “Koko ni kite.

M-ma… che fai?” balbettai cercando di ribellarmi alla sua presa, ma fu tutto inutile e poco dopo mi ritrovai appesa al suo braccio, mentre lui si arrampicava sulle sartie della nave.

Mi veniva da piangere doppiamente. Pregai che Marco o Penelope venissero a salvarmi, altrimenti sarei morta d’infarto con quello scemo che faceva finta di farmi cadere ad ogni metro, ridendo di gusto alle mie esclamazioni terrorizzate.

“Giuro che se mai imparerò la tua lingua ti farò rimpiangere questi momenti!” borbottai sentendomi stranamente incline alla vendetta.

Già, imparare la lingua. Di colpo mi rabbuiai, imbronciandomi. Come avrei fatto ad imparare la lingua se non parlavo con Marco? Non potevo certo cambiare insegnante, si sarebbe offeso, ma il pensiero di lasciar uscire ancora una volta quegli strani suoni dalla gola mi mettevano una strana ansia addosso. Avevo il presentimento che non sarebbe stata una buona cosa lasciarmi sfuggire un altro i quei versi, almeno non ancora.

Mi mordicchiai il labbro inferiore, presa da una strana, stranissima urgenza che mi puntellava il petto: volevo parlare con Marco, lo volevo davvero.

Saa tsui ta zo.

Sentii Ace appoggiarmi delicatamente su qualcosa di solido. Finalmente, pensai, non ce la facevo più a penzolare con braccia e gambe sospese nel vuoto.

Sospirai sollevata come non mai per poi scoccare un’occhiataccia significativa ad Ace che, intuito quello che gli avrei tanto voluto dire, sorrise nervosamente strofinandosi il retro del collo, mentre biascicava qualcosa che sperai, per il suo bene, fossero delle parole di scusa.

De, akachan kite! Watashi wa koko o motarashi ta riyū ima watashi wa anata o shōkai shimasu.Saa.

Mi posò una mano sulla spalla spingendomi da una parte e fu in quel momento che mi accorsi di dove ci trovavamo: eravamo sulla vedetta più alta della nave. Non appena il mio cervello riuscì a realizzare la situazione, mi voltai verso di lui a bocca spalancata, cominciando seriamente a temere il peggio.

Che voleva fare? Prendermi in braccio e buttarsi insieme a me nel vuoto, giusto per farmi tirare definitivamente le cuoia. Sapevo che non ci saremmo fatti male, visto che, durante la fuga dall’enorme serpentone nero dell’altro giorno, Ace mi aveva dimostrato di avere un’agilità fuori dal comune. 

Ma questo non toglieva il fatto che avevo una paura tremenda!

Mi misi subito sulla difensiva, guardandolo sospettosa, mentre con le mani mi assicuravo all’albero maestro dietro di me, ma lui non fece altro che ridacchiare e, dopo essersi seduto tranquillamente accanto a me, mi indicò con una mano un punto imprecisato all’orizzonte.

Ancora un po’ indecisa se fidarmi o meno, lo studiai ancora per qualche istante per poi finalmente seguire la direzione indicatami.

Rimasi di sasso e di getto dalla mia bocca socchiusa proruppe un ‘esclamazione di puro stupore che fece sorridere ancora di più Ace.

Davanti a me il cielo era completamente ricoperto di rosso. Non mi ero accorta che fosse arrivata la sera e vedere il cielo così colorato e ricco di sfumature mi lasciò completamente sbalordita.

Non avevo mai visto uno spettacolo simile. Ne ero certa. In tutta la mia vita, anche se non me ne ricordavo, non mi era mai capitato di assistere ad una cosa tanto bella. Il sole brillava all’orizzonte diviso a metà dalla linea del mare e la volta celeste si era tinta di rosso, arancione rosa, giallo viola e blu, sfumandosi in colorazioni sempre più fredde man mano che si allontanava da quel cerchio luminoso.

Non mi accorsi di essermi seduta anche io accanto ad Ace, né del fatto che mi stesse osservando. In quel momento per me esisteva solamente il rumore delle onde che si abbattevano lontane contro la chiglia della nave, le voci melodiche ed echeggianti dei gabbiani in lontananza, il flebile ondeggiare dell’imbarcazione, la sensazione del vento serale che mi accarezzava dolcemente le guance, rinfrescandole appena.

Mi sembrava un miracolo poter assistere una cosa simile e avrei tanto voluto che non finisse mai.

Fu però la mano di Ace a rompere quell’incantesimo, scuotendomi leggermente la spalla per farmi svegliare dal mio stato di contemplazione.

Lo vidi osservarmi con un sorriso intenerito, prima che mi scompigliasse delicatamente i capelli, scendendo poi ad asciugarmi le guance.

Solo allora mi accorsi di essermi messa a piangere senza rendermene conto.

Mi voltai da una parte di scatto, pulendomi da sola il viso dalle ultime tracce del mio pianto. Che figuraccia. Oltretutto, là dove Ace aveva passato le dita accarezzandomi appena le guance, era rimasta una strana scia, una sensazione di calore che mi solleticava ancora il viso, facendolo arrossire appena.

“Ma perché sono sempre così scema?” sussurrai tra me e me, per poi sentirmi sollevare e trasportare accanto a basso parapetto della vedetta.

Ok, ima wareware ga iku!” disse con il solito sorrisetto malandrino ricomparso sul suo viso per poi lasciarsi cadere nel vuoto insieme a me. Feci uno sforzo a dir poco sovrumano per non urlare, mentre mi aggrappavo con forza al suo collo.

Una cosa era certa: quella era l’ultima volta che mi fidavo di Ace! L’ultima!

 

Atto 5, scena 8 

Marco non era mai stato un tipo apprensivo.

Era più che altro uno di quei ragazzi calmi che vivono e lasciano vivere, senza mai mettersi ad assillare i compagni di viaggio a meno che la situazione non fosse tanto insostenibile da richiedere un minimo di disciplina. Erano in molti sulla nave a tessere le sue lodi, sottolineando l’assoluta calma ed imparzialità che adottava in ogni situazione, senza mai fare né preferenze né scenate di alcun genere.

Non per nulla era il comandante della prima flotta. In sostanza era un tipo riflessivo, dedito più ai libri ed agli scacchi che alle scaramucce controproducenti nelle quali alcuni della sua ciurma si gettavano a capofitto come dei bambini ansiosi di portare a casa qualche livido o cicatrice come trofeo.

Eppure in quel momento, Marco, si sentiva in dovere di fare tutto fuorché riflettere. Specie dopo aver visto Ace atterrare incolume sul ponte della nave con una Momo tremante e spaventatissima tra le braccia.

Gli ci volle non poca parte del suo encomiabile autocontrollo per sopprimere l’istinto di prendere il fratellino per la calotta ed appenderlo alle sartie della nave.

Possibile che quel Portuguese non ne combinasse una giusta?!

E dire che era semplicemente venuto a controllare se il giro della nave fosse terminato! Invece che cosa si ritrovava?

Momo spaventata e tremante come un gattino a cui avevano pestato ingiustamente la coda, tenuta stretta da Ace con un bel ghigno malandrino stampato in faccia.

Il biondo sospirò esasperato, massaggiandosi gli occhi con due dita: aveva deciso di cercare di parlare con Momo prima di cena, ma, date le circostanze, l’impresa si sarebbe dimostrata più ardua del previsto.

E chi doveva ringraziare? Ace, ovviamente.

Si avvicinò a passo calmo verso i due, attirando così l’attenzione del fratellino che, appena lo vide, sbiancò letteralmente, bloccando i suoi tentativi di calmare la ragazza, ancora stretta al suo collo.

Oh…” disse, cominciando a sudare freddo “… ciao, Marco.”

Quelle parole fecero smettere istantaneamente di tremare Momo, che, al suono del nome del biondo, si era voltata ad occhi spalancati, oltre la spalla del moro.

La Fenice inarcò un sopracciglio, facendogli intendere che non se la sarebbe cavata così a buon mercato.

“Posso spiegare.” Fu la debole giustificazione di Pugno di fuoco, mentre la naufraga scivolava via da lui.

Di nuovo Marco gli lanciò un’occhiata sbieca, mentre si premurava di controllare con la coda dell’occhio le mosse di Momo, ora voltata di spalle rispetto a lui. Quella vista gli diede una brutta fitta allo stomaco che si costrinse a non ascoltare, continuando a tenere sotto torchio Ace.

“E che cosa, c’è da spiegare?” chiese ironicamente alzando gli occhi al cielo che si stava imbrunendo sopra le loro teste “Io ti ho semplicemente visto scendere dalla vedetta dell’albero maestro con il preciso intento di far spaventare Momo.”

“Ma no! No! Che dici!” scosse vigorosamente la testa Ace, agitando le mani in avanti “Io volevo solo farla divertire! Non credevo che si sarebbe spaventata così tanto da- …”

“Avvinghiarsi a te come una piovra?” terminò con tono quasi acido il biondo, sfidandolo con gli occhi a smentire.

A rispondergli bastò il sorriso imbarazzato del moro, colto in fallo. Eh, poteva farla a chiunque, ma non a Marco.

“E poi sarei io lo sporcaccione.” Aggiunse con uno sbuffo Marco, riferendosi alla battuta rivoltagli poche ore prima dal fratello. I suoi occhi azzurri si posarono sulla schiena di Momo, ancora rivolta verso di lui.

La osservò tristemente, indeciso se tentare o meno di parlarle, ma alla fine decise che tanto valeva provarci, almeno per capire che cosa mai spingesse la ragazza ad evitarlo.

Incrociò gli occhi color onice di Ace.

“Vorrei provare a parlare con Momo, ti dispiace?” chiese, ottenendo, dopo un paio di lunghissimi secondi, un segno di assenso da parte del moro.

Quando Ace fu scomparso dalla porta che conduceva alla sottocoperta, Marco si rivolse verso la ragazza, ora intenta ad osservarla confusa dalla nuova situazione creatasi.

Sospirò chiudendo gli occhi, evitando così di incrociare direttamente lo sguardo di Momo.

“Stai bene?” cominciò, avvicinandosi di un passo a lei, constatando con suo grande sollievo, che non cercò di allontanarsi in alcun modo, nonostante pareva più che decisa a non rispondergli: non era spaventata da lui dunque.

Bene, pensò sorridendo appena a quella constatazione, almeno non era lui il motivo di quell’improvviso mutismo nei suoi confronti.

Momo intanto si era ormai completamente girata verso di lui, scrutandolo in aspettativa, mentre si torturava con le mani l’orlo dell’enorme camicia che le aveva prestato.

Doveva ammettere che non le stava male, anche se era decisamente troppo larga rispetto al suo corpicino esile e non ancora ripresosi dal digiuno del suo naufragio.

In effetti mangiava davvero poco.

Un’idea lo sorprese di punto in bianco.

“Aspetta qui.” Disse indicandole il ponte con un dito per farle capire di aspettarlo e lei parve capire, vistosil segno di assenso che gli rivolse con la testa.

Dopo essersi lasciato alle spalle la porta del ponte, Marco affrettò il passo, dirigendosi verso la mensa della nave. Avrebbe usato il cibo per passare un po’ di tempo con lei, così da riuscire a capire quello che stava succedendo e magari anche scoprire qualcosa di più sulle sue strane capacità che avevano tanto esaltato il babbo, quanto preoccupato lui.

 

Fine Atto Quinto.

Eccomi qua! Mi dispiace per il leggero ritardo =3 sono stata un po’ impegnata di recente che sto cercando di dare una spintarella anche a Nanaban Hana che proprio non riesco a continuare se non a pezzi piccolissimi. Aaargh. Sto impazzendo. Dopo questo capitolo mi metterò sopra NH e cercherò di pubblicare i capitoli di entrambe le ff in alternanza. E non si può continuare così!

Oook. Finito lo sclero. Ora passiamo a KnA! Rispondo ad una domandina che mi è stata posta da una di voi. Io conosco giusto un po’ di giapponese e lo studio da autodidatta, quindi si può dire che conosco discretamente la lingua, almeno le frasi più comuni, per le altre a volte mi devo aiutare con traduttori automatici e il libro di grammatica.

Spero che abbiate gradito l’inserimento delle Note di Libretto! ^^

L’ho inserito anche alla fine dei capitoli precedenti! Sempre per servirvi (inchino).

Allora. Parlando dell’atto: che dite sono riuscita a non essere monotona? Nel prossimo capitolo ne vedremo delle belle! Infatti vi anticipo un incontro tra Momo e lo schiavista str- Roid.

E qui si incentra la prossima domanda!

Momo come reagirà alla vista di Roid? (ricorderà? Non ricorderà? Scapperà? Altro?)

E dopo questo aggiungo un’altra domandina meno importante (>_> see come no, sono sicura mi lincerete):

Marco ruscirà a parlare con la piccola o finirà con un nulla di fatto?

E qui vi lascio alle vostre recensioni costruttive!

Popolo! Votate! XD

Kiss kiss.

Note di LIBRETTO: Jap  >  Ita

Saa, Momo-chan. Watashi-tachi wa fune ni notte iku?  > Allora Momo. Andiamo a fare un giretto per la nave?

Ima, sugu hairaito wa shite imasu.  >  Ed ora il pezzo forte.

Koko ni kite.  >  Su vieni qui.

Saa tsui ta zo  >  Eccoci qua.

De, akachan kite! Watashi wa koko o motarashi ta riyū ima watashi wa anata o shōkai shimasu.Saa.  >  Eddai, piccola. Ora ti faccio vedere perchè ti ho portato qui.

Ok, ima wareware ga iku!  > Ok, adesso scendiamo!

 

   
 
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