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Autore: Niglia    24/05/2010    4 recensioni
Giappone, XXI secolo.
Nicole Lacroix, giovane ragazza francese trasferitasi a Tokio a causa del lavoro del padre, trova un curioso e antico pozzo nella cantina della sua casa, tappato con delle assi di legno ormai marce: queste non servono più a niente, dato che una creatura dotata di una forza sovrumana è fuoriuscita dal pozzo, trascinando la ragazza al suo interno... Ma ciò che Nicole non sa è che tutto è colpa della piccola sfera di cristallo regalatale dal padre alla vigilia del suo diciannovesimo compleanno.
Ambientato tre anni dopo la distruzione di Naraku, Nicole si ritrova nell'Epoca Sengoku, senza avere la minima idea di come esserci arrivata. Tuttavia, non sarà sola...
[dal Prologo] "Con molta cautela allungai la mano sopra la sfera, avvicinandola piano all'altezza del viso... E a quel punto udii come un cuore che batteva al suo interno, proprio dentro la Sfera. Allontanai subito il volto da essa, spaventata, osservandola come se mi aspettassi che esplodesse da un momento all'altro."
Genere: Drammatico, Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio, Sesshoumaru
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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難 し い 決 断 と 奇 妙 な 発 見
- Muzukashii ketsudan to kimyōna hakken -





























Casa. Ero davvero a casa mia.

Non credevo che avrei mai provato un affetto così smisurato nei confronti del mio inquinato e caotico ventunesimo secolo, ma non appena i miei piedi sfiorarono nuovamente il marciapiede, o l’asfalto della strada, provai una nostalgia che non avevo mai avuto modo di sentire.

Gli alti grattacieli, le automobili che sfrecciavano a grandi velocità, i gruppetti di giovani studenti delle medie, rigorosamente in divisa, che ridevano o si lamentavano dei troppi compiti, non mi ero mai resa conto di quanto tutto questo avrebbe potuto mancarmi, un giorno. Potevo camminare in mezzo alla gente senza che questa mi fissasse con sguardi spaventati o con l’intenzione di aggredirmi per i miei caratteri stranieri e il mio accento ridicolo, e soprattutto senza il timore che un demone alto tre metri potesse uscire da dietro un cespuglio con il desiderio di uccidermi.

In fondo Kagome aveva visto giusto… Dubitavo che sarei tornata dall’altra parte del pozzo, ora che finalmente mi ero riappropriata del mio mondo.

Oh, già. Il pensiero della mia nuova e strana amica – di cui, tra l’altro, indossavo gli abiti in quel preciso momento – mi fece per un attimo fermare in mezzo alla strada, pensierosa. Probabilmente non l’avrei mai più rivista, dato che la ragazza sembrava trascorrere molto più tempo nell’epoca Sengoku che non nella nostra; così come non avrei più visto Inuyasha, Sango, Miroku, l’anziana Kaede… La piccola Rin…

Accidenti! Ero a casa da neppure due ore e già mi mancavano? Che stupida… E cos’era quello strano pizzicore agli occhi, poi? Coraggio, Nicole, riprenditi!

Dopo aver preso due autobus e un treno, arrivai finalmente alla stazione del mio quartiere, e mi incamminai quasi ad occhi chiusi verso casa mia. Era un edificio antico, di inizio Novecento, e si notava da lontano, perciò non era difficile da trovare: inoltre, percorrevo quella strada tutti i giorni al rientro da scuola e la conoscevo come le mie tasche, cosa che invece non si poteva dire dell’epoca medievale che mi aveva ospitato fino a quella mattina.

Non appena varcai l’imponente cancello in ferro battuto, mi accorsi che la macchina di mio padre non c’era, segno che doveva essere in giro – forse a lavoro, molto probabilmente. Non avevo le chiavi, ma sapevo che Hiromi-san ne lasciava una copia sotto il pesante vaso d’argilla accanto alla porta d’ingresso, e dopo averla presa riuscii ad entrare finalmente in casa.

Tuttavia nessun rumore proveniva da dentro, come se non ci fosse nessuno. Possibile? Io ero dispersa da due giorni e loro non erano in casa? Piuttosto perplessa mi tolsi le scarpe e mi incamminai lungo il corridoio, decidendo di raggiungere la cucina che, fino a prova contraria, era il regno indiscusso della nostra governante giapponese.

La porta scorrevole era aperta, così mi limitai ad affacciarmici prudente. «C’è nessuno? Hiromi-san?»

Nessuna risposta. Sempre più strano…

Lanciai di sfuggita uno sguardo alla porta della cantina, reprimendo un brivido istintivo: non ci sarei scesa per parecchio tempo, questo era certo. Richiusi la fusuma e decisi di salire al piano superiore, sperando di trovare la governante almeno nella sua stanza. Assurdo, possibile che non ci fosse nessuno ad attendermi? Raggiunsi il pianerettolo del secondo piano e mi diressi verso la camera di Hiromi-san, cercando di fare più rumore possibile in modo che non si spaventasse nel trovarsi all’improvviso di fronte a me; anche se le sarebbe venuto lo stesso un infarto, visto che mancavo da quasi tre giorni.

Bussai alla porta e, visto che non mi rispose nessuno, la spalancai, avanzando al suo interno. Sembrava non esserci nessuno, neppure lì

«Oh, per tutti i kami! Nicole-chan, sei davvero tu?» Una voce, proveniente da dietro le mie spalle, mi fece sobbalzare e voltare immediatamente, e prima che potessi dire o fare qualsiasi cosa mi ritrovai sepolta nell’abbraccio frenetico di Hiromi-san, che singhiozzava da spezzare il cuore.

«…così preoccupati, eravamo così preoccupati!» La sentii balbettare disperata, mentre ricambiavo la sua stretta. «Sei sparita all’improvviso, abbiamo addirittura pensato che…! Ma ora sei qui, oh! Andare a pregare al tempio è servito!»

Una sua stretta più forte mi fece gemere, e il dolore mi fece rammentare della ferita che ancora avevo sulla schiena, e che di questo passo mi avrebbe lasciato una bella cicatrice in ricordo. Mi divincolai gentilmente dal suo abbraccio e le sorrisi, indietreggiando.

«Hiromi-san, vi dispiace prepararmi un thè caldo? Avei bisogno di riposare un po’…» Chiesi, sperando che non mi facesse domande imbarazzanti.

Lei annuì, asciugandosi le lacrime ai lati degli occhi. «Ma certo, certo. Vieni in cucina, così poi mi racconti cosa ti è successo…»

La cucina? La porta dello scantinato, il pozzo… «Mmh no, Hiromi-san, vado un attimo a sdraiarmi in camera mia, potete portarmi il thè quando è pronto?»

Se anche sembrava sorpresa dal mio atteggiamento, non lo diede a vedere. Annuì. «Si, certo. Vai e riposati, io arrivo subito.»

La ringraziai con un debole sorriso e raggiunsi la mia camera, desiderando solo di sdraiarmi nel mio comodo e morbido letto occidentale, che non aveva nulla a che vedere con gli scomodi futon giapponesi dell’epoca Sengoku. Trovavo irritante dormire per terra, era anche uno dei motivi per cui odiavo fare campeggio. Ma questo, ora non aveva importanza.

La mia camera, a parte la classica fusuma, aveva un arredamento tipicamente europeo, al contrario del resto della casa. Il mio letto, posto sotto la finestra, era ricoperto da cuscini e da una trapunta in patchwork appartenuta a mia madre; un comodino alla sua destra, con sopra una lampada bianca, e un tappeto peloso che ricopriva il tatami ai piedi del letto. Nella parete laterale troneggiava un enorme armadio con uno specchio a grandezza naturale, mentre dall’altra parte una libreria sovrastava la scrivania nella quale studiavo. La vista del portatile richiuso sopra il tavolo mi fece capire di essere veramente a casa, e con un sospiro mi gettai sul letto a pancia in giù, per non sottoporre la schiena ad ulteriori sforzi. Non avevo voglia neppure di indossare qualche mio vestito.

Quanto tempo rimasi in quella posizione, ad annusare il profumo confortevole della mia trapunta? Non ne avevo idea, ma non mi ero addormentata; dopo un po’ sentii un discreto bussare e, certa che si trattasse di Hiromi-san, la invitai ad entrare.

«Il thè è pronto, cara.» Disse, posando il vassoio sul comodino e sedendosi sul letto accanto a me. «Non mi vuoi dire cos’è successo? Perché sei sparita all’improvviso?»

Sospirai per l’ennesima volta, volgendo il viso dalla parte della finestra per non essere costretta a guardarla negli occhi. «Oh, Hiromi-san, che senso ha raccontare tutto? Tanto non ci credereste di sicuro…»

«Ti stupiresti nel sapere quello che io so, giovane miko

Poco più di un sussurro, ma nel silenzio assoluto della stanza la sentii ugualmente, e ciò mi fece saltare a sedere sul letto, cercando con lo sguardo gli occhi persi nel vuoto della mia governate. Miko? Si era davvero rivolta a me appellandomi con quel titolo?

La donna non mi guardava, forse in cuor suo pentita di essersi lasciata sfuggire quella parola.

«Come… Come fate a… Perché?» Balbettai, incapace di celare la sorpresa.

La mia reazione le strappò un piccolo sorriso. «Devi farmi le domande giuste per avere le risposte giuste.» Si limitò a dire, sibillina.

Ma cosa ne era stato della mia governante giapponese, che guardava le telenovele e spettegolava amabilmente con i vicini di casa? Perché la donna che avevo di fronte le assomigliava molto, certo, ma non poteva essere di certo la stessa persona…! Sbattei le palpebre, prendendo poi un profondo respiro. Coraggio, non era certo la cosa più spaventosa che mi era capitata, no? Avevo affrontato di peggio in quegli ultimi giorni.

Per prendere tempo mi sporsi e presi la tazza del thè, immergendovi tre cucchiaini di zucchero e iniziando a scioglierli lentamente mentre pensavo a qualcosa di abbastanza sensato da dire.

«Anche voi credete che io sia una sacerdotessa?» Domandai alla fine con un sussurro, non riuscendo a formulare una domanda migliore.

La vidi scuotere la testa, prima che si alzasse e andasse a sedersi alla sedia della mia scrivania in modo da potermi essere di fronte. «Mia cara, non è certamente una credenza. Tu sei una sacerdotessa. Emani potere spirituale come se stessi spargendo profumo!»

Sgranai impercettibilmente gli occhi, dopodichè portai alle labbra il thè per sorbirne un sorso. Il calore della bevanda mi aiutò a digerire anche le parole inquietanti della donna. «Io non sono giapponese. Come faccio ad essere una miko? E perché non me ne sono mai accorta?»

«Prima di tutto, il fatto di essere una miko non ha nulla a che vedere con la nazionalità: oh, questo è totalmente un fatto irrisorio! Inoltre non è qualcosa di cui ci si accorge, cara, non è come avere i capelli bianchi o l’abbronzatura.» Mi spiegò, paziente. Poi il suo viso divenne improvvisamente serio e contrariato, come se si fosse appena ricordata di una cosa. «E poi non sei certo una strega! Scordati quel genere di poteri, mia cara.»

Lo disse con un cipiglio così serio che fui costretta a distogliere lo sguardo, imabarazzata, dato che effettivamente avevo pensato di possedere, adesso, dei poteri magici o qualcosa del genere. A suo dire niente di più sbagliato, comunque.

«Ma, Hiromi-san…» Esordii, titubante. «Voi avete una qualche idea di quello che mi è accaduto?»

La mia cara governante, che fino ad allora avevo creduto insensibile a tutte quelle sciocche superstizioni giapponesi e shintoisti a proposito delle sacerdotesse e simili, mi lanciò uno sguardo che era tutto un programma. Mi bastò osservare attentamente quei profondi occhi neri per capire che c’era davvero qualcosa che mi stava tenendo nascosta. Ma cosa?

Le sue labbra si schiusero in un sospiro. «Temo che abbia a che vedere con il pozzo, non è così?» Chiese, unendo le mani in grembo e inarcando un sopracciglio.

Non riuscii ad evitare di trasalire, sorpresa; touchèe.

«Come fate a sapere del pozzo? È una cosa così assurda!» Esclamai, massaggiandomi le tempie. «E, se lo sapevate… Perché non mi avete impedito di scendere in quello scantinato?»

Hiromi-san scosse la testa, sconsolata. «Credimi, Nicole, se fossi stata certa di essere nel giusto te l’avrei proibito. Ma tutti hanno bisogno di affrontare le loro esperienze, e inoltre sfuggire al destino è impossibile… Prima o poi sarebbe successo comunque, con o senza i miei avvertimenti.» Sollevò lo sguardo e lo posò di nuovo su di me, risoluta. «È stato il richiamo della Sfera a riaprire il passaggio. Quando tuo padre te l’ha consegnata, il tuo fato ha iniziato a compiersi.»

Più la ascoltavo, più cose mi diceva, più aumentava la mia sete di conoscenza e la mia voglia di porgerle tutte le domande che mi avevano perseguitato lungo quei giorni. Eppure avevo la sensazione che scoprire tutto così, all’improvviso, sarebbe stato impossibile, e anche inutile: forse alcune delle cose che doveva dirmi non le avrei nemmeno capite, e sarebbe stato un peccato. Però, però… Io volevo sapere!

Posai la tazza di thè, ormai freddo, sopra il vassoio, e mi dedicai interamente a Hiromi-san. «Come fate a sapere della Sfera? Chi ve l’ha detto?» Domandai, con una punta di accusa nella voce.

Ma lei non si scompose. «La Sfera è insieme una leggenda ed una maledizione, mia cara. Tutti ne sono a conoscenza.» Rispose pacatamente, posando una sua mano sulle mie. «In tanti hanno provato a distruggerla, ma essa non si lasciava annientare. Semplicemente, svaniva nei meandri del tempo, per apparire ovunque ci fosse un’anima tanto efferata da richiamarla.»

Questo mi rammentò, in un certo qual senso, le parole dell’hanyou Inuyasha. Anche lui aveva detto qualcosa di simile, e cioè che la Sfera da loro distrutta era svanita dalla loro epoca per poi apparire nella mia, in un tempo e in un luogo completamente differenti. Sarebbe stato così per sempre?

«Però non avete risposto alla mia domanda, Hiromi-san.» Replicai dopo un po’. «Come fate voi a sapere dell’esistenza della mia Sfera?»

La vidi esitare, palesemente contrariata per la mia insistenza che, probabilmente, le avrebbe presto strappato alcuni dei suoi più grandi segreti, ma nessun suono fece mai in tempo ad uscire dalla sua bocca. Venimmo interrotte prima che ciò accadesse, da qualcuno che mi era ben familiare e che stava chiamando a gran voce la governante seduta accanto a me.

«Continueremo in un altro momento questa discussione, Nicole-chan.» Disse, alzandosi e dirigendosi verso la porta. La spalancò, facendomi cenno di raggiungerla, e una volta sul pianerottolo iniziò a chiamare ad alta voce mio padre, avvisandolo del mio improvviso ritorno a casa.

Di certo non mi aspettavo una simile accoglienza da parte di mio padre.

Non dico che avrebbe dovuto corrermi incontro, felice e sollevato di vedermi sana e salva, viva perlomeno, e piangere lacrime amare; ma sicuramente non credevo che si sarebbe infuriato, arrivando addirittura ad un passo dallo schiaffeggiarmi per avergli fatto prendere un colpo in quel modo.

«Mi vuoi spiegare cosa diavolo ti è saltato in testa, eh, signorina?» Sbraitò fitto in francese, puntandomi il dito contro mentre mi sovrastava dall’alto, osservandomi con uno sguardo spaventoso che non gli avevo mai visto. «Sei sparita per tre giorni! Tre! Ti rendi conto di quello che hai fatto? Credevo di averti sempre dato tutta la libertà di cui necessitavi, ma tu hai dovuto abusarne! Cos’è, una nuova moda tra i giovani, quella di scappare di casa?»

«Ma papà, io…»

Non voleva darmi retta. «Silenzio! E non hai pensato neppure a come mi sarei sentito, nel tornare a casa e scoprire che tu eri scomparsa nel nulla? Le tue amiche non sapevano niente! Ho chiamato la polizia, ho addirittura telefonato a tua nonna, a Parigi! Ma di te nessuna traccia, come se fossi… Abbiamo temuto il peggio! Hai la più pallida idea di quello che ci hai fatto passare? Mi auguro che tu abbia una buona storia da raccontare, perché questa volta non te la caverai con delle semplici scuse! Puoi considerarti in punizione per il resto della tua vita, spero che questo sia chiaro!»

Mio padre, il mio tranquillo, pacato, stoico e freddo papà, che raramente si lasciava andare all’ira, era letteralmente un fiume in piena. Vomitava frasi sconnesse l’una dietro l’altra, rincorrendo tutti i pensieri che dovevano averlo assalito in quei giorni e cercando di mettermene a parte, e soprattutto senza avere la minima intenzione di ascoltare ciò che io avevo da dire.

Approfittai di un momento di silenzio in cui stava riprendendo fiato, per poter avere la possibilità di difendermi. «Je t’en prie, papà, siediti e lascia che ti spieghi ogni cosa.»

Lui mi lanciò uno sguardo per nulla convinto, tuttavia si sedette sul divano di fronte a me, giungendo le mani davanti al viso come faceva di solito e facendomi intendere di iniziare con le mie “scuse”. Cosa che feci davvero: gli raccontai ogni singola cosa che mi era capitata in quel breve lasso di tempo, a partire da quando ero stata trascinata all’interno del pozzo del nostro scantinato fino a quando ero stata quasi uccisa da un demone ragno, e poi di come ero stata curata e riportata a casa da una ragazza che aveva condiviso parte del mio stesso destino. Non tralasciai nulla, cercando di rendere il più realistico possibile quel racconto che, me ne accorgevo benissimo da sola, non stava né in cielo né in terra.

E, effettivamente, questo doveva essere proprio quello che pensava anche mio padre.

Quando tacqui, svuotata ormai da quelle terribili confessioni che non avevo più voglia di tenermi dentro in gran segreto, vidi che mi osservava di sbieco, con un’espressione basita, come se non riuscisse a credere che fossi stata capace di inventarmi una simile storia per coprire la mia “fuga”. Ciò che disse dopo, infatti, non fece che confermare la mia supposizione: non mi aveva creduta.

«Se pensi che questa pazza storia possa esularti dalla tua punizione, allora…» Iniziò, ricominciando ad arrabbiarsi.

In quel momento mi ricordai della mia ferita. Ma certo, quale altra prova migliore della cicatrice degli artigli lasciatimi da quel demone sulla schiena, per farlo ricredere su quanto appena detto? In silenzio mi alzai e, sotto il suo sguardo sorpreso, mi sfilai il maglione, rimanendo a torso nudo, con l’unica copertura della fascia fattami dall’anziana sacerdotessa Kaede intorno al petto.

«Pensi ancora che mi sia inventata tutto, papà?» Domandai, cercando di trattenere le lacrime. Sapevo quanto potesse suonare assurda tutta la situazione, ma era terribilmente fastidioso e demoralizzante il fatto di non venire creduta dal proprio padre.

Si alzò dal divano e, lentamente, mi raggiunse, facendomi voltare in modo da dargli le spalle; poi, con delicatezza, passò una mano sopra la fasciatura, tastando la ferita ancora fresca – con tutte le volte che si era aperta, ormai credevo non sarebbe più guarita del tutto – e strappandomi un gemito. Allora si allontanò da me come se si fosse scottato, e indietreggiò nuovamente verso il divano, crollando a sedere.

«Mio Dio, Nicole… Quello che mi hai detto è così… così…» Mormorò, tenendosi la testa con le mani.

Non potei trattenere un sospiro. «Incredibile?» Risposi, andando a sedermi accanto a lui. Gli posai una mano sulla schiena e posai la fronte sulla sua spalla, come quando ero piccola. «Stai tranquillo, papà… Tanto adesso è tutto finito, non me ne andrò più.»

Lo dissi per tranquillizzarlo; lo dissi perché avrei voluto crederci; ma, soprattutto, lo dissi perché volevo sforzarmi di non sentire la strana fitta di malessere e, forse, nostalgia, che mi assaliva non appena con la mente tornavo al villaggio Musashi e ai suoi abitanti, e il viso di una bambina si faceva largo a forza tra i miei ricordi… Lo dissi perché desideravo fosse vero, perché desideravo non far parte di quel mondo.

Ma, purtroppo, ora me ne sentivo indissolubilmente legata.

***

Da quel giorno, trascorsero ben due settimane.

Avevo ripreso ad andare a scuola, com’era ovvio che fosse: le mie compagne di classe, palesemente preoccupate della mia sparizione improvvisa, mi tempestarono di domande per sapere cosa mi fosse successo e soprattutto dove fossi stata, ma in fondo conoscevano troppo bene il mio carattere riservato e discreto per insistere una volta che avevo già detto loro di non volerne parlare.

Ma ormai mi ero accorta che vivevo per inerzia. Avevo smesso di uscire con le mie amiche, le uniche volte che varcavo il cancello di casa mia era per andare a scuola, e anche lì stavo più in disparte di prima. Se all’inizio questo mio comportamento poteva essere giustificato in quanto ero la “ragazza nuova”, la “straniera”, ora non faceva che rendermi insopportabile a tutti coloro che avevano l’ardire di rivolgermi la parola. Scattavo e mi arrabbiavo per un nonnulla, tanto sa risultare odiosa persino a me stessa. Ma non potevo farci nulla: la mia mente era costantemente altrove, e se qualcuno provava a riportarmi alla realtà gli rispondevo male o lo fulminavo con un’occhiataccia gelida.

Come se ciò non fosse abbastanza, la mia condotta era strana persino a casa mia. Trascorrevo serate intere nella cantina, raggomitolata per terra con le gambe strette al petto, senza distogliere lo sguardo dal pozzo che, adesso, sembrava del tutto innocuo. Portavo sempre con me una torcia, ma l’accendevo di rado; in quei momenti di insperata tranquillità riuscivo a pensare e a riflettere, incurante del freddo umido del vecchio scantinato.

La mia mente combatteva contro una vera e propria fase amletica: tornare o non tornare? Al di là del pozzo, chiaramente. Nascondevo il viso nelle braccia incrociate sopra le gambe e prendevo dei profondi respiri, come se questo potesse in qualche modo aiutarmi a prendere una qualsiasi decisione. Era difficile, era tremendamente difficile. La mia casa non era lì, in fondo: non era quello il mio mondo. Ma allora perché, perché, maledizione, non riuscivo a scostare il pensiero da quel luogo? Che razza di incantesimo mi avevano fatto?

Si trattava solo della Sfera? Era lei che mi stava richiamando indietro? La prima sera che l’avevo sfiorata avevo sentito una sorta di battito al suo interno, ed era calda, viva: possibile che stesse cercando di attirarmi di nuovo al di là del pozzo, in modo da tornare ancora in mio possesso?

Un’altra cosa che non tolleravo era il silenzio di Hiromi-san. Dopo avermi rivelato di conoscere la mia natura di miko – per quanto io stessa non ne comprendessi l’origine – aveva cessato di rivolgermi la parola, se non per pura educazione. Non mi aveva più detto nulla al riguardo, lasciandomi libera di rimuginare anche su quello come se non avessi avuto abbastanza problemi. Alla fine avevo deciso di lasciar perdere: di qualunque cosa fosse a conoscenza non doveva essere così importante e fondamentale, se non me ne aveva parlato.

E così adesso ero lì, gli occhi puntati sul pozzo silenzioso. Le mie mani tormentavano il bordo del mio maglione, la schiena ormai quasi completamente guarita che poggiava sul muro in pietra della cantina, e le labbra socchiuse in un sospiro silenzioso. Avevo promesso a mio padre che non sarei mai più scomparsa; ma prima di lui avevo fatto anche un’altra promessa… Avevo assicurato ad una piccola bambina dagli occhi castani e i capelli corvini che sarei tornata da lei, e che non l’avrei lasciata sola. E malgrado le minacce che mi aveva rivolto il suo signore, alla fine mi avevano permesso di tornare a casa con la convinzione che sarei tornata subito.

Cosa che non era avvenuta…

Basta, ero stufa. Non era da me stare in disparte ad attendere che il destino facesse il suo corso, ero più dell’idea che ciascuno fosse artefice e responsabile del proprio, di conseguenza era arrivato il momento di prendere in mano la situazione e agire.

Ciò che accadde dopo fu talmente frenetico che non non riesco a ricostruirlo con precisione. Rammento che saltai in piedi e che corsi in camera mia, afferrando un enorme borsone da viaggio dal mio armadio e infilandoci alla rinfusa qualche maglione, pantaloni, indumenti intimi e cose simili, insieme a una torcia elettrica e una buona dose di pile di ricambio, alcuni libri e degli aciugamani. Dopodiché scesi frettolosamente al piano di sotto, trascinandomi appresso la borsa e raggiungendo la cucina, dalla quale presi un coltello a serramanico e un po’ di provviste, che non erano da dimenticare. Lasciai il mio bagaglio sul tavolo della cucina e andai in bagno, dove mi appropriai di un baule del pronto soccorso e di alcuni medicinali che avrebbero potuto servirmi – la mia ferita sulla schiena era guarita, certo, ma persisteva il ricordo. Infilai il giubbotto, i guanti e un cappellino, e prima di andarmene scrissi un biglietto che avrebbe trovato Hiromi-san sul tavolo da pranzo non appena fosse tornata a casa dalla sua passeggiata.

Ecco, adesso potevo dirmi pronta. Afferrai un ombrello e lo gettai nella borsa prima di richiuderla con la zip, dopodiché me la caricai in spalla e raggiunsi l’ingresso, infilandomi impaziente le scarpe. Dovevo aproffittarne ora che ero da sola in casa, altrimenti non mi avrebbero permesso di fare una cosa simile. Certo, avrei potuto usare il mio pozzo, ma non mi fidavo: non sapevo dove sarei sbucata, e l’idea di incontrare qualche altro demone intenzionato ad uccidermi era tutto fuorchè invitante. Mi sembrava molto più saggio andare al tempio Higurashi e usufruire di quello, che se non altro era molto più vicino al villaggio Musashi.

Spalancai la porta e corsi fuori, ignorando la pioggerellina che aveva iniziato a cadere. Iniziai a correre e non rallentai per nessuna ragione, cercando di raggiungere il tempio al più presto prima che la ragione si reimpossessasse della mia mente convincendomi dell’assurdità di quello che stavo facendo.

Non volevo tornare indietro; avevo preso la mia decisione.

Sarei tornata.

Perdonami, papà.

Ma ho una missione da compiere e devo tornare dall’altra parte del pozzo; non tornerò fino a quando non avrò ritrovato la Sfera della mamma. Spero che questa volta comprenderai le mie ragioni, e non ti preoccuperai. Stai tranquillo, sarò in buone mani. Lascia che Hiromi-san ti spieghi tutto, se vuoi. Ma devi farle le domande giuste.

Ti voglio bene,

Nicole.


















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AA - Angolo Autrice:
A
ggiornamento non proprio rapido, e capitolo appena più lungo dei precedenti. Ma volevo "liquidare" la faccenda di Nicole in un unico capitolo, spero comunque di non averlo reso troppo frettoloso e che si siano capiti i sentimenti di Nicole, che si trova divisa tra due mondi anche se ancora non in modo del tutto irreparabile... Spero di non avervi deluso, ad ogni modo ^^ E ora passo ai ringraziamenti!


AR - Angolo Ringraziamenti:
Ehm, okay, non ho il tempo di rispondere anche a quelle dello scorso capitolo (in teoria adesso dovrei essere immersa nello studio) ma voglio comunque ringraziare:
  • Kobato: Anch'io penso che sarebbe pesante tutta la compagnia appassionatamente, sono più per il più intimo gruppo di Sesshomaru... Beh, vedremo come si evolverà la storia! ^^ Un bacione, a presto! =*
  • Maya Deleon_Energy Alchemist: Grazie per la recensione, davvero noti un cambiamento in Sesshomaru? Mah, chissà cosa nasconde il bel tenebrone... Continua a seguirmi! ^^ Un bacio =*
  • elenasama: Come vedi, Nicole è tornata nel Sengoku! ^^ Spero di non averti delusa con questo capitolo! Un bacio, a presto!
  • Alebluerose91: Geme! Grazie per aver recensito, ti voglio bene =*
Inoltre, voglio ringraziare le 11 anime pie che hanno messo questa storia tra le preferite:
E le 15 gentilissime che l'hanno aggiunta tra le seguite:
Siete dei tesori! Grazie mille =* Ci sentiamo al prossimo aggiornamento che - spero - avverrà presto!
Un bacione, GiulyRedRose

   
 
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