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Autore: BigMistake    27/05/2010    4 recensioni
I PARTE: Vi ricordate dove eravamo rimaste in Grey Day in Darkness? Non l'avete letta, ma allora cosa aspettate? (necessario leggere prima quella) Nessie e Jake sono felicemente sposati, con due splendidi bambini. Riuscirà la nostra coppia preferita a superare la crisi del settimo anno? Spoiler dal capitolo XVI: < Perché ti ho data sempre per scontata? Pensavo che la nostra vita insieme sarebbe stata perfetta. Non dovevo. La perfezione non esiste, nemmeno per due anime complementari come noi … > Buona lettura! II PARTE: Passano gli anni e la vita continua. Per stabilizzare gli equilibri bisogna ancora agitare il bicchiere. EJ e Sarah crescono e si scoprono ragazzi, affrontando le problematiche annesse. Dal Capitolo X: - Lui vampiro ed io licantropo, ma con un po’ dell’uno nell’altro. Il freddo e laconico Yin, l’autunno della vita, il nord, il ventre buio dell’animo umano rischiarato da un punto di luce dello Yang che dall’altro lato della collina sorride al sole seppure con una parte oscura di lui nascosta agl’occhi di chi non guarda, alle orecchie di chi non ascolta, agl’animi che non esistono. La perfezione. L’equilibrio. Perfetti e completi solo se insieme. - Buona lettura!
Genere: Romantico, Avventura, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Jacob Black, Renesmee Cullen | Coppie: Jacob/Renesmee
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'GREY DAY IN DARKNESS'
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CAPITOLO XIV: Niente ci separerà.

POV EJ

“Lizzie vuoi darti una mossa se facciamo tardi questa volta papà ci ammazza!” la visita di Marcus era passata praticamente da un mese. Penso che in vita mia non avevo mai assistito a niente di più comico, dopotutto non eravamo più nell'anno mille e c'era bisogno di fare tutto quel trambusto solo per chiederci il permesso? Ridicolo. Almeno potevamo vantare di aver conosciuto Massimo, un vampiro una sagoma. Dopo qualche giorno, quando erano definitivamente sicuri che il Gladiatore avesse passato il confine, c'era un'altra cerimonia da compiere. Il branco decise di fare un gran falò per darci il Benvenuto, o meglio avevano trovato la scusa per fare baldoria come ragazzini. C’erano più o meno tutti, compresi i piccoli, che ovviamente non  sapevano esattamente il perché di quella festa ma si divertivano a giocare sulla spiaggia di sera, era una novità dopotutto. Quando poi era giunto il momento della nanna tutti i membri anziani del branco e i membri del consiglio si schierarono e ci fecero giurare, come se fossimo dei soldati dell’esercito che promettono fedeltà alla patria. A me venne consegnato un polsino di cuoio con un simbolo particolare e a Lizzie un ciondolo, che avevo già visto nel portagioie della mamma ed aveva lo stesso disegno che si trovava sul mio polsino. Mi ricordo di aver pensato solo a quanto mi sentissi importante in quel momento e per la prima volta mi sentivo veramente appartenente alla sfera di mio padre. Invidiavo molto Liz per come riusciva ad essere sempre sulla sua lunghezza d’onda, fra di noi invece c’era una sorta di muretto che impediva ai nostri piedi di raggiungerci. Gli stavo offrendo l’opportunità di essere finalmente fiero di me, ed anch’io avevo una nuova speranza, quella di assomigliargli più e di sentirlo più vicino. Dopo il falò, avevamo ripreso il normale svolgere delle nostre attività. Fino alla fine della scuola potevamo partecipare  alle ronde con due membri anziani, solo il week end, alternandoci con Nate, in modo da impratichirci con il giro da compiere, imparare le dinamiche di branco e bla bla bla. Non mi serviva molto ascoltare, dopotutto avevo Lizzie che lo faceva anche  per me. Quella sera era il turno di papà e Leah. Purtroppo eravamo costretti a stare insieme, visto che potevo comunicare con il branco solo ed esclusivamente se lei si trasformava. Noi eravamo unici, ma in coppia, come i supereroi dei fumetti. Una sorta di Batman e Robin, ma senza calzamaglia per fortuna.  E quindi dopo la pancia della mamma ci trovavamo a dover condividere anche la nostra vita di branco, che cosa complicata. Fatto stava che era praticamente mezz’ora che Lizzie non scendeva e di certo il nostro capobranco non ce l’avrebbe fatta passare liscia “Liz ti dai una mossa!” mi stavo sgolando a forza di urlarle di sbrigarsi. Ma lei era così, tirava fino all’ultimo visto che tanto papà se la sarebbe presa con me non con lei. E poi io odiavo essere in ritardo, invece la mia cara sorellina sembrava goderne.

“Eccomi, eccomi non ti scaldare troppo!” scese le scale mentre si legava i capelli in una coda di cavallo, buttandosi davanti al frigorifero, per prendere il cartone del succo d’arancia e scolarne praticamente metà. Se l’avesse vista il nonno o la mamma gliene avrebbero dette quattro, ed avremmo perso altro tempo, per fortuna che entrambi erano alla villa dei Cullen. Non avevo notato che indossava solo dei miseri short ed una canottiera.

“Dove vai conciata così?” m’infastidiva quando si vestiva in modo troppo succinto, più che altro non mi andava di uccidere qualche scemo che faceva il cascamorto con lei.

“Che importa tanto dopo dovrò spogliarmi!” prese un pezzo di pizza avanzata dalla sera precedente. Si poggiò al ripiano ed iniziò a mangiarlo con una lentezza esasperante. Me lo faceva apposta, sorrideva mentre lo portava alla bocca morso dopo morso, pezzettino dopo pezzittino.

“Te lo faccio ingoiare io?” le intimai con un bel sopracciglio alzato mentre la pazienza aveva deciso di abbandonarmi. Ridacchiò masticando, poi infilò il pezzo restante in bocca interamente dicendo un confuso ‘Andiamo’ che interpretai più dal suo gesto che dalla sua voce.  Per mandare giù il boccone mastodontico, si diede un colpetto sul petto con il pugno dopo aver bevuto due altri sorsi di succo. Ormai era diventata un pozzo senza fondo. La guardai atterrito per come si era ingozzata con quella fetta disumana e dalla mia smorfia schifata, lei mi chiese con un gesto della mano cosa volessi “Sei disgustosa, andiamo che è meglio!”

 

Correvamo l’uno accanto all’altra, giungendo al limite del perimetro con almeno mezz’ora di ritardo, Lizzie si era trasformata appena ci trovammo al riparo nella vegetazione. Non sentivamo i pensieri di papà, era troppo incazzato per rendercene partecipi. Quando si trattava di sgridarci preferiva farlo di persona. L’unica cosa che aveva sibilato era un ‘Muovetevi!’. Nostro padre e Leah ci aspettavano impazienti al confine con la riserva. O meglio nostro padre era impaziente, Leah se ne stava beatamente sdraiata con il muso a terra mentre il grosso lupo color ruggine camminava borbottando con versi strani ed ansimando con sbuffi caldi che si condensavano in dense nuvole bianche. Arrivammo e il lupo argento sollevò il suo muso e le sue orecchie, oscillando la coda visibilmente contenta che fossimo arrivati. Papà invece ci accolse con un ringhio furioso alzai le mani subito in mia difesa, prima della serie d’insulti bonari con cui mi stava per sommergere.

“Non guardare me è sua la colpa!” ancora non mi ero abituato a comunicare con il pensiero, anche se era un canale decisamente privilegiato.

< Brutto traditore! Vedrai che ti faccio quando rientriamo a casa! >

< Si come no Lizzie, prima dovrai prendermi! > incrociai le braccia al petto ed assottigliai lo sguardo verso mia sorella che ugiolava come un uccellino. Mi stava prendendo in giro.

< Basta entrambi! Siamo già in ritardo, dovete diventare più responsabili, non potete fare tardi, che succede se per una vostra negligenza entra una sanguisuga a Forks ed uccide qualcuno, magari che conoscete? > Leah guaì ma non rispose al duro rimprovero che ci stava facendo.

< Si papà, scusaci! > fu il nostro pensiero in sincrono perfetto, come quando da bambini ci rimbrottava per qualche guaio. Ci trovammo a camminare a rombo, mio padre in testa Leah e Liz dietro di lui ai lati ed io poco più indietro all’altezza di mio padre. Eravamo in silenzio, se silenzio era concepibile nelle nostre teste.  Era così diverso quando era solo nonno Edward a potermi leggere. Era sempre un costante ronzio, le immagini che scorrevano erano strane, variopinte. C’erano i sentimenti, i pensieri, la vita di ogni persona. Non potevano esistere segreti fra di noi, nulla rimaneva nascosto nemmeno le riflessioni più profonde. Un branco, una mente. Concezione pratica di collettività. Così sapevo tutto su Quil e Claire, su Paul e Rachel (ed ancora non mi capacitavo come mio padre non avesse mai spaccato il naso allo zio), e cosa ben peggiore di tutti, conoscevo ogni cosa intima dei miei genitori, per quanto si sforzasse non riusciva a contenere le sue fantasie. Non mi bastava doverli sentire in casa, me lo dovevo pure ritrovare in testa. Lui non ci badava, probabilmente era abituato ad avere qualcuno che guardava alla sua vita personale con un caleidoscopio. Un momento.

< Con questa storia delle menti in comune, vuol dire che tutti vedono quello che la loro mente depravata di eterni diciassettenni partorisce EJ, ci sei arrivato bravo! Allora non sei proprio del tutto scemo! > Lizzie rispose al mio piccolo commento mentale.

“Ma è … è …” non riuscivo a trovare le parole.

< Invadente? Scandaloso?  Abituati, e sappi che se sbirci mentre mi trasformo, lo vengo a scoprire! Sarah tu sei fortunata, nessuno oserebbe provarci piuttosto si caverebbero gli occhi! Oppure si suiciderebbero prima che tuo padre possa azzannarli! > cercò di aiutarmi senza successo Leah.

< Già e un’altra cosa ben più orribile, io non potrò avere un ragazzo se non fra dieci anni! >

< Facciamo quindici! > ringhiò mio padre rivolgendosi alla sua sinistra <  Potremmo sorvolare sulla questione e riprendere seriamente a fare la ronda? >

< Si capo! > papà si voltò verso Leah che aveva alzato gli angoli della bocca lasciando penzolare la lingua giocosa. Lui invece digrignò i denti, mostrando minaccioso i canini per la seconda volta.  < Un’altra cosa che dovete imparare è che se volete far incazzare Jacob, chiamatelo capo! Ancora non lo digerisce! > le ronde alla fine erano divertenti per questo. I battibecchi da parte dei suoi fratelli che lo prendevano in giro come se fosse un giullare, erano decisamente la miglior cosa che potesse capitarmi. In forma umana erano di certo meno sfrontati.

< Ora capisco quando la sanguisuga parlava di pensieri urlati, ti prego fai tacere la tua testa EJ! > questa era la frase tipica del capobranco nei miei confronti.

“È colpa di tua moglie se penso troppo!”

< No, è colpa della tua idiozia fratellino! > sentii uno strano soffio, un latrato non di paura ma di gioia. Guardai in direzione di Leah che si rotolava a terra sbellicandosi come un lupo.

< Secondo voi, è troppo chiedere un po’ di serietà? >

< Dai papà non sembra ci sia nulla anche questa sera, sciogliti un po’! >

< Lo sapevo io, che fare il capobranco è una grande fregatura! >

< Dai Jake non è poi così male! Così fai sfiduciare i pargoletti! >

< Leah invece di sparare a raffica cavolate, perché tu e Sarah non coprite l’altro lato del perimetro? >

< Si dai Sarah, vediamo chi fa prima? > la lupa grigia, come una freccia protrasse il corpo nella direzione opposta. Era tesa e scattante, con una zampa sollevata pronta ad affondare il primo passo.

< Certo Lee Lee! Vedrai stavolta non mi batti! >

< Lo vedremo cucciola! > Leah era già scomparsa, lasciando un turbinio di foglie al suo passaggio. Sarah non se lo lasciò ripetere prese a correre più velocemente possibile.

< Ehy, io non sono una cucciola! > la lupa bianca caricò le zampe posteriori, piegandole quasi fino a toccare il terreno, stava per scattare ma si congelò, fermandoci tutti dall’emettere un solo pensiero. Guardai poco più avanti Leah stava tornando indietro, eretta sulla difensiva osservando il buio alle nostre spalle. Nella mente di Sarah, prese vita una riflessione, ci trovammo in quattro a sentire quei bassissimi scricchiolii. Un odore fortemente dolciastro s’impadronì dei nostri sensi, mio padre ci ordinò quasi immediatamente di proteggere i fianchi me non riuscimmo nemmeno ad riavvicinarci che un lieve spostamento d’aria catturò la mia attenzione spostando il viso verso Leah. Qualcosa era passato vicino al mio orecchio e dopo poco il lupo con il manto grigio, cadde inerme a terra. Mio padre stava per andarle incontro, ma gli toccò la stessa sorte. I successivi secondi furono un susseguirsi di venti gelidi che fermarono Sarah e me. Avevano usato dei dardi drogati, che sicuramente su di noi sarebbero rimbalzati, visto la nostra pelle troppo resistente. L’incredulità, la sorpresa, la paura. Ci avevano colto di sorpresa. Mi trovai contro naso e bocca un panno imbevuto di un qualche liquido che sapeva di piscina pubblica. Provai a dibattermi, tentai anche di usare il mio potere, ma la mia mente offuscata e il non vedere i nostri aggressori non permise lo sfogo del mio scudo. Il rilassamento dei muscoli mi fece cadere ed afflosciarmi come ad una marionetta a cui tagliano i fili. L’ultima immagine fu di quattro figure oscure avventate su mia sorella e l’ultima cosa che riuscii a pronunciare era il suo nome.

“Sarah …”

 

Mi risvegliai legato con cavi di una lega particolare che segavano senza successo la pelle dei miei polsi, come in  un vecchio film piratesco, viaggiavo nel retro di un furgone blindato, di quelli che usano le banche. L’umidità dei vestiti ormai aveva superato la carne, giungendo alle ossa stanche ed indolenzite. Avevo tentato più volte di rompere i lacci con cui ero immobilizzato ma senza nessun successo, sembrava che li avessero confezionati pronti per la nostra forza. C’erano piccoli fenditoi che permettevano all’aria di passare, erano sottilissimi. Sgusciai come un verme fino alla parete di freddo metallo ed aiutandomi con essa cominciai a sollevarmi da terra. Quelle minuscole fessure non permettevano un largo raggio di veduta, non potevo capire dove stavamo andando. Riuscivo a vedere solo alberi e strade sterrate. Dietro il mio altri tre furgoni come quello in cui ero stato rinchiuso, viaggiavano. La testa mi stava praticamente scoppiando. Era un palloncino pieno d’acqua. Guardai meglio il simbolo ovale riportato  accanto alla targa: CND.  Il fatto che usassero un furgone per ognuno, mi fece sperare che, rapimento a parte, stavano tutti bene e ci volevano vivi. Il pensiero volò a mia madre a cui probabilmente sarebbe preso un colpo. Dalla leggera luce che aleggiava probabilmente era l’alba. Erano furbi molto furbi. Cominciai a ragionare, dovevo capire onde evitare la totale pazzia. La ronda era iniziata da pochissime ore e non saremmo mai tornati prima delle nove del mattino. Nessuno si sarebbe allarmato. Per Leah e papà avevano utilizzato una forma molto pesante di anestetico, probabilmente qualcosa da Safari per gli elefanti, per noi invece che avevamo la pelle come un vampiro, impenetrabile, dello stupido cloroformio, come in un film giallo scadente. Una buca e il mio momentaneo mezzo di trasporto sobbalzò,  scaraventandomi sulla parete opposta, facendomi schiantare con la schiena e la nuca contro il freddo e duro metallo.  Rantolai, per il dolore con cui avevo battuto il mio corpo. Ero a pezzi, forse dovuto all’anestetico che non mi aiutava. Ma come avevano fatto a sorprenderci così? Sicuramente ci conoscevano molto bene, sapevano già come ci saremmo mossi, qual’era il nostro giro e potevano aspettarci ad una distanza tale da non poterli immediatamente scorgere con la guardia bassa. Il vento. Il vento era contrario. Erano molto più che furbi. Erano rimasti sottovento ed mettendo fuori gioco i più forti per primi a distanza. La maledetta velocità dei vampiri. Avevano agito così in fretta che il passaggio tra l’uno all’altro era più breve di un battito di ciglia. Un gioco da ragazzi sopraffare un gruppo in minoranza.  Sobbalzai per minuti interminabili calciando contro la portiera con tutta la mia forza. Ne ricavai un indolenzimento alla caviglia, in cambio di qualche ammaccatura. I miei sensi erano ancora intorpiditi, non riuscivo a distinguere bene cosa mi avesse provocato. Quando accettai l’inutilità dei miei tentativi disperati,  mi sentii totalmente spossato. La sensazione d’impotenza era troppa ed avevo come la sensazione che mi avessero strappato il cuore dal petto. Sarah. Il mio pensiero era totalmente incentrato su di lei. Avevo paura. Per lei. La mia sorte assumeva tutt’altra importanza sapendo che era in pericolo. Separati come mai lo eravamo stati, mi sentivo come perso, mi mancava una parte troppo importante per essere ignorata. Era nel convoglio che si stava trasportando in chissà quale posto, in quale prigionia. Quante volte dovevamo essere l’oggetto di un brama di potere?  Ma il convoglio contava quattro furgoni! Avevano preso anche mio padre e Leah! Questo voleva dire solo una cosa: eravamo letteralmente nella merda.

< Sarah ti prego, sii forte! > era l’unica cosa che però era costante, non avrei sopportato di sopravviverle. E con quel pensiero, quella preghiera gridata solo dentro la mia testa sperando che potesse ascoltarmi, ancora coperta dal suo candido manto mi addormentai. Ma non era un sonno ristoratore. Il mio dormiveglia era caratterizzato, dall’immagine mia e di mia sorella ancora bambini. Tutte le nostre litigate, i miei continui dispetti, tutte le volte che mi sentivo come se mi avessero tagliato qualcosa quando non c’era. Fra i due era lei quella più indipendente, la più forte. Per questo mi sentivo così possessivo. Il tremolare del furgoncino cessò ed uno stridulo rumore dei freni accompagnò il tacere del motore. Nonostante le pareti spesse riuscii a sentire le portiere chiudersi ed due passi leggeri.

“Il bastardello si è svegliato”  le portiere, dopo varie serrature scattate, si aprirono e lasciarono entrare una luce strana. Era solare ma non stavamo all’aperto, ogni mossa veniva risposta da un eco metallica. La sinuosa forma del muso di un piccolo aereo, un jet, sbucava dall’apertura delle lamiere che ci circondava, di sfondo della sterpaglia rada e comprovata da piccoli cumoli di neve. Ci avevano trascinati in un hangar desolato probabilmente al nord visto che ci trovavamo ancora in ottobre. Venni afferrato con forza dalle funi che avvolgevano il mio fusto e scaraventato fuori in terra, come mi era già accaduto provai a ribellarmi, non ero pronto ad arrendermi, piuttosto li avrei fatti danzare sulle mie ceneri. Non ero ancora del tutto lucido, ma potendo vedere finalmente i miei aggressori lanciai il mio scudo. Uno di loro cadde semplicemente a terra. Ero allo strenuo delle forze, se avessi avuto a pieno le mie facoltà mentali probabilmente sarebbe volato per chilometri. Ringhiai mostrandomi minaccioso, ma quei vampiri non si spaventarono, anzi sembravano divertiti dalla situazione. Gli altri tre furgoni si erano parcheggiati di fianco a quello a cui avevo  viaggiato io. Vidi tre masse di diversi colori essere trascinate per le zampe legate come un vitello ad un rodeo, il muso bloccato ben stretto. Il pelo bianco di Sarah fu l’ultimo che riuscii a notare. Ero sbigottito spaventato, li avevano drogati molto più di quanto ero stato drogato io. Di nuovo passarono il panno imbevuto di cloroformio sulle mie narici e  m’imposero lo stato d’incoscienza che aveva caratterizzato il nostro poco piacevole viaggio. Cosa volevano da noi?

 

 La t-shirt che indossavo assomigliava ad uno straccio. In un’altra occasione  avrei pensato ad un modo per sfuggire ad Alice, dopo aver rovinato un capo Armani, maledicendola con tutte le parolacce delle terre emerse. E quanto avrei voluto che fosse stato così. C’era una disgustosa puzza di muffa, pungente. Corrodeva fino alla gola e grattava. Tossii come primo impatto aspettando di abituarmi, con ancora gli occhi chiusi. Ero sdraiato sulla pietra nuda. Sentivo la sua umidità e la sua superficie ruvida e porosa sulle porzioni di pelle scoperta. I Jeans si erano strappati sul ginocchio, a forza di essere trascinato come un sacco di patate. Le mie palpebre si alzarono lentamente.  Ad accogliermi c’era solo una fioca luce traballante. Mi guardai intorno sollevandomi, tossendo ancora per cacciare l’irritazione della mia gola, vidi solo uno scenario degno delle prigioni dell’inquisizione spagnola. Ero stato rinchiuso in una cella, dalla parvenza antica ma dalle sbarre decisamente nuove affondate nella pietra del pavimento; le mura che mi circondavano erano di notevole spessore non avrei potuto buttarle giù con una spallata. Comunque provai a rompere le sbarre ne afferrai due, ed allungai più volte le dita in modo che la mia presa non sfuggisse. Espirai tutta l’aria che avevo in corpo e cercai di allargare il piccolo spazio che intercorreva tra di loro. La forza che cercai d’imprimere era quasi furiosa, le vene del collo s’ingrandirono pulsando freneticamente sotto la pelle.

“È inutile!” una voce calda, mi colse alle spalle, mi voltai lentamente temendo che fosse solo un sogno. La conoscevo bene, era l’unica che avrei voluto sentire “Ho già tentato!” Sarah. Se ne stava nuda in un angolo tremava, non di freddo. Il suo corpo era scosso da degli spasmi fortissimi, si teneva le ginocchia rannicchiate al petto. Nonostante la sua statura sembrava piccolissima. Mi avventai su di lei pronunciando più volte il suo nome, cercando di assicurarmi che stesse bene. Mi tolsi velocemente la maglia e gliela feci indossare le andava quasi  come un vestito visto le nostri differenti corporature. Sembrava così indifesa.

“Stai bene? Sei ferita?”

“Sto bene, ma sono intontita, sono stata drogata con delle pasticche strane, mi hanno obbligata ad ingerirle dopo che avevano circondato voi altri, dovevo proteggervi, dovevo ribellarmi ma avevo paura! È tutta colpa mia!” un singhiozzo e si nascose tra le braccia. La presi e la cullai, odiavo vedere proprio lei così fragile. Le baciai la testa cercando di rassicurarla.

“Non preoccuparti sorellina, non è colpa tua, ci stavano minacciando, erano almeno quattro per ognuno di noi non potevi saperlo, tranquilla non piangere!” le accarezzavo le parti dove potevo posarmi. Sentivo ogni singhiozzo ripercuotersi nel mio petto, ogni singolo tremito diventava il mio. Soffrivo non solo per la situazione ma ero tremendamente  sconvolto per lei. Ma mentre cercavo di farla riprendere due figure scure avvolte in dei begl’abiti eleganti, con giacche che fasciavano il loro corpulento fisico chiudendosi fino al colletto alla coreana, si pararono di fronte a noi lanciando con sdegno una sorta di tuta per mia sorella, ringhiammo entrambi.

“Vestiti piccola bastarda, ci saranno visite!” disse con sprezzo quello più basso. Sarah ruggì più profondamente ed io con lei, mentre ogni sua parte si trovava coperta dai tremori forti espletazione della sua volontà di strappare quella lingua biforcuta. “Fai come vuoi noi di certo ti preferiamo nuda!” in un attimo guidato semplicemente dall’istinto mi fiondai su quello più vicino alle sbarre, soffiando come una tigre infuriata, presi il suo collo ed inizia a stringere, mentre se la ridevano.

“EJ calmati! Non siamo nella posizione di ribellarci!” nel trambusto non avevo notato che si era vestita e mi stava ad un passo parlandomi all’orecchio cercando di calmarmi. “Per ora!” precisò con mia soddisfazione. Lasciai con sdegno il muso di quell’animale dagl’occhi vermigli, ed indietreggiai affiancando mia sorella. Loro ridevano ancora come se la mia rabbia non facesse altro che accrescere la loro ilarità.

“Hai grinta ragazzo ed una bella stretta!” si massaggiò il collo compiaciuto. Non mi trattenni. Rilasciai la membrana che mi avvolgeva con un’onda. Stavolta la potenza era ben più forte, l’effetto della droga stava completamente svanendo e  la mia mente ora era occupata dalla sola preoccupazione. Non ero nel pieno ma abbastanza per scaraventarli a metà corridoio. Da lì si sentirono delle forti risate. Ci trovavano divertenti.

< Bene, ride bene chi ride ultimo! >  se ne andarono ed io abbracciai nuovamente Sarah che cinse i miei fianchi. Ero pur sempre il più alto.

“Dove sarà papà? E Leah, Sue si starà disperando! La mamma o mio Dio, la mamma, starà dando di matto? Riusciremo ad uscire da qui?” le sue domande mi penetrarono come coltelli. Non potevo risponderle, non sapevo assolutamente come fare. L’unica cosa che potevo dirle era una.

“Affronteremo tutto noi due, niente ci separerà!” le presi le spalle e la scossi perché volevo che nei suoi occhi leggesse la mia stessa sicurezza, nell’unica cosa certa “Insieme sorellina, giusto?” le porsi la mano di taglio con il terreno. Il nostro rito fin da bambini quando dovevamo combinare qualcosa che nessuno della nostra famiglia voleva che noi facessimo. Sorrise mesta. Poi schioccò  il suo palmo contro il mio, cozzando dopo i nostri pugni.

“Adesso e per sempre, fratellino!”

 

Note dell'autrice: Bonjour! Visto che forse oggi pomeriggio non potrò postare faccio stammattina! ghghgh!^^ Allora siamo entrate in fase action e questo è l'ultimo POV EJ, salutino al nostro piccoletto! Ebbene ragazze mancano quattro capitoli alla fine già già e vi giuro che sarnno intensissimi, una cosa veramente allucinante, pensate che mentre li scrivevo dovevo tenermi una bottiglia d'acqua accanto in modo da bere ogni sei minuti. Sono tornata alla vecchia e sana azione (devo ammetterlo a me piace tantissimo scrivere delle scene d'azione anche se non sono così pratica ^^) Non dico più nulla a parte che l'ultimo prima dell'epilogo sarà un POV Sarah, era giusto terminare con lei. Spero che vi piaccia la conclusione adrenalinica che ho deciso per tutti noi!

noe_princi89: i Volturi ...mmm... saranno stati loro a rapire i figli di Nessie? ^^

Lione94: bonjuor carra mia! misto di spagnolo e francese! E' mattina abbiate pietà! decisamente l'avrebbe voluta spaccare la faccia di Demetri! Anche io volevo che lo facesse, ma insomma, io l'ho sempre visto come quello che si crede chissà chi solo perchè fa parte dei volturi per questo mi sta antipatico e lo rendo antipatico. Massimo sarà un personaggio importante per lo svolgersi della conclusione, essenzialmente mi serviva per questo il capitolo. Però non dimenticare è sempre un Volturo ...

kekka cullen: felice di averti ancora sorpresa! Vedremo Massimo cosa combinerà, non a caso l'ho introdotto in maniera così plateale!

RINGRAZIO SEMPRE TUTTI

XOXOXO

mally

 

   
 
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