Everybody
has regrets, (Tutti
hanno rimpianti)
wounds
they wish would heal
(Ferite che vorrebbero guarite)
Clocks
that won't reset (orologi che non si resettano)
Scars are
simply lessons learnt (Le cicatrici sono
semplicemente lezioni imparate)
bridges
that we've burnt (ponti che abbiamo bruciato)
So
we won't go back (così non
torneremo indietro.)
Scars
show me where I've been, (Le cicatrici mi mostrano dove sono stato)
where I shouldn't go again
(dove non tornerò
di nuovo)
Keep
my heart on track (rimettono il mio cuore sul sentiero)
But
I wouldn't change a thing (Ma non cambierei una cosa)
They're
such a part of me (Sono come una parte di me)
They
make me who I am (Mi rendono ciò che sono)
No
apologies for these scars (Nessuna giustificazione per queste
cicatrici).
Scars
– Ronan Keating.
L’alba di
un
nuovo giorno li aveva salutati da quasi un’ora e per la prima
volta da così
tanto sembrava davvero plaudire il sorgere di una nuova era che non
attendeva
che d’esser vissuta in completa armonia e beatitudine.
Si voltò ad
abbracciare la Sala Grande che era stata lo scenario di
quell’epocale battaglia
e il suo sguardo verde saettò tra i cocci delle finestre
infranti, i quattro
tavoli addossati confusamente su una parete, le stoffe degli abiti
degli
astanti.
Rimase
semplicemente immobile per qualche istante, mentre il vociare si faceva
più
intenso ma in qualche modo ovattato, registrato solo da un angolo
remoto del
suo sistema nervoso, perché tutto quel tumulto sarebbe stato
sopraffante, quasi
opprimente.
Si passò una
mano tra i capelli scarmigliati e così facendo
sfiorò la cicatrice sulla
fronte, tastandola accuratamente con dita tremanti e ancora sporche di
polvere
e di sangue, come un segno che marchiasse inesorabilmente la
realtà che gli
stava attorno, percependola finalmente come qualcosa di reale.
Si era
ritrovato stretto in molteplici abbracci, pacche sulla schiena, parole
di
commozione e di ringraziamento: un turbinio di vesti, di profumi, un
calore che
avrebbe dovuto scalfirlo fin dentro il suo essere ma in qualche modo
ancora
asettico e lontano.
I tavoli di
nuovo dislocati ai loro posti ma tutti seduti assieme, adulti e
ragazzi,
insegnanti e auror, maghi
e streghe a
sancire che quella divisione tra Case avrebbe dovuto esaltare i
privilegi di
ognuno, non avrebbero dovuto essere un limite, confini ben gelosi e
protettivi.
Ricercò
istintivamente un altro volto nella folla tutto attorno, prima di
ritrovarsi
attorniato da una miriade di volti: l’Esercito di Silente ed
ex allievi che si
premevano attorno a lui, mostrandogli il loro affetto, la loro stima e
fiducia
e l’ammirazione per ciò che aveva affrontato.
Ragazzi che
erano stati precocemente segnati, costretti a vivere in
un’epoca d’assoluto
terrore e in un costante clima di agitazione, di paura, di sospetto e
che in
quel momento non avrebbero chiesto altro che essere semplicemente
ciò che
erano.
Giovani
spensierati nel fiore dell’età.
Non più
soldati.
Non più
vittime.
“Dovremo
festeggiare”.
Quelle
parole
erano state registrate vagamente dal suo udito, quasi lontane e
stridule, quasi
blasfeme, senza saper loro associare il volto di chi li aveva
proferite, mentre
aveva ancora la netta sensazione di guardare il tutto
dall’esterno, di non
essere realmente partecipe di quel momento.
Per
tutta la
vita aveva avuto la sensazione che un muro invisibile ma percettibile
lo
separasse dal resto dal mondo.
Da
sempre
aveva sognato la normalità, l’anonimato.
La
fortuna di
non essere il prescelto.
Una
mente
spensierata e frivola, quale avrebbe dovuto essere.
In
quel
momento quella sensazione montò di nuovo in modo mordace,
pulsandogli le tempie
e facendogli stringere i pugni lungo i fianchi e boccheggiare alla
ricerca di
un nuovo respiro, mentre scuoteva impercettibilmente il capo.
Mormorò
parole
di scuse confuse, si mosse prima che Ron ed Hermione potessero
raggiungerle e
con rapidi e distesi passi attraversò la Sala Grande,
desiderando solo poter
avere di nuovo il mantello di suo padre per potersi allontanare
indisturbato.
Avrebbe
voluto
poter respirare davvero, non sentendosi più soffocato da
quel tumulto di volti,
d’emozioni e di commozione, di gioia e di entusiasmo che
sembravano acuire una
cicatrice iscritta nell’animo che ancora era infetta.
Si
voltò
superata la soglia dell’uscio e prima che le doppie porte si
chiudessero dietro
di lui, tornò ad osservare la Sala Grande e scosse la testa.
Festeggiare.
Cosa c’è
da festeggiare?
Addossati
in
un angolo aveva scorto la signora Weasley inconsolabile, china sul
petto di
Fred, tremante di singhiozzi, mentre Ginny le sfiorava delicatamente i
capelli
e lo sguardo di George era vitreo e lontano.
Poco
distanti
i due corpi teneramente abbracciati di Remus e Ninfadora e il cuore di
Harry
aveva avuto un guizzo perché non solo l’ultimo dei
Malandrini se n’era andato,
ma da qualche parte un bambino stava dormendo ignaro nel suo letto,
cullato in
un dolce sogno spensierato.
Senza
sapere
che non avrebbe più rivisto i suoi genitori.
Che
quella
notte maledetta aveva liberato il mondo magico dalla sua cancrena ma
lui ne
avrebbe portato i segni per tutta la vita e come Harry anni prima, la
vita lo
stava ponendo di fronte al fatto compiuto.
Gli
aveva
iscritto una cicatrice che non avrebbe mai avuto completa guarigione.
Ma era giusto così;
si disse.
Così
non
avrebbe dimenticato.
Nessuno avrebbe
dovuto farlo.
Varcò
il
portone d’ingresso e boccheggiò cercando di
respirare, lasciando che la brezza
gli sfiorasse il volto e gli scarmigliasse ulteriormente i capelli,
socchiudendo gli occhi per un istante.
E’ finita; si
disse di
nuovo ma per qualche motivo il dolore e il tremore vissuti quella
notte,
l’adrenalina e la fermezza di star per morire, le molteplici
rivelazioni cui
era stato partecipe, la morte di Piton; erano ancora troppo intensi e
pulsanti
perché sfumassero, lasciando posto alla spensierata
consapevolezza che sì; è
finita.
Una volta per tutte.
Schiuse
gli
occhi osservando l’aurora riflettersi nelle acque del lago
scosse dal vento
gelido del Nord e rimase per qualche istante immobile, meditando sulla
possibilità di rientrare o cercare un posto dove poter
restare tranquillo e in
solitudine.
Ci
sarebbe
stato tutto il tempo opportuno per tornare dai suoi cari e finalmente
iniziare
davvero a vivere.
Ma non quella notte;
si disse di
nuovo – più risoluto – e prese a
camminare senza direzione, avanzando sul ponte
per immergersi nel parco di Hogwarts dove sperava nessuno lo avrebbe
trovato
per ancora un po’ di tempo.
Fu
in quel
momento che avvertì uno sfavillio di calore nella tasca dei
pantaloni e con un
lieve gemito di dolore e di sorpresa, immerse la mano nella tasca,
estraendone
una bacchetta e la voce d’Olivander invase la sua mente.
“Biancospino e crine
d’unicorno. Dieci pollici
esatti. Sufficientemente elastica. Questa era la bacchetta di Draco
Malfoy”.
Rimase
ad
osservare per diversi istanti la bacchetta che lo aveva accompagnato
per un
breve periodo della propria avventura.
La
bacchetta
che aveva lanciato l’incantesimo di disarmo contro Lord
Voldemort, la bacchetta
che gli era stata fedele e ancora si sorprese al ricordo di quanto
fosse stato
confortevole stringerla tra le dita.
Sentendola
propria.
In
fondo,
aveva detto Olivander, dopo averla sottratta a forza dal suo legittimo
proprietario era probabile la sua fedeltà fosse cambiata.
La
bacchetta
sembrava adesso bruciare tra le sue dita, mentre un nuovo fremito di
vita
sembrava accarezzarla e dall’estremità
dardeggiarono scintille d’argento,
mentre il giovane ansante rimase ad osservarla, senza realizzare cosa
stava
accadendo.
Il
calore
divenne quasi ustionante e con un gemito la lasciò cadere a
terra e la osservò
dipanarsi come le spire di un serpente sull’erba, prima di
irrigidirsi e
restare immobile e l’estremità
- la cui
scia spruzzata d’argento si era estinta – era
puntata verso est.
Il
giovane la
raccolse da terra e di nuovo la bacchetta vibrò
violentemente, scaldandosi
dalle sue dita, mentre – seguendo l’istinto e senza
riflettere – procedeva in
quella direzione, sentendo il tremito farsi sempre più
intenso fino a quando,
giunse alle rive del lago e il candore del marmo della tomba di Silente
sembrò
accecarlo per un istante.
La
bacchetta
vibrò di nuovo pulsante e Harry riuscì a
distogliere lo sguardo dal feretro,
osservando la figura allampanata e rigida – tutta avvolta da
vesti scure –
ferma sulle rive del lago, immobile e silenziosa.
La
bacchetta
stava vibrando in direzione del suo precedente possessore, quasi
fremendo per
ricongiungersi con la sua stessa componente, rinsaldare la precedente
alleanza
e offrirgli di nuovo devota fedeltà.
Come
fosse
possibile, Harry non avrebbe saputo spiegarlo e in quel momento
l’interrogativo
non era particolarmente vincolante, mentre
si avvicinava al giovane, con passi rapidi e lievemente
ovattati dal
manto erboso luccicante di rugiada alle prime luci del sole.
Ripercorse
in
qualche immagine rapida e confusa la rivalità che li aveva
legati per cinque
anni di scuola, coronati da infantili e talvolta perfide e ben
congegnate
sevizie da parte del Serpeverde.
Non
aveva mai
provato la benché minima stima per quel rampollo dalle
apparenze nobili ed
illustri, arrogante e superbo nell’incedere, velenoso e
perfido nel suo
sibilare, intaccando le sue vittime in un giogo di umiliazione e di
subordinazioni ai danni di coloro che riteneva inferiori dalla nascita.
Era
stato
partecipe – suo malgrado e ad insaputa del biondino
– del tormento che aveva
vissuto quando a sua volta era stato un prescelto di Lord Voldemort.
Quel
pensiero
lo fece quasi sorridere di ironica consapevolezza, al pensiero che
quasi
stolidamente e ottusamente, gli aveva serbato rancore e disprezzo,
probabilmente invidiando una notorietà che non si era mai
scelto, in un modo
superficiale ed infantile, senza riuscire a comprendere il peso di
un’etichetta
che non aveva mai scelto.
Ma
che si
sarebbe sempre portato con sé, come un destino ineluttabile
e severo,
tracotante e superbo che gli era stato iscritto il giorno stesso della
sua
nascita e non si sarebbe scollato neppure aldilà della sua
stessa vita.
E
per la prima
volta, Harry aveva scorto il suo lato umano, la fragilità e
la paura spesso
nascoste, dietro gesti di arrogante superbia e di ostentata sicurezza.
Per
la prima
volta aveva proiettato su di lui sentimenti di tiepida pietà
e comprensione e
inconsciamente aveva smesso d’essere Malfoy, il figlio di
Lucius, il Cercatore
avversario, il bullo Prefetto.
Draco,
solo
Draco.
Giovane
e
impaurito, fragile e vulnerabile di fronte ad una realtà
molto più grande di
lui che non sapeva affrontare e che stava lentamente consumando la sua
maschera
di cristallo, logorandogli lo spirito e spegnendo la malizia
dardeggiante del
suo sguardo di ghiaccio.
Da
carnefice
era divenuto vittima tremante, soggiogato al Signore Oscuro il cui
sguardo lo
trafiggeva impotente, incapace di difendersi e umiliato
nell’orgoglio che aveva
cercato debolmente di forgiare di nuovo, per amor proprio.
Coinvolto
a
sua volta e senza possibilità di scelta, apparentemente
orgoglioso ed onorato
ma solo in seguito realmente consapevole del peso di una simile
onorificenza, e
solo in quel momento realmente umano e realmente se stesso.
Il
biondino
non si era mosso e l’alta figura era scossa dal vento che gli
spettinava i
capelli scarmigliati e il mantello logoro ma gli sembrò che
si fosse
irrigidito, avvertendo dei passi alle proprie spalle.
Le
spalle
ampie erano adesso tese e gli pareva di percepire il formicolio delle
braccia,
mentre stringeva i pugni lungo i fianchi, cercando di restare immobile
ed
impenetrabile a pochi passi dalla tomba dell’uomo che aveva
disarmato e poi
visto morire.
L’uomo
che
avrebbe dovuto uccidere.
Si
fermò alle
sue spalle con un fluido movimento silenzioso e allungò la
bacchetta di
biancospino, in sua direzione.
Riusciva
quasi
a percepire la tensione del ragazzo, le cui spalle sembrarono
ulteriormente
irrigidirsi e le mani stringersi spasmodicamente in pugni, quasi un
tentativo
inconscio di proteggersi di fronte ad una nuova minaccia.
Rimasero
entrambi immobili e silenziosi per diversi istanti mentre il gelido
vento
schiaffeggiava loro i visi e faceva ondeggiare le vesti, prima che il
biondino
voltasse appena il mento in sua direzione, guardandolo con la coda
dell’occhio
e un angolo della bocca si contorse all’insù in un
sorrisetto sardonico.
”In cerca di elogi, Potter?”.
Lo sentì dire e al giovane non sfuggì
l’intonazione particolarmente sprezzante
quando ne aveva pronunciato il cognome, mentre in quel fulmineo
movimento del
capo aveva cercato di osservarne lo sguardo di nuovo immobile ed opaco.
Il
serpente
aveva scoperto le fauci, lasciando zampillare la lingua biforcuta per
captare
gli odori attorno, prima di snodarsi su se stesso e infliggere il suo
morso
mortale con un movimento rapido e brusco.
Ma
era un
veleno sterile e inodore, insapore.
Il
Grifondoro
si concesse di ammorbidire le labbra a simulare un sorriso, quasi
realmente
divertito dall’ennesima dimostrazione di humour, quasi
realmente intaccato,
mentre lo sguardo di smeraldo aveva cercato con più
intensità il suo.
Il
biondino si
era ulteriormente irrigidito, voltandosi di nuovo bruscamente,
stringendo
maggiormente i pugni dopo aver osservato per un solo istante la
bacchetta,
senza muover mano per riprenderla e Harry la sentì di nuovo
vibrare pulsante
tra le sue dita.
“Ne
ho una per
settimana…e quella è la bacchetta del
giovedì - Commentò
con un ennesimo scrollo di spalle
– regalala ai Weasley…la
bacchetta che ha
ucciso il Signore Oscuro (la sua voce aveva accarezzato
quelle parole,
imitando un tono melodrammatico e pauroso, come quando anni indietro
aveva
finto di vedere un dissennatore alle sue
spalle)…varrà molto più di quel
porcile che chiamano casa”. Commentò con voce
intrisa di perfido divertimento,
con quel ghigno suadente, quasi compiaciuto della sua stessa ingiuria
ma di
nuovo lo sguardo era assente quasi vitreo.
Per
un attimo
gli era parso di scorgere il fantasma del bulletto conosciuto per anni,
prima
che il suo sguardo si perdesse di nuovo ad osservare il lago, tornando
perfettamente immobile e rigido.
Ma
Harry era
certo tutto il suo essere fosse spasmodicamente teso a carpire
ciò che gli
accadeva attorno, la sua presenza e quella bacchetta protesa in sua
direzione.
“E’
stata la
bacchetta a condurmi da te…vuole di nuovo essere
tua”.
Si
sentì dire
e ancora una volta ebbe la percezione di osservare la scena
dall’esterno,
mentre a sua volta puntava lo sguardo sul lago di fronte a loro,
lasciando che
scarmigliasse loro i capelli e li scalfisse in viso, mentre il giovane
in
risposta si lasciava sfuggire un verso sprezzante di ironico
divertimento.
“E’ contaminata ormai, dal sangue sporco di tua
madre che ti scorre nelle
vene”.
Aveva
commentato
voltandosi in sua direzione e sputandogli addosso quelle parole con le
sopracciglia aggrottate e il naso raggrinzito a simulare il proprio
disprezzo,
mentre torreggiava in sua direzione, sogghignando di nuovo, quasi folle
in quel
divertimento perverso di distruggere gli altri per una parvenza di
maggior
sicurezza e forza.
Gli
parve di
scorgere l’immagine di un serpente che sibila dopo aver
ondeggiato e cercato
con lo sguardo di ipnotizzare una vittima impotente, per poi infliggere
un
morso mortale che lo uccidesse - dopo averlo visto contorcersi
impotente - e
gettarsi poi sulla sua carcassa con brusca violenza.
Ma
la criniera
del leone ondeggiava al sibilo del vento e il sontuoso e maestoso
animale
osservava la serpe all’alto della sua altura, forgiato della
consapevolezza di
potersi sostenere sulle proprie zampe, mentre quel rettile infido
avrebbe
dovuto continuare a
strisciare su se
stesso, attaccando per non essere attaccato.
Lo
sguardo
smeraldo ebbe un fremito improvviso e la bacchetta di biancospino cadde
a terra
vibrando impotente e scoprendosi ansante, il giovane abbassò
il pugno che aveva
colpito, lasciandolo ricadere lungo il fianco.
Restò
ad
osservare il biondino che aveva appena voltato il viso di un lato, la
camicia
candida macchiata del suo stesso sangue, mentre si puliva con la manica
il
labbro sorridendo sferzante, leggermente incurvato, mentre osservava la
mano
insanguinata.
“Niente
male
per uno sporco mezzosangue”.
Ebbe
l’ardire
di aggiungere, drizzandosi di nuovo perfettamente in piedi e tornando
ad
osservarlo con il sopracciglio lievemente inarcato, il sorriso suadente
e
beffardo, malgrado il rivolo di sangue ad un angolo della bocca.
Lo
prese per
il bavero della camicia, scuotendolo bruscamente in sua direzione,
prima di
guardarlo dritto negli occhi, notando il giovane rimanere immobile e
stordito,
lasciandosi adesso strattonare come una patetica e debole marionetta i
cui fili
erano stati recisi con una rapida forbiciata.
“E’
finita
Draco – commentò strattonandolo con forza, prima
di lasciarlo andare,
osservandolo leggermente vacillante, probabilmente più per
lo stupore che un
reale squilibrio – mettitelo in testa: è
finita!”.
Commentò
con
voce strozzata, ritrovandosi poi a boccheggiare, scostandosi dal
giovane con
una smorfia di rabbia e di sdegno, non riuscendo a tollerare un simile
atteggiamento, una volta che il sipario era stato calato.
Lo
stupore
quasi incredulo e stordito del biondino durò solo un
istante, prima che
raggrinzisse il naso, inarcando un angolo della bocca tumefatto,
avvicinandosi
a sua volta al Grifondoro, strattonandolo per il bavero e attirandolo a
sé,
torreggiando su di lui, il respiro lievemente irregolare e lo
scintillio dello
sguardo perlato.
“Per
te è finita –
commentò con tono astioso
ma la voce bassa, quasi tremula come gli costasse un’immane
fatica articolare
quelle parole, guardandolo dritto negli occhi – il Bambino
Sopravvissuto…l’Eroe…il
Prescelto”.
Sembrò
quasi
sputare quelle qualifiche con voce avvelenata, continuando a
strattonarlo con
uno scintillio quasi folle nello sguardo e la voce tremante ed ansante,
prima
di lasciar bruscamente il ragazzo, scostandosi e arretrando, scuotendo
il capo.
Harry vide le sue labbra tremare come stesse ingoiando qualcosa di
acre,
scoprendosi bruscamente l’avambraccio sinistro e mostrando il
Marchio nero che
ne aveva sfregiato la pelle.
Una
cicatrice
esteriore come pallido simbolo della metamorfosi interiore.
“Questo non se
n’andrà mai”.
Commentò
con
voce roca e sussurrata, salvo voltarsi bruscamente tornando ad
osservare
l’orizzonte, il respiro ansante e le spalle ancora
più rigide, stringendo i
pugni lungo i fianchi.
“Sono
e
rimarrò sempre un Mangiamorte…”.
“Ti
ha
marchiato soltanto la pelle, non il tuo spirito”.
Commentò
con
voce profonda che strappò al biondino un sorrisetto
sferzante ed incredulo e
tornò ad osservarlo, voltando appena il mento in sua
direzione con un angolo
della bocca sollevato a simulare un sardonico divertimento, prima che
scuotesse
la testa e di nuovo il suo sguardo grigio sembrò spegnersi,
voltandosi di nuovo
bruscamente verso il lago.
“Tu
non sai…le
cose che ho fatto…le cose che ho visto…non ho
avuto scelta”.
Commentò
e la
voce sembrò spegnersi bruscamente alle ultime parole, mentre
le labbra ebbero
di nuovo un tremito, prima che con un guizzo gli voltasse le spalle e
il vento
sibilò tra loro per diversi istanti, portando via con
sé l’eco profondo ed
intenso di quelle parole che sembrarono echeggiare nella mente di Harry
per una
quantità interminabili di istanti, ripetendosi sempre uguali
a se stesse.
Intrise
della
stessa amarezza.
“Ti
sbagli, tu
l’hai compiuta la tua scelta”.
Il
biondino si
irrigidì ulteriormente, stringendo i pugni lungo i fianchi,
prima di voltarsi
ad osservarlo con le sopracciglia inarcate e gli occhi sgranati, le
labbra schiuse
e il respiro ansante, mentre il suo corpo era ancora spasmodicamente
teso, non
riuscendo a comprendere il reale significato di quelle parole.
Il
Grifondoro
mosse appena di lato il mento ed entrambi osservarono per un istante il
feretro
di un candore quasi accecante e il biondino sembrò tremare,
distogliendo subito
lo sguardo, con un guizzo all’altezza della mascella.
“Eravate
soli,
lui era disarmato e avevi tutto il tempo per ucciderlo”.
Commentò
il
Grifondoro al che il biondino scosse la testa tornando a guardarlo con
un
sorriso sardonico in volto, lo sguardo dardeggiante, mentre simulava di
nuovo
un’arrogante perfidia che mai finora era stata
così debole e increspata.
“Lo
avrei
sacrificato per la mia famiglia”.
Il
Grifondoro
scosse la testa, inclinando il viso di un lato ed osservandolo
attentamente.
“Hai
abbassato
la bacchetta, prima che arrivassero i Mangiamorte –
sussurrò e vide gli occhi
del biondino sgranare e il sorriso sparire dal suo volto, guardandolo
incredulo
– ho visto tutto, Draco…ho visto come ti tremava
la mano…ho visto la tua
disperazione e ho visto anche tutto
quello che Voldemort ti ha costretto
a
fare”.
Sussurrò
e il
biondino sembrò tremare al suono del nome del suo aguzzino,
o probabilmente per
l’intensità di quanto detto dal suo storico rivale
ed antagonista, prima che
distogliesse rapidamente lo sguardo, scuotendo fermamente il capo.
“Ero
orgoglioso quando sono stato marchiato”. Sibilò
alzando il viso in sua
direzione e fissandolo dritto negli occhi, con il mento sollevato,
quasi in
atto di sfida mentre proclamava simili parole e il Grifondoro rimase
impassibile, aggrottando appena le sopracciglia.
“Forse
– gli
concesse scrollando le spalle – ma non quando puntavi la
bacchetta contro
Silente o torturavi un mangiamorte”.
Il
biondino
scosse con violenza il capo, tornando a guardarlo con le sopracciglia
aggrottate e i pugni stretti lungo i fianchi, guardandolo con il
cipiglio in
furioso e una vena del collo in evidenza, spasmodicamente teso come
sull’orlo
del controllo, quasi avesse voluto scagliarsi di nuovo contro di lui e
colpirlo
con forza, scuotendo quelle sue patetiche arringhe che non sentiva
esaustive
del suo animo, dei suoi trascorsi.
Solo
un
Grifondoro per bene poteva decantare simili stupidaggini ed esserne
fiero,
elogiare l’amore e il coraggio come stendardi e spade
inossidabili.
“Tu
non sei
come Tom Riddle, Draco – commentò il Grifondoro
guardandolo intensamente – non
fare il suo stesso errore: impara ad accettarti per quello che sei
davvero…”.
Tom
Riddle era
stato così ossessionato dal suo sentirsi diverso,
dall’essersi sentito
ingiustamente abbandonato, in balia di se stesso, fino ad odiare la sua
identità, forgiandosene una nuova e
sradicare ogni benché minima traccia della propria
umanità.
Proclamando
la
sua presunta superiorirà e forgiando un credo di odio e di
disprezzo per
chiunque ritenesse
inferiore,
forgiandosi di magia oscura e di potere per coprire il vuoto del
rifiuto.
Una
ferita mai
completamente cicatrizzata.
Mai
davvero
fronteggiata.
“Hai
corso
molti rischi per cercare di salvare la tua famiglia e uccidere Silente
e loro
stanotte hanno rischiato la loro per te…non sei
solo”.
Aggiunse
il
Grifondoro e la voce sembrò farsi più roca sulla
parte terminale del suo
discorso, non potendo fare a meno di paragonare la sua situazione con
quella
del giovane.
Per
quanto il
mondo magico fosse stato salvato, la sua cicatrice non si sarebbe mai
rimarginata e non avrebbe mai avuto i suoi genitori con sé.
Si
umettò
nervosamente le labbra e distolse lo sguardo, improvvisamente stanco,
sentendo
di nuovo calcare in lui una fiumana di emozioni indistinte e quasi
opprimenti
che gli facevano pulsare violentemente le tempie, mentre il biondino
era
rimasto immobile ad osservare l’orizzonte, un lieve guizzo
all’altezza della
mascella.
Il
rivolo di
sangue sul labbro spaccato.
I
capelli
scarmigliati e il mantello logoro.
“E’
tutto
finito Draco…ma tutto inizia adesso, come sta solo a te
deciderlo…fammi un
cenno quando lo avrei fatto”.
Commentò,
infine, e senza attendere risposta ripercorse rapidamente i propri
passi,
voltandosi soltanto quando la figura del ragazzo era appena visibile,
mentre si
chinava sull’erba, raccogliendo la bacchetta abbandonata.
Rimase
ad
accarezzarne l’estremità di cui - anche a quella
distanza - scorse lo sfavillio
d’argento delle scintille e lentamente si eresse di nuovo in
piedi,
trattenendola tra le lunghe dite ed osservandola come un prezioso
tesoro.
Riscoprendo
e
riabbracciando il fantasma della sua vita passata, prima che Lord
Voldemort lo
eleggesse suo seguace.
Un
fantasma
cresciuto e maturato ma il sipario era ormai calato e la marionetta
poteva
recidere i fili che la soggiogavano e rinascere di vita propria.
~
“Guarda
chi
c’è”.
Scorpius Malfoy, le vesti lucide e splendenti, il mantello ondeggiante alla lieve brezza del vento, si stava congedando dai suoi genitori, avviandosi poi con incedere sicuro di sé, il mento leggermente sollevato e i passi lunghi e distesi verso la carrozza prescelta.
Draco Malfoy intercettò il suo sguardo e rimasero a studiarsi a distanza di metri, prima che muovesse bruscamente il capo in sua direzione.
Un lieve guizzo e le sue labbra sembrarono mimare un ringraziamento a distanza, prima di distogliere rapidamente lo sguardo voltandosi di nuovo verso il treno a vapore.
“E così quello
è
il piccolo Scorpius”.
“Non dargli troppa
confidenza, Rosie. Nonno Arthur non ti perdonerebbe mai se se sposassi
un
Purosangue”.
Harry scosse appena il capo sorridendo, prima di voltarsi – mentre Rosie protestava debolmente, arrossendo e Hermione fissava di sbieco suo marito – notando che la piccola Lily aveva assistito a quel breve dialogo con i suoi occhi verdi ancora lucidi di lacrime per l’imminente partenza dei fratelli, che osservavano adesso il bambino biondo che era appena salito in carrozza.
Sorrise, stropicciandole dolcemente i capelli e chinandosi a baciarle la fronte.
“Non ascoltare lo zio Ron – le sussurrò dolcemente - è tutto finito”.
Il vento fece ondeggiare la sontuosa criniera del leone e il serpente si acciambellò su se stesso, scrutando l’ambiente circostante e snodandosi sinuoso ed elegante, facendo lustro e mostra delle proprie scaglie.
E’ tutto finito.
Da diciannove
anni.
Buonasera a tutti :)
In attesa del nuovo
capitolo di “Le mie
prigioni” e approfittando dell’ispirazione che in
questo periodo sembra essermi
particolarmente fedele, ho deciso di stilare questa storia.
Mi frullava in testa
da diverso tempo: sono
sempre stata affascinata dal personaggio di Draco per quanto fosse
ambiguo,
misterioso e debole e dopo quanto avvenuto nel sesto libro,
sinceramente avevo
sperato in qualcosa che gli desse maggior rilievo o una
maggiore…dignità.
Oltretutto non so voi,
ma quel gesto
enigmatico di saluto che compie alla stazione per quanto possa essere
intriso
di significato, non mi aveva molto soddisfatto e mi sarebbe piaciuto
vedere un
simile confronto tra i due che in questo contesto potevano essere
vagamente
simili.
Spero che la mia
versione vi sia stata
gradita: è la prima volta che mi cimento
nell’indossare i panni di Harry ma
erano i più confortevoli per destreggiarmi con Draco la cui
eloquenza è fatta
di sguardi, di gesti e di postura, più che di
parole…come avrete visto.
Oltretutto dubito che
Draco avrebbe potuto
aprirsi spontaneamente, specialmente nei confronti del suo acerrimo
rivale…probabilmente
una volta superata quella soglia di distanza, quella diffidenza e
quell’ostilità impercettibile ma dopotutto lui
resta un serpente superbo e
Harry è sempre stato più bendisposto a ritrattare
i propri giudizi, avendolo –
credo personalmente – preso a cuore.
Spero commentiate
numerosi e se non l’avete
fatto che diate un’occhiata anche a “Le mie
prigioni” con il nostro Serpeverde
preferito.
Alla prossima,