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Autore: BigMistake    28/05/2010    4 recensioni
I PARTE: Vi ricordate dove eravamo rimaste in Grey Day in Darkness? Non l'avete letta, ma allora cosa aspettate? (necessario leggere prima quella) Nessie e Jake sono felicemente sposati, con due splendidi bambini. Riuscirà la nostra coppia preferita a superare la crisi del settimo anno? Spoiler dal capitolo XVI: < Perché ti ho data sempre per scontata? Pensavo che la nostra vita insieme sarebbe stata perfetta. Non dovevo. La perfezione non esiste, nemmeno per due anime complementari come noi … > Buona lettura! II PARTE: Passano gli anni e la vita continua. Per stabilizzare gli equilibri bisogna ancora agitare il bicchiere. EJ e Sarah crescono e si scoprono ragazzi, affrontando le problematiche annesse. Dal Capitolo X: - Lui vampiro ed io licantropo, ma con un po’ dell’uno nell’altro. Il freddo e laconico Yin, l’autunno della vita, il nord, il ventre buio dell’animo umano rischiarato da un punto di luce dello Yang che dall’altro lato della collina sorride al sole seppure con una parte oscura di lui nascosta agl’occhi di chi non guarda, alle orecchie di chi non ascolta, agl’animi che non esistono. La perfezione. L’equilibrio. Perfetti e completi solo se insieme. - Buona lettura!
Genere: Romantico, Avventura, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Jacob Black, Renesmee Cullen | Coppie: Jacob/Renesmee
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'GREY DAY IN DARKNESS'
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CAPITOLO XV: Metabolizzare.

Le undici. Chissà cosa era successo, Jacob non tardava mai dalle ronde più del dovuto. Pensai ad un piccolo contrattempo o magari ai gemelli con le loro solite litigate da cane e gatto. Certo potevano avvisare del ritardo anche solo per farmi stare tranquilla. Le undici e due minuti. Quando si contano i minuti vuol dire che si è arrivati al limite. Si, al limite della pazzia. Da quando ero diventata peggio di una mammina ansiosa ed isterica?

< Cervello te lo giuro ti lascio in pace! Inutile starmi ad agitare per un po’ di ritardo! Si saranno fermati a caccia, o da Sue, si magari gli ha preparato la colazione e non hanno resistito … se è così quando rientrano li torchio, mi bastava anche un semplice sms, che li hanno inventati a fare i cellulari se non li usano! > quelle che sentivo erano semplici sensazioni di disagio dovute alla mia eccessiva apprensione. Cercai di mantenere fede alla promessa fatta alla mia materia grigia. Non mi piaceva restare la notte da sola, per questo ero rimasta alla villa che, con la sua quiete, offriva una sorta di sedativo naturale. C’era come al solito un tempo bigio e questo m’ispirava un po’ di sana musica. Da parecchio non mi esercitavo al piano e a mio padre avrebbe fatto sicuramente piacere. Guardai un po’ gli spartiti che avevano la pura funzione di catalogo ormai, sia io che mio padre li conoscevamo a memoria. Mozart. Proprio quello ci voleva, una bella scarica, una melodia veloce ed allegra. Iniziai quasi immediatamente, le mie dita volavano sui tasti leggere e rapide cadenzando ogni nota con notevole maestria, mai quanto mio padre ovviamente. Per lui i tasti cantavano come il sangue di mia madre. Il mio era solo un diletto, il primo approccio con la musica. Lo potrei paragonare alla danza classica per una ballerina di contemporaneo, la giusta base per imparare. Il mio unico amore sarebbe sempre stato il violino, adoravo il suo suono, l’odore del legno sotto le mie narici, amavo persino i gesti. Ma ciò non toglieva la mia tendenza a saper suonare anche il piano. Ero così assorta che non mi accorsi di aver terminato e con, altrettanta sorpresa, trovai mio padre seduto accanto a me sullo sgabello ad osservarmi.

< Sensi da mezza vampira mal funzionanti! >

< No solo estraniazione sensoriale, dovuta dal trasporto! > “Rondò alla Turca?”

“Già!” risposi con un tono lontano quasi a mascherarmi. Non mi andava di essere psicoanalizzata, l’avevo promesso. Ci guardammo seri, in silenzio per qualche istante, poi l’angolo della sua bocca si alzò in un sorriso sghembo delizioso. L’amore per quel vezzo, che tanto piaceva a mia madre, era triplicato quando per la prima volta EJ ne aveva fatto uno tremendamente uguale. Il mio splendido piccolo Edward Jacob; il suo nome lo rispecchiava in pieno. I tratti più riflessivi di mio padre sulla sfrontatezza e la solarità di mio marito. Chissà perché con noi la natura aveva sconvolto le sue leggi. Forse proprio per concederci la possibilità di rimirare un miracolo. I miei piccoli miracoli, ormai grandi e pronti per la loro eternità. Guardai i lineamenti perfetti del profilo di Edward, segnati dalle ombre dovute dalla luce grigia che filtrava dalle finestre, l’appena accennata curva della fronte, la linea dritta e marcata del naso, la bocca alzata in un angolo preciso che deformava amabilmente la sua guancia con una piccola ruga di espressione. Posò la mancina sul piano rivolgendo il suo sguardo d’oro alla tastiera. Era in quei momenti che dimenticavo tutti i miei doveri, dimenticavo di chi ero e che cosa ero. In quei momenti tornavo ad essere semplicemente sua figlia. Quello, era un nostro momento.

< Destra tu e Sinistra io? > mi s’illuminarono sicuramente gli occhi. Era una cosa che mi piaceva da matti seppure era parte delle lezioni di musica impartite da Edward. Per imparare a coordinare le mani, mi faceva suonare gli accordi di una delle due,una cosa praticamente impossibile per delle persone normali. In quella maniera oltre a separarle e renderle indipendenti, dovevo prestare un’estrema attenzione ai tempi. “Cosa ti va?” anche lui era visibilmente emozionato, era parte del repertorio Eddy/Nessie, quello che nessuno ci poteva portare via.

“L’adagio della Sonata al Chiaro di Luna  di Beethoven, va bene?” annuì ed iniziammo a suonare quasi con timore. Sentivo nei suoi pensieri il conto del tempo e mi regolai su di esso. La mia mano suonava leggiadra gli arpeggi, la sua gli accordi. Sembravano le mani del medesimo artista, ma la nostra comunione di menti ci rendeva praticamente una cosa sola. Mi trovai con la mano libera a prendere la sua, adagiata sulla sua coscia mentre continuavamo a suonare. Una piccola folla di vampiri si era radunata alle nostre spalle, ascoltando la nostra melodia. Piaceva a tutti ascoltarci suonare. Quando ero poco più che fanciulla, zio Jasper ci chiedeva sempre di assistere alle lezioni, per rilassarsi leggendo o semplicemente per deliziare il suo udito, come diceva lui. Anche Rosalie, nonostante fosse l’altra musicista della famiglia e poteva vantare di essere un ottima insegnante, non aveva mai intaccato quello che per lei doveva essere soltanto compito di mio padre e spesso si metteva in silenzio in un angolo ad ascoltarci.  La mamma, invece ogni volta sembrava come se delle lacrime invisibili le rigassero il viso. E tutta la famiglia apprezzava questa passione che condividevo con mio padre. Un delicatissimo applauso ci costrinse a girarci incontrando ogni singolo membro della famiglia sistemato come in un quadro settecentesco. Quale migliore occasione per non smentirmi.

“Possibile che in questa casa non ci sia un minimo di privacy?” mio padre sorrise mentre Alice si alzò in piedi con le sue mani a stringere i fianchi ed un’espressione buffa sul viso.

“La causa primaria della mancata privacy di questa casa è seduta al tuo fianco!” agitava il piccolo ed esile indice verso mio padre che strabuzzò gli occhi come per dire ‘da che pulpito viene la predica’.

“Parla la piccola vampira che si mette in mezzo prima che tu possa attuare un tua decisione!” un attimo di silenzio assoluto. Sguardi che scorrevano dall’uno all’altro senza proferir parola. E poi una grande risata da parte di tutti. Quella rappresentava una normale mattinata in casa Cullen.  Anche Gabriel era sereno. Le cose fra noi si erano sistemate, per quanto comunque i rapporti si erano notevolmente raffreddati. Molte libertà che in precedenza mi prendevo ora venivano limitate da me stessa, ma sapevo che per qualsiasi cosa lui ci sarebbe sempre stato. Jacob pur di vedermi felice era disposto ad accettare la sua vicinanza, sempre con le solite distanze di sicurezza ed i suoi divieti. Li accettavamo entrambi, erano più che giustificati. Guardai l’orologio al polso del nonno mentre ancora battute su battute volavano a destra e a manca. Le undici e quaranta. Il ritardo cominciava ad essere troppo. EJ portava sempre con se il cellulare, forse sarebbe stato il caso di chiamarlo. Almeno gliene avrei dette quattro. A quel punto ero quasi certa che si fossero fermati da Sue, mai mettere davanti al viso di un licantropo del buon cibo. Non ci capiscono più nulla e si dimenticano di avere una moglie ed una madre ad aspettarli.

“Tieni!” mio padre mi stava porgendo il suo telefono ed un velo di preoccupazione stava coprendo anche lui. Come un’epidemia tutti avvertirono il nostro stato di tensione. Sul display c’era una foto di me e la mamma di qualche anno prima. Non la voleva cambiare assolutamente. Digitai velocemente il numero. Uno squillo, due squilli. Dovevo solo aspettare e sentire il suo tono allegro dirmi ‘Mamma ti preoccupi inutilmente!’ Tre squilli, quattro squilli. Continuava. Quando il numero toccava i dieci cominciai ad agitarmi sul serio. Forse non aveva il cellulare a portata di mano, forse era con il silenzioso. Mi alzai innervosita dall’attesa. Digitai il secondo numero da cui forse potevo ricavare qualche notizia.

“Sue?”

“Nessie, dimmi che Jacob è a casa e che Leah sta tornando?” il suo tono era concitato, agitato, mi aveva quasi assalito sentendo la mia voce, sembrava in piena crisi di panico.

“Nemmeno Leah è tornata?” cominciai a tremare, le gambe si sentirono improvvisamente stanche. La mia testa era piena di fumo, come se un afflusso di sangue troppo precipitoso si fosse impadronito del cervello. Il  mio stomaco si infeltrì ed un rigolo acido di bile attraversò tutto il mio apparato digerente. Sentivo i battiti del mio cuore accelerare in gola, le tempie pulsavano frenetiche tanto che fui costretta a premerle con le dita. I miei polmoni cominciarono a risentire del respiro che era venuto a mancare, lentamente stavano collassando. Non sapevo più dove mi trovavo, avevo come una sensazione di estraneità dal mio corpo.

“Seth li sta cercando, pensava che mi stessi facendo prendere dal panico inutilmente, ormai è partito più di due ore fa! Prima mi ha chiamato, non li trova, se Jacob non è tornato a casa, o mio Dio! Cosa possiamo fare? Dove possono essere finiti? Perché … ” parlava a raffica, non la comprendevo. Non sapevo più cosa stesse accadendo, mi sentivo solo stanca, tanto stanca. Voltai le spalle adagiandole sulla parete che mi sostenne per un po’.

“Leah, non è tornata …” ripetei con l’ultimo filo di voce rimasto, mentre scendevo fino a terra sfinita. Ogni minima parte del mio fisico si stava paralizzando, come un malato di distrofia che attende solo che arrivi solo al cuore. Il mio volto nel vuoto e le immagini che scorrevano davanti ai miei occhi. Edward prese il cellulare. La mia vista si era appannata e le voci apparivano lontane come se fossi immersa in un vasca piena d’acqua trasparente. Avevo sentito il mio nome ma non riuscivo a rispondere di me. La strana sensazione paranoica che avevo avuto la mattina appena sveglia si stava concretizzando. Non solo i miei figli anche Jacob. Tutta la mia famiglia era scomparsa. Sentivo il potere di Jasper provare a controllare il mio stato d’animo ma era poco più di una puntura dolorosa ancor più di quello che stava avvenendo nel mio subconscio. La paralisi aveva appena raggiunto lo stomaco, colto da piccole contrazioni che sancirono con uno spasmo definitivo la sua chiusura. E poco dopo toccò al mio cuore.  Qualcuno mi aveva preso il polso, cercavano di farmi reagire.

“Vado a cercarli!” la voce di Gabriel la compresi solo perché era riferita a loro.  Loro, la mia vita. Dove erano? Perché non tornavano?

“Vengo con te!” quello doveva essere Emmett.

< Nessie ti prego rispondimi! > ci provavo ma non potevo riuscirci aspettavo solo che mi dicesse guarda sono qui, ed era una voce calda e confortante quella a cui volevo rispondere. Provai ad aprire la bocca per chiedere ma niente rispondeva più agl’impulsi della mia volontà. Quanto tempo passò non seppi definirlo, sentivo solo le persone cercare di scuotermi senza risultato. Il mio stato catatonico non trovava sfogo, né in lacrime né in altro. La mia disperazione era così radicata che mi aveva completamente annullata. E le pungolate del potere di Jasper peggioravano solo la situazione. Il nonno tentava di obbligarmi a respirare ma io, non avevo più la mia aria, i miei figli, mio marito. Sentivo come se tutto fosse perduto, come sempre. Stramaledettamente sfortunata.  Era passata qualche ora perché accanto c’erano solo i miei genitori. Li sentivo non li vedevo. Mia madre aveva poggiato la sua testa sulla mia spalla mio padre tentava di parlarmi con il pensiero. Sulla mia vista apparve un velo nero, ero praticamente cieca. Qualcuno mi prese e mi portò sul divano in salotto. Era importante che io reagissi ma come potevo fare, nono riuscivo a smuovere nulla. Niente rispondeva.  

“Renesmee, ti prego sono tua madre rispondimi, così non risolvi nulla ti prego!” i suoi amorevoli sussurri erano soltanto un ritorno di suoni confusi.

“Ci lasciate soli un momento?” non capivo, non capivo. Cosa poteva essere successo? Delle mani fredde,glaciali presero ad accarezzarmi il viso. Davanti a me solo una macchia bionda. Jasper. Non disse nulla, non provò a persuadermi nel reagire come tutti stavano cercando di fare. Lui prese solo le mie mani, che sentivo come una pezza bagnata nel ghiaccio e ne accarezzava il dorso. Ad un tratto sentii una nuova invasione della mia psiche, un brivido che correva lungo la mia spina dorsale veloce, rapido come un piccolo impulso elettrico che si fiondava alla base della mia nuca. Era tristezza. Era sofferenza. La mia. Il ricordo di mio marito invase la mia testa con un ondata di dolore ben più forte. Iniziai a boccheggiare, gli occhi ripresero a muoversi, bruciavano le lacrime che avevo ritratto erano rimaste componendo una patina offuscata su di essi.  In poco tempo mi ritrovai in un pianto attraversato da urla senza fiato, tentando di assumere tutta l’aria possibile. Ci vollero ancora parecchi minuti per potermi riprendere, ma solo ed esclusivamente a camminare. Mi chiusi in una camera la prima che trovai a disposizione e mi sotterai con le coperte non volevo altro.

 

Non c’erano lacrime, non c’era più nulla. Gli occhi erano gonfi ma dopo aver superato quella fase non avevo niente per cui continuare. Ancora una volta ero messa alla prova, ancora una volta la mia famiglia era in pericolo. Non riuscivo a sopportare tutto questo, ancora ed ancora. Più cercavo di riemergere, più il peso gravava sul mio corpo portandomi a sprofondare nel nero baratro dell’inferno. Non era concessa la pace per quelli come me, per gli esseri sul filo di due mondi. Non esisteva. Ed io ero condannata.

“Da quanti giorni è rinchiusa lì dentro?”  Embry. Si trovavano fuori dalla mia porta per vedere mio padre che non smetteva di sorvegliarla con la speranza che uscissi. Il branco era in fibrillazione, aveva perso ben quattro membri. La parola giorni riaprì la ferita che non smetteva di sanguinare. Una lacrima si posò sulla federa.

“Da quando è successo, i suoi pensieri sono così duri che fatico ad ascoltarla, ma non posso allontanarmene sembrano praticamente urlati!” povero papà costretto a condividere con me questo maledetto fardello. Ogni tanto provava ad entrare nella mia testa dicendomi di alzarmi dal letto, ma la mia risposta rimaneva equa sul vuoto che si stava impadronendo di ogni mia cellula.

“Per lei deve essere difficilissimo, più che per noi. C***o sono scomparsi i suoi figli e suo marito, come si può biasimarla!”

“Seth, come sta?” la mente più pura di tutti, il piccolo Seth dimostrava sempre la sua incredibile sensibilità, per questo probabilmente andava così d’accordo con mio padre, erano due anime comuni.

“Non smette di cercarli, l’abbiamo convinto a riposarsi ieri ma non ha resistito più che un paio d’ore, poi è tornato alla carica, non è fatto per stare con le mani in mano!” un rantolo di dispiacere mi colse, in fondo anche lui aveva qualcuno d’importante coinvolto. Seth, povero Seth. “Comunque sono venuto qui per un altro motivo …”  il verso che fece fu simile ad un guaito, come se l’avessero ferito e stesse provando a camminare “Abbiamo trovato questo!” la sentenza fra le mani del lupo, quel piccolo e sottile artefatto tecnologico e lo schermo distrutto. Il cellulare di EJ. Gli occhi di mio padre permisero ai miei di vedere la prima vera traccia da tre giorni. In un attimo mi trovai accanto alla porta per ascoltare meglio. Per chiunque l’avesse presi, lo scopo era sicuramente mantenerli in vita, non gli sarebbe interessato lasciare il cellulare in tasca ad EJ se lo volevano uccidere. Forse era una falsa speranza quella che si era accesa in me o forse era arrivato davvero il moment di agire. Sgattaiolai fuori della villa andando alla mia casa, attenta a non farmi percepire da nessuno. Ero diventata un’ottima escapologa, riuscivo ad evadere facilmente nonostante i miei sorveglianti fossero vampiri. Entrai con la chiave di riserva nascosta in una delle pietre della parete, cercando di provocare meno rumore possibile. Sapevo bene quello che volevo fare e la mia famiglia sarebbe stata solo d’intralcio, non permettendomi di agire come meglio pensassi. Non potevo permettermi errori e rallentamenti. Mi affrettai ad entrare  presi uno zaino e vi stipai dentro dei cambi, cinque mazzette di contante del valore di circa diecimila dollari, ed il mio passaporto. Avevo come l’impressione che avrei dovuto superare il confine se non altro per chiedere a Marcus cosa li aveva spinti fino da noi. Ero quasi certa che i movimenti in Canada centrassero con la sparizione della mia famiglia. Se non fossero stati proprio i Volturi sicuramente loro sapevano qualcosa. Non volevo che mi rintracciassero finché non ero sicura di sapere dove fossero, una volta trovati li avrei ricontattati e chiesto il loro aiuto. Ma in quel momento, l’agire da sola mi avrebbe persino permesso di passare inosservata. Insomma, un gruppo di dieci vampiri che gira senza dare nell’occhio non si è mai sentito, e ne ero certa che prima di fare una qualsiasi cosa sarebbero partiti altri e non io. No. Io potevo muovermi con il sole, potevo mangiare e confondermi con gli esseri umani. Ero la più adatta per qualsiasi spedizione. E dovevo essere in prima linea, dovevo avere il controllo della situazione. Era difficile per me escluderli,  ritrovarmi completamente sola, tanto che mi sentii colta da un’inaspettata nausea. Ma ero cosciente che questa era la soluzione migliore. Se poi c’erano di mezzo i Volturi cosa avrebbero fatto avendo a portata di mano mio padre, mia madre, Alice, Jasper. Magari la mia era solo la paura di rivivere un incubo già avuto, le farneticazioni stanche della follia incombente. Forse davvero i Volturi non c’entravano niente. Di certo non potevo andare in Italia a puntare il dito contro Marcus senza uno straccio di prova o la qualsiasi. Prima dovevo rintracciare qualcuno da torchiare per avere più informazioni. E c’era un nostro ospite non troppo lontano che si trovava ad osservare dei strani movimenti, che in un caso o nell’altro potevo ragguagliarmi sui fatti. Cercai nella cabina armadio la piccola tenda istantanea di Sarah ed EJ, occupava pochissimo spazio da chiusa e non  pesava eccessivamente, anche se il peso per me non era un problema.

“Dove stai andando?” come non detto. Gabriel si era accorto della mia piccola fuga.

“A cercare la mia famiglia!” la risposta fu fredda e distaccata.

“Vengo con te!”

“Da sola sarò più veloce, cerca di trattenere i tuoi pensieri con mio padre almeno per una giornata, OK?” lo superai per uscire dal retro ma lui mi bloccò trattenendomi per un braccio.

“Tu non vai da nessuna parte da sola! Vengo con te!” i suoi occhi erano puntati sui miei, non ammettevano alcuna replica eppure non stava usando il suo potere erano rimasti del loro colore originario. In fondo un compagno solo di viaggio non avrebbe nuociuto a nessuno. Non avevo molto tempo per riflettere, la rapidità era necessaria non potevo combattere con lui e sicuramente non sarebbe stato facile scrollarmelo di dosso. Ed anche se ci fossi riuscita, mio padre non avrebbe tardato a leggere della mia fuga nella sua testa. Rimaneva solo una decisione da prendere.

“Va bene Gabriel, ma se mi rallenti ti giuro che ti rispedisco a Forks a pedate! Prendi qualcosa di Jacob e hai qualche documento con te?” la pazzia era evidentemente una dote di famiglia. Anche lui aveva con sé il passaporto che mi mostrava battendolo sulle labbra.

“Ti ho sentito uscire ed ho subito capito cosa volevi fare! ” preparando un secondo  piccolo zaino infilai altri soldi “Se ci fermano ci prenderanno per spacciatori!” lo guardi torva, tutta questa sua voglia di scherzare non mi piaceva.

“I cellulari lasciamoli qui, compreremo un palmare con copertura satellitare e GPS fuori da Forks, non voglio che ci rintraccino immediatamente, ci bloccherebbero!”

“Certo non tutti sono pazzi come te! Ma sai si dice che il genio è follia!” era più o meno tutto pronto, dura da dire quando è la fretta a dettare le proprie azioni. Avremmo attraversato il bosco seguendo le tracce. Prima tappa sicura: Canada. Se Massimo si trovava ancora lì probabilmente aveva visto o sentito qualcosa. Certo non sarebbe stato facile scovare un vampiro invisibile ai nostri sensi ma dovevo tentare. Ormai ero pronta ed al mio fianco avevo un amico fidato. Stavo per uscire ma mi scontrai con la porta della camera di Sarah spalancata. Sul letto sfatto erano riversati i suoi vestiti. Odiavo quando lasciava in disordine la sua stanza. Nemmeno l’impellenza di quello che dovevo fare. Entrai con due passi. Presi la sua maglia e la portai al mio viso. Il suo profumo era buonissimo, dolce ma con un piccolo sentore di borotalco. I miei occhi caddero sulla cassettiera. Sopra di essa c’erano piccoli soprammobili, foto, una confusione tutta sua. Da un lato c’era un oggetto che serviva a tenere i gioielli, un intricato groviglio rappresentante un tralcio di rose, quasi totalmente spoglio tranne che per un paio d’orecchini, regalo di mio padre appartenuti ad Elizabeth Masen, inconfondibile nel loro stile sobrio ed antico, ed la collanina con il simbolo del branco Quileute. Più spostato pendeva un’altra catenina con il ciondolo ovale portafoto. Uno spiffero lo fece tintinnare contro la piccola struttura di metallo ed io tremai. Le mie labbra erano dischiuse appena e mi trovai a ripetere le stesse parole incise su di esso.

Plus que ma même vie!lo afferrai e velocemente lo indossai sul mio collo. Dovevo andare.

 

Non preoccupatevi per noi, da soli saremo più veloci e ci muoveremo inosservati. Perdonatemi se non vi ho detto nulla. Vi contatterò io stessa. Non cercatemi. Starò bene. Nessie

Avevo lasciato solo un biglietto, con poche parole. Più per la fretta che per altro. Non era il momento di tira e molla drammatici, o di lacrime non versate, rabbia repressa e tutto quello che ne sarebbe conseguito la mia scelta di partire per cercarli. Seguii  la scia lungo il perimetro della ronda vedendo che cambiava circa a metà dove un intenso odore di vampiri si univa a quello dei miei figli. C’erano anche piccole tracce di cloro. Non pensavo che bastasse così poco per far cadere Jacob in trappola. No. Lo avevano sicuramente seguito da un po’, solo chi conosce bene le mosse dei lupi può tentare di catturarli. Corremmo per molti chilometri ed interminabili ore fino a superare il confine. Dovevamo assicuraci un’ottima distanza, presto si sarebbero accorti della nostra assenza e, contando le nostre limitazioni fisiche, probabilmente saremmo stati raggiunti in pochissimo tempo. Non era il momento delle raccomandazioni, ed avevo bisogno di essere libera di muovermi senza le loro continue paranoie. Gabriel mi capiva, o forse era solo accecato dal suo stesso sentimento. Mi appoggiava ed averlo accanto mi regalava un pochino di sicurezza che sinceramente stava calando. Eravamo finalmente al confine con il Canada, Vancouver era a soli pochi chilometri. Stavamo per superarlo quando un guaito mi fece voltare. Un gigantesco lupo biondo, color della sabbia più precisamente, stava dietro di noi.

“Seth!” ugiolò triste, mi avvicinai a lui e presi quel grande muso tra le mani. Il suo corpo snello, era decisamente di una portata inferiore rispetto a quella degl’altri lupi, sempre mastodontico, ma con la muscolatura più sottile. Poco importava, lui era comunque molto forte. “Li troverò Seth, troverò Leah …” spalancò gli occhi come sorpreso, sapevo cosa voleva “No Seth, tu devi rimanere qui con Sue, ho bisogno di muovermi libera! Ti prego, se puoi cerca di non farti scoprire …” baciai il suo pelo proprio al centro fra gli occhi, ed in quel momento un dolore ben più forte colse il mio petto ed una lacrima scese lenta su di lui. Poco dopo sentii la mia mano umida accompagnata a dei guaiti che assomigliavano a dei lamenti, anche Seth stava piangendo. “Ehy moccioso, non vorrai fare la figura della femminuccia!” scossi il suo testone tra le orecchie, lui chiuse gli occhi tristemente ma con una nuova speranza negl’occhi. Si fidava di me. “Adesso vai, quando puoi ritorna umano nel frattempo cerca di non pensarci! Mi basta un giorno di vantaggio …” il biondo muso si mosse dall’alto verso il basso, in un tacito consenso.  Lanciò uno sguardo a Gabriel, non lo capii. Subito dopo mi sospinse con la testa verso il confine, ci fissammo per qualche secondo prima di attraversarlo. Riprendemmo a correre senza fiatare, lasciandocelo alle spalle. Nei suoi occhi leggevo il dolore di affidarsi completamente nelle nostre mani, il non poter combattere per la giusta causa. Quale più giusta causa, di quella di salvare la propria sorella? Avevamo molto in gioco noi due, troppo. Soprattutto io. Non avrei più permesso a nessuno di farci del male, giurai a me stessa che chiunque fosse stato, che fossero potenti vampiri, demoni, draghi o quant’altro la fantasia del Fato avesse creato per distruggermi un’altra volta, l’avrebbe pagata cara. Per tutto.

 

Note dell'autrice: Ebbene si sono accorti che i Black mancano all'appello, non mi dilungo in spiegazioni visto che comunque il capitolo parla da solo. Solo che siccome non l'ho potuto revisionare completamente qualcosa verrà cambiata in mattinata se ho cinque minuti al lavoro lo rileggo e lo finisco di sistemare.

Non posso rispondere alle recensioni ma ringrazio le mie care  noe_princi89, kekka cullen, kandy angel e Lione 94. Grazie per avere sempre una parolina per me.

Ringrazio anche gli altri besos chicos!

Mally

   
 
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