Villaggio dei Galli
Piovve
per circa una settimana. Odio la pioggia, quella stupida acqua a gocce
che ti bagna e se le goccioline sono piccole,quasi ti punge.
è una mia impressione ... ma la pioggia punge.
Tutte le volte che piove dovevo ( e devo) stare rinchiusa in casa a morire dal freddo, perchè fuori posso ammalarmi.
Così, di solito, mi siedevo ( e mi siedo) davanti al fuoco, sulla poltrona più comoda che c'è.
Mio padre, ogni volta che entrava sorrideva e mi chiedeva: - Beh, allora? ti stai annoiando? La pioggia non piace anche a me.-. Io facevo semplicemente un cenno con la testa, e riprendevo a pensare.
Un giorno, mentre ero lì, mi si avvicinò mio padre.
-Pensavo- cominciò.
-che ne diresti di imparare a leggere e scrivere?- mi domandò.
-Vuoi mandarmi a scuola?- chiesi. -No- disse lui- avrei trovato un maestro greco, che è anche un filosofo, che potrebbe insegnarti tutto qua- spiegò mio padre.
-Va bene.- risposi.
-Dovremmo stare un po' più di tempo insieme noi due- disse Cesare. -sento che non c'è un forte legame, come vorrei-.
-Come si chiama il greco?- chiesi.
-Theophilos- rispose mio padre.
-Theophilos. interessante. Dicevi?- chiesi.
Cesare mi guardò.
-Avanti- mi disse. -Parla tu- mi incitò. Alzi le spalle, come per chiedergli cosa dovevo dirgli.
-Hai fatto amicizia con qualcuno?- mi domandò. - ho parlato un po' con quinto Valerio e basta- risposi.
- Ti piacerebbe ritornare in patria eh?- mi chiese. Abbassai lo sguardo.
-Puoi ritornare da tua madre se vuoi- disse, tristemente. -No voglio stare qui- risposi. Lui mi sorrise. E mi abbracciò.
Salii su.
Mi coricai.
L'indoamni mattina, finalmente, c'era il sole. Scesi in tarda mattinata. Quinto era già lì.
Ci avviammo verso un paese lì vicino. Non lo avevo mai visitato. Chissà se sapevano chi ero ..
- Hai fratelli o sorelle?- gli chiesi.
-Un fratello, Flavio e una sorella Fabia - rispose lui. Entrammo nel villaggio. era vivo, c'erano urla di bambini, che si rincorrevano. Giocavano.
ma uno stava correndo verso di noi, e appena vide quinto impallidì. si mise a piangere. Guardai Quinto. Aveva una spada con sè.
-perchè ti porti quella dietro?- lo rimproverai. -questa?- disse lui, indicando la spada. - Devo difenderti, no? e poi non si va in un villaggio abrbaro disarmati ... anzi, non sono neanche sicuro che i nostri vogliano che ci andiamo- mi disse. i bambini scapparono. ben presto giunse un uomo verso di noi. ra arrabbiato e parlava una lingua strana. Pareva che Valerio lo capisse.
Sfoderò la spada e gliela mise alla gola. -non disturbarci, barbaro.- disse. s'erano accorti che eravamo romani. uno che porta la spada nel loro paese ... e poi non se ne devono accorgere, bah!
-Calmo- dissi io e gli feci cenno di abbassare la spada. valerio, suo malgrado, lo fece.
ero ancora così ingenua all'epoca, che ancora mi meraviglio.
-salve- dissi. -io sono Cornelia. sono la figlia di Cesare, tu chi sei?- chiesi. A quanto pare avevo scatenato un'insurrezione popolare dicendo quel nome. e io che credevo che questi Galli andassero d'accordo con mio padre: stavamo vicini! Credevo facesse la guerra contro altri! Io e Quinto fuggimmo subito. -vedi adesso perchè porto la spada anche se in questo momento non ci serve a nulla?- mi chiese. Annuii. - abbiamo scoperto che qui non si doveva andare. Mio padre combatte contro di questi--.
-Te ne sei accorta ora?-
- e tu perchè nopn mi hai fermata?-
-non me ne hai dato il tempo!-
- E ora che facciamo?-
-Corriamo!-
-ah, bene-
-Che viltà, però. Rincorrere una fanciulla- brontolò Valerio.
purtroppo scprimmo che i Galli erano più abili nella corsa di noi, cosicchè ci catturarono.
-Cosa ci faranno?- chiesi a Quinto.
-Oh, mal che vada ci arrostiscono e ci mangiano a pranzo- disse. alzai gli occhi al cielo. Ci venne a trovare un Gallo. doveva essere il loro capo. Ma ciò comportava che mio padre era ritornato!
Il gallo cominciò un duro discorso, alla fine del quale prese la spada per tagliarci la testa, ma qualcuno la tagliò a lui. Un soldato romano era lì davanti. Quinto fece un mezzo sorriso. ci liberò. -Sono suo padre- disse soltanto, indicando Valerio. Lì fuori ci aspettava Cesare, che aveva fatto fuori degli abitanti e tutte le guardie.
-Che ci facevi laggù?- mi chiese. -è una lunga storia- dissi io.
Mi portò a casa. era la prima volta che era arrbbiato. E con me.
-come hai fatto a sapere che ero lì?- gli chiesi. - ho sentito le urla. Va' a dormire- mi ordinò.
è una mia impressione ... ma la pioggia punge.
Tutte le volte che piove dovevo ( e devo) stare rinchiusa in casa a morire dal freddo, perchè fuori posso ammalarmi.
Così, di solito, mi siedevo ( e mi siedo) davanti al fuoco, sulla poltrona più comoda che c'è.
Mio padre, ogni volta che entrava sorrideva e mi chiedeva: - Beh, allora? ti stai annoiando? La pioggia non piace anche a me.-. Io facevo semplicemente un cenno con la testa, e riprendevo a pensare.
Un giorno, mentre ero lì, mi si avvicinò mio padre.
-Pensavo- cominciò.
-che ne diresti di imparare a leggere e scrivere?- mi domandò.
-Vuoi mandarmi a scuola?- chiesi. -No- disse lui- avrei trovato un maestro greco, che è anche un filosofo, che potrebbe insegnarti tutto qua- spiegò mio padre.
-Va bene.- risposi.
-Dovremmo stare un po' più di tempo insieme noi due- disse Cesare. -sento che non c'è un forte legame, come vorrei-.
-Come si chiama il greco?- chiesi.
-Theophilos- rispose mio padre.
-Theophilos. interessante. Dicevi?- chiesi.
Cesare mi guardò.
-Avanti- mi disse. -Parla tu- mi incitò. Alzi le spalle, come per chiedergli cosa dovevo dirgli.
-Hai fatto amicizia con qualcuno?- mi domandò. - ho parlato un po' con quinto Valerio e basta- risposi.
- Ti piacerebbe ritornare in patria eh?- mi chiese. Abbassai lo sguardo.
-Puoi ritornare da tua madre se vuoi- disse, tristemente. -No voglio stare qui- risposi. Lui mi sorrise. E mi abbracciò.
Salii su.
Mi coricai.
L'indoamni mattina, finalmente, c'era il sole. Scesi in tarda mattinata. Quinto era già lì.
Ci avviammo verso un paese lì vicino. Non lo avevo mai visitato. Chissà se sapevano chi ero ..
- Hai fratelli o sorelle?- gli chiesi.
-Un fratello, Flavio e una sorella Fabia - rispose lui. Entrammo nel villaggio. era vivo, c'erano urla di bambini, che si rincorrevano. Giocavano.
ma uno stava correndo verso di noi, e appena vide quinto impallidì. si mise a piangere. Guardai Quinto. Aveva una spada con sè.
-perchè ti porti quella dietro?- lo rimproverai. -questa?- disse lui, indicando la spada. - Devo difenderti, no? e poi non si va in un villaggio abrbaro disarmati ... anzi, non sono neanche sicuro che i nostri vogliano che ci andiamo- mi disse. i bambini scapparono. ben presto giunse un uomo verso di noi. ra arrabbiato e parlava una lingua strana. Pareva che Valerio lo capisse.
Sfoderò la spada e gliela mise alla gola. -non disturbarci, barbaro.- disse. s'erano accorti che eravamo romani. uno che porta la spada nel loro paese ... e poi non se ne devono accorgere, bah!
-Calmo- dissi io e gli feci cenno di abbassare la spada. valerio, suo malgrado, lo fece.
ero ancora così ingenua all'epoca, che ancora mi meraviglio.
-salve- dissi. -io sono Cornelia. sono la figlia di Cesare, tu chi sei?- chiesi. A quanto pare avevo scatenato un'insurrezione popolare dicendo quel nome. e io che credevo che questi Galli andassero d'accordo con mio padre: stavamo vicini! Credevo facesse la guerra contro altri! Io e Quinto fuggimmo subito. -vedi adesso perchè porto la spada anche se in questo momento non ci serve a nulla?- mi chiese. Annuii. - abbiamo scoperto che qui non si doveva andare. Mio padre combatte contro di questi--.
-Te ne sei accorta ora?-
- e tu perchè nopn mi hai fermata?-
-non me ne hai dato il tempo!-
- E ora che facciamo?-
-Corriamo!-
-ah, bene-
-Che viltà, però. Rincorrere una fanciulla- brontolò Valerio.
purtroppo scprimmo che i Galli erano più abili nella corsa di noi, cosicchè ci catturarono.
-Cosa ci faranno?- chiesi a Quinto.
-Oh, mal che vada ci arrostiscono e ci mangiano a pranzo- disse. alzai gli occhi al cielo. Ci venne a trovare un Gallo. doveva essere il loro capo. Ma ciò comportava che mio padre era ritornato!
Il gallo cominciò un duro discorso, alla fine del quale prese la spada per tagliarci la testa, ma qualcuno la tagliò a lui. Un soldato romano era lì davanti. Quinto fece un mezzo sorriso. ci liberò. -Sono suo padre- disse soltanto, indicando Valerio. Lì fuori ci aspettava Cesare, che aveva fatto fuori degli abitanti e tutte le guardie.
-Che ci facevi laggù?- mi chiese. -è una lunga storia- dissi io.
Mi portò a casa. era la prima volta che era arrbbiato. E con me.
-come hai fatto a sapere che ero lì?- gli chiesi. - ho sentito le urla. Va' a dormire- mi ordinò.