Salve!
Ed eccomi qui con l'ennesima storia XD sono una persecuzione! O,o Comunque mi appresto ad una veloce presentazione.... questa sarà una mini-ff composta da 2 o 3 capitoli... che farà parte di una SERIE: "Essere genitori." Dove mi divertirò a scribacchiare delle coppie + famose della saga (e magari anche qualche altra meno famosa) alle prese con i loro pargoli. Detto questo vi lascio al primo chappy della 1 mini ff.
kiss kiss
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«
Emmett togli immediatamente quel guantone alla bambina! »
Le
urla di Rosalie invasero il piccolo spiazzo, mentre lei,
indignata, avanzava a passo di carica verso suo marito. Erano giunti in
quella
radura da meno di mezz’ora, con l’intento di
conciliare una piccola battuta di
caccia ed un pic-nic per Nessie e Jacob. Purtroppo Emmett era stato di
tutt’altra idea e, non appena ne aveva avuto
l’occasione, si era premurato di procurare
alla sua nipototina un’adeguata attrezzatura da baseball.
Perché?
Naturalmente
per compensare quella che aveva definito
l’inettitudine di Edward ed il suo poco impegno nel fornire
le nozioni di base,
in campo di sport, alla sua pargoletta.
«
Ma amore, Renesmèe è una giocatrice eccellente.
– si lagnò
con quel tono petulante che lei aveva definito più volte
esasperante, prima di voltarsi
verso la piccola. - Dì anche tu a zia Rosalie che ti stai
divertendo. »
La
piccola annuì, vigorosamente, scostando un ciuffo ribelle
dal visino paffuto, con le manine sporche di terreno. « Si,
lo zio mi sta
insegnando ad usare il guantone e mi ha promesso che poi passeremo alla
mazza
che dovrò usare per… »
«
Ah, lasciamo perdere la mazza. » la interruppe, riuscendo
per un soffio ad evitare una catastrofe.
Rosalie
non potè evitare ad una smorfia di increspare le sue
labbra perfette, mentre fissava suo marito con uno sguardo
tutt’altro che benevolo.
« A cosa dovrebbe servire la mazza da baseball, caro?
» domandò, assottigliando
lo sguardo, certa che la risposta non sarebbe stata assolutamente
ragionevole.
E
quando Emmett si era dimostrato tale?
Da quando lo aveva salvato,
donandogli l’eternità, si era costantemente
comportato con un bambino dalla
stazza di un orso, tutti muscoli e ben poco cervello.
«
Sarà meglio parlarne in seguito. - tentò invano,
indietreggiando appena. – La bambina avrà fame,
potremmo portarla a caccia. »
«
No. – sbottò, ostentando un tenero broncio
corrucciato. –
Mi accompagnerà Jake. » pigolò,
lisciandosi il vestitino, terminando l’opera di
devastazione iniziata dal loro arrivo ed aumentando a dismisura
l’irritazione
di sua zia.
«
Emmet, ti rendi conto di come si è ridotto il suo
vestitino nuovo. – sibilò, incrociando le braccia
al petto. – La colorazione
rosa perla è… è… guarda!
» esclamò stizzita, avvicinandosi alla bambina per
esaminare da vicino il disastro, ormai irreparabile.
«
Ma… »
«
Zitto, razza di troglodita decerebrato. – soffiò
alterata,
non comprendendo come suo marito potesse essere una costante fonte di
stress. Scosse
la testa rassegnata per poi voltarsi verso Nessie, addolcendo il tono.
–
Tesoro, credo che Jake non sarà felice di trovarti tutta
sporca, forse sarebbe
il caso che cambiassimo questo vestitino, che ne dici? »
La
piccola abbassò lo sguardo sul suo completino ormai
lurido, increspando le piccole labbra rosse in una smorfia deliziosa e
tendendo
immediatamente la manina alla sua adorata zia, sempre pronta a
rimediare.
Bhe,
il
suo Jacob non poteva di certo vederla in quello stato.
Intanto,
dall’altro capo del campo, Alice e Bella
osservavano la scena divertite, notando lo sbigottimento di Nessie nel
constatare
lo stato disastroso del suo abitino preferito. Fortunatamente, secondo
un
parere comune, la piccola possedeva un gusto per l’estetica
indiscutibile, nonostante
la giovane età, che l’aveva inevitabilmente resa
la beniamina delle zie.
Era
raro che qualcuno non la vezzeggiasse o non le fosse
accanto, viziandola e facendo disperare i suoi genitori. Ormai
trascorrevano
gran parte del tempo a villa Cullen, benché Edward si fosse
premurato di
acquistare una piccola abitazione vicina, per poter permettere a moglie
e
figlia di sfuggire alle grinfie delle sue sorelle.
Purtroppo
per lui Alice era sempre stata in grado di
aggirare i suoi propositi, piegando le situazioni al suo volere.
Non
era una novità e oramai tutti si erano rassegnati
all’insolente
invadenza della vampira dotata del dono della preveggenza…
soprattutto perché le
alternative non erano poi molte.
Avevano
tentato di liberarsi di lei spedendo, per puro
errore, gli scatoloni con i suoi vestiti sull’isola di Esme,
ma lei aveva
placidamente accettato l’evento, per poi gioire
dell’ennesima occasione per
dedicarsi a giorni e giorni di shopping sfrenato.
Naturalmente
costringendo i malfattori ad unirsi a lei,
entusiasta dell’ironica punizione escogitata.
Bella
emise un sospiro rassegnato, mentre il suo sguardo saettava
tra i presenti, beandosi delle risatine disinibite della sua bambina.
« Se ne
avessero avuto l’opportunità sarebbero stati due
genitori stupendi. » mormorò
accorata, rammentando il dolore di Rosalie quando le aveva narrato la
sua
storia, anni e anni prima. Le pareva assurdo che quel rapporto ostile
si fosse
poi tramutato in un affetto tanto profondo e radicato, ma non poteva
non
gioirne. Aveva trovato in lei una meravigliosa sorella ed una perfetta
zia, per
la sua Nessie.
Purtroppo
nella vita non tutto va come dovrebbe…
Notando
l’inconsueto silenzio di Alice, Bella si voltò
verso
di lei increspando la fronte, incuriosita. « Che hai da
sogghignare in quel
modo? » chiese titubante, ammirando il sorriso beffardo,
della sua amica,
tramutarsi in un’espressione di pura esultanza, che non
pareva premettere nulla
di buono.
«
Non starai progettando l’ennesima sessione di shopping,
spero. Nessie ha abbastanza vestiti per i prossimi tre anni e,
considerando la
sua crescita accelerata, mi rifiuto di sprecare altro denaro in
semplici
futilità. »
Alice
alzò gli occhi al cielo, trattenendo uno sbuffò.
Proprio non comprendeva come si potesse ritenere l’arte degli
acquisiti una futilità,
ma in quell’istante aveva ben
altre cose per mente, che non tentare invano di redimere Isabella dalla
sua
ostilità per lo shopping.
Certo,
prima o poi sarebbe riuscita nel suo intento, ma per
quella volta si vide costretta a posticipare, rivedendo le sue
priorità.
«
Ben presto avremo visite. » annunciò, sfoggiando
il suo
solito sorriso scaltro, di chi è a conoscenza di succulenti
novità che non
rivelerà altrettanto facilmente.
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Carlisle
Cullen era un famoso medico trasferitosi in Alaska,
qualche anno prima, con la sua numerosa famiglia; o almeno questo era
quello
che si sapeva di lui.
Non
che una piccola parte di quella storia ben più
interessante che era la sua vita.
Successivamente
alla nascita di Renesmée avevano trascorso
qualche altro anno a Forks, per permettere a Charlie di conoscere la
sua
nipotina ed a Jacob Blake di occuparsi del suo branco, senza separarsi
dall’oggetto del suo imprinting. Purtroppo però,
la perpetua giovinezza del bel
dottore e della sua amata consorte, erano divenuti un pettegolezzo sin
troppo
succulento per poter essere ignorato e, la famiglia Cullen, era stata
costretta
ad un trasferimento che, seppur sofferto, era ormai necessario.
«
Dottor Cullen. – l’infermiera di pediatria lo
raggiunse
trafelata, correndo per l’ampio corridoio e sventolando una
cartella, per
attirare la sua attenzione. - Mi dispiace disturbarla, ma un signore
chiede un
suo consulto. » spiegò, portandosi una mano al
petto, tentando di riprendere
fiato.
«
Non avevo visite in programma. » mormorò sorpreso.
Il suo
turno era finito da quasi un’ora e lui era impegnato negli
ultimi controlli, ai
suoi pazienti. Possibile che non gli avessero comunicato qualche visita?
La
donna annuì, mentre le guance si coloravano di un tenue
rossore. « Infatti, ma il signore è stato
insistente e poi sembrava preoccupato
per il bambino, quindi ho pensato di informarla. –
ribatté tutto d’un fiato. –
Ma se vuole fisso un appuntamento per domani. »
Carlisle
sorrise rassicurante. « Non si preoccupi, gli dica di
raggiungermi nel mio studio.» asserì, congedandosi
con un cenno di saluto.
In
fin dei conti quell’ospedale gli piaceva. I medici erano
estremamente competenti e collaborativi ed il personale ausiliario
sempre
cortese ed efficiente. Era difficile dover abbandonare un ospedale dopo
anni di
servizio, ma si sorprendeva spesso nel constatare quanto facile fosse
affezionarsi ai suoi nuovi pazienti e a quei nuovi luoghi che
diventavano parte
della sua quotidianità. Essere medico era per lui una
vocazione, ciò che gli
permetteva di redimersi per quella sua natura dannata.
Inizialmente
era stato solo un tramite per espiare le sue
colpe, ma con il tempo era divenuta una passione, un
bisogno…. Una necessità
data dalla consapevolezza di poter essere utile, grazie proprio a
quella natura
che lui aveva tanto aborrito.
Sorridendo
e salutando garbatamente chi incrociava il suo
passaggio, giunse al suo studio, accomodandosi sulla morbida poltrona
in pelle,
visionando alcune cartelle, in attesa della sua ultima visita. Dopo
sarebbe
tornato a casa dalla sua adorata famiglia. Era meraviglioso potersi
beare della
serenità che permeava quelle mura, qualcosa che, dalla
trasformazione di Bella
e dalla nascita di Nessie, era divenuta ormai parte integrante della
loro vita.
Un
lieve bussare lo distolse dai suoi lieti pensieri. «
Avanti.»
La
porta si aprì lentamente, portando con sé un
odore
inconfondibile, che costrinse Carslisle a drizzare il capo verso la
figura che
faceva il suo ingresso.
«
Lei è il dottor Carlisle Cullen? »
«
Si sono io, si accomodi. » assentì distrattamente.
Era
un uomo piuttosto basso e dalla corporatura esile, ma
ciò che attirò maggiormente la sua attenzione
furono i grandi occhi color
cremisi che, in quell’istante, si posavano ovunque
fuorché sul viso del suo
interlocutore.
Il
vampiro era visibilmente agitato, probabilmente perché,
quella struttura pullulante di malati e sangue, poteva essere una
discreta tentazione.
Ma…
«
Ma è… » il suo sguardo
saettò sul bambino, che dormiva
beatamente, incurante dell’inconsueta conversazione che i due
vampiri attorno a
lui stavano intrattenendo.
«
Un mezzo vampiro. – continuò, iniziando
istintivamente a
cullarlo, con un dondolio appena percepibile. – Come sua
nipote, se non erro. »
Carlisle
annuì, afflosciandosi sulla sedia ed indicando
all’uomo una poltrona dinanzi alla sua scrivania.
«Si accomodi. – ripetè cortesemente,
scrutando però con attenzione ogni suo movimento. - Cosa
posso fare per lei,
signor…? » lasciò la frase volutamente
in sospeso, attendendo di ricevere le
dovute delucidazioni.
Era
certo di non averlo mai incontrato, e per un istante si
domandò se non fosse stato inviato da Aro e dai suoi
fratelli per ottenere
qualcosa. Non si sarebbe sorpreso di ricevere una loro visita,
anzi…
«
Allen. – esitò, qualche istante, espirando
profondamente.
– Allen Sanz, sono venuto qui per chiederle un favore. Sono a
conoscenza di
quello che è accaduto tempo fa tra la vostra famiglia ed i
Volturi, a causa di
una piccola mezzo sangue. »
«
La questione è divenuta di dominio pubblico, suppongo.
»
commentò il dottore, rammentando amaramente gli attimi di
terrore a cui tutti
loro erano stati costretti.
Il
suo sguardo si fece più attento.
L’uomo
annuì, vigorosamente. « Proprio per questo mi
rivolgo
a lei. »
«
Teme la reazione di Aro e dei suoi fratelli. – chiese,
indicando
placidamente il piccolo ed incrociando le mani sulla scrivania, dinanzi
a sé. –
Essendoci altri casi riconosciuti, credo proprio che non dovrebbero
poter
obiettare. È stato ormai assodato che queste piccole
creature non sono di
nessun pericolo per la nostra specie e che, al contrario, hanno
maggiori
possibilità di integrarsi. »
«
Io non posso occuparmene. » sentenziò, senza
preamboli.
Carslie
aggrottò la fronte sorpreso, iniziando ad
intuire il motivo
di quella visita. «
Cosa intende? » mormorò, portando nuovamente il
suo sguardo sul neonato,
addormentato tra le braccia dell’uomo. Era quasi certamente
un maschietto, dai
lineamenti dolci ed il viso pieno. Gli occhi chiusi non gli
permettevano di
appurarne il colore, ma le folte ciglia bionde ed i riccioli
leggermente più
scuri gli conferivano le sembianze di un piccolo putto.
«
Non posso tenerlo con me.
– ripetè, scandendo cautamente ogni
parola. – Sono costretto ad
affidarlo a qualcuno ed avevo pensato alla sua famiglia, considerando i
trascorsi.
Sono certo sapreste occuparvene adeguatamente. »
Un
bambino?
Carlisle sbattè le palpebre soppesando le sue parole,
mentre una serie di immagini attraversavano fulminee la sua mente. Se
realmente
quell’uomo era intenzionato a disfarsi del piccolo, lui era
pronto a
scommettere che avrebbe trovato dei degni genitori pronti ad
occuparsene.
Eppure, non voleva rischiare di illudere Rosalie, rammentando quanto il
desiderio di maternità fosse radicato in lei. Si sarebbe
premurato di valutare
il caso attentamente prima di pensare di accettare, benché
la proposta fosse
estremamente allettante.
Forse
troppo…
«
La madre? » domandò, titubante.
L’uomo
sospirò sommessamente, mentre le sue labbra si
piegavano in una smorfia. « Purtroppo non tutte le donne
sopravvivono ad un
simile parto, nonostante le cure e, Marian non ha avuto fortuna.
»
Carlisle
chinò il capo in senso di comprensione. La
gravidanza di Isabella, pochi anni prima, era stato un periodo tremendo
per
tutta la sua famiglia, costretta ad osservare il disfacimento di quel
giovane
corpo e delle sue
possibilità di vita,
senza poter intervenire. Se solo il parto non fosse stato affrontato
tempestivamente Edward sarebbe stato certamente sopraffatto dal
dolore…
Comprensibile…
Osservò
nuovamente l’uomo, seduto dinanzi a sé,
scrutandone
i tratti del volto rigidi e gli occhi vigili. « Lei non
è il padre, vero? » Intuì,
non notando in lui particolare accoramento per l’avvenimento.
Allen
scosse il capo. « No. - Confermò mesto. - Lui era un nomade come me,
abbiamo viaggiato
per lungo tempo insieme, fino a quando non ha manifestato interesse per
quella
donna. »
«
Non immaginava certo che le conseguenze sarebbero state
queste. » mormorò più a se stesso che
al suo interlocutore.
Carlisle provò
pietà
per quell’uomo, eppure uno strano pensiero
attraversò fulmineo nella sua mente.
«
Ed è disposto a rinunciare al bambino? » un cipiglio incredulo si
disegnò sul suo
volto. Quella creaturina era tutto ciò che restava a
quell’uomo della sua
famiglia, come poteva anche solo pensare di disfarsene?
Allen
scrollò le spalle. « Nella sue condizioni non
è stato
in grado di occuparsene, ha tentato… – lo
giustificò, amareggiato. – ma le
ricordava lei e, alla fine, ha preferito raggiungerla. »
«
A me non interessa tenerlo e poi sono un nomade, non
potrei mai assicurargli quello di cui ha bisogno. »
continuò, non attendendo
risposta.
Doveva
essere ben lieto di disfarsi di quel fardello e
questo, purtroppo non poteva che acuire i dubbi del dottore, timoroso
di
attirare, con un gesto affrettato, dolore sulla sua famiglia.
Assunse
un’espressione meditabonda, deciso ad ottenere il
maggior numero di informazioni possibili. « Quindi ha pensato
che, avendo con
noi Renesmèe, avremmo potuto prenderci cura di lui.
» ipotizzò, puntando i suoi
occhi color oro in quelli del suo interlocutore, per sincerarsi delle
sue
intenzioni.
«
Mi sono documentato sulla sua famiglia… - ammise
riluttante. – ci sono molte coppie oltre a lei e la sua
compagna e, magari, i
genitori della piccola mezzosangue potrebbero desiderare un altro
piccolo di
cui occuparsi. »
Carlisle
sospirò, l’idea era oltremodo allettante, non solo
perché non avrebbe mai potuto rifiutare, a quel bambino
sfortunato, l’amore di
una famiglia, ma anche perché in quel modo forse avrebbe
potuto sanare la
ferita di Rosalie ed il suo immenso senso di colpa. Le aveva donato una
vita
immortale, incapace di abbandonare quella giovane ragazza ad un morte
tanto
brutale, non considerando di cosa la stava privando.
Un
fardello che gravava su di lui ormai da tempo.
«
Le dispiace se ne parlo con la mia famiglia? - chiese
rimuginando. – Lei quando lascerà Forks? Entro
domani dovrei essere in grado di
fornirle una risposta. »
«
Naturalmente. - Allen
si concesse il suo primo vero sorriso,
da quando era entrato in quello studio, rassicurato
dall’interesse mostrato dal
dottore. – Potremo rincontrarci in ospedale? »
Lo
squillo del telefono irruppe nella stanza e Carlisle,
affrettandosi a rispondere, si trovò a sorridere immaginando
il mittente.
Alice.
Il
suo tempismo era innegabile. « Papà. –
il trillo la voce
entusiasta della giovane vampira.- Io e Bella siamo fuori
l’ospedale. » esclamò
prima di riagganciare.
«
Avremo le nostre risposte prima di quanto credessi. »