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Autore: baby80    30/05/2010    7 recensioni
Questa storia è una sorta di continuazione di "André", ci pensavo da tempo e non ho saputo resistere. Oscar è sopravvissuta al 14 luglio, e dovrà affrontare la propria esistenza senza André. Racconterò di questa nuova Oscar, sbocciata in una notte piena di lucciole e appassita, improvvisamente, con la perdita del suo amore. La "mia" Oscar non è malata di tisi.
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altri, Oscar François de Jarjayes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Marzo.
Un delizioso profumo di cioccolata m'invade le narici, svegliando gli occhi.
Le ciglia del mio sguardo sciolgono il loro abbraccio facendo penetrare, con diffidenza, la luce del mattino.
Aroma di cioccolato in ogni angolo angusto della stanza.
Aroma di cioccolato come un velo, sul mio corpo ancora addormentato.
Stropiccio le palpebre per allontanare il sonno.
Allungo le braccia per destare i miei arti.
Carezzo la forma sinuosa del mio ventre, sfiorando, come fosse pelle, l'indumento che ha accompagnato la mia gravidanza.
Carezzo il mio grembo divenuto smisurato, per vegliare, con l'amore, il riposo del mio bambino.
Siedo a fatica sul bordo del letto, abbandonando le gambe, nude, penzoloni.
Porto le braccia dietro la schiena poggiando, con fermezza, i palmi sul materasso.
Getto la testa all'indietro cercando un po' di sollievo, la schiena mi duole, incessantemente, da settimane, il peso del bambino è aumentato a dismisura lasciandomi stupita e dolorante.
Fragranza di cioccolata.

“Mmmmh...”
La voglia si palesa sulla mia lingua.
Spoglio il mio corpo dell'abbraccio di André, posando con cura quasi morbosa, la cerea camicia sul letto.
Cammino fino allo specchio e vi sosto dinnanzi osservando il mio corpo discinto.
Guardo la mia figura, così diversa dalla donna che per più di 30 anni mi è stata davanti agli occhi.
Guardo la mia figura così lontana dall'algido comandante che ha dimorato, in me, per una vita intera.
Osservo il mio corpo, prepotentemente cambiato, dissimile, nella forma, da ciò che fu solo qualche mese fa.
Esamino ogni dettaglio del mio nuovo involucro.
Il viso, un tempo sottile e dai lineamenti decisi, ha adesso, in sé, i segni della maternità, le gote piene e lievemente rosate, le labbra gonfie e rosse, il naso, così simile a quello di mio padre, ha assunto una morbida rotondità sulla punta.
I capelli sembrano aver moltiplicato la propria quantità, mi appaiono d'una lucentezza quasi irreale.
I lunghi riccioli biondi hanno accentuato le proprie curve, rendendole, se possibile, più flessuose.
Il seno, croce e delizia della mia ragione.
Avvolgo, in un abbraccio, il petto, per constatarne la consistenza.
Il mio seno è divenuto l'essenza della femminilità, una femminilità arrogante.
Scruto, con turbamento, le soffici rotondità che racchiudono il nutrimento vitale, per il mio bambino.
Seguo con lo sguardo la grande corona scura dei capezzoli, all'apparenza delicati, ma turgidi al tatto.
La mia pelle è come velluto, morbida e delicata su quasi tutto il corpo.
Guardo l'enorme rigonfiamento del mio ventre.
Guardo la sinuosità del mio grembo curvarsi largamente alla base, tendendo la pelle fin quasi a renderla lucida.
Percepisco la pesantezza della maternità sulle gambe, anch'esse mutate nella forma, anch'esse lievemente ingrossate.
Percepisco il peso, ora più che mai, di questa vita che sta per venire al mondo, e mi sorprende questo miracolo, mi sorprende che io, una persona che non credeva, fino a poco tempo addietro, di poter amare, sia stata in grado di creare la vita.
Profumo di cioccolata, di nuovo, forte nelle mie narici.
Vesto il mio corpo con indumenti consoni al mio stato e mi dirigo verso la cucina dove, la cara Nanny, sta preparando la colazione.
La mia dolce governante ha preteso e ottenuto di restare con me, durante questi ultimi due mesi d'attesa.
“Non potevo lasciar sola la mia bambina, ho annunciato che sarei venuta qui, il Generale tuo padre ha borbottato qualcosa, ma alla fine non ha fatto storie”, così si è espressa il giorno in cui l'ho trovata, dritta come un fuso, dinnanzi alla mia porta.

“Buongiorno Oscar, hai dormito bene?”
“Buongiorno Nanny, si ho dormito bene, grazie.”
“Siediti e bevi la tua cioccolata.”
Bevo il liquido caldo assaporandolo, lentamente, nella bocca.
Bevo quel liquido caldo che è stato, nel corso della mia esistenza, cornice delle giornate liete e consolazione dei giorni tristi.
Bevo questo liquido zuccherino che mi addolcisce le viscere.
Bevo l'aroma della mia infanzia, che ha il sapore dell'amore e dell'affetto.
Accolgo, tra le mie labbra, l'ennesimo sorso di cioccolata, socchiudo gli occhi e la mia lingua intraprende una danza col liquido dolciastro.
Ricordo di palazzo Jarjayes.
Ricordo di risate a colazione.
Ricordo di occhi color smeraldo dinnanzi ai miei.
Ricordo di chiacchiere davanti al fuoco.
Ricordi di un passato tessuto coi rimpianti e i rimorsi.
Ricordi di un passato concepito con l'odio e l'amore.

“Oscar... Oscar...”
la voce di Nanny, forte e squillante, come sempre.

“Ehm... si...”
“Ti senti bene?”
“Si, mi sento benissimo, non ti preoccupare, mi ero persa nei ricordi.”
Mi carezza i capelli con tocco leggero.
“Sto bene Nanny, davvero.”
Le sorrido, senza finzione.

“Manca tanto anche a me.”
Mi sussurra, col pianto tra le parole.
L'abbraccio, questa vecchina che comprende la mia anima senza bisogno di parole, questa vecchina che ha, sulle spalle, il peso di anni difficili.

“Allora, bambina, hai qualche voglia particolare per la cena di stasera?”
Si stacca da me portandosi le mani sui fianchi e fissandomi col sorriso sulle labbra.
“Voglia?”
Lo stupore nella mia voce.
“Si, Oscar... capita che una donna incinta abbia delle voglie.”
“Io non ho nessuna voglia Nanny.”
Lo dico col broncio sul viso, lievemente risentita.
“Oscar, tesoro, non è un disonore avere le voglie, è la cosa più naturale del mondo.”
“Ti dico che non ho nessuna voglia!”
Fa capolinea sulle mie labbra, il rigoroso tono da comandante.
Nanny trattiene a fatica una risata.
“Davvero io...”
Tento in qualche modo di porre rimedio alla mia insolenza, ma non mi è possibile terminare il pensiero.
“Va bene Oscar, non ti agitare.”
Il riso fuoriesce dalle sue labbra senza controllo, ed io, con l'offesa marchiata sulla pelle, tuffo lo sguardo nella cioccolata, unica consolazione di questa mattina.
La osservo, di sottecchi, tornare a svolgere le consuete mansioni tra pietanze e piatti sporchi.
Accolgo sulla lingua l'ultimo sorso di cioccolata, assaporandone l'intenso sapore e lasciandolo scorrere, poi, lungo la gola.
Mi scordo dello scherno subito e alzandomi, a fatica, dalla sedia, mi dirigo lentamente verso la camera da letto.

“Esco a fare due passi, Nanny, credo proprio d'averne bisogno.”
“Va bene. Metti qualcosa sulle spalle Oscar, l'aria è ancora un po' rigida.”
“Non ti preoccupare, credo d'essere abbastanza cresciuta per certe raccomandazioni, non credi?”
Le dico mentre poggio, sulle spalle, una corta mantellina.
“Oh Oscar, per me rimarrai sempre una bambina... la mia bambina.”
Mi avvicino a lei, le poso un braccio attorno alle spalle e lascio un lieve bacio, sulla guancia raggrinzita.
“A più tardi.”
“A più tardi Oscar.”

Cammino per le vie di Parigi, con passo lento, l'unica andatura che mi è consentita, da un paio di mesi, a causa del peso del piccolo demonietto che grava, pesantemente, sul mio grembo.
Cammino tra le vie devastate, quelle stesse vie della mia infanzia che ora fatico a ricordare.
Calpesto quelle stesse vie che, 8 mesi fa, mi hanno vista in uniforme.
Quelle vie che, durante un afoso mese di luglio, hanno portato, sulle proprie spalle, un comandante ribelle, una figlia traditrice, una donna innamorata.
Percorro, irrazionalmente, quelle stesse strade che ho calcato con logica precisa, mesi addietro.
Logica nata per contrastare ciò che ero stata fin dalla nascita, una strategia per colpire quei soldati a cui, fin dai miei 14 anni, ho impartito ordini.
In queste stesse strade ho schierato la mia mente ed il mio cuore con il popolo, rinnegando la nobiltà, rinnegando quella che fu, un tempo, la mia Regina.
Ho rinnegato tutto per la libertà, la giustizia, ho ripudiato ciò che mi era stato insegnato, per lui, un semplice uomo, André.
Persa nei miei grovigli di pensieri mi rendo conto, solo in questo istante, d'essere giunta nel punto in cui vi fu la discesa di Oscar Francoise De Jarjayes.
Una discesa senza possibilità di ritorno, la caduta nell'oblio.
In questo luogo ricordo d'aver sfidato, sul mio cavallo bianco, un gruppo di nobili.
Serro gli occhi e mi pare d'udire il silenzio, quel silenzio che piombò su ognuno di noi nel momento in cui, con incoscienza, alzai il braccio invitando i miei uomini a puntare i fucili.
Mi sembra di udire la mia voce, fredda, atona, la voce del comandante, annunciare la ribellione.
La mia voce, sbattere con insolenza, la libertà dinnanzi agli uomini del Re.

“Il mio nome è Oscar Francoise, ed ora io non ho più ne grado ne titolo.”
Sussurro a me stessa ed a quei fantasmi che sento, come pioggia sulla pelle, in questo luogo.
Sussurro a me stessa, con nuova voce.
Ripeto al vento di marzo parole che sembrano d'un altra vita.
Riacquisto il movimento dei miei piedi allontanandomi dal passato.
Passeggio tra i mendicanti ai bordi della senna e i bambini che si rincorrono col sorriso, innocente, sui volti sporcati dalla fame.
Passeggio col tepore di marzo a scaldarmi la pelle.

“Madame, vi prego, una moneta per il mio bambino. Vi prego, non abbiamo di che mangiare.”
Mi si accosta l'ombra di quello che immagino sia stato un giovane uomo, la cui bellezza è divorata dalla fame.
Il fantasma di un uomo che tiene, tra le braccia, un bambino scarno, un bambino con la morte negli occhi.
Non proferisco parola, anche volendo, non vi sarebbe modo di obbligare la lingua a muoversi.
Carezzo il viso del bimbo, in quel punto dove, per natura, vi dovrebbe essere una guanciotta polposa, ma, in quel punto le mie dita incontrano il vuoto e, di tanto in tanto, delle ossa spigolose.
Prendo le mani del piccolo tra le mie, sorrido con la dolcezza sulle labbra, sorrido con l'amore negli occhi.

“Come ti chiami?”
Gli domando con ancora le sue manine imprigionate tra le mie.
“Jules.”
Sorrido, di nuovo, sperando d'infettare, col riso, il cuore di questa sfortunata creatura.
“Piacere Jules, io mi chiamo Oscar.”
Mi guarda con questi suoi occhietti cerchiati di nero, mi osserva con lo stupore posato su di essi.
Mi avvicino al piccolo, portando la mia mano a coprire un lato del mio volto, il segno eloquente che si compie quando vi è un segreto da rivelare.
“Lo so... Oscar è un nome da maschio, è strano non è vero? Una femmina con un nome maschile, non ne esistono, e tu, mio caro Jules oggi ne hai conosciuta una... potrai vantartene con i tuoi amichetti e se vorrai, un giorno, ti insegnerò ad usare la spada. Va bene?”
Scorgo i suoi occhi aprirsi come finestre, e nascere, lentamente, il sorriso sul suo volto.
“Si, mi piacerebbe Madame Oscar.”
Sorrido, io stessa, di rimando.
Infilo la mano in tasca e poggio, sulle sue manine, delle monete, le sento tintinnare, le vedo luccicare, colpite dai raggi del sole.
“Vi ringrazio. Che Dio vi benedica Madame.”

Smarrita nuovamente nei miei pensieri passeggio per le vie della città, incurante delle persone che mi camminano al fianco, indifferente al vociare, ai rumori, ai profumi e gli odori, disinteressata ad ogni cosa.
Vago per la mia Parigi.
Una Parigi vuota e silenziosa, nella mia mente.
Vi è il buio ad avvolgere i miei occhi, la bambagia a tappare le mie orecchie.
Il nulla al di sotto dei miei piedi.
Galleggio sui miei ricordi senza scorgerne, nitidamente, le immagini.
Vago trasportata da mani invisibili, posate su ogni parte del mio corpo, le sento spingermi in avanti, indietro, di lato.
Una vertigine mi sorprende, lasciandomi ansimante e nauseata.
Lo sguardo abbandona la notte, donando, ai miei occhi, il presente ed il passato, fusi in un amplesso di emozioni.
Dinnanzi al mio sguardo una piazza qualunque, gremita di individui, una piazza che è divenuta una sorta di povero mercato, un luogo dove offrire e vendere quel poco che si possiede.
Una piazza che ricordo, nel passato, anch'essa gremita di persone, ma in quella stessa piazza regnava il silenzio, un silenzio che preannunciava l'arrivo di una bellissima donna.
La dama nera.
Questa, come allora, la piazza che accolse, tra le proprie braccia di cemento, il corpo stanco di André.
Lo vedo, come fosse oggi, il letto di fortuna su cui Lui venne posato.
Lo vedo, come fosse oggi, il suo bellissimo viso imperlato di sudore, bagnato dalla sofferenza.
La sento, come fosse oggi, la sua mano, sedotta dall'ombra della morte, diventare gelida.
Percepisco, al di là dei miei occhi, le vecchie lacrime, le sento spingere con forza.
Le sento urlare il loro dolore liquido, le sento lusingare il mio sguardo, farebbero qualsiasi cosa, queste maliarde, pur di venire al mondo.
Con la fermezza del soldato impedisco la loro venuta, rimandandole indietro, con un respiro.
Abbraccio il mio grembo, la costanza della mia vita, la ragione che mi impedisce di cadere nell'oblio, la forza che mi sprona ad andare avanti.
Carezzo il mio bambino sussurrando l'amore.
Carezzo il mio bambino raccontandogli il passato.

“In questo luogo, piccolo mio, la tua mamma ha chiesto al tuo papà di diventare sua moglie.”
Sorrido nell'udire queste parole sgorgate da un posto sconosciuto.
Sorrido riflettendo su di una domanda che porta, in sé, la stupidità.
Comprendo, solo ora, d'aver pronunciato quella domanda, nel passato, per rassicurare André, per rendere lieti gli ultimi istanti della sua esistenza.
Mi rendo conto solo ora d'essere stata sua moglie da sempre, anche quando l'amore non era ancora giunto ai miei occhi, al mio cuore, alla mia mente.
Io e lui, marito e moglie da tempo immemorabile.
Io e lui, un'unica essenza dal primo giorno.
André ed io, una cosa sola, dal momento in cui gli sguardi hanno incontrato i nostri occhi.
L'azzurro e il verde fusi in un ignoto colore che, nella propria unicità, ha imbastito le basi di quello che sarebbe stato Amore.
Un amore senza tempo, un amore così forte da sfidare il lutto.
I palmi delle mie mani scossi dal movimento del nostro bambino.
Un movimento che è vita.
Un movimento che è fonte d'energia per il mio cuore.
Mi congedo da questo luogo funesto.
Saluto, con un bacio, le ombre del passato.
Saluto, con una preghiera, il sonno eterno del mio amore.
Ritorno sui miei passi, ripercorrendo, nel presente, le vie, di nuovo affollate, di Parigi.


“Oscar, bambina, finalmente sei di ritorno. Ero in pensiero.”
Mi accoglie con la consueta inquietudine, la vecchia governante.

“Nanny, dovresti stare più tranquilla, non fa bene agitarsi alla tua età.”
Le dico col riso ai bordi delle labbra.
“Alla mia età? Non fare l'impertinente con me ragazzina!”
Urla, voltandosi verso di me e mettendosi nella posizione che da sempre le ho visto assumere.
Le sopracciglia corrucciate, le labbra così strette da divenire bianche per la troppa pressione, le mani, a pugno, posate sui fianchi.
“ah ah ah ah... Nanny non cambierai mai!”
L'abbraccio forzando le mura della sua collera.
L'abbraccio sentendo, qualche istante dopo, la sua rabbia crollare, arresa, all'affetto.
Mi abbraccia, questa piccola donnina dal cuore grande.

“Qualche volta mi pare di rivedere, in te, il mio André.”
Mi sussurra in un soffio di respiro, ed io non posso che aumentare la forza del mio abbraccio.
Io e André, fusi, anche ora, in un'unica anima, in un solo cuore.
In passato.
Ora.
Sempre.

“Su, su... vai a prepararti, è quasi ora di cena.”
Nanny si scioglie dal nostro abbraccio, asciugando col grembiule le lacrime ed invitandomi, con una pacca al fondo schiena, ad allontanarmi dalla cucina.
Mi immergo nella lettura del diario di André, leggendo con infinita lentezza ogni singola parola, assaporandone il significato, leccando, con gli occhi, ogni curva sinuosa della sua grafia.
Declamo le sue parole, penetrando con dolcezza, nel suo passato.
Declamo i suoi pensieri carezzando l'inquietudine al di sotto della mia carne, carezzando con tocco deciso l'esuberante caratterino di nostro figlio.

“Oscar, la cena è pronta.”
la voce di Nanny, autoritari al pari di quella del Generale Jarjayes.
Mai, nemmeno sotto tortura, confesserei tali pensieri ma, è più che evidente che, la mia vecchia governante, abbia assunto negli anni i medesimi atteggiamenti di mio padre.
Il tono di voce severo e autoritario.
La fermezza dei gesti, quando vi sono nell'aria, comportamenti a lei poco graditi.
La durezza, così simile a quella di un soldato, nell'impartire punizioni.
Rido, senza controllo, con le lacrime agli occhi.
Siedo al tavolo per desinare con Nanny, quando un tocco leggero al di la della porta di legno ci sorprende.

“Dio del cielo, chi mai può essere a quest'ora.”
Odo l'agitazione nel suo tono di voce.
Sorrido.
“Avanti.”
“Buonasera Madamigella Oscar, Buonasera Nanny, scusate se vengo a disturbarvi mentre state cenando.”
La piccola Rosalie ha l'imbarazzo scolpito sul volto, mentre sosta sulla porta con un cestino tra le mani.
“Entra pure Rosalie, non stare li impalata, sei sempre la benvenuta.”
“Grazie Madamigella Oscar.”
Entra e posso notare, sul suo viso, un delicato rossore.
“Madamigella Oscar io... ho preparato questa torta di mele per voi.”
Un invitante profumo avvolge i miei sensi.
“Ti ringrazio Rosalie, sarà certamente ottima.”

Altri colpi alla porta di legno, poderosi colpi che ci fanno sussultare.
Osservo l'agitazione di Nanny nel suo tormentarsi le mani, prima di avvicinarsi alla porta ed aprirla.

“Buonasera Nanny, state bene? Avete il terrore dipinto sul volto!”
“Alain! Disgraziato, vuoi farmi stramazzare a terra per la paura? Ti sembra l'ora di venire a bussare nella casa di due donne?”
Non vi è risposta da parte di Alain, solo risate, di cuore, così sincere da contagiare me e Rosalie.
Nanny si allontana da noi, offesa.
“Buonasera Oscar, come stai?”
Mi domanda Alain con un sorriso insolente sulle labbra.
“Sto bene Alain, grazie.”
“E... come sta il piccolo Grandier?”
Il sorriso insolente muta in sfacciataggine senza ritegno.
“Sta benissimo anche lui, Alain. Cosa ti prende?”
Chiedo incuriosita.
Il caro Alain, che fino a quel momento aveva nascosto le mani dietro la schiena, le mostra, ora, portandole sul davanti, e rivelando ai nostri occhi, un oggetto poco definito avvolto da un canovaccio.
“Oscar, ho chiesto alla signora Dumont, una vecchia amica di mia madre, di prepararmi una torta di mele... spero tanto che sia di tuo gradimento.”
Ringrazio con un lieve imbarazzo nella voce.
Imbarazzo che si fiuta, chiaramente, tra i miei due ospiti, entrambi consapevoli d'aver portato, in questa casa, lo stesso dono.
Nanny ritorna tra di noi, svestita dallo scherno, sembra quasi vendicarsi posando, su di lei, la beffa.
Burlandosi di me.
Le sento sogghignare poco prima di dire.

“Oscar ma...”

L'ennesimo suono, così usuale questa sera, al di la della porta.
“Avanti.”
Annuncia la mia vecchia governante, col riso sulla lingua, con una inconsueta sfrontatezza nel suo tono, con quella sfacciataggine di chi la sa lunga.
Bernard compare da dietro la porta, sorreggendo tra le mani qualcosa di consimile ai doni ricevuti questa sera.
Il riso di Nanny diviene irrefrenabile.
L'imbarazzo mi si palesa sulle gote.

“Buonasera Oscar, Buonasera Nanny... Rosalie? Anche tu qui?”
Un secondo di silenzio.
“Oscar, perdona l'ora... sono venuto a portarti la torta di mele che ha fatto mia madre.”
“Grazie Bernard, non avresti dovuto.”
Dico con poca convinzione.
“Certo che non avrebbe dovuto, con la sua le torte di mele sono tre! È naturale che Oscar debba mangiare per due ma... in questo modo esploderà.”
è Alain a rompere il silenzio col suo solito tono sarcastico.
“Certo ma lei...”
Dicono all'unisono Rosalie e Bernard.
“Lei vi ha detto che le sarebbe piaciuto mangiare una torta di mele...?”
Chiede, a fatica, Alain, quasi soffocato dalle sue stesse risate.
Il mio imbarazzo non ha più freni, il calore sta invadendo completamente il mio viso.

“Oscar, bambina... e tu non hai le voglie?”
Mi dice Nanny scompigliandomi i capelli.
Abbasso il viso, carezzo il pancione.

“Io... io non ne ho colpa, è lui che ha questo desiderio...”
Annuncio con un filo di voce.
“A quanto pare adora le mele, come suo padre.”
Continuo con voce emozionata.

“Bene, ora vogliamo mangiare tutto questo ben di Dio, prima che Oscar si divori tutto?”
Il solito Alain.
La felicità si spande in ogni angolo della casa.
La gioia si posa su ogni lembo dei nostri corpi.
Le risate baciano le nostre lingue.
Ridiamo col piacere nel cuore, ridiamo come non ci capitava di fare da tempo, come forse non è mai successo.
L'amore in ogni cosa, questa sera.
L'amore in ogni sua forma.
L'amore assoluto.
In una dolce torta di mele.
Sui volti delle persone amiche.
Sulla carezza di una vecchia governante.
Sul ricordo di una persona scomparsa.
Sulle labbra di una madre.
Sulla voglia di un bambino non ancora nato.
  
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