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Autore: Happy_Pumpkin    31/05/2010    7 recensioni
“Perché non l'hai fatto?” domandò Naruto.
“Era una cosa stupida.” ammise, irrigidendosi.
Poi, lo vide sorridere e replicare:
“Io sono specializzato nel fare cose stupide, ricordi?”

[SasuNaru, a sfondo sportivo]
Genere: Sportivo, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Naruto Uzumaki, Sasuke Uchiha | Coppie: Naruto/Sasuke
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO III
What comes is better then what came





“Io sto bene, Itachi.”
“Non credevo fossi così bravo a raccontare bugie.”
“Forse perché questa volta vorrei davvero crederci.”
Si guardarono, in silenzio. Itachi in piedi accanto al letto, Sasuke sdraiato con le mani che istintivamente stringevano le lenzuola.
“Vai pure.”
“Mi chiederai mai di restare?” domandò Itachi, osservando intensamente il fratello.
“Non credo. Tu faresti lo stesso.”
“Probabilmente.” ammise infine.
Era giusto così: suo fratello aveva la propria vita, e la sua visita doveva essere una piccola parentesi che si sarebbe richiusa in maniera rapida, impercettibile quanto un battito di ciglia.
Entrambi, in realtà, detestavano essere vicini solo grazie al dolore. Eppure il dolore è un componente della vita che maggiormente accomuna gli esseri umani, persino più dell'amore: tutti, prima o poi, sono destinati a soffrire ma quanti realmente amano?

*

A volte nella vita sono gli eventi spiacevoli, le sofferenze, le perdite a rendere forte una persona. Non necessariamente però questa forza è vera: può essere soltanto uno scudo, una noce dal guscio ritorto, dietro la quale non c'è altro che cristallo. E' più simile a un callo, esteticamente poco gradevole forse, ma utile nel momento in cui qualcosa lo sfiora e ci si accorge di non sentire più nulla, nemmeno il dolore.
Mikoto era una persona forte al di fuori, disposta a concedere un sorriso materno per compensare l'eccessiva rigidità di alcuni atteggiamenti, però non le sembrava mai di riuscire a fingere abbastanza bene. Il telefono aveva squillato nel cuore della notte: il trillo, deciso e impietoso, rimbombò per i corridoi vuoti nella casa. Lei aveva sollevato affannata le coperte ed era corsa a piedi nudi, percorrendo piastrella dopo piastrella la distanza che la separava da quel suono orribile. Il battito del cuore, sempre più rapido, le impediva di procedere in armonia coi pensieri, che invece erano distorti, caotici, privi di un filo che li tenesse uniti.
Sasuke.
L'unica parola che riuscì a mormorare svegliandosi di soprassalto. La ripeté mentalmente mentre correva verso il telefono, mischiando il suo nome con ipotesi di cui lei stessa aveva paura.
E poi sollevò la cornetta. Prima la appoggiò irrazionalmente al petto, senza battere ciglio, con la bocca di poco spalancata: sembrava volesse raccogliere tutta l'aria del mondo in quel momento, anche se il respiro era bloccato, immobile quanto lei.
Infine rispose e... non si stupì di sentire un rantolo, al posto della propria voce: “Pronto?”
Non ricordò esattamente cosa successe in seguito. Una voce parlava e ogni parola era un ago che si infilava sotto la sua pelle. Più veniva ferita, più lentamente scivolava a terra, con la presa sulla cornetta talmente debole che pochi minuti dopo il telefono le cascò di mano.
Si sentì presa in giro e spaventata. Qualcuno si divertiva a vederla sprofondare, di anno in anno, nonostante lei sola fosse  riuscita a mandare avanti la propria famiglia. La mancanza di Fugaku in quell'istante si fece quasi opprimente, vivida, come se una striscia di evidenziatore avesse calcato tante e troppe volte le parole “morto” e “perduto”.
Poi lentamente si alzò in piedi. Le gambe erano molli, quasi fossero fatte di gelatina. Non riusciva a frenare il tremito al labbro mentre appoggiava malamente la cornetta, anche se d'altronde nemmeno poté sentirsi stupida o debole. Era così naturale avere paura, da non riuscire a percepire altro che la paura stessa.
Poi il pensiero di suo figlio solo, in un letto d'ospedale, soffocò l'insidiosa voglia di scoppiare a piangere e rifugiarsi in un angolo, nella sciocca attesa che qualcuno la incoraggiasse, le accarezzasse la testa e le dicesse che... sì, tutto andava bene. Allora con calma metodica, nonostante la presa della mano non fosse salda, raccolse un fazzoletto di carta, si soffiò delicatamente il naso e trasse un profondo respiro che suonò incerto.
Avrebbe voluto chiamare Itachi e dirgli di venire. Ma non lo fece: per quanto le sarebbe piaciuto sentire la voce del primogenito, avere la certezza che almeno lui le sarebbe stato accanto, capiva che in quel momento la sua presenza sarebbe stata inutile.
Così da sola, con indosso i primi vestiti che aveva sottomano, Mikoto Uchiha uscì di casa. Si dimenticò di chiudere la porta a chiave, la cornetta rimase accanto al tavolino e la chiavi faticarono ad entrare nel quadrante della macchina. E tutto, ogni suo gesto, le sembrava sempre troppo lento.
“Sono qui con te.”
Eppure i chilometri sembravano infiniti, lontani, esattamente come la solitudine.

La famiglia di Sasuke era strana a ben pensarci. Sebbene piccola, i tre componenti più stretti che la formavano in realtà erano parecchio distanti l'uno dall'altro. Il secondogenito non aveva mai stretto un rapporto vero e proprio con suo fratello: si vedevano rare volte e la lontananza li rendeva più simili a estranei che a conoscenti.
Giorni prima Sasuke si era svegliato, semicosciente, in una camera d'ospedale, accorgendosi in seguito che sua madre vegliava su di lui, seduta scomodamente su una sedia collocata accanto al letto. Mikoto era sempre stata una persona capace di conciliare l'affetto materno con una giusta dose di severità, conciliando armoniosamente aspetti caratteriali così diversi.
Quando vide che Sasuke la guardava, la donna per un istante trattenne il fiato e non disse una parola: ebbe per diversi secondi la paura di illudersi, ma bastò un respiro, un accenno di sorriso, per convincerla del contrario. Non si lanciò in abbracci disperati per quanto, nel profondo, forse ne avvertì l'impulsiva necessità. Si limitò a sospirare, sorridere e accarezzare delicatamente la fronte del figlio, quasi avesse paura di sfiorarlo.
Non parlò. Se lo avesse fatto, sicuramente avrebbe tradito il suo stato di debolezza.
Sasuke invece non si mosse. Si lasciò accarezzare, stranito e confuso, mentre la fronte rimaneva appena corrucciata; avrebbe voluto pensare ma la mente era chiusa da un vuoto incolmabile di parole e significati.
Dopo quel risveglio il ragazzo fece fatica a realizzare lucidamente quante ore fossero passate: era come se lo scorrere del tempo avesse perso la sua forma, dilatandosi in un incedere incerto e stanco. Solo quando calava la notte Sasuke comprendeva di aver perso il giorno intero, che era passato al suo fianco senza che se ne fosse accorto.
Una di quelle mattinate Mikoto stava percorrendo il corridoio sul quale si affacciavano le altre camere d'ospedale, quando vide Itachi. Si arrestò e lo guardò venirle incontro a passo deciso ma per nulla marziale. Sorrise nello scorgere i tratti delicati eppure severi del suo volto asciutto, gli occhi intensi, appena velati da un'ombra, i capelli lunghi legati in una coda che lasciava sfuggire qualche ciuffo corvino.
Il primogenito si fermò davanti alla madre, con le mani lungo i fianchi, e per diversi istanti si guardarono senza scambiare una parola. Finché Itachi non la salutò, piegando leggermente una gamba così che l'oceano nero dei suoi jeans scuri si deformò appena in un ondeggiare di piccole pieghe.
“Ciao, mamma.”
“Sono contento che tu sia qui.” disse lei semplicemente, soffocando la voglia di abbracciarlo. Con Itachi, aveva sempre a sensazione di sbagliare a essere troppo espansiva, allora si limitò a sorridere e a umettarsi poi istintivamente le labbra.
“Dovevi chiamarmi prima.” fece presente lui, incrociando le braccia. Il suo tono di voce e l'espressione del volto rimasero invariati. Ogni volta Itachi riusciva a nascondere incredibilmente bene quello che provava, al punto che chi non lo conosceva lo riteneva indifferente a quanto gli accadeva. In realtà era solo una forma di autodifesa, Mikoto lo sapeva bene.
Sapeva che dietro quelle parole c'era solo il rammarico per non essere stato presente fin da subito.
“Va bene così.” si limitò a dire lei, sfiorandogli la guancia con le dita della mano. Mano che ritrasse  lentamente, per poi scostarsi di poco e indicare la stanza in cui era ricoverato Sasuke.
Itachi annuì ed entrò dentro, dopo averle lanciato un'occhiata indecifrabile.
Chissà cosa si sarebbero detti i due fratelli, chissà quante parole mancate, quanti sguardi eloquenti, quanti silenzi.
L'assenza di parole tra i due andava oltre la semplice incapacità di comunicare, la madre lo aveva realizzato da tempo. A volte, Mikoto credeva di riuscire a intromettersi nel filo illogico dei loro dialoghi eterei, poi però capiva di percepire solo una minima parte di quanto accadeva.
Erano fratelli, uniti a modo loro, seppur divisi da condizioni e modi di pensare diversi. E se da un lato la donna si dispiaceva di non essere parte di quel meraviglioso mondo dove non sempre le parole servivano, dall'altro era contenta che due caratteri così chiusi, diffidenti e tendenti alla solitudine, riuscissero a trovare schemi compatibili tra di loro.
Non entrò nella stanza: si limitò infatti a guardare fuori da una delle finestre che dava sul corridoio, senza stupirsi di sentire il vociare degli astanti, il ronzio dei macchinari, i passi degli infermieri, ma non le voci dei suoi figli.

L'intera squadra, compresi Sakura, Ino e Jiraiya, era in sala d'attesa. Quel giorno i membri del team  attendevano che il dottore desse loro il permesso, in via del tutto eccezionale, di andare a trovare il proprio compagno.
Quando comparve il chirurgo, si alzarono tutti in piedi di scatto, quasi avessero avuto delle molle sulle sedie.
“Se volete seguirmi e promettete di mantenere un tono composto, vi conduco dal vostro amico.”
Accettando di buon grado il patto, tutti si affrettarono a seguire il medico che li condusse lungo un corridoio dotato di diverse stanze. Nell'entrare in quella di Sasuke, che era solo, inizialmente furono  un po' timorosi, come se oltrepassando la porta della camera avessero potuto rompere qualche strano equilibrio.
Naruto non la oltrepassò, effettivamente.
Guardò Tsunade che lo fissò a sua volta e, con una comprensione inaspettata, non lo incoraggiò ad entrare. Chiamò il dottore per domandare, ignorando i saluti dei compagni rivolti a Sasuke:
“Come sta?”
L'interpellato fu inizialmente sorpreso, poi prese Tsunade in disparte e spiegò:
“Ha avuto un leggero trauma cranico, qualche costola rotta e presenta una frattura al femore sinistro. Con un po' di riabilitazione non è nulla di incurabile ma...”
“Ma?” lo incalzò Naruto, intromettendosi. Tsunade non parlò, fissando l'uomo in tensione.
“La frattura di alcune vertebre della zona lombare ha provocato una lesione al midollo spinale.”
Tacque.
Naruto boccheggiò. Poi, impulsivamente, afferrò il medico per il camice e lo strattonò:
“Non faccia tanti giri di parole! Sasuke potrà giocare ancora a pallavolo? Potrà...”
Rimase con le parole in sospeso, senza mollare la presa.
Tsunade socchiuse gli occhi quando il dottore ammise: “Al momento è paralizzato. Se...”
La parola paralizzato ebbe su Naruto l'effetto di mozzargli il fiato. Per un solo istante fu come se il suo cuore avesse smesso di pulsare sangue, lasciando il corpo incapace di muoversi.
Il ragazzo mollò la presa dal camice e si allontanò di corsa da quel luogo. Detestava gli ospedali, il loro odore asettico che non riusciva a coprire mai del tutto quello della malattia; detestava anche che qualcuno come Sasuke fosse costretto ad arrendersi e ad abbandonare ciò che più amava al mondo.
Scappando come un vigliacco, senza passare nemmeno a salutare, Naruto non poté evitare di pensare che se era accaduta una cosa simile, la colpa era soltanto sua. Provò rabbia nei confronti di se stesso, ma anche verso Sasuke, perché era stato tanto stupido da ascoltarlo. Cosa importava di uno sciocco campo di pallavolo, se non c'era più il suo compagno a contendergli la schiacciata?

La visita dei propri compagni di squadra fu per Sasuke relativamente inaspettata. Sospettava che effettivamente quei seccatori prima o poi sarebbero passati, eppure vederli coi propri occhi gli fece più piacere di quanto non credesse.
Fu Kiba il primo ad irrompere con la sua solita grezza presenza:
“Sasuke! Che accidenti ci combini ad un passo dalla finale?!”
Anche gli altri ci scherzarono su, circondando il letto seppure con una certa cautela. Nessuno, infatti, mancò di notare la gamba destra ingessata e un braccio fasciato.
Sakura accennò ad un sorriso quando vide che le bende attorno al capo non impedivano a qualche ciuffo di capelli attorno alla fronte di spuntare ribelle, quasi volesse fuggire dalla costrizione delle fasce. La ragazza avvertì la presenza di Tsunade che, stranamente seria, le aveva appoggiato la mano sulla spalla ed era rimasta muta a guardare Sasuke. Lo scrutava con quella distaccata apprensione mostrata solo poche volte negli allenamenti; in realtà la loro istruttrice, nonostante si mostrasse forte e piuttosto menefreghista, era una delle persone più sensibili e altruiste che Sakura conoscesse. Solo che non amava darlo a vedere, limitandosi invece a far sfoggio della sua dura corazza di donna.
Sasuke non aveva parlato granché. Dando prova di straordinaria pazienza, aveva ascoltato i racconti degli altri e accettato di buon grado i loro amichevoli rimproveri. Tutti, in un modo o nell'altro, si erano presi un bello spavento alla notizia che il compagno di squadra era stato investito.
Poi, di tanto in tanto, l'infortunato li tranquillizzava dicendo di stare bene ma mentiva sulle sue vere condizioni di salute. In realtà, pensò lui amaramente, non sentiva più le gambe: le vedeva, sotto il lenzuolo, ma era come guardare gli arti di qualcun altro.
Allora lo schiacciatore teneva i pugni chiusi e, fingendo di ascoltare, si sforzava di muovere un piede, un ginocchio, anche solo un dito. Non poteva ammettere di fronte a tutti, tantomeno di fronte a se stesso, di non riuscire a camminare. L'idea, la paura, di restare paralizzato gli era totalmente inaccettabile.
Improvvisamente, stringendo ancora il lenzuolo, domandò:
“Dov'è Naruto?”
Tutti smisero di parlare e si guardarono attorno. Neji rimase con le braccia incrociate appoggiato alla parete, il volto in direzione dell'ampia finestra, mentre Shikamaru sospirò e si passò una mano dietro il collo, come se dovesse prepararsi al peggio.
Fu Kiba che, grattandosi meditativo una guancia, commentò:
“Non so, fino a un attimo fa era qui...”
Tsunade si umettò le labbra, poi sbuffò e intervenne: “Quello sciocco non si sentiva tanto bene. Siamo rimasti un po' tutti sconvolti dall'incidente. Ma ora non pensarci, devi cercare solo di rimetterti – gli puntò minacciosa un dito contro – e vedi di tornare in forma per la finale. Non rinunceremo alla vittoria solo perché ti sei fatto qualche livido.”
Sasuke la fissò un istante, limitandosi infine ad annuire: “Ci sarò.”
Entrambi sapevano. Sapevano che avevano detto solo un'infinita serie di bugie.
Se solo avesse potuto camminare gli sarebbe stato possibile rincorrere Naruto, ovunque fosse andato, scuoterlo e dirgli di non pensare a troppe assurdità, né assumersi qualche strana colpa. Avrebbero dovuto concentrarsi solo sulla finale, nient'altro che la finale. E poi... loro.

In palestra si sentivano i cigolii delle scarpe sul legno lucido, il rimbalzare delle pesanti palle bianche e l'ansimare dei giocatori. Di tanto in tanto, l'allenatrice richiamava i suoi allievi per dare loro qualche nuova direttiva o correggerli su determinate posizioni.
Scrutò Naruto prepararsi al margine della riga esterna all'alzata di Shikamaru, sotto rete. Quando l'alzatore sollevò la palla, vide Naruto correre, saltare e schiacciare con la solita potenza. Una differenza sostanziale tra lui e Sasuke era che quest'ultimo dava maggior spazio alla precisione del tiro, mentre il compagno si concentrava più sulla forza d'attacco, indubbiamente notevole.
Tsunade si ricordò di averli trovati spesso a sfidarsi contro il muro per chi saltava più in alto, alla fine della sessione d'allenamento: si sporcavano la mano col gesso e, dopo essersi dati lo slancio, sfioravano la parete segnata dalle tacche per calcolare l'altezza. In fondo la costante competitività tra quei due giocatori non era necessariamente un male; non solo li spronava a migliorarsi costantemente ma al momento giusto, inoltre, veniva dimenticata così che i due fossero uniti per la squadra.
Conoscendo la determinazione di Naruto, Tsunade comprese che era nel carattere del ragazzo non piangersi troppo addosso. Soffriva come tutti gli altri per le condizioni di Sasuke, eppure si rifiutava di distrarsi da quello che lo faceva sentire veramente vivo.
Diede un'occhiata all'orologio da polso e richiamò i giocatori:
“Fate un ultimo tiro, poi si torna a casa. Stasera abbiamo fatto più tardi del solito.”
Choji si passò una mano sulla faccia sudata, lamentandosi: “Ci ha schiavizzati per ore, non ne potevo più!”
Shikamaru si limitò a sbuffare e a sdraiarsi a terra, con le gambe spalancate.
“Niente lamentele, mollaccioni – li esortò Tsunade, incrociando le braccia e sfoderando per contro un bel sorriso – Vi ricordo che dobbiamo spremerci al massimo per la finale!”
“E Sasuke?” fece presente Kiba, dopo aver raccolto due palloni da terra.
“E' Sasuke a stare male, non voi.” si limitò a dire la donna.
Quest'ultima notò che era arrivata Sakura, di ritorno dal doposcuola. Con sorprendente tenacia e attaccamento alla squadra, nonostante la mole di studio quotidiana, spesso passava a controllare i compagni, anche solo per sostenerli. A volte, se aveva tempo, faceva un salto al chiosco più vicino per comprare qualcosa da mangiare da condividere tutti insieme.
Tsunade si sorprese quando vide che la giovane era andata direttamente verso Naruto e lo aveva preso in disparte per poi chiedere se potevano assentarsi un attimo. Sospirando, l'allenatrice dette il suo consenso, intimando agli alunni di farsi gli affari loro se non volevano fare venti giri attorno al campo da gioco.
Non ci furono obiezioni. D'altronde, in quei giorni con sorprendente empatia i giocatori avevano evitato di porre troppe domande a Naruto sul perché si ostinasse a non andare a trovare Sasuke, pur essendo il suo migliore amico. Sasuke, a sua volta, non chiese più notizie di Naruto. Anche se i suoi occhi scuri invano ancora lo cercavano, con aria di sfida quasi, oltre la porta della stanza.
E lui... non c'era.



Sproloqui di una zucca

Mea culpa, mea culpa! Finalmente sono ritornata, dopo una lunga e prolungata assenza. La verità è che nella mia vita sono accorsi una serie di notevoli cambiamenti, il tutto corredato dalla stesura finale della tesi. Non avevo né tempo, né testa di riprendere in mano le storie, correggerle e ricontrollarle come invece era mia abitudine fare. Così questo lavoro è rimasto in muta (se avesse parlato mi sarei preoccupata XD) attesa che io ci rimettessi mano, apportassi cambiamenti e lo rendessi degno grammaticalmente.
Ma ora ho finalmente riaquistato un po' di tempo da dedicare a me stessa e a una delle cose che più amo: scrivere.
Perdonate l'attesa, spero di compensare annunciando che il prossimo lunedì l'ultimo capitolo sarà pronto per voi, fiammante di nuova correzione, così da concludere questa mini-long.

ryanforever: Sono contenta che la scena tra Sasuke e Naruto ti sia piaciuta molto, non è mai facile descriverli e rendere appieno quello che desideravo trasparisse. E poi... ebbene sì, ho fatto investire Sasuke. Povero, non lo odio ma in un modo o nell'altro gli faccio sempre del male XD
Sì, Neji è più grande di un anno ed è il solo. Spero di vederti anche in questo capitolo e di conoscere il tuo parere. A presto!

_Sumiko_:  Mi spiace ancora per l'attesa, sono proprio un mostro T^T  Con questo capitolo iniziano a delinearsi le conseguenze dell'incidente e le reazioni di tutte le persone che circondano Sasuke, che spero di aver reso adeguatamente. Grazie mille dei complimenti, vorrei davvero che le impressioni non cambino anche nei capitoli a seguire! Un bacio!

mikkabon: Bene, sono felicissima di sapere che tutto sommato né trama, né avvenimenti, non risultino realmente banali, nonostante trattino dei argomenti relativi al quotidiano. Sì, sono tremenda: faccio investire i personaggi con crudele divertimento. Però spero di compensare questa "piccola" sofferenza, regalando qualche soddisfazione ai poveri protagonisti. Forse XD. Grazie del tuo entusiasmo, alla prossima!

Rota:  Sì, lo faccio proprio di proposito, sono davvero cattiva! L'effetto in effetti era proprio da colpo al cuore, sono contenta che nonostante la malvagità degli intenti il risultato sia stato quello sperato. Hu chan, sai che amo i tuoi deliri! E amo anche che tu apprezzi quello che ho scritto *sparge cuoricini et amore a volontà verso l'hu chan*
Ma è come tagliare la testa a un crostaceo che osa sgusciare fuori dalla sua tana impudentemente
lol, che figura poetica! Adesso sappi che mi sto immaginando Sasuke vestito da crostaceo, sempre con la faccia incazzata ovviamente. Aiutooo!
Abbraccione megastritolante!

Sunako e Sehara: Oh, Ile, io a mia volta non dovrei più stupirmi di come le tue parole riescano sempre a commuovermi. Perché mi spornano a far sempre meglio e ad apprezzare aspetti della storia che io da sola non noterei. Ti ringrazio per ogni singola cosa che hai scritto, per me conta moltissimo. E' vero: Sasuke e Naruto insieme sono splendidi ed è un peccato che non sempre vengano trattati come meriterebbero. Sono perciò contenta che io riesca a farti apprezzare il modo in cui ho parlato di loro e non solo, anche degli altri personaggi.
Perciò, grazie mille di tutto tesoro mio. Un bacione gigantesco e alla prossima!
Ps: Ma no, povero Sasuke. Comprendo il tuo odio eppure... porta pazienza, mia diletta pusher! Anche se... dopo questa tua ultima perla sono rotolata dal ridere XDXD

annamariz: Grazie mille di tutti i complimenti, ne sono davvero onorata! *O* Spero di non deludere le tue aspettative, tantomeno con questa storia. Scusa ancora per il ritardo colossale dell'aggiornamento, in futuro conto e spero di mantenere un ritmo più serrato. Mi auguro che questo capitolo sia all'altezza! Bacione e al prossimo aggiornamento!
 
   
 
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