L'elfa
Woland, il vampiro, non ha bisogno di una spalla su cui piangere.
Ma c'è una creatura a cui vorrebbe talvolta offrire la sua, di spalla, e ne prova una vergogna lieve.
Gli scappa quasi da sorridere, a pensarci su, e arrossirebbe, se il suo volto così bianco – bianchissimo, più della neve, più di una perla, bianco come l'essenza stessa del bianco – potesse mai arrossire.
Perché Margareth è un'elfa benedetta dalla luna, ed è bella e lui non sa allontanare la sua immagine dagli occhi. È bella come la giovinezza, come una risata. È bella come la libertà.
Potrebbe stare ore a pensarla, suonando il suo flauto fatato solo per immaginarla meglio.
Quando la sconfisse e l'ebbe inerme tra le sue braccia, la guardò in viso per la prima volta e per la prima volta, dopo centinaia di anni, provò un senso vago di calore – simile al sole che gli sfiorava la pelle, un tempo. La tenne con sé quasi un mese, prigioniera della sua casa di spiriti e la osservò con stupore inondarla della sua purezza, poi la lasciò fuggire per timore di vederla sfiorire come un fiore di campo reciso dallo stelo.
Che ne direbbero i suoi nemici e tutti i grandi guerrieri e i maghi e i signori che tremano come bambini nell'udir pronunciare il suo nome?
Che ne direbbe Margareth che venne per sconfiggerlo e carica d'odio (ma conosce l'odio, una creatura così?) per le oscene imprese che lui aveva compiuto, e la cui fragile vita strinse nel palmo della mano?
Ma lui non può arrossire e nessuno può vederlo o saperlo.
Resta solo, Woland, il vampiro, solo con i suoi spiriti e con la vergogna lieve di cui sorride tra sé e sé.