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Autore: cullenboy     04/06/2010    11 recensioni
Mi alzo dal letto. Ho un jeans e una camicia chiara; se non fosse sgualcita, avrei lasciato questa. Cerco nel cassettone una maglia, tanto devo andare in un super mercato. Ne trovo subito una: la mia preferita, nera, e avanti a caratteri bianchi c'è scritto: FERMATE IL MONDO, VOGLIO SCENDERE!
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Edward Cullen, Isabella Swan
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
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Buona sera ragazzi! perdonatemi se non rispondo alle recensioni ma è passato tanto e per non far passare altro tempo ho evitato.
scusate errori e cosi via ma come sapete non sono bravo come si crede, e avevo una beta fantastica.
SCUSA LUISA! un bacio, buona lettura


<< Edward... >> un sussurro, che sembra portato dal vento.
<< Edward, dai alzati, so che sei sveglio >> la sua voce ora è più nitida, meno ovattata dal sonno.
Apro gli occhi lentamente, e un bagliore mi acceca, per una frazione di secondo, il tempo di mettermi il braccio sugli occhi.
<< Edward, io non posso venire a scuola oggi >>
Un attimo, il tempo di metabolizzare la sua frase, che apro gli occhi, male o non male.
Pronto a protestare, ma la sua pelle scintillante mi blocca il respiro sul nascere.
<< Oh! >> non riesco a dire o pensare altro, è una cosa splendida, la sua pelle reagisce ai pochi raggi del sole, che entrano dalla finestra, come un diamante, non uno, come miglioni di diamanti pieni di sfaccettature, la sua posizione, inginocchiata ai piedi del letto con i gomiti appoggiati sul materasso mentre le mani le mantengono il mento, fa si che ad ogni movimento del viso altri diamanti si illuminano o svaniscono.
<< Sono così spaventosa? >> il suo tono è sicuro, ma al tempo stesso triste, come se il fatto che potesse sembrare spaventosa ai miei occhi, fosse motivo di timore, abbassa lo sguardo sotto il peso di quella sua verità, togliendo le mani dal mento per stenderle davanti a se.
Probabilmente lo deduceva dal semplice fatto che mi fossi incantato a guardarla, e nonostante la sua domanda del tutto infondata non riuscivo ad articolare una frase coerente da dirle, per dissuaderla da quel pensiero stupido.
<< Ho capito. >>
Il suo movimento fu di una frazione di secondo, si sollevò per andarsene, il mio gesto impiegò più tempo, ma sufficiente a fermarla prima che compiesse il primo passo verso la finestra aperta.
Le afferrai il polso, e sono sicuro, che se non si aspettava già la mia reazione, non si sarebbe neanche resa conto del fatto che l'avessi toccata.
<< Resta. Non mi hai spaventato, sono rimasto...abbagliato, ecco >> credo di risultare un povero stupido che si vergogna di ammettere una piccola, bè piccola, enorme debolezza, incantarsi a guardare la ragazza dei suoi sogni.
<< Quindi >> continuai quando si risedette sul mio letto << è per questo che non puoi andare a scuola, no? >> mi girai su un fianco, puntellandomi con il gomito destro, per poi afferrarle la mano con la mano destra e accarezzarle il braccio con la sinistra, sopra le sfaccettature, delicato, come se la sua pelle potesse rovinarsi con un contatto maggiore, lei mi lasciò fare, non si ritrasse a quella carezza, ma continuava a guardarmi come se da un momento all'altro le dovessi dire altro.
<< Che c'è? >> domandarglielo fu più forte di me.
<< Non ti faccio paura, schifo, non so >> mi disse con un alzata di spalle.
<< Bella, >> allungai la mano accarezzandole la guancia << non puoi spaventarmi o farmi schifo, ti ho visto attaccare Emmett, ti ho visto attaccarmi, per ben due volte. Se fossi stato abbastanza furbo, invece di venirti dietro una settimana fa, sarei scappato dalla parte opposta >> le dissi sorridendo.
Lei aveva abbassato lo sguardo, poi, come un illuminazione, lo rialzò.
<< Non te la sei messa più quella maglia! >> mi accusò puntandomi il dito.
Risi. << Ne ho altre più irriverenti >>
<< Si ma quella mi stuzzicava proprio >> mi disse con malizia.
<< E non è meglio evitare? >> risposi facendole l'occhiolino.
Era passata una settimana dal suo primo giorno di scuola, giorno in cui per poco non mi succhiava vivo.
Quando si voltò, lasciandomi impalato in corridoio, mi dissi che di sicuro sarei stato più attento ai doppi sensi delle mie magliette.
Però la raggiunsi di corsa, non volevo lasciarla in pasto alla vipera di nome Alice Brandon, o forse più semplicemente, non volevo perdere occasione di mostrare che lei, infondo, stava con me.
Quando entrammo in mensa mano nella mano, ci fu un silenzio di tomba, poi una marea di brusii.
Lei rideva, o sorrideva, e mi chiedevo il perché, finché non si avvicinò al mio orecchio, e sono sicuro che da fuori pareva tutt'altro, visto che la sala mensa si zitti di nuovo, e mi sussurrò.
<< Le ragazze mi odiano, e i ragazzi ti invidiano >>
Mi guardai un attimo intorno, e notai che tutti ci guardavano, allora feci una cosa che andava contro il mio essere riservato. Le avvicinai, con la mano libera, il viso, abbassandomi quel poco per sfiorarle le labbra, senza scatenare la sua sete, ma riempiendomi di orgoglio.
Quella fu l'ultima volta che la baciai.
<< Però, se non ti sbrighi farai tardi >> mi rimproverò guardando la sveglia sul mio comodino altre il letto.
<< Oggi, salto. >> le dissi non curante, sollevando le spalle.
<< Vuoi saltare? >> mi stuzzico con un sorriso malizioso.
Da prima non compresi cosa volesse dire, poi ricordai, Emmett, la prima volta che lo vidi dopo la trasformazione, il salto, la corsa.
Le sorrisi, << perché no! >>
***
Scendere dalle spalle di una ragazza era una cosa piuttosto contro natura, ma cosa lo è in fin dei conti?
Bella, fermò la sua corsa nella radura circolare, che tante volte è stato scenario di assurde circostanze.
Ci stendemmo al sole, che non riuscivo ad immaginare che effetto potesse fare sulla sua pelle. Forse lo stesso calore che provavo io lo provava lei, solo che mentre io sistemato di lato dovevo addirittura strizzare un pò gli occhi per il fastidio dei raggi solari che avevo alle spalle, Bella mi fissava in posizione supina, senza battere ciglio, non una smorfia, non un fastidio. Neanche il sole la poteva scalfire, solo renderla più bella.
Toccarle la guancia fu un richiamo troppo forte, e mentre avvicinavo il braccio con un movimento del bacino sull'erba mi avvicinai anche con il corpo, arrivando a farle ombra per metà corpo.
La mia mano le sfiorava il viso, scendendo poi sul collo, era come accarezzare una statua, liscia, perfetta, fredda.
<< Mi piace il tuo calore >> mi confessa in un sussurro.
Non riesco a trattenere il sorriso, però neanche la curiosità.
<< Come sei diventata così? >>
Spalanca gl'occhi tirandosi a sedere. Guarda tutto tranne me, nervosa.
<< Ho detto qualcosa che non dovevo? >> le domando sollevandomi anch'io.
<< Non è una bella storia Edward...se lo fosse, starei dove dovrei, ora >> mi dice con un sorriso amaro, sollevando solo un attimo gli occhi nei miei.
Ingoio a vuoto immaginando a cosa si potesse riferire. << Cioè? >>
Solleva lo sguardo e senza giri di parole conferma il mio timore.
<< Sotto terra, Edward, sotto terra... >>
Si abbandona sull'erba guardandomi, con la paura o anche la speranza che mi alzi e vada via. Ma il buon senso l'ho lasciato a casa e mi stendo anch'io guardandola.
<< È da tanto? >> le domando.
<< Si, 1930, mi dovevo sposare >> mi risponde tranquilla.
<< Oh... >> non riesco a dire altro << e lo amavi? >> senza rendermene conto mi sono allontanato da lei.
Lei si volta, guardando prima me, poi abbassa lo sguardo per constatare la distanza che ci separa. Allunga una mano intrecciandola alla mia poggiata sull'erba.
<< A quei tempi, non potevi scegliere, o innamorarti, erano gli altri a scegliere per te, o peggio ancora erano gli altri che per pagare i loro debiti ti vendevano. >> mi guardò negli occhi, nei quali leggevo una profonda tristezza.
Poi continuò evitando il mio sguardo.
<< Ovviamente, poteva andarti bene, come poteva andarti male, e Pedro era un uomo che, nonostante l'enorme ricchezza ereditata dal padre, era un brav uomo >> alzò lo sguardo puntandolo oltre gli alberi, oltre il tempo, immaginai << sai, dopo la trasformazione, il cervello rinasce, e i ricordi umani se non gli recuperi subito tendono a svanire. Io, non volevo dimenticare, non volevo dimenticare mio padre, che mi ha amato più di se stesso, non volevo dimenticare Pedro, che nonostante fossi merce di scambio, mi ha voluto bene, ma sopratutto non volevo dimenticare David Martin! >> un ringhio le uscì dal petto, la cosa mi inquietò appena, perché subito dopo mi guardò e sorrise tranquilla, almeno così sembrava.
Il discorso parve chiuso, anche se ero curioso di sapere altro, su Pedro e David, però non volevo che si innervosisse, nonostante la sua apparente tranquillità si vedeva che ci soffriva ancora.
La domanda più innocente che potessi trovare era quella che le feci.
<< Dove sei nata? In che paese? >> la guardai attentamente cercando di capire se la mia domanda le potesse dare fastidio o comunque scatenare ricordi spiacevoli.
Sorrise, << Barcellona >> disse senza spegnere il sorriso che la illuminava. << Barcellona era una bella città prima della guerra >> mi rispose con una risata leggera.
<< Perché ridi? >> le domandai incuriosito.
<< Perché non ci sono più tornata, dopo che sono partita non sono più tornata. >> mi risponde sollevando lo sguardo verso il cielo per poi stendersi completamente sull'erba.
Il sorriso non aveva abbandonato il suo viso, per cui preferìi rimanere in silenzio, aspettando che fosse lei, solo in caso ne avesse voglia a continuare. E così fu...
<< Mio padre andò in guerra, e quando tornò, il paese per il quale aveva combattuto gli voltò le spalle. Cademmo in miseria, e mia madre scappò. >> il suo sorriso si spense a quel ricordo. Stendermi vicino a lei mi venne spontaneo, anche se consolarla dopo tanti anni, non so fino a che punto possa essere di solievo.
<< Papà, poter uomo, tentò il suicidio. Pedro, gli salvò la vita, e dopo gli offrì un lavoro, lui lavorò come autista, visto che le macchine non erano roba da signorini, e io lavoravo come sua assistente, battevo a macchina ciò che lui scriveva.
Erano begli anni quelli. Al mio diciassettesimo compleanno Pedro chiese la mia mano a mio padre, lui, non esitò ad accettare, non badava a cosa potessi volere io per me stessa, lui vedeva il mio futuro con Pedro senza problemi ne intoppi, in fondo pensava al mio futuro, così accettai anch'io >> finì la frase guardandomi.
Non riuscivo a capire come mi sentivo, ma una cosa l'avevo capita.
<< Quindi più che Pedro, tuo padre vedeva i suoi soldi? >> conclusi.
<< No, mio padre non voleva che io finissi come mia madre, per cui in Pedro vedeva una stabilità economica >>
<< Oh, poi? Cosa andò storto? >>
Abbassò lo sguardo come in colpa.
<< Il giorno della festa del nostro fidanzamento venne tutta la gente più IN di Barcellona. Tra queste un uomo, David, David Martin, era un uomo di letteratura, era affascinante, ed io ero troppo giovane per capire. Fu facile per lui conquistarmi, ci vedevamo di nascosto, sempre di notte, poi un giorno...il 13 di settembre del 1930 mi morse, senza chiedermi perché o se volevo rinunciare alla mia vita, mi morse, perché insinuava di amarmi. Io una volta in questa vita lo maledii, per avermi strappato a mio padre, per avermi strappato al mio futuro. Per avermi strappato la vita. Non lo rividi più da quel giorno. >> finì il suo racconto raccapricciante con un sospiro, e mi guardò con un sorriso amaro.
<< Dopo un anno dalla mia scomparsa >> continuò << tornai da mio padre, sicura che non gli avrei fatto del male. Ma trovai la casa vicino la villa vuota, e nella rimessa delle auto un altro servo che non avevo mai visto, gli chiesi che fine avesse fatto Manuel Sañier, mi rispose che dopo la scomparsa della figlia l'ha cercata fino a perdere la ragione, e cadde nel lago ghiacciato dietro la villa, e non vi è più riemerso. Lo odiai più di prima per quello, non potèi darmi pace. Da quel giorno invece di non volerlo vedere, lo vado cercando, il giorno che lo trovo lo riduco in cedere io stessa! >> concluse con un ringhio che mi fece trasalire, cercai di ricompormi subito ma si rese conto dell'effetto che avevano avuto le sue parole.
<< Mi dispiace, non volevo ne spaventarti ne annoiarti >> si giustificò allontanandosi lievemente.
<< Oh guarda, sempre meglio della mia vita piatta e umana >> cercai di alleggerire la tensione cominciando a gesticolare, per poi lasciarmi andare sull'erba << Quando lo trovi avvisa, ti vengo a dare una mano >> le parole uscirono insieme al gesto di colpire l'aria con i pugni, non feci neanche caso a quello che mi aspettava se veramente mi ci fossi trovato in mezzo.
La vidi alzarsi.
Non capi il suo gesto, ma non ci pensai due volte quando l'affiancai, toccandole la spalla.
<< Bella? >>
Guardava un punto preciso della vegetazione, senza badare che la stessi toccando.
<< Che succede? Bella? >> stavo cominciando a spaventarmi.
<< Un cavallo >> sussurrò.
<< Come un cavallo?! E quindi? >>
<< Sta venendo qui >>
<< Oh, vabbè, sarà selvatico, c'è la riserva indiana qui vicino >> tolsi la mano dalla sua spalla sollevato che non sia quel David Martin, o qualcuno che avrebbe potuto farci del male.
<< Non è selvatico, qualcuno lo cavalca >> restava rigida, non capivo il motivo, se qualcuno lo cavalca, può essere solo umano, con il gusto di correre che hanno vampiri e licantropi, non penso che userebbero un cavallo per spostarsi.
Poi cominciai a sentire anch'io i passi dell'animale, e il suo muso fece capolino dalla vegetazione.
<< Oh! >>...
  
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