Anime & Manga > Lady Oscar
Segui la storia  |       
Autore: baby80    05/06/2010    10 recensioni
Questa storia è una sorta di continuazione di "André", ci pensavo da tempo e non ho saputo resistere. Oscar è sopravvissuta al 14 luglio, e dovrà affrontare la propria esistenza senza André. Racconterò di questa nuova Oscar, sbocciata in una notte piena di lucciole e appassita, improvvisamente, con la perdita del suo amore. La "mia" Oscar non è malata di tisi.
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altri, Oscar François de Jarjayes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Odo la voce di Alain in strada, lo sento urlare ma non ne comprendo le parole.
Sento il mio cuore battere all'impazzata, nel petto, lo sento pulsare nelle orecchie.
Il dolore alla schiena diminuisce di intensità, come le contrazioni nel mio ventre.
Riempio i polmoni d'aria e respiro profondamente.
Inspiro a rilento cercando una sorta di rilassamento.
Provo, con angoscia, a riprendere una posizione normale.
In piedi, dritta, per quel che mi è possibile.
In piedi, ma instabile, su un paio di gambe che hanno preso a tremare, come foglie.
Mi avvicino al lavabo e lascio scorrere l'acqua fredda sulle mani, sui polsi, fino a metà braccia.
Il freddo ad estinguere il fuoco, pulsante, del dolore appena provato.
Raccolgo l'acqua nelle mani e la porto al viso.
Un gesto che ha il potere di svegliare i miei sensi intorpiditi dal dolore.
Disseto la mia bocca con la medesima acqua, bevo con avidità, bevo come se non vi fosse altro a questo mondo.
Un movimento nel mio grembo, il bambino ricomincia la sua danza.
Lo carezzo con tocco incerto.
Avanzo con decisione verso la camera da letto, non permetterò che, questa volta, il male mi colga impreparata.
Giungo alla soglia della stanza e le doglie anticipano la mia strategia.
Stringo lo stipite della porta tra le dita, mentre l'altra mano preme sul grembo, in quel punto in cui vi è l'apice delle contrazioni.
Comprimo le labbra, impedendomi di gridare, richiamo in me il soldato.
Un soldato non mostra mai le proprie emozioni.
Un soldato non piange.
Un soldato deve dimostrare sicurezza e determinazione.
Un soldato deve essere caparbio e inflessibile.
Richiamo il respiro tra i denti, uccidendo, in gola, il nascere di un lamento.
Io sono un soldato.
Io, per più di vent'anni, ho controllato le mie emozioni, il mio essere.
Io sono un soldato.
Io non piango.
Io sono caparbia e inflessibile.
Io sono sicura e determinata.
Io sono un soldato.
L'ennesima contrazione, l'ennesima pugnalata ai reni.
Dolore, insopportabile, nelle viscere.
Io non...
Io sono un...
Io...

“Io non sono un dannato soldato... aaaaaah... i soldati non partoriscono!”
Le mie grida, senza controllo.
Le lacrime bagnano il mio sguardo e non vi è nulla ch'io possa fare, per arrestarne la corsa.
Le ginocchia mi si piegano sotto il peso del tormento.
Tengo il palmo della mano alla base del mio ventre, trattengo il mio pancione per impedire, follemente, ciò che è inarrestabile.
Percepisco, tra gli spasmi delle mie carni, il bambino.
Sento il mio bambino scivolare in basso, lo sento, chiaramente, pesare dolorosamente tra le mie gambe.
Ho paura.
Ho paura come mai ne ho avuta in vita mia.
Ripeto nella mia mente, come fosse una litania, che tutto questo non può succedere.
Non può nascere ora.
Non posso permettere che mio figlio nasca qui, sotto lo stipite di una porta.
Non posso permettere che il mio bambino nasca da solo.
Alain.
Dov'è Alain? Perché tarda?
Se non ci fosse nessuno a potermi aiutare?
Come potrò far nascere il bambino?
Non posso farlo da sola.
Non può farlo Alain.
Dio, dove diavolo è finito Alain?
Una fitta alla schiena, un dolore violento alla base dell'addome.
Le gambe faticano a sorreggermi, il busto cede su se stesso.
Serro lo sguardo e digrigno i denti.
Un lamento che sembra un ringhio.

“Alain!”
Grido con tutto il fiato che ho in corpo.
Grido con la forza della disperazione.
Cerco di raggiungere il letto, i piedi compiono un paio di passi, allungo la mano in prossimità del copriletto e la mia corsa si arresta.
Le contrazioni, sempre più forti, straziano il mio corpo.
Il dolore giunge ai miei arti come un ferro ardente.
Cado sulle ginocchia, coi palmi poggiati sul pavimento, ad arrestare quello che poteva essere un rovinoso schianto.
I miei lunghi riccioli biondi, cascano, senza vita, ai lati del mio volto, solleticandomi le gote.
Il bambino spinge, con prepotenza, alla base del mio grembo, creando, tra le mie viscere, spasmi che sembrano lacerarmi la carne.
Sta per nascere.
Sta nascendo.
Questo il solo pensiero che la mia mente pare essere in grado di formulare.
Questa l'unica convinzione del mio cuore.
Dio ti prego, non farlo nascere ora.
Il dolore, devastante, mi induce, involontariamente, a dischiudere le gambe.
Sta nascendo.
Dio, come puoi permettere una cosa simile?
Osservo le lacrime precipitare oltre le mie ciglia, le guardo cadere, ed espandersi, sul pavimento a pochi centimetri dal mio volto.
Il dolore, ogni volta più intenso, ogni volta più ravvicinato.

“Aaaaaaaah... oh signore, ti supplico!”
Grido a me stessa, in questa stanza vuota.

Un frastuono ai margini delle mie orecchie, del vociare concitato al di là della stanza da letto.
C'è qualcuno.
Alain ha trovato aiuto.
Oh Dio ti ringrazio.
Innalzo la testa e sorrido al nulla, sorrido a chiunque abbia esaudito le mie suppliche.

“Oscar... Oscar... scusami... scusa se...”
Alain mi è accanto, col suo vocione spezzato dall'angoscia e le sue braccia, forti, a sostenere il mio corpo.
“Alain non ti... aaaaaaaaaah...”
Non ero preparata a tutto questo.
Non ero pronto a tutto questo dolore.

“Madame, fatevi forza... vedrete che tra poco sarà tutto finito.”
La voce, dolce e quasi sussurrata, proviene da una donnina magra e dai capelli bianchi raccolti in uno chignon.
La guardo con il disprezzo negli occhi.
La guardo domandandomi se lei, così calma e pacata, abbia la benché minima idea di cosa stia accadendo al mio corpo.
Un corpo che si sta spezzando, con una crudeltà disumana, al cospetto di un bambino.
Non le rispondo, mi aggrappo alla camicia di Alain, issandomi in piedi e lasciandomi cadere, finalmente, sul letto.

“Oh...”
Un sussulto dalle mie labbra.
Il piccolo demonietto mi concede un attimo di riposo.
Giaccio spossata, immobile, sulla morbidezza del letto.
Una carezza sulla mia fronte, un tocco leggero tra i miei capelli, dischiudo gli occhi e vi trovo, dinnanzi, il caro vecchio Alain.
“Oscar, stai meglio?”
Bisbiglia.
“Adesso si Alain... grazie... grazie di tutto.”
Gli sorrido, forzando le mie labbra.

“Giovanotto, dovete lasciare la stanza. Qui non c'è bisogno di voi. Avanti, fuori.”
La voce della donna diviene dura ed autoritaria.
Alain avvicina il suo volto al mio orecchio, tanto da sentirne il respiro caldo.

“Io sono qui fuori Oscar, per qualsiasi cosa non esitare a chiamarmi. Mi raccomando, non farmi attendere molto per conoscere il piccolo Grandier.”
Vi è qualcosa nella sua voce che non ho mai udito prima d'ora, una tonalità delicata, un'essenza che mi è impossibile definire.
Mi carezza una guancia, questo grande uomo, con tocco gentile, ed io stringo le mie dita attorno al suo polso, posando, sul suo sguardo, l'ennesimo sorriso.
Vorrei poter dire tante cose, vorrei avere il tempo per ringraziare questo ragazzo che, da sempre, ha dimostrato a me, e ancora prima ad André, la sua lealtà, il suo buon cuore.
Vorrei poterti ringraziare Alain, per l'affetto che mi hai donato in questi 9 mesi.
Vorrei poterti ripagare ogni istante che hai trascorso con me, con noi, facendo le veci, del tuo migliore amico.
Ti ringrazio Alain, ti ringrazio con tutto il cuore.
Si allontana, il mio soldato, salutando la vecchia donnina con un improbabile inchino, e me, con la consueta follia.
Lo osservo portare la mano, ferma, sulla fronte.

“Comandante!”

Rimango da sola con questa donna di cui non rammento il volto, non mi pare d'averla vista prima d'ora.
Il dolore ricomincia a insinuarsi al di sotto della pelle, striscia lungo la spina dorsale e giunge, poi, ai lombi.
Il bambino riprende la sua discesa lungo il basso, spinge, con forza, e con lui si presentano, puntuali, le contrazioni.
Stringo le lenzuola tra le dita soffocando le grida.

“Come ti chiami, bambina?”
Mi domanda la vecchia donnina, lasciandomi sul cuore quel “bambina”.
“Oscar.”
Rispondo tra i gemiti.
“Bene, Oscar. Il mio nome è Faustine.”
Altri sussulti, dalle mie labbra.
“Oscar, ascoltami attentamente, ora dovrò alzarti la veste e privarti della biancheria. Una volta fatto tutto questo dovrò capire a che punto del travaglio sei, va bene?”
Faccio un cenno affermativo col capo.
Faustine compie ogni gesto preannunciatomi e, un istante dopo mi dischiude le gambe, posa una mano sul mio grembo e l'altra nel mio intimo, insinuandosi all'interno.
Percepisco le sue dita muoversi tra le mie carni.

“Oscar, ci vorrà ancora un po' di tempo prima che il tuo bambino venga al mondo, il tuo corpo non è ancora pronto. Adesso ti lascerò qui, per qualche minuto, io sarò nell'altra stanza, in cucina. Dovrò far bollire dell'acqua per lavare il bambino, e te, quando tutto sarà finito. Va bene? Vuoi chiedermi qualcosa?”
Mi sorride, con una dolcezza che mi ricorda tanto Nanny.

“Il... il bambino starà bene? Vero?”
Le domando poco prima d'essere colta, nuovamente, dal dolore.
“Ma certo, il tuo bambino starà benissimo. Sei una donna forte, non vedo nessun problema per questo parto.”
Una carezza ed un sorriso, da questa donna che ha, tra le sue mani, la vita di mio figlio.
Le contrazioni sono sempre più ravvicinate, e così intense da non lasciarmi il tempo di prendere fiato.
“Dio... quanto fa male!”
Non mi è possibile frenare le grida.
“Oscar, cerca di rilassarti, respira profondamente. Ecco, brava, così. Adesso dimmi, immagino che questo sia il tuo primo figlio, qualcuno ha avvertito il padre?”
Ed eccola, la sola domanda che non avrei voluto udire.
Dolore al ventre, dolore ai lombi, dolore al cuore.
“Lui... lui è... lui è...”
Il pianto si fonde alle grida.
Dolore del corpo unito al dolore del cuore.
Comprende, la vecchia Faustine, senza ch'io le debba delle spiegazioni.
Mi posa la mano sulla fronte e mi carezza i capelli, amabilmente.
Socchiudo gli occhi per godere di questo affetto sconosciuto e della pace, passeggera, nel mio corpo.
“Oscar, ora vado a preparare tutto l'occorrente per il parto, credi di poter rimanere qui da sola?”
Annuisco offrendole un sorriso.
Sola, ancora, in questa stanza, sola col mio bambino che diverrà realtà.
Dopo 9 lunghi mesi potrò guardare il suo volto, quel visino che ho cercato di figurarmi innumerevoli volte.
Dopo un tempo che mi è parso infinito potrò rivedere il mio André, nei tratti di nostro figlio.
Il mio André.
Come vorrei che fosse qui.
Darei qualsiasi cosa per poterlo avere accanto, in questo istante, per sentire la sua voce, calda, pronunciare parole rassicuranti.
Darei l'anima al demonio per averlo in questa vita, un momento soltanto, il tempo di un respiro, in cui gli mostrerei il suo bambino.
Se lui fosse qui.
Se fosse qui mi spronerebbe ad essere forte, con la fermezza nelle parole, e con l'amore dei gesti.
Se fosse qui soffrirebbe con me, come è sempre stato.
Se fosse qui impazzirebbe di gioia nell'assistere alla nascita del nostro bambino.
Se lui...

“Aaaaaaaaaaah”
Una fitta, feroce, così differente dalle altre.
Un dolore devastante al ventre, un dolore così furioso da espandersi ad ogni fibra del mio essere.
Ereggo il mio corpo a sedere, continuando ad impugnare le lenzuola tra le dita.
Il mio grembo nudo sussulta ad ogni contrazione.
Le mie gambe, scoperte, si divaricano senza vergogna, ed io non ho più il controllo del mio corpo.
Il bambino pesa completamente alla base del mio addome, lo sento, distintamente, nel mio interno.
Lo sento scivolare ad ogni contrazione, ed io non posso far altro che...
Ed io devo...
Devo...
Devo spingere!
No, no, non puoi nascere, io non sono pronta.
Io non so cosa fare.

“Oh signore!... aaaaaaaaaaaaaah...”
Il dolore mi arriva alla testa, con la stessa potenza che vi è nelle mie viscere.
“Oscar! Dio del cielo! Credo che sia arrivato il momento...”
La mano di Faustine, un altra volta, nel mio intimo.
“Ci siamo Oscar, ci siamo...”
Cerco di respirare ma i polmoni sembrano pezzi di legno.
Sono così stanca.
Mi lascio cadere all'indietro, lascio che la mia schiena si adagi sui cuscini.
Reclino il capo e serro gli occhi.
Non ce la faccio, non posso sopportare altro dolore.

“Oscar! Oscar! Avanti! Devi collaborare, questo bambino non può venire al mondo da solo!”
Il rimprovero nella voce della vecchia donnina.
“Non ce la faccio! Non ne ho la forza!”
Le grido con insolenza.
“Credevo che una donna con un nome da uomo avesse qualcosa di differente rispetto alle altre dame, ma a quanto pare mi sbagliavo...”
Mi provoca.
“Tu... tu... tu non sai nulla di me! Io... io non sono come le altre donne, non ti azzardare a ripeterlo un'altra volta! Io... io ho comandato un reggimento di uomini! Io ho combattuto per la presa della Bastiglia! Io sono un soldato! Io... aaaaaaaaaaah... Dio, quanto fa male!”
Le urlo la mia rabbia, le urlo la mia stupida offesa, le urlo il mio dolore.
“E allora, soldato, combatti... tira fuori la tua forza e fai nascere questo bambino!”
Piango tra i lamenti.
“Spingi Oscar, spingi!”
Grida, Faustine, sovrastando la mia voce.
Spingo assecondando il dolore.
Spingo assecondando le contrazioni.
Il battito del cuore martella nelle orecchie, stordendomi.
Il mio respiro è affannoso, un momento, e flebile l'attimo dopo.
Sono esausta, ogni lembo del mio essere è sbrindellato dal dolore.
La mente è persa, confusa, svanita tra i fumi del tormento.
La gioia è mutata in rabbia.
L'amore ha assunto le sembianze del rancore.
Per un istante maledico quella notte di nove mesi addietro, quella notte che mi vide diventare donna.
Per un battito di ciglia maledico la passione di André, quella passione che ora mi sta lacerando la carne.
André.
Oh, amore mio, se fossi qui.
André, perché? Perché non sei qui con me?  
Il delirio mi inumidisce le labbra.

“André... André...”
Invoco il suo nome, avvinghiato al pianto, stretto attorno alle grida, insinuato nel dolore.
Avverto la mano di Faustine poggiarsi sul mio pancione e premere su di esso, con sempre maggior potenza.
Guardo la sua mano schiacciare il mio ventre, fortemente, fin quasi a sformarlo.
Odo le sue urla.
“Spingi Oscar, spingi! Vedo la testa del bambino... dai, ci siamo!”
La testa del bambino, si, la sento scivolare attraverso il mio grembo, la sento scivolare attraverso il mio intimo.
Un dolore lancinante, un lampo alle porte del mio sguardo, una pugnalata alla base della schiena.

“André... aiutami... André...”
Invoco nuovamente il suo nome, impregnandomi le labbra.
Invoco il suo nome nel momento in cui, con quelle poche forze rimaste, affondo le mani tra le lenzuola, portando il mio corpo in avanti, in direzione delle mie gambe, piegate e spudoratamente aperte.
Invoco il suo nome nel momento in cui spinto, con tutta me stessa.
Invoco il suo nome nell'istante in cui, il mio grido, così prepotente da infiammarmi la gola, accompagna lo strappo delle mie carni.
Pronuncio il suo nome quando sento il bambino giungere tra le mie gambe, nell'istante in cui la sua testa, ed il suo corpicino, si fanno strada, oltre il mio intimo.
Pronuncio il suo nome nell'istante preciso, in cui, nostro figlio viene al mondo.
Ricado stremata sui cuscini, col respiro convulso in gola e il viso imperlato di sudore.
Ricado stremata sul letto mentre un fiotto di sangue bollente fuoriesce dal mio corpo.
Gli occhi mi si chiudono involontariamente, per poi riaprirsi, come finestre, quando le mie orecchie odono il suono più dolce.
Un pianto.
Forte.
Il suo pianto.
Il pianto del mio bambino.
Allungo le braccia, una richiesta senza parole.
Faustine mi porge questa piccola creatura, me la poggia sul petto.

“E' una bambina.”
Mi dice.
Stringo tra le braccia questo esserino e le lacrime compaiono tra i miei occhi.
La guardo, la mia bambina, ancora macchiata di sangue.
Sembra stremata, come lo sono io.
Osservo le sue mani, così minuscole, le sfioro con una carezza.
Osservo il suo petto, alzarsi ed abbassarsi freneticamente.
Tocco le sue labbra, carnose, le guardo protrarsi, pronte a succhiare, verso il mio dito.
La stringo, con la paura in ogni gesto.
La guardo e vedo l'amore.
La guardo e vedo Lui.
La guardo e vedo la realtà.
Ho una figlia.
Sono una Madre.

La piccola trema nel mio abbraccio.
“Bisogna coprirla.”
Mi dice Faustine.
Allungo la mano e con sicurezza vi trovo ciò che cercavo e, con l'aiuto della donna avvolgo, in quella camicia che mi ha protetta per nove mesi, sua figlia.
Nostra figlia.
La guardo, stretta nel solo abbraccio che le potrà dare suo padre.
La guardo placarsi, così come accadeva nel mio ventre, tra la stoffa che ha le forme di suo padre.
Osservo questo piccolo amore che ha unito, per sempre, le nostre anime.
Il nostro amore, fuso, in questa piccola creatura.
Sussurro all'essenza che è presente, nel mio cuore, e in ogni fibra del mio corpo.
Sussurro, senza staccare dall'amore, l'azzurro del mio sguardo.
Sussurro alla presenza che sento, forte, accanto a me.
Sussurro, con le lacrime agli occhi e la felicità nel cuore, al mio unico e solo amore.
Sussurro sperando che lui possa sentire.
Sussurro sperando che lui possa vedere.
Sussurro al suo fantasma.
“Abbiamo una bellissima bambina, André.”
  
Leggi le 10 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Lady Oscar / Vai alla pagina dell'autore: baby80