Mentre Manuél tornava verso casa strani pensieri si facevano strada nella sua mente.
Aveva sempre pensato che la gelosia che provava nei confronti di Isabel fosse dovuta al desiderio che provava verso i suoi amanti. Ora non lo credeva più così possibile. E di chi era geloso? Di lei? E poteva essere. Gli tornò in mente il ricordo di quella notte a Bruxelles, di dieci anni prima. I suoi baci, i suoi sospiri, il suo bel corpo. Già, la bramava allora e forse la bramava anche ora. Non voleva il suo corpo, conosceva corpi migliori. Voleva il suo cuore ardente, il suo spirito analitico, la sua mente fredda e determinata.
Forse per questo l’aveva odiata quando otto anni prima era nato Juan; pensò; perchè l’amava. E non tollerava che lei non lo amasse, che gli avesse preferito Ivan Sergevic, che Juan non lo chiamasse padre, ma semplicemente Manuél.
Ora capiva perchè ogni volta che lei si portava un amante a casa lui faceva irruzione nella sua stanza. Non per divertirsi, come aveva sempre pensato, ma per poter cogliere sul suo viso un attimo di piacere rubato.
Si, io l’amo, si disse. L’amo e glielo dirò, oggi. Mentre pensava questo saliva le scale due a due, con il cuore in subbuglio.
L’aveva vista salire le scale, quindi aspettò cinque minuti. Cinque minuti per riflettere e preparare una dichiarazione d’amore, la più bella che lei avesse mai sentito, si disse.
Poi, trovate le parole, contò fino a otto, bussò, la udì, com’era bella la sua voce, ed aprì la porta, con il cuore pieno d’amore per lei.