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Autore: Ely79    12/06/2010    3 recensioni
Harry è Auror e vive a Grimmauld Place con la sua famiglia, ma il palazzo cade a pezzi e le memorie dei Black ingombrano ancora le stanze. Ginny, preoccupata per James e Albus e per la figlioletta in arrivo, decide di rivolgersi a chi può dar loro una mano.
Genere: Commedia, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: James Sirius Potter, Nuovo personaggio | Coppie: Harry/Ginny
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nuova generazione
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Tavola 5 - Progetto definitivo
La strega sobbalzò come se l’avesse colpita una Fattura Pungente, trovando il volto corrucciato della Potter ad un metro dal suo.
«È sicura di sentirsi bene? È un po’ pallida»
«S-sto bene. Ho solo dormito poco» boccheggiò, ma gli occhi bruni erano sfuggenti, guizzavano lungo le pareti in cerca di chissà cosa.
Ginny riprese a sfogliare il campionario. Fingendo d’essere in dubbio tra bianco avorio ed il bianco ghiaccio per i copriletto degli ospiti, la scrutava con la coda dell’occhio. Tecnica delle Harpies per disorientare l’avversario quando le partite si dilungavano: simulare indifferenza. Da qualche tempo l’Archimaga era nervosa, ben più del solito. E non sembrava dipendere dalle continue intromissioni di Jamie nei lavori. L’aveva vista affacciarsi spesso alle finestre, controllando spasmodicamente la via quando arrivava o se ne andava. Era tesa, ma prima di parlarne al marito aveva deciso d’indagare per conto proprio.
Dopo aver acquistato il necessario per completare le camere destinate ai visitatori, uscirono in Diagon Alley. Raggiunsero un negozietto dove la strega ritirò un voluminoso pacco che, stando all’etichetta, conteneva materiale per Strutture archimagiche verticali. Ginny stava sbirciando tra gli scaffali zeppi di Filtri Lustra-incera, scatole di Turbini Inghiottipolvere, Ragni Penelope Notturna e altri ausili magici di cui non indovinava lo scopo, quando vide Camille voltarsi di scatto, toccandosi i capelli. Le monete caddero tintinnando a terra.
«Signorina?» chiamò allarmato l’inserviente.
«Va… tutto bene. Era… solo… un’impressione» ma la faccia contrariata di Ginevra che la fissava a braccia incrociate era tutt’altro che un’impressione.
Appena pagato, la progettista venne trascinata da Fortebraccio e fatta sedere ad un tavolino con qualcosa da bere, pronta per fornire un’esauriente spiegazione.
«Tobias Elder» sbuffò.
«Sarebbe?» domandò Ginny, attendendo impaziente che la piantasse d’indugiare sulle risposte.
«La deontologia professionale m’impone di definirlo un collega»
«Lasci perdere. Chi è?»
Indecisa, Camille giocherellò con l’Acquaviola che aveva davanti.
«Una carogna» sputò, stringendo il bicchiere. «È un Archimago molto influente, sulla piazza da quarant’anni. Negli ultimi due decenni gli sono stati affidati i lavori più importanti del mondo magico. Lo stadio della Coppa del Mondo di Quidditch del Novantaquattro, la ristrutturazione del Ministero e di Hogwarts dopo gli attacchi di Voldemort, il rimaneggiamento di Azkaban a seguito dell’esonero dei Dissennatori. Solo per citare i più noti»
«In gamba» osservò la strega, cercando una posizione dove il pancione non l’infastidisse.
Purtroppo sua figlia aveva deciso di mettersi comoda per origliare, cosa che costringeva lei a fare la contorsionista.
«Ha uno stile basato su ambienti cupi, austeri, rigidi, impersonali. Pensa che sia la funzione a dover caratterizzare all’edificio, non viceversa. Si rifà allo stile che i Babbani chiamano Neogotico. Retrò ed indubbiamente scenografico, ma è antemerliniano. Piega il contesto alle sue regole, evita di adattarsi a ciò che trova. Non c’è innovazione nelle sue opere. Molti critici l’hanno attaccato aspramente, dicono che dovrebbe ritirarsi per dar spazio ad altri. Il problema è che ha costruito una rete di contatti molto fitta, conosce sempre il nome giusto, sempre un piano più in alto rispetto a dove una persona può arrivare. L’ho incontrato due settimane fa, qui vicino. Era molto amichevole, gentile, prodigo di consigli. Fin troppo, considerando i nostri pessimi rapporti»
«Crede che voglia soffiarle il lavoro? Perché può star fresco, non abbiamo intenzione di fare una Finta Wronsky proprio ora»
Bevve un sorso prima di scuotere il capo.
«Allora perché questo Elder le dà tanti pensieri?»
«Ero rientrata dal tirocinio in Irlanda ed stavo cercando di farmi conoscere come libera professionista quando mi volle con sé come collaboratrice. Andavamo d’accordo, nonostante idee e caratteri divergenti. C’era una buona alchimia. Purtroppo non ha mandato giù il fatto che, pochi mesi dopo il mio arrivo, gli abbia soffiato uno dei suoi maggiori clienti»
Alla ex-Cacciatrice sembrò di rivivere la scenata fatta dalla Caldwell, quando scoprì d’aver perso il posto in squadra in favore dell’astro emergente: lei.
«Appartiene ad una delle famiglie magiche più note d’Inghilterra. Gente che ama spendere migliaia di galeoni e sa come fare per ottenere ciò che vuole, col massimo dello sfarzo e del clamore. Potrei definirlo il mio mecenate, il primo che mi abbia dato fiducia»
L’altra annuì, facendole intendere d’aver afferrato l’allusione.
«Ernest Macmillan è un autentico speculatore edilizio: ha un incredibile senso degli affari, una capacità di muoversi nel settore immobiliare che oserei definire unica»
«Ernie Macmillan?!?»
In realtà aveva dato per scontato parlassero di Draco Malfoy, che sembrava stesse seguendo le orme poco pulite del padre. Mai avrebbe immaginato che quel pomposo Tassorosso sarebbe stato in grado di realizzare qualcosa d’importante in vita sua. L’aver fatto parte dell’ES non lo metteva in cima alla lista degli auguri di Natale.
«Immaginava parlassi del padre, non è così? In effetti è molto abile, ma il figlio lo supera di gran lunga» e nel dirlo pareva particolarmente ammirata, suscitando la curiosa impressione che fra i due ci fosse qualcosa di più di un semplice rapporto di lavoro.
«Non capisco cosa centri tutto questo con quel tizio» fece Ginevra, ricomponendosi dalla sorpresa.
«Si batte per impedire ai giovani talenti di emergere. Elder sta aspettando una mia mossa falsa per screditarmi davanti all’opinione pubblica e riprendersi il cliente. Per questo credo mi stia tenendo d’occhio: vuole essere presente al mio errore. Con tutte le amicizie importanti che ha, per lui sarebbe un gioco da Babbani far finire la mia carriera sulla scorta di semplici dicerie. Speravo mi avrebbe lasciata in pace visto che avevamo collaborato, ma è più comodo distruggere una persona capace che tenersela cara. Specialmente quando la si è cresciuta, professionalmente parlando»
«Quindi» concluse Harry quella sera a cena, «è una questione di concorrenza?»
«Così sembrerebbe»
«È ridicolo» sghignazzò, cercando di far prendere una cucchiaiata di minestra a James, che si sottraeva ad ogni tentativo.
«Sono d’accordo, ma ha ragione d’essere preoccupata. Si sta dando molto da fare. Tu non l’hai vista, passa ore ed ore a fare incantesimi su incantesimi. Mi viene la nausea dopo dieci minuti che la guardo!»
Harry si morse la lingua per non sottolineare che i motivi di quelle nausee fossero di ben altra natura.
«Mangia mentre lavora -ammesso che mangi, non l’ho mai vista-, è sempre in movimento. Dubito persino vada in bagno… Non riposa nemmeno la notte! Stamattina ha portato altri due schizzi per la cameretta di Lily. Ce n’è uno stupendo con i Cavalli Marini… E poi, questo Elder sembra pericoloso. Uno con tante amicizie altolocate mi sa del Mangiamorte latitante»
«Andiamo, tesoro, non esagerare»
Parlare di maghi oscuri a tavola gli mandava la cena di traverso.
«Non possiamo permetterle d’ammazzarsi di lavoro per tenere a bada un concorrente troppo ottuso per ammettere che è brava, e star dietro a tutto quello che ci salta in mente. A proposito, oggi ha ordinato la porta nuova per la vecchia stanza del tuo padrino. Solo la faccia esterna, come volevi tu!» sottolineò stizzita.
Concordava con la Goldstein che rinnovare l’intero palazzo, lasciando quel locale in uno stato pietoso, era veramente stupido, ma Harry era irremovibile: nessuno avrebbe affatturato la camera di Sirius.
Un piatto andò in pezzi sul pavimento.
«A proposito di chi si ammazza di lavoro…» sospirò l’Auror raggiungendo i fornelli.
Kreacher stava raggomitolato sui cocci, che non riusciva ad afferrare. Un pomeriggio intero con i bambini l’aveva quasi ucciso e lui, da bravo domestico, non se n’era lamentato. Levò i grandi occhi tondi sul padrone, che sorrise e raccolse la porcellana per lui.

***

Un’elfa minuscola, abbigliata come una vecchia bambola logora, seguì l’Archimaga fin nella sala da bagno. Delle dodici stanze del suo appartamento, era indubbiamente quella di cui andava più orgogliosa. Un piccolo ambiente quadrato, affacciato sulla città attraverso un bow-window. Le pareti erano lisce, spoglie, dipinte d’ametista con sottili sagome bianche di canneti. Sul pavimento in doghe di bambù era posata una candida vasca, che ricordava un uovo tagliato di sbieco. Nella parte più alta e stretta era stata cesellata una ghirlanda di fiori, dai cui petali sgorgava gorgogliando l’acqua calda ed invitante. Minuscoli gomitoli luminosi fluttuavano nella stanza, diffondendo un lieve alone dorato.
I larghi piedi della servetta sbattevano sul pavimento come ciabatte deformi. Mentre la donna si spogliava dietro un elegante paravento damascato, la creatura si diresse ad un tavolino posto accanto alla vasca. Disposti in bell’ordine, i contenuti di alcune boccette incrostate d’argento disegnavano un minuto arcobaleno sulla tovaglietta di fiandra.
Si voltò verso la sagoma sottile nascosta dietro la tela dell’impalpabile schermo. Lappie, questo il nome dell’elfa, era preoccupata. Vedeva la sua signora smunta e debole, nonostante lei insistesse nel dire che non era mai stata meglio.
«Come si sente la padrona questa sera, padrona?» domandò.
«Stanca. E parecchio indolenzita» sospirò Camille, immergendosi.
A quell’abituale risposta, l’elfa prese a scorrere le bottigliette con aria estremamente concentrata. Si prese a pugni in testa dopo aver ritratto la mano più volte mentre stava per afferrarne una. Infine decise per quella che conteneva un liquido violetto e la porse trepidante alla strega, che lesse l’etichetta d’argento. Il suo silenzio allarmò la domestica.
«Lappie, quante volte ti si devono ripetere le cose, prima che ti entrino in testa?» domandò atona, osservando il liquido ondeggiare mollemente.
Quella sbarrò lo sguardo terrorizzata e prese a balbettare torcendosi le mani.
«La-Lap-pie… L-Lappi-pie è…»
«Quante volte ho dovuto ripetere quali oli essenziali devi portarmi quando sono affaticata e dolorante?»
«D-dic-ciotto, p-padrona» ammise tremando.
«Diciotto volte» ripeté assorta. «Per fortuna non siamo arrivate alla diciannovesima» disse, guardando un filo sottile colare dall’ampolla.
L’essenza era abbastanza densa da non sciogliersi subito ed arrivava a solleticarle lo stomaco.
La creatura si accostò timorosa, gli occhi tanto sporgenti da correre il rischio di ruzzolare fuori dalle orbite. Aveva sbagliato molte volte in quei primi tre anni di servizio, facendo arrabbiare la sua padrona. Era stata punita con mezze giornate di digiuno, cosa che secondo Lappie era tutt’altro che un meritato castigo: la sua signora era troppo buona con lei che era tanto stupida.
«L-Lappie è stata b-brava, p-padrona?»
Un tenue sorriso distese le labbra della donna.
«Molto brava, ma questo non ti autorizza a dimenticare ciò che hai imparato come fai di solito. È chiaro?» ribadì con dolcezza.
Al colmo della gioia, Lappie annuì mugolando, tenendo le orecchie premute sulla faccia. Le iridi enormi scintillavano sopra i padiglioni auricolari. Riuscire a rendere felice colei che serviva era quanto di meglio potesse fare.
«La padrona desidera mangiare dopo il bagno?» domandò giuliva.
La donna rifletté un istante.
«No, una tazza di latte caldo sarà più che sufficiente. Fammela trovare in camera quando avrò finito»
Ancora festante, Lappie svanì.
Camille si lasciò scivolare in basso, circondata dal calore e dall’aroma di violetta che cominciava a spandersi nel vapore. Di solito un lungo bagno cancellava le tensioni, liberava i pensieri dalla spossatezza, ma col passare dei giorni quella pratica risultava sempre meno efficace.
Passò le mani fra i capelli, districandoli nell’acqua, massaggiando tempie e nuca. Un brivido scese lungo la schiena. Era una sensazione piacevole, delicata, simile a quella provata nel pomeriggio, quando aveva creduto di sentire una mano sfiorarle la testa.
L’idea che Tobias la pedinasse come aveva fatto con Gordon Alcott era grottesca, un’assurda paranoia, se ne rendeva conto. Di certo si sarebbe guardato dall’accarezzarla. E non avrebbe mai osato metterle pressione a quel modo: il rischio di fare una figuraccia sarebbe stato eccessivo anche per lui, dato che quei clienti erano molto più in alto di dove sarebbe mai riuscito ad arrivare. L’Eroe del mondo magico e famiglia. Era certa che l’avrebbero difesa, se mai si fosse realizzata la remota possibilità che sbagliasse qualcosa. Ma sapeva di essere brava, era ben consapevole di quel che faceva. Elder avrebbe masticato amaro per decenni. Ammesso che non si strappasse i denti per la rabbia, quando avesse visto il lavoro ultimato. Sì, perché era fermamente intenzionata ad invitarlo all’inaugurazione.
«Basta» si disse. «Meglio organizzarsi per domani»
Appellò una penna ed un biglietto. Toccò l’autoscrivente, e dettò:

Richiedo appuntamento nel mio appartamento, domattina, ore nove. Solito trattamento.
Esigo la massima puntualità, nonostante sia sabato.
C. Goldstein

Appena terminato, il biglietto si richiuse.
«Palladio?»
Rapido, il barbagianni planò sul bordo scivoloso della vasca.
«A Penny Collins, West Ham Lane. Se trovi la finestra chiusa, ti autorizzo a buttarla giù»
Il rapace arruffò le penne.  
«Smettila di fare il difficile. Penny non ti piace, ma è la miglior esperta di wellness del mondo magico, oltre che un’affezionata cliente. Ho bisogno di lei per essere in piedi lunedì, altrimenti puoi dire addio alle tue quaglie, mio caro» lo avvisò.
Con un frullo d’ali stizzito, Palladio sparì alla volta dell’indirizzo indicato.
«Ma tu guarda se devo litigare con quel pollo insonne… non bastavano i Potter, pure lui ci si mette» protestò, lasciandosi andare sott’acqua.
Certo che quei due si erano proprio trovati alla perfezione. Lei voleva fare senza spendere, lui voleva spendere e non fare. Per dar retta ad entrambi stava rischiando l’esaurimento nervoso.
L’elenco di ulteriori aggiustamenti e modifiche richieste dai proprietari di quella disgraziatissima magione si srotolò rabbioso davanti ai suoi occhi. Quella mattina i Potter si erano scambiati quindici gufi prima di consultarsi via camino, per decidere se nel bagno degli ospiti sarebbe stata meglio della rubinetteria di linee moderne, come volevano lei e la signora, o più classiche, come pretendeva lui. Alla fine aveva vinto la consorte con ampio margine sul marito, che aveva simulato malamente un profondo scorno. Era facile indovinare che in realtà apprezzasse tutta la cocciutaggine che la sua dolce metà profondeva in quelle questioni, che lui doveva ritenere tutt’altro che sostanziali.
Visto il riemergere dei pensieri lavorativi, decise fosse giunta l’ora di andare a dormire.
Anche il letto, come la vasca, era posizionato al centro della stanza, circondato da un incantesimo che impediva la caduta dei molti cuscini che ospitava. Un’altra vetrata guardava in direzione della cattedrale di Westminster, di cui s’intravvedevano le guglie. La parete opposta era occupata dalla cabina armadio. Da lì, attraverso una scala a chiocciola in ferro battuto, si accedeva allo studio, nel sottotetto. A Camille non piaceva ingombrare lo spazio con troppi mobili, le toglievano il respiro.
Accanto al letto, fluttuava una tazza. Lappie aveva aggiunto due biscotti ai mirtilli. Ogni tanto ricordava i gusti della padrona. Sedette, sorseggiando il latte e rimirando lo skyline. La notte si mescolava alle note del blu, del violetto e del bianco della camera. Niente luci, tranne quelle di Londra.
Invidiava i Potter. Avevano un paio d’anni meno di lei e tre figli. Una famiglia così non l’aveva mai sognata. O forse sì, ma quella era un'altra Camille Goldstein. Accarezzò le lenzuola, domandandosi se le mancava una figura accanto. Qualcuno contro cui rannicchiarsi in cerca di sostegno, affetto, sicurezza o, semplicemente, calore. Un’immagine prese forma al suo fianco. Una sagoma sfocata, protesa per darle un bacio. Strinse gli occhi per scacciarla, nascondendo la testa dietro un cuscino. La tazza ondeggiò lontano nell’aria.
La solitudine poteva essere dolorosa come un Cruciatus, anche se non ne aveva mai ricevuto uno. Ben peggiore era però far sanguinare nuovamente il cuore che aveva faticato a ricomporre. Erano ferite che si era ripromessa di dimenticare per sempre.
«Ernest, pensa a Ernest» s’impose.
Il suo benefattore trovava sempre un modo per farla sorridere, per darle un po’ di sollievo, anche quando sfoderava tutta la sua tronfia, tirannica magnificenza. Sarebbe stato un ottimo diversivo.
Invece le venne in mente Ginevra Potter, seduta accanto a lei in gelateria. Per quanto potesse sembrare assurdo, quel pomeriggio le aveva detto che tutte le sue tensioni sarebbero passate se fosse stata fidanzata o sposata. Un uomo in carne ed ossa dava grattacapi più concreti di certe fantasiose manie di persecuzione. Le aveva proposto di conoscere prima suo fratello scapolo di stanza in Romania, poi qualche collega del marito, asserendo che magari uno fuori del suo giro sarebbe stato il tipo giusto per scordare il lavoro. Oppure poteva aspettare sedici anni ed accasarsi col suo Jamie, visto che lui l’adorava.
«Perché diamine lo chiameranno Jamie? Gli hanno dato un nome altisonante per ridurlo ad un banale diminutivo. È sciocco» rimbrottò stendendosi.
Sollevata sui gomiti, guardava le sfavillanti luci londinesi, colorare e tremule fra i palazzi.
«James. Sirius. James Sirius. James Sirius Potter» scandì lentamente, quasi masticasse una caramella. «Suona benissimo. Da principe delle favole. Peccato che sia troppo cresciuta per crederci ancora» ridacchiò.
Non c’era sarcasmo, era sincera. Tuttavia, non si sarebbe lasciata trascinare in giochetti da improvvisata agenzia matrimoniale. Ci mancava solo quello. Desiderava accasarsi almeno quanto vivere senza bacchetta.
Si stiracchiò, tentando di trovare una posizione che conciliasse il sonno prima che i pensieri ricominciassero a mettersi in moto contro la sua volontà.

***

Guardò i vestiti buttati sul divano-letto, invidiandoli. Non aveva tempo, doveva decidersi alla svelta. Erano le tre del mattino e stava morendo di sonno, dopo un doppio turno massacrante alle calcagna di contrabbandieri di oggetti magici non autorizzati. Mesi d’indagine serrata e di Miles ancora nessuna traccia. Pareva essersi volatilizzato.
«Oh, respira che mi metti l’ansia!» borbottò Nigel, la testa infilata nel frigorifero in cerca di un paio di Burrobirre.
La fidanzata lo aveva messo alla porta per l’ennesima volta e lui aveva piantato le tende dall’amico, nella speranza di non ripetere l’esperienza gastronomica precedente.
«Cioè, è una settimana che fai Mr. Auror-dell’-anno! Dai… Puntuale, divisa in ordine, poche battute, scherzi di basso livello,… addirittura hai messo giù un rapporto! Cioè, comincio a pensare che Harry sia ricorso alle Arti Oscure»
«Non essere stupido, ragazzino» mormorò assorto, spostando una camicia da un paio di pantaloni ad un altro. «Certe cose ancora non riesci ancora a capirle»
«Oh! Ragazzino a chi?» sbottò, sfilandogli la bottiglia da sotto il naso. «Non sono mica così piccolo!»
Francis lo squadrò da capo a piedi. I cinque anni che li dividevano all’anagrafe diventavano almeno il doppio di persona. Nigel era un nanerottolo tarchiato con la faccia da lattante. Senza incisivi lo si sarebbe potuto scambiare per uno di otto anni. Lui ne dimostrava trentacinque invece dei suoi ventotto, ma era sempre sembrato più grande, anche da adolescente. Avrebbe potuto fare l’esame di Smaterializzazione in anticipo di due anni, se qualcuno gli avesse retto il gioco. E se la McGranitt non l’avesse pescato mentre cercava di intrufolarsi di straforo al corso.
«Harry ha ragione. Lo scherzo va bene, ma ci sono modi e tempi. Stavo esagerando a fare il buffone. Rischiavo di combinare qualche guaio e di metterci tutti in pericolo»
«Ma smettila!» ridacchiò il ragazzo, dando una memorabile testata ai pensili mentre con un balzo si metteva a sedere sul piano del cucinino.
Ignorando i suoi mugolii di dolore, Francis si voltò a fissarlo, scuro in volto.
«Nigel, cosa sarebbe accaduto se quella volta a Bristol anziché affatturare Ron perché miagolasse, l’avessi fatto ruggire come una Chimera o come un Drago? Quei vampiri ci avrebbero assaliti prima che potessimo immobilizzarli. Qualcuno di noi poteva non essere vivo, o peggio» rispose aspro, riprendendo a spostare gli abiti da un capo all’altro del divano.
Il tempo scorreva veloce. Doveva dormire un po’, fare spesa, infilarsi nella doccia e rendersi presentabile per la cena chiarificatrice dal capo. In una casa che gli appariva come una trappola preparata apposta per lui.
«Tengo agli Auror e voglio restare in servizio. E se questo passa dal darmi una calmata, beh, direi che è ora. A novembre compirò ventinove anni. Un po’ di sana disciplina mi servirà. Basta fare il cretino come te, che non sai discutere civilmente con la tua fidanzata» osservò mesto, ignorando le imprecazioni del collega. «E comunque sono sempre stato puntuale e in ordine, o mi avrebbero cacciato tempo fa. Era la prima cosa che pretendevano in Accademia»
Si fermò, mani sui fianchi, valutando i risultati ottenuti. Pantalone nero, camicia bianca, giacca nera sportiva. Oppure pantalone grigio, camicia azzurra, giacca nera sportiva. Era l’unica buona che possedesse, le altre erano sciupate da appostamenti e inseguimenti. Sperando d’aver messo insieme qualcosa di decente, pregò che la famosa Ginny Weasley in Potter fosse davvero la persona informale che dipingevano le cronache sportive ed il marito.


Benvenuto a marco111284, aspetto i tuoi commenti.
Grazie a chi sta leggendo la fic! Spero proprio vi piaccia!
Per Gaea: Perché ti spaventa la cara Camille? Ma no, vai tranquilla. Sono solo coincidenze! Anche se si dice che tre indizi fanno una prova… Sto scherzando. Ehm, piccola correzione. Kreacher adora Albus, non Hugo, casomai… Sai com’è, è ancora nel pancione.
Per Foolfetta: già, dici bene. Camille non ha scampo al fascino di James Sirius (e con un nome così, cosa ci si poteva aspettare?). Come vedi l’ho ribadito anche in questo capitolo. Quanto agli sviluppi di un possibile incontro, dovrai aspettare il prossimo capitolo. Ormai è martedì mattina nella fic. Poche ore e Francis sarà a Grimmauld Place.
Per Circe: grazie mille per i complimenti, troppo buona! D’altra parte bisognava pur trovare un modo per far sloggiare quella befana dall’entrata, anche se ormai non la calcolava più nessuno…
   
 
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