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Autore: Gackt_Agito    12/06/2010    1 recensioni
« Questa che sto per raccontarti è una storia vera, nipotina mia. Ascoltami. » sussurrò il vecchio « Desidero che qualcuno la conosca, prima che io abbandoni questo mondo. E se ti piace, vorrei che un giorno tu la raccontassi ai tuoi figli, e loro ai propri figli e così via per generazioni. Perché finché ci sarà qualcuno a ricordarsi di Samuel e Zackarhia, allora non morirò. E neanche lui morirà. I nostri ricordi vivranno insieme per sempre… »
« Parli di te e di quel ragazzo che amavi in gioventù, nonno? »
« Sì, tesoro. Non ti ho mai raccontato la storia… Ma adesso voglio farlo. Ora ascoltami. »
« Racconta: io ti ascolto. » Poi si voltò verso Josh. « Tu sei troppo piccolo. Vai via, su. »
« Uffa! » Piagnucolò il bambino. Ma, da bravo, prese le sue cose e se n’andò ugualmente. Madeline volse il viso di nuovo verso il nonno, sorridendo. Con un gesto delle mani, lento, lo invitava a parlare. Il vecchio sorrise appena.
« Questa storia inizia come le favole, tesoro mio… » e respirò lentamente, come se gli facesse male.
La bimba annuì, silenziosa.
« Inizia con un C’erano una volta… un ragazzino, un bambino ed un husky. »
E le raccontò la storia della propria vita.
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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P refazione______
Aggiornamento! :D Ho scritto questo capitolo questa notte, ma non avevo la benché minima voglia di aggiungerlo. xD Ora però è fatto. E’ qui. Spero vi piaccia, e spero che continuerete a seguirmi. Smetterò per un po’ con l’anonimato, credo. Penso proprio che sarà meglio così, magari piace di più. Non lo so. In ogni caso, per una volta vi presento un capitolo un po’ più lungo degli altri. Preparatevi i fazzoletti però, perché se quelli scorsi sono stati tristi, questo capitolo probabilmente lo sarà di più. Oppure non so. Grazie, RiflessoCondizionato, per le tue parole. Inizio a protendere sempre di più per il proporre questa storia ad un editore, e lo farò non appena finirò la fiction. Quando avrà abbastanza capitoli da formare qualcosa di consistente, tirerò fuori tutto il mio coraggio e scriverò al Gruppo Albatros. Auguratemi in bocca al lupo, e mi raccomando, continuate a seguirmi! *-* Arigatou gozaimasu!



C apitolo O ttavo
~ti prego, resta!



Samuel sarebbe partito.
Quando me lo disse, ci rimasi davvero di stucco. Aggiunse che gli dispiaceva e che i suoi genitori non ammettevano repliche. Si sarebbero trasferiti a Bristol, in Inghilterra, e io sarei rimasto a Berlino, dove ero nato e cresciuto. Ricordo perfettamente quando me lo disse: era seduto sull’altalena di fianco a quella sulla quale ero seduto io. Dondolava appena, fissava per terra e i capelli gli coprivano la visuale del viso e tutto il resto. « Zack’ », mi chiamò. Io mi voltai verso di lui, succhiando il ghiacciolo che mi ero comprato qualche momento prima. Si, sono sempre stato un gran goloso, ma d’estate ci vuole sempre. Anche lui aveva comprato un gelato, solo che ormai ne rimaneva solo il bastoncino, che teneva fra i denti giocandoci. « Ci conosciamo da tantissimo tempo… sei sempre stato il mio più grande amico, ci sei sempre stato in ogni circostanza. » Sussurrò. Sollevò il viso e mi guardò, dischiudendo appena le labbra: il suo viso assunse un’espressione triste che mi chiuse il cuore, me lo strinse in una morsa dolorosissima. « Mi mancherai tantissimo quando non sarò più qui, Zack’… » aveva aggiunto, dopo.
« Cosa? » Domandai, perplesso. « Perché, dove devi andare? » Aggiunsi, allarmato.
« Zack’… » Si morse forte il labbro inferiore. Tirò su col naso, poi abbassò il viso. « La mia famiglia si trasferisce a Bristol… anche io, quindi. » Strinse le catene dell’altalena così tanto che le nocche gli diventarono bianche. Quando lasciò andare le catene, il colore rossastro della ruggine gli aveva macchiato le mani. E io, dallo shock probabilmente, lasciai scivolare per terra il mio gelato, sulla ghiaia che avevo sotto i piedi. Rimasi a guardarlo per un po’. « Mia madre voleva portare anche te, visto che ormai vivi con noi… » Continuò, piano. « Però sai… è ancora Aune la tua tutrice. Papà dice che è meglio se torni da lei, perché non sa che cosa c’è lì. Lui non sa la situazione. Io, tu e mamma però sì. Ma nessuno glielo vuole dire. Papà è così pieno di pregiudizi… Pur conoscendoti, sapendo che sei figlio di Aune – adottivo, sì, ma lui questo dettaglio lo ignora – vorrebbe ancor meno portarti con noi. » Iniziò a strisciare i piedi per terra con forza, voltando appena gli occhi verso di me. Lo guardavo. Non so che faccia avessi messo su in quel momento, ma dall’espressione che fece Samuel doveva essere davvero terribile.
« Te ne vai », realizzai piano. « Tu… tu te ne vai. » Ripetei. Spostai lo sguardo da lui alla ghiaia, sconvolto. « …tu mi lasci qui da solo? » Domandai, poi. Iniziai a tremare. Non avevo nessuno oltre Samuel: avevo soltanto me stesso. Non avevo una famiglia, una casa o anche amici, solo una valanga di conoscenti di cui io non riuscivo a fidarmi e che non si fidavano di me. Il mio mondo personale, che avevo costruito con così tanta attenzione in diciotto anni di vita consumata tristemente e portata oltre i limiti per renderla decente, si distrusse nel giro di pochi secondi. Lasciai andare le catene dell’altalena e continuai a fissare per terra. « Tu te ne vai. Tu mi lasci da solo. Te ne vai. » Continuai a ripeterlo con calma. Con la coda dell’occhio lo vidi muoversi, lo vidi mimare delle parole ma io non riuscii a sentirlo. Non provavo semplicemente niente, sentivo solo qualcosa nel mio petto che con calma iniziava a rompersi. « Tu… via. Io… » Iniziai a balbettare. « Tu… T- tu a Bristol… e… e i- io… e io a Berlino… »
« Zack’… » La sua voce arrivò ovattata alle mie orecchie. Non mi mossi minimamente. Nel giro di pochi secondi lo ritrovai a pochi centimetri dal mio volto, inginocchiato davanti a me. « Zackarhia, tu sei sempre stato il mio più grande amico, la mia vera famiglia, la mia casa, il mio rifugio, le braccia sicure che mi coccolavano e probabilmente la persona che in questo mondo mi ha amato di più fra tutte. Questa è una delle due cose di cui sono più certo in questa mia stramaledettissima vita. » Alzò le mani verso il mio viso, che prese ad accarezzare tanto dolcemente. « Tu lo sai qual è l’unica altra cosa di cui sono assolutamente certo? » Domandò, e avvicinò lievemente il viso al mio, ancora un po’. « L’unica altra cosa, Zack’, è che su questa terra nessuno ti amerà mai quanto ti amo io. E forse è una cosa un po’ stupida, perché a parte me tu non hai mai avuto uno straccio di persona che ti abbia mai amato per davvero. Io però basto e avanzo. Non te l’ho mai detto, Zack’, ma io ti amo. Ti amo. » E vidi le lacrime scivolare giù lungo il suo viso. « E’ una cosa distruttiva anche per me lasciarti qui. Sai che non vorrei, sai quanto amo stare con te. Credo di averti sempre amato e non averlo mai capito abbastanza infondo, credo che questo stupido cuore abbia sempre e solo battuto per te. Sono stato sicuro per anni che tu non mi volevi perché mi consideravi solo un amico, ma io lo so che non è così. Mi hai dimostrato tutti i giorni della tua vita che per te io sono speciale: quando sei venuto a casa mia piangendo e abbiamo fatto l’amore, ogni mattina con le tue parole dolci al mio risveglio, ogni volta che mi hai protetto, ogni volta che mi hai stretto la mano o mi hai abbracciato, tenendomi al tuo petto. Ogni giorno, Zack’, ogni stramaledettissimo giorno della tua vita non hai fatto altro che dimostrarmi quanto valgo effettivamente per te. Ti ricordi quando eravamo piccoli, il giorno in cui hai dato fondo alla tua paghetta mensile per comprarmi tutte quelle caramelle pur sapendo che mia madre non voleva che le mangiassi? Le notti passate alla casa sull’albero, con la neve fuori e solo io con tutta la coperta perché tu non volevi che prendessi freddo? Con la tua gelosia costante, col tuo arrabbiarti, con quel ti odio quel giorno in cui mi hai beccato con quel ragazzo nello stanzino della scuola… Anche con quello mi hai detto cosa provavi. E me ne sono accorto spesso, sai, Zack’? Hai sempre cercato di fare parte del mio mondo, del mio giornaliero ma non ne hai mai avuto motivo. Perché tu eri e sei sempre stato il mio mondo, tutto il mio mondo! Tu sei parte del mio giorno, tu sei tutto quello che ho sempre desiderato. Sei le ventiquattro ore che compongono il dì, ma non sei routine. Non sarai mai una routine. Io sono sempre stato cieco, ho sempre equivocato tutto e col tempo ho deciso che avrei smesso di amarti. Alla fine credevo di esserci riuscito, ed è così, ma quando mi sono accorto che tu provavi lo stesso è cambiato tutto. » Piangeva. Ormai Samuel aveva iniziato a piangere e il dolore che provai in quel momento era così forte… lo volevo fare di nuovo. Volevo afferrarlo e stringerlo a me, dirgli di non piangere, dirgli di restare con me, ma non mi mossi. « Quando i miei mi hanno detto del trasferimento sono morto dentro. Non volevo, e non voglio neanche adesso. Mi opporrò a loro, se tu ora mi dirai che mi ami, Zack’. »
Se tu mi dirai che mi ami.
No. Non dissi nulla. Continuai a guardare il suo viso in lacrime, sentendo il calore delle sue mani sulle guance, e si sporse verso di me per baciarmi: un qualcosa di dolce, di momentaneo, che finì con un sussurro lieve. « Dimmi che mi ami ora, Zackarhia. »
Il problema era che io non sapevo più che cosa volevo. Automaticamente nella mia testa si attivò un processo autodistruttivo: smisi di respirare e iniziai a pensare con tutta la forza che avevo nel corpo. Lui era davanti a me e m’amava. Avrei potuto averlo tutto per me. Perché lui si sarebbe opposto ai suoi genitori, solo per me, per stare con me ed amarmi. Sarei potuto stare vicino a lui per tutta la vita se avessi voluto, oppure… ero solo io che pensavo e speravo? Pensai che se gli avessi detto che l’amavo avrebbe litigato con i suoi genitori. Pensai che l’avrebbero portato via con la forza e iniziai a sentirmi male sin da quel momento. Cosa volevo? Cosa volevo? Cosa volevo? Non riuscivo in alcun modo a trovare una risposta, perciò rimasi a guardare il suo viso a pochi centimetri dal mio. Deglutii. Lui aspettava soltanto che io dicessi qualcosa. Volevo rovinargli la vita ed essere egoista?
La mia testa rispose più forte del mio cuore, e disse: NO!
« Samuel… » Gli sussurrai. « Io… io… » Balbettai, abbassai lo sguardo con calma. E le parole che tirai fuori un attimo dopo, causarono in lui ulteriori lacrime, tremore, e scappò via senza emettere più alcun suono. Lo uccisi perché avevo deciso di fare per lui la cosa migliore. Lo avrei lasciato andare via da me per renderlo più felice, trovarsi un futuro là dove i suoi volevano che lui lo trovasse. Iniziai a dirmi che mi avrebbe dimenticato presto, a rassicurarmi pensando che anche io lo avrei sicuramente dimenticato… solo, ci sarebbe voluto del tempo per entrambi. Era normale, avremmo sofferto un po’ entrambi ma alla fine saremmo stati felici sicuramente. Sì. Sorrisi stupidamente fra me e me.
Iniziai a ridere. Dondolai sull’altalena con forza, arrivai in alto e tesi le braccia verso il cielo, dove per un solo momento vidi il suo volto sorridente. Al dondolio successivo mi lanciai verso il sole, tendendo una mano, urlando il suo nome mentre le lacrime automaticamente scendevano di nuovo lungo il mio volto, questa volta disperdendosi nell’aria con così tanta calma da essere pure peggio.
« Samuel… Io… Io… Io non ti amo… »
Come mi era venuto in mente di dire una così grande stupidaggine?






   
 
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