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Autore: Valerie_Laichettes    12/06/2010    11 recensioni
Daruma Ashura è nata nella famiglia sbagliata.
Daruma Ashura fa parte di un clan al servizio della demone più potente del mondo.
E come molti altri, Daruma Ashura è solo una marionetta nelle mani di altri demoni, che l'addestrano a uccidere.
Nella sua vita e in quella di suo fratello Hidari esiste solo questo. Ma forse non è troppo tardi per ribellarsi...
[Questa è la mia prima storia, è una songfic. Spero che possa piacervi!]
Genere: Azione, Drammatico, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Princess of Pain
- Escape -



Capitolo 1
A shadow of a man
I'm nothing less
I am holding on, still holding on...
And every now and then life begins again
I am holding on, still holding on...
I'm not like you
Your faceless lies
Your weak, dead heart
Your black, dead eyes
I'll make it through, but not this time
Your hope is gone, and so is mine...

Buio.
Inondava la casa dappertutto.
Lo sentivo dietro di me, davanti a me.
Mi avvolgeva.
Come il dolore.
Dolore in quel momento, dolore sempre.
Sentivo anche qualcosa di bagnato sul viso.
Lacrime.
Live, Fight
       Crawl back inside

Non piangevo spesso. Non ci ero abituata.
Eppure, quella volta non riuscivo a trattenermi.
Eris mi aveva picchiato in modo troppo crudele.
Sick, Blind
Love left behind

Non riuscivo a scagliare bene quella lancia
Eris mi prese il braccio
Afferrò la lancia
Colpì il mio braccio
Non voleva smettere.
And I won't live,
your weak wicked lie

Avevo dei lividi molto grandi, ora. E per un bel po' di giorni non avrei potuto più lanciare nulla. Mi faceva male quel dannato braccio, quasi non riuscivo a muoverlo.
Non volevo piangere. Nemmeno davanti a Eris.
Quando vide quelle lacrime, buttò a terra la lancia. Mi urlò che non ero degna di essere chiamata Ashura, che non potevo in alcun modo permettermi di piangere.
Mi mandò via, non voleva più vedermi.
E ora ero qui, nella mia stanza. Dalla finestra si poteva vedere il palazzo dove mi allenavo.
Lo odiavo.
Dodici anni di allenamenti, senza sosta.
A un anno assistevo a quelli dei miei genitori.
A due anni finalmente capivo cos'erano le armi.
A tre facevo arti marziali.

E ora, a tredici anni, mi allenavo undici ore al giorno.
La mia vita non era come quella delle mie coetanee.

You pull me in,
I'm one step behind

Mi chiamavo Daruma Ashura.
Odiavo il mio nome. Significa "bambola".
Infatti io ero solo una marionetta.

La mia famiglia non aveva un vero e proprio cognome. "Ashura" è quello che adottavano tutti quelli come noi, sin dalla nascita.
E per "quelli come noi", io intendo i clan di Arashi Ashura. Il demone più potente di tutti, ma soprattutto il più terribile e temuto.
Arashi aveva il corpo da donna, ma non possedeva nulla di umano. Tantomeno il cuore.

Iniziava tutto centinaia di anni fa.
Sette sacerdotesse, le Signore della Luce, intrappolarono dentro di loro il Potere Hi, quello del Sole. Un potere straordinario, a quanto mi insegnarono. L'intento delle sacerdotesse era di custodirlo al fine di impedire ai malintenzionati di impossessarsene. Perché se fosse caduto nelle mani sbagliate, sarebbero stati guai.
In particolar modo, se i demoni più potenti avessero potuto usufruire dell'Hi, avrebbero spadroneggiato ovunque. E uno di questi demoni era Arashi.
Le Signore della Luce sconfissero molti demoni, anche i più potenti.
Ma Arashi no.

Prima di morire, le sacerdotesse fecero un rito. In questo modo, una volta defunte, il Potere Hi si sarebbe liberato dal loro corpo, per poi reincarnarsi in quello di altre sette donne, trasformandole in semi-umane e conferendo loro una potenza straordinaria. E alla loro morte, il potere Hi si sarebbe nuovamente stabilito in altre sette giovani, in un ciclo continuo.
Perché l'Hi non muore mai.
Così, ogni cento anni, sette ragazze acquisivano un potere enorme, continuando a proteggerlo e a combattere contro chi voleva impossessarsene.
E Arashi ci ha sempre provato.
Ogni cento anni, ha sempre aspettato le nuove reincarnazioni, per ucciderle.
Perché chi riusciva ad ammazzare anche solo una delle sette reincarnazioni, si appropriava di una parte dell'Hi, diventando sempre più potente.
E chi le assassinava tutte e sette, riceveva l'intero potere, diventando imbattibile. Ma ucciderle era un'impresa quasi impossibile, perfino per Arashi.
Ci ha tentato per centinaia di anni. Ha combattuto con dozzine di reincarnazioni, ma non le ha mai battute. Ognuna di loro ha fatto in tempo a morire di morte naturale, lasciando Arashi a mani vuote.
Finché non si organizzò in modo diverso.
Trecento anni fa, infatti, riuscì a unire la maggior parte dei demoni del mondo, creando una società intricata, composta da centinaia di creature maligne, distribuite in tutta la terra.
Tutto ciò era in suo comando. Ogni demone pendeva dalle sue labbra, ma in realtà tutti loro miravano a ricevere l'Hi, una volta uccise le reincarnazioni.
Gli umani tremavano al sol pensiero di Arashi e della sua potenza. Ma Arashi non controllava anche loro, perché erano difesi costantemente dalle reincarnazioni attuali delle Signore della Luce e dai loro collaboratori, dei saggi e dei maestri molto potenti.
Eppure, non tutte le persone sono buone.
Molte famiglie di umani si allearono ad Arashi, in particolar modo malviventi.
Inutile dire che ora, la società di Arashi comprendeva clan di demoni e anche di persone comuni.
Ma molti di loro non avevano ancora capito di essere l'ultima ruota del carro, in tutta la società Ashura.
Secondo Arashi, gli umani dovevano provocare scompiglio tra le città, attirando l'attenzione delle reincarnazioni, che sarebbero giunte a riportare l'ordine. A quel punto, qualche demone doveva cercare di ucciderle.
Spesso e volentieri, i demoni andavano anche a caccia di queste donne, ma non potevano attaccare la loro sede: il potere dell'Hi era utilizzato anche per difendere il territorio dove vivevano le reincarnazioni. Nemmeno Arashi poteva avvicinarsi, senza un livello adeguato di potere - che ancora non era riuscita a possedere.

In tutto questo, le famiglie di umani alleati ad Arashi non dovevano fare altro che condurre una vita malfamata, completamente sotto il controllo dei demoni.
E i miei parenti non erano da meno.
Ognuno di noi era destinato a seguire un'infanzia - se così si può chiamare - di duro allenamento, sotto la supervisione di demoni spesso troppo severi.

E a vent'anni, si iniziava a uccidere.
Superata quella soglia d'età, i giovani Ashura si recavano in missione nelle città, per rapinare, gestire affari illegali, ma soprattutto per ammazzare persone innocenti.
Agli occhi di molti, quest'attività rappresentava una consuetudine, un divertimento quotidiano.
D'altronde, eravamo tutti abituati a questo.
Uccidere.
Show me where it hurts
And I will make it worse

C'era solo odio.
L'amore non si accompagnava bene al nome Ashura.
Nessuno di noi riceveva affetto.
 Are you holding on? Keep holding on

I miei genitori mi educarono a rigare dritto, picchiandomi.
Se da piccola piangevo, loro non si facevano impietosire.
E a tre anni, quando nelle mie giornate era più presente la mia allenatrice Eris piuttosto che loro, ho capito che la mia vita era impregnata di qualcosa di amaro, di triste.
La mia vita era in mano di Arashi.
Dilated eyes shine for one last time
Are you holding on? Keep holding on
Daruma Ashura.
La sua marionetta.
You're not like me
Your faceless lies

Non avevo neanche la possibilità di conoscere ragazzi della mia età: vivevo da sempre in un palazzo situato su una piccola isola, assieme ai miei genitori e i miei nonni. Ma non stavo quasi mai coi miei parenti.
La nostra casa era circondata da quelle di molti demoni, che ci tenevano sotto controllo.
E in particolar modo, Eris. Lei era la più terribile.
Your weak, dead heart
Your black, dead eyes

Sono sempre stata vittima delle sue terribili punizioni, spesso ingiuste, spesso troppo crudeli.
Eris mi torturava.
I'll break you in,
and let this die

Mi sottoponeva ad esercizi che erano alla portata di un demone. E io ero solo una semplice bambina.
Ogni giorno, per undici ore, dovevo maneggiare armi e combattere contro di lei.
Ogni giorno, Eris, sotto ordine di Arashi, mi addestrava ad essere spietata.
Ogni giorno, mi insegnava a uccidere.
Ma io non volevo.
Your hope is gone
And so is mine

E ora ero in camera mia, a piangere come una stupida.
Come una che non sa ribellarsi.
O meglio, che non può ribellarsi.

 I'm becoming a monster,
Just like YOU

E in quel momento, la cosa migliore da fare era rimanere in quella stanza buia, in silenzio, mentre mi passavo due dita sopra il livido più gonfio.
L'oscurità mi impediva di vederlo. Tanto meglio, perché evitavo di guardare anche quella camera malinconica che mi circondava.
Assomigliava tanto a una prigione.

 After it all
you'll try to break me too

Non c'era molto, lì intorno. Solo due letti, un piccolo armadio e qualche scaffale impolverato, il tutto attorniato da quattro pareti grigie e sudice. Era presente un'unica finestra, da cui si poteva vedere il mare che circondava la mia isola, e poco lontano si scorgeva la terraferma: Moon, la città dove il mio clan compieva le sue subdole missioni. In quel momento, non potevo vedere nulla di tutto quel panorama: una pesante tenda impediva a ogni singolo raggio di luce di filtrare.   
Per il resto, nella mia camera erano due le cose che più saltavano all'occhio.
Una la odiavo, l'altra l'amavo.
La prima: un quadro. Vecchio, sporco, cupo.
Raffigurava un uomo, lo sguardo severo e terrificante, illuminato dalla macabra consapevolezza di essere una persona temuta, rispettata dai suoi simili e soprattutto, macchiata di numerosi crimini.
Era il mio bisnonno.

Dire che quel dipinto mi incuteva terrore era poco. I miei genitori l'avevano appeso proprio davanti ai due letti: secondo loro, quando mi addormentavo, l'ultima cosa che dovevo vedere erano quegli occhi gelidi.
Ma io dormivo a pancia in giù.

L'altro oggetto era decisamente meglio.
Una katana.
Bella, luminosa e potente.
Hito no Shi, questo era il suo nome.
Non l'avevo mai toccata in vita mia, ma l'amavo profondamente.
E il motivo di questo mio affetto per un'arma era molto semplice.

Apparteneva a lui.
La persona che più adoravo in tutta la mia vita, e quella che amo ancora adesso.
Mio fratello.
Hidari Ashura.
Il mio unico affetto, la ragione che mi spingeva a continuare a vivere.
Era la mia speranza.

Hidari mi trasmetteva quella tenerezza che mi faceva amare la vita, nonostante tutto.
Mi aveva sempre regalato tanto affetto, sin da quando avevo iniziato a imparare a camminare.
Quando ci allenavamo insieme, era lui che mi aiutava ad alzarmi se cadevo, impedendo a Eris di punirmi per la mia debolezza.
Quando io sbagliavo qualcosa, lui si assumeva le mie colpe.
E quando piangevo, lui mi asciugava le lacrime.

Ma in quegli ultimi anni era cambiato tutto.
Hidari aveva compiuto vent'anni già da un pezzo.
E da più di un anno, era obbligato a uccidere.

Andava per le città con i nostri genitori e vari demoni, organizzando diversi attentati.
Inutile dire che Hidari non voleva fare niente di tutto ciò.
Inutile dire che era colui che uccideva meno innocenti di tutti gli altri, ma se lo avessero scoperto avrebbe potuto rischiare grosso.
Inutile dire che Hidari piangeva ogni notte, prima di addormentarsi, perché nel buio rivedeva i volti senza vita dei cadaveri di decine di creature umane.

Falling forever,
chasing dreams

Mio fratello mi diceva sempre di meritarsi l'Inferno, e nient'altro. Ma ogni volta aggiungeva che la sua soddisfazione, quando brucerà tra le fiamme, sarà quella di sentire le urla disumane emesse da coloro che si sono macchiati del suo medesimo reato.
E io la pensavo come lui.

I brought you to life
 so I can hear you scream

Hidari era un ribelle. Voleva trovare una soluzione a quel travaglio, per me e per lui.
Non si dava pace.
La sua incredibile sensibilità gli faceva capire che la vita era importante, che nessuno poteva rubarla a qualcun altro. E lui sapeva che doveva scampare al più presto da quell'ambiente, dove questi valori non erano rispettati.
E sempre la sua enorme sensibilità lo induceva a non uccidere i nostri familiari.
Diceva di non averne diritto, perché era compito di qualcun altro, lassù, che avrebbe fatto giustizia.
Hidari voleva scampare a quel supplizio in un altro modo.
Ma ancora non aveva capito come.

And I won't live
 your weak wicked lie

In quel momento, il pensiero di mio fratello era l'unico che poteva farmi trovare un po' di serenità, tra quelle mura ghiacciate. E avrei continuato a sfiorare quei lividi pensando a lui, se non avessi sentito improvvisamente dei passi avvicinarsi alla porta.
Cavolo.
Balzai in piedi, impietrita dal terrore.
Se chi stava per entrare era Eris, potevo considerarmi finita.

Non potevo nascondermi: quella demone mi avrebbe di certo trovata, avendo dei sensi molto sviluppati. Ma non potevo nemmeno fuggire, perché non c'era un'altra porta. Tantomeno sarei stata in grado di buttarmi dalla finestra senza morire o farmi male, visto che ero al terzo piano.
Fantastico.
Non mi restava che asciugarmi alla meglio le lacrime, sopprimendo il dolore che ancora voleva uscire dal mio corpo.
I passi si facevano sempre più vicini. Ormai era sicuro che la persona dietro la porta voleva entrare nella mia stanza. Mi sedetti sul mio letto, cercando di fare finta di nulla.
Finalmente, la porta si aprì.
Una figura di uomo, alto e snello, comparve all'ingresso. Alla sua vista, i miei occhi si illuminarono di gioia: una sensazione istintiva, che non potevo evitare di provare, ogni volta che lo guardavo.
Hidari stava entrando.

Malgrado il dolore che ancora mi perseguitava, gli sorrisi immediatamente. Ma allo stesso tempo, nascosi le braccia dietro la schiena: Hidari non sapeva che Eris mi aveva punito, e se fosse venuto a conoscenza del modo esagerato con cui mi aveva picchiata, avrebbe potuto reagire in modo troppo impulsivo.
E questo era un rischio che non poteva correre, per il suo bene.

- Ehi, Hime mia! Non pensavo di trovarti qui!
Il tono del mio adorato fratello, con quella sua voce non troppo profonda, era straordinariamente sereno. Era normale per lui: ogni volta che parlava con me, si sforzava sempre di apparire felice, anche se non lo era. E il motivo lo potevo intuire.
Hidari cercava di trasmettermi quella tranquillità, quella illusione che mi avrebbe concesso di provare a vivere in un mondo che non era poi così triste e drammatico come sembrava. Il più delle volte ci riusciva, ma l'effetto dei suoi sforzi s'interrompeva nel momento stesso in cui mio fratello si allontanava da me.
Però, quando mi chiamava in quel modo...adoravo quel soprannome che mi aveva dato. Anzi, ormai era diventato il mio vero nome. Hime, Principessa. Ero la sua principessa, il suo piccolo tesoro. Il mio cuore si riempiva di gioia solamente sentendo che Hidari mi chiamava in quel modo. Nessun altro conosceva quel mio nome. Era come una sorta di parola segreta che solo io e lui condividevamo.

- Hidari! Che bello vederti!
Nelle mie parole, non potevo trattenere la felicità che provavo di fronte al mio fratellone. Senza pensarci troppo, lo abbracciai per qualche secondo, ma subito dopo ritirai di nuovo le braccia dietro la schiena, per evitare che si accorgesse dei lividi. Hidari non ci fece caso, forse perché troppo intento ad accarezzarmi la testa spettinata.
Lo osservai, guardandolo negli occhi. Lui continuava a sorridermi, nascondendo con grande abilità lo sforzo immane che gli costava.
E nulla era più bello di mio fratello, quando assumeva quell'espressione serena.
Hidari era un giovane stupendo, a mio parere. Tutto il contrario di me: io, coi miei tredici anni, ero una ragazzina pallidissima, dalla corporatura incredibilmente magra e poco sviluppata. Il mio viso era scarno e i miei occhi, di un nero intenso, non si illuminavano mai. Solo i miei capelli, corti che a mala pena arrivavano alle spalle, erano di un rosso non molto scuro; ma non avevo il tempo di curarli: rimanevano sempre spettinati, conferendomi un aspetto più maschile che femminile. Nell'insieme, ero convinta di essere una ragazza il cui aspetto, prevalentemente nero e rosa pallido (senza contare i miei vestiti, che difficilmente non erano neri, grigi o viola scuro), comunicava solo malinconia.
Hidari era diverso. Il suo volto era magro ma incredibilmente affascinante, circondato da dei capelli castani e continuamente in disordine, la cui frangia lunga e spettinata copriva parte degli occhi. E forse era meglio così, perché erano proprio i suoi occhi a tradire la finta espressione di felicità che cercava di assumere.
Lo sguardo del mio amato fratello era perennemente triste e malinconico, ma poteva capitare che i suoi occhi castano chiaro brillassero di una luce ribelle, coraggiosa.
Per il resto, Hidari aveva un corpo magro ma muscoloso, a prova della sua grande forza. Era molto alto, a dispetto della mia statura minuscola: gli arrivavo poco sopra l'ombelico.

- Vedo che sei particolarmente contenta di vedermi, vero Hime? Ma come mai sei in camera tua? Pensavo che a quest'ora ti stessi ancora allenando...

Oh no. Non mi ero preparata una scusa per questa domanda.
- Eh, vedi... - risposi, tentando di non guardarlo negli occhi (non ero brava a mentire, specialmente a lui) - Eris ha detto che voleva allenarsi da sola, così ha deciso di mandarmi via...
Che scusa idiota. Hidari sapeva perfettamente che i demoni si allenavano sempre la notte, dal momento che pochi di loro avevano bisogno di dormire. Inoltre, Eris tendeva sempre a prolungare le ore di allenamento con me, e non di concludere prima.
- Davvero? E perché questa decisione improvvisa?
Era chiarissimo che Hidari sospettasse già qualcosa. Prese a osservarmi con aria indagatrice e io entrai nel panico.
- N-non lo so perché... - balbettai - Ha detto che la facevo innervosire e mi ha cacciato...
Quella scusa era in parte vera, ma la mia voce tremante e insicura fece capire a mio fratello che nascondevo qualcosa. E proprio in quel momento il suo sguardo si spostò verso le mie braccia, ancora nascoste dietro la schiena.
- Hime, fammi vedere le braccia. - disse, con tono grave e preoccupato.
Inutile continuare a fingere. Hidari avrebbe scoperto i lividi, ma speravo con tutto il cuore che non si sarebbe arrabbiato, reagendo in modo troppo impulsivo verso Eris e mettendo a rischio la sua salute.
Lentamente, portai le braccia davanti a me. Mio fratello, vedendo quelle numerose botte, iniziò a tremare dalla collera. Le sue mani si raccolsero formando dei pugni, e dai muscoli contratti delle braccia erano chiaramente visibili le vene. Io abbassai gli occhi, incapace di dire qualcosa. Hidari, invece, continuava a guardare le mie braccia, cercando di controllare l'ira improvvisa che lo assaliva.
Sapevo che non mi avrebbe mai fatto del male. Ma se il mio adorato fratello avesse provato a scaricare quella rabbia contro Eris, l'avrebbe pagata cara: la sua forza non eguagliava quella di un demone così potente. E la stessa Eris non si sarebbe fatta problemi a ucciderlo...e questo non doveva accadere. Non concepivo nemmeno un'idea simile.
Ma Hidari non riusciva a reprimere quella collera.
- Eris... - mormorò - ti ha fatto questo?
Non potevo mentire, era evidente quale fosse la mia risposta. Così annuii, ma tentai di calmarlo.
- Ti prego, Hidari...lascia perdere...non le permetterò più di picchiarmi così...
Fu allora che distolse lo sguardo dalle mie braccia, che avevo riposto lungo i fianchi.
- No, Hime. Nessuno può farti questo. Deve pagarla...
I suoi pugni si strinsero talmente forte che le vene parevano quasi scoppiare. Ma io dovevo impedirgli di compiere qualche gesto sfrontato, dovevo calmarlo e farlo rimanere qui.
- Hidari, ti prego, fallo per me...lascia perdere...
Mio fratello rimaneva impassibile.
- Non posso lasciargliela passare, Hime.
D'un tratto, aprì una mano e mi accarezzò uno dei lividi. Io rimasi immobile, agitata. Riuscivo a intravedere i suoi occhi: ora trasmettevano un'enorme tristezza.
Subito dopo, mio fratello mi guardò, ormai deciso a vendicarsi.
- Hidari, rimani qui, non fare nulla di impulsivo... - mormorai, implorandolo.
- Non posso. Ora devo andare, sorellina. Tu rimani qui e cerca di riposarti.
E detto questo, mi baciò sulla fronte e uscì dalla stanza, con passo deciso.

You pull me in,
I'm one step behind
I'm one step behind
I'm one step behind






*** Spazio dell'autrice ***

Allora, intanto un grande GRAZIE a tutti coloro che, anche per un attimo, hanno letto questa storia. Grazie mille, spero vi sia piaciuta! Riconosco che questo primo capitolo possa essere un po' pesante e noioso, forse troppo lungo, ma spero comunque che trasmetta qualcosa. Ci tengo moltissimo a questa storia, quindi siate clementi! ^^''
La canzone che ho usato per questo capitolo è "Crawl" dei Breaking Benjamin, vi consiglio di ascoltarla. =)
Vi chiedo ancora una volta di recensire, se potete =) Ve ne sarò molto grata. :)
Cercherò di pubblicare un capitolo ogni settimana o poco più e spero che, a poco a poco, qualcuno di voi si possa appassionare a questa storia! =) Ah, il secondo capitolo non sarà così lungo, quindi non preoccupatevi! ;-)
Grazie ancora a tutti voi!! =)

Valerie


  
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