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Autore: Gackt_Agito    13/06/2010    2 recensioni
« Questa che sto per raccontarti è una storia vera, nipotina mia. Ascoltami. » sussurrò il vecchio « Desidero che qualcuno la conosca, prima che io abbandoni questo mondo. E se ti piace, vorrei che un giorno tu la raccontassi ai tuoi figli, e loro ai propri figli e così via per generazioni. Perché finché ci sarà qualcuno a ricordarsi di Samuel e Zackarhia, allora non morirò. E neanche lui morirà. I nostri ricordi vivranno insieme per sempre… »
« Parli di te e di quel ragazzo che amavi in gioventù, nonno? »
« Sì, tesoro. Non ti ho mai raccontato la storia… Ma adesso voglio farlo. Ora ascoltami. »
« Racconta: io ti ascolto. » Poi si voltò verso Josh. « Tu sei troppo piccolo. Vai via, su. »
« Uffa! » Piagnucolò il bambino. Ma, da bravo, prese le sue cose e se n’andò ugualmente. Madeline volse il viso di nuovo verso il nonno, sorridendo. Con un gesto delle mani, lento, lo invitava a parlare. Il vecchio sorrise appena.
« Questa storia inizia come le favole, tesoro mio… » e respirò lentamente, come se gli facesse male.
La bimba annuì, silenziosa.
« Inizia con un C’erano una volta… un ragazzino, un bambino ed un husky. »
E le raccontò la storia della propria vita.
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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P refazione______
Ennesimo aggiornamento: andrò spedita, è bene che lo sappiate! =P Mai ho voluto continuare a scrivere una storia con una frequenza del genere. Ma lo avevo detto, con l’arrivo dell’estate sarebbe cambiato tutto, ed ecco qui che lo dimostro! Ora, ecco una grandissima rivelazione: la fiction avrà diciassette capitoli, epilogo e prologo esclusi! Quindi mi smentisco un’altra volta. La fiction, ve lo dico ora anche questo, finirà entro il due luglio. Volete sapere anche perché, magari? Semplicissimo: quel giorno scade il concorso bimestrale del Gruppo Albatros in voga per ora. E se perdessi altro tempo avrei dei ripensamenti, e non voglio affatto! Per i capitoli, se sarete fortunati saranno un po’ di più. Dipenderà dal tempo a mia disposizione, anche perché ho già scritto quelli finali. Potrei terminarla da un momento all’altro quindi! xD Ciò non significa di certo che perderanno di significato: tutt’altro. Con questo capitolo il salto indietro nel tempo si fa molto, molto più evidente. Spero vi piaccia!
Arigatou gozaimasu!



C apitolo N ono
~col passare dei giorni



« Zackarhia, che cosa stai facendo?! »
Il bambino stava rubando dei soldi dai cassetti del padre. Si staccò dal mobile e si buttò indietro, indietreggiando veloce fino a sbattere la schiena contro il muro. Guardava l’uomo con terrore, dalla sua mole immensa quello incombeva e spaventava. Zackarhia non poteva fare altro che tremare, schiacciandosi sempre un po’ più contro il muro alle sue spalle. « Io… io non volevo… io… » Balbettava: aveva soltanto nove anni, e nella famiglia che l’aveva appena adottato non riusciva ad ambientarsi bene. « Io… volevo solo… qualche moneta… »
« Volevi comprare qualcosa per te? » Domandò l’uomo, avvicinandosi con passo calmo a lui. Allungò una mano verso il viso del bambino, che chiuse gli occhi e strinse le palpebre le une fra le altre con forza, sull’orlo delle lacrime. « Piccolo, se vuoi qualcosa basta che tu me lo dica, okay? Non dirò niente ad Aune. Sai come si arrabbierebbe, altrimenti… » Una carezza sulla gota del bimbo, che spalancò gli occhi e osservò il padre adottivo come se fosse un miraggio. Pian pianino sulle sue labbra si creò un piccolo sorriso, tutto per l’uomo davanti a me. « Impara, tesoro: non si ruba. Neanche a papà. A papà si chiedono i soldi, perché papà te li dà tranquillamente se gli dici a che cosa ti servono. » Gli scompigliò dolcemente i capelli, sedendosi sul letto a fianco al ragazzino. Inclinò il viso un po’ di lato, lo osservò e aspettò qualcosa. Il bambino lo osservava di rimando. Nessuno dei due mosse un muscolo finché l’uomo non riprese uso della parola: « Quindi, che cosa volevi comprare? »
Zackarhia esitò un po’. « Volevo comprare le caramelle a Samuel. » Confessò. « La paghetta l’ho spesa tutta per comprargli il trenino che gli piaceva tanto. Suo padre non gli compra mai nulla. Tutto quello che ha Samuel in camera, l’ha grazie a me. » Aggiunse, velocemente. Guardò l’uomo e poi abbassò lentamente la testa, fino ad osservare per terra senza avere il coraggio di dire nient’altro.
« Vuoi davvero bene al tuo amico, eh? » Domandò l’uomo. Dopodiché si mise una mano in tasca ed estrasse il portafoglio. Svuotò il portamonete sulla propria mano e lasciò cadere l’agglomerato tintinnante su quella del bambino. « Ecco, con questi potrai comprargli tutte le caramelle che vorrai. Attento a non fargli venire il mal di pancia, però, mh? » Gli scompigliò un’altra volta i capelli, dolcemente. Il bambino osservò i soldi sulla propria mano con un’espressione stupita: le labbra aperte formavano una piccola “o”, gli occhi spalancati erano fissi sulle monetine disordinatamente disposte sulla sua mano. Poi sorrise più apertamente, infilò le monete in tasca e poi, con un breve salto, allacciò le braccia intorno al collo dell’uomo, che lo strinse ridendo.
« Grazie papà! »

« Zackarhia, vuoi svegliarti? Devi andare a scuola! »
Trascorsero anni da quel giorno. Zackarhia viveva soltanto con Aune, la quale era rimasta vedova. Bartholomäus Lauridsen era morto in un incidente stradale qualche mese dopo aver adottato il ragazzino. Da quel momento per madre e figlio iniziarono i veri problemi: economici, prima di tutto. Bartholomäus era l’unico che portava a casa i soldi, col suo lavoro che svolgeva con arguzia e volontà. Erano riusciti persino a mettere da parte un po’ di soldi per creare il piccolo salvadanaio di Zackarhia, che avrebbe dovuto aprire soltanto una volta raggiunta la maggiore età, e n’avrebbe fatto quel che voleva. Non sarebbero stati tanti, ma almeno erano qualcosa. Invece, finì che quei soldi li utilizzarono per sopravvivere e, poiché insufficienti, Aune iniziò a slittare da un lavoro all’altro: fece la commessa in un bar, la postina, l’impiegata in un centro commerciale; le mancava davvero poco che con tutta probabilità avrebbe iniziato a fare la fruttivendola. Alla fine, forse perché era maledettamente bella, fu avvicinata da un uomo che vendeva donne. Si chiamava James, e la portò nel giro peggiore di Berlino. Battere le strade divenne un’abitudine ed una costrizione: era qualcosa dalla quale non poteva salvarsi. Tutte le mattine presto, quando la madre rincasava, Zackarhia la sentiva piangere in camera sua. Soltanto un giorno ebbe l’accortezza di spiarla dalla porta socchiusa: abbracciava la camicia preferita di Bartholomäus, respirandone quei residui d’odore che ancora la impregnavano. Quel giorno pianse anche Zackarhia, che a differenza si rifugiò in camera sua, con la foto del padre adottivo fra le braccia. In quei pochi mesi che era stato con lui, aveva stretto un rapporto così forte da fargli credere che quello fosse davvero suo padre.
Zackarhia aprì gli occhi con lentezza, osservando Aune. « …non è domenica? »
« No, tesoro, è lunedì. Ieri era domenica. Alzati, coraggio. Non vuoi fare colazione con Bartholomäus prima di andare a scuola? E’ di là che ci aspetta, andiamo… » e Aune lasciò la stanza, abbandonando uno Zack’ sconvolto fra le coperte. Si lasciò cadere di nuovo disteso, sospirando e stringendo gli occhi. Non appena si avvicinava l’anniversario di morte dell’uomo, Aune iniziava a comportarsi sempre in modo strano. Mancavano due giorni, in quel momento. Zackarhia si alzò con calma, ed era già sicuro di quello che avrebbe visto nell’altra stanza, nella cucina. Deglutì, indossò un paio di pantaloni rimanendo a petto nudo ed uscì. Osservò la tavola imbandita per tre. Sgranò gli occhi e iniziò a tremare. Aune, sorridente, stava mettendo del latte sui suoi cereali. « E’ andato un momento al bagno. Ora tuo padre torna, non ti preoccupare. Nel frattempo inizia pure a mangiare… » Ed annuì, sicura. « Cereali al cioccolato. I tuoi preferiti, giusto? Anche a Bartholomäus piacciono tanto. Oh… » E si voltò un momento verso la porta del bagno. « Mi sta chiamando. Un momento, tesoro. »
« Aune… » Zackarhia si apprestò ad andare dietro alla donna, afferrandole il polso.
« Caro, tuo padre mi ha chiamato, devo… »
« Aune, papà è morto! » Nello stesso momento in cui lo disse, iniziò a piangere. Dirlo gli costava sempre tanto, e a lei costava sentirlo, ogni anno. Anniversario dopo anniversario. L’espressione della donna si fece per un attimo vuota, poi iniziò a piangere.
« Non dirlo! NON DIRLO! » Iniziò a dibattersi, tirando via il braccio, muovendosi come un pesce fuori dell’acqua. « Bartholomäus, tesoro! Amore! Amore, diglielo tu! Amore, per favore, amore! » Si dibatté di più. « BARTHOLOMAUS, TI PREGO! »
A Zackarhia sembrò di star rivivendo il momento in cui suo padre morì. Aune si era buttata sulla strada, sul corpo dell’uomo che già non respirava più. Zackarhia, abbandonato sul marciapiede, osservava. Quel giorno i giornali che pubblicarono un articolo in proposito, furono tantissimi. Tutti quegli stessi articoli erano gelosamente custoditi in una piccola cassetta che Zackarhia aveva tenuto per sé, la nascondeva sotto il letto insieme alle pillole che il padre era costretto a prendere. Pillole contro il colesterolo. Ormai erano scadute da un pezzo, ma il ragazzo le custodiva ancora gelosamente, soprattutto perché la madre ogni anno le ricomprava col pretesto che a suo marito erano finite. Era una situazione di stallo da cui non si riusciva ad uscire mai.
Il ragazzo strinse ulteriormente il polso della donna. Erano entrambi in lacrime e si guardavano. « Per favore, Aune. » L’aveva implorata. « Smettiamola di farci del male. E’ morto, e lo sai. Non può tornare. Smettiamola di farci del male. » Con uno strattone l’avvicinò a sé e l’abbracciò. Aune era sempre stata più bassa di lui. Lei gli si strinse addosso, singhiozzando. Pian piano, scivolarono entrambi seduti per terra, in una morsa dolce e confortevole più del solito, dove il ragazzo faceva le veci dell’uomo di casa. « Smettiamola di farci del male… mamma. »
Era la prima volta che Zackarhia chiamava così la donna. Quella sgranò gli occhi e lo osservò. Sorrise, lo baciò e tornò ad abbracciarlo, a reggersi a lui come se fosse la sua unica ragione di vita. Gli si strinse addosso dolcemente, e lo amò. Lo amò smisuratamente. Sapeva che sarebbe stato qualcosa di poco duraturo, perché, una volta terminate le lacrime, sarebbe tornata la situazione di sempre nella quale lei era il lupo cattivo, la donna scostante che era sempre stata. Il problema stava nel fatto che Aune era pur sempre una donna, o meglio, un essere umano. E come ogni essere umano aveva i suoi punti deboli e le sue ferite: aveva perso l’uomo della sua vita, e stringendo il busto del figlio adottivo che l’abbracciava, sussurrò parole dolci che Zackarhia udì per la prima ed ultima volta in tutta la sua vita.
« Presto troverai qualcuno da amare e che ti ami, tesoro mio… fa in modo di non perderlo mai… se perderai quel qualcuno, non lo dimenticherai mai, né sarai dimenticato. Ti prego, figlio mio, sii felice almeno tu. » E chiudendo gli occhi, si lasciò andare al suo tenero calore.
Purtroppo, Zackarhia dimenticò quelle parole così profonde col passare dei giorni.






   
 
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