Note dell’autrice:
Inizia così: dalla fine. Da un sogno
spezzato, per poterlo poi vivere dall’inizio. Apprezzarlo, desiderarlo. Perché solo
quando si perde qualcosa se ne capisce l’importanza.
Poetessa
~ The end
~
Mi
voleva bene.
Anche
se di giorno ero la ragazza che desiderava e di notte il suo incubo. Mi amava,
per quello che ero, per il destino che avevo.
Avrei
voluto salvarlo. Ma non mi è stato permesso. L’ho condannato il giorno in cui
ho sentito il suo cuore battere, ancora prima di conoscerlo.
La
lapide è troppo bianca, troppo fredda. Il vento sferza sui miei capelli e tra i
fiori che tengo fra le mani. Il prato è deserto. E’ notte e non sto dormendo.
Non dormo più. Una parte di me si è spenta per questo. Voglio essere solo
quello che lui amava. Finché riesco.
Feli
mi aspetta all’ingresso, oltre il cancello di ferro. Avvolto dalla nebbia.
Fuma. La punta della sigaretta accesa si staglia nel buio. Lui è solo un’ombra
che si confonde con lo sfondo. Non voleva lasciarmi sola, ma non è voluto entrare.
Non
dovremmo essere qui. Il cimitero è chiuso e le telecamere registrano i
movimenti tra le tombe. Ma io non mi muovo. Piango. Piango sulla scritta incisa
nel marmo, piango sui fiori secchi che ho portato. Piango per soffocare il
dolore. Io, io che non ho pianto mai, che ho visto il sangue fluire dai loro
corpi senza paura, che ho sentito le loro labbra supplicare pietà, che li ho
lasciati morire.
Questa
volta è diverso, tutto è diverso. Lui era diverso. Lui aveva capito, mi era
stato vicino. Troppo vicino. Così vicino da farsi male.
La
torcia del guardiano notturno si sposta frenetica tra le aiuole. Non posso
restare. Lascio i fiori sul prato, non ho il coraggio di sistemarli nel vaso.
Una rosa bianca appassita, tra le margherite. Mi pungo di proposito con una
spina. Il sangue fluisce lento e caldo sulla mia mano. La appoggio sulla tomba e faccio scorrere le
dita sul suo nome.
I
passi del guardiano si fanno sempre più vicini. Devo andare via. È così poco il
tempo che ho a disposizione. Mi sollevo. Corro senza toccare il terreno,
sfiorandolo appena. Poi quel salto oltre il muro, deciso. Atterro con entrambi
i piedi dall’altro lato nell’istante in cui la torcia illumina la scritta
macchiata di rosso.
Feli
getta il mozzicone sull’asfalto e lo calpesta con il piede. La cenere si sparge
sotto lo stivale mentre la fiamma si spegne.
“Andiamo.”
Sussurra.
E
mi stringe a sé. Le sue braccia sono forti ed io mi sento al sicuro.
“Ti
perdonerai mai?”
La
domanda resta sospesa nell’aria. La conosciamo entrambi la risposta.
Saliamo
in macchina. Feli gira la chiave nel cruscotto poi si
ferma. Il motore vibra nel silenzio che ci circonda.
“Un
giorno dovrai.”
Mi
vedo riflessa nei suoi occhiali, le occhiaie pesanti che mi segnano il viso, i
capelli raccolti e scombinati. Le mie labbra si muovono lente, senza rossetto,
naturali e screpolate.
“Portami
a casa.”
“Come
vuoi.”
Partiamo
e la notte diventa il mio silenzio ed il mio dolore. Quel dolore che non avevo
mai provato. E mentre viaggiamo mi addormento e divento di nuovo il mostro che
ho cercato di reprimere.