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Autore: MaryKei_Hishi    14/06/2010    1 recensioni
Lui, era un ragazzo strano, un ragazzo di una grande città, trasferito in una cittadina piccola come quella in cui sono nato per qualche motivo sconosciuto a chiunque. Era arrivato nella nostra scuola a semestre iniziato, non dava confidenza a nessuno ne era propenso ad instaurare rapporti d'amicizia con alcuno. Lui era.. come avvolto da un alone di mistero affascinante e seducente.
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Ecco il capitolo quindici, dio sono esausta!

L’ho scritto in due giorni, tre per le correzioni e veramente veramente sono tanto stanca XD attualmente le pagine di vincent, della sua storia sono centosette, e l’idea originaria –decisamente più lineare e semplice- è andata a puttane intensificandosi tantissimo, ci sono aspetti di lui che anche io scorpro con voi e questo mi esalta tantissimo *-*

 

Alla prossima!

MaryKei-Hishi

 

 

Capitolo XV

 

Quando Victor tornò a farci visita portò con se anche un biglietto di ritorno in città per Vincent. Lo vidi cambiare espressione più volte, dalla contentezza di vedere il suo amico alla rabbia fino a toccare la rassegnazione. Non ne sapevo il motivo ma sapevo che Vincent sarebbe tornato cambiato dalla sua rimpatriata a casa; il destino non sembrava vederlo di buon occhio visto che, appena stava andando un minimo meglio gli si rivoltava contro mescolando le carte in tavola fino a disorientarlo nuovamente.

 

*

 

quando per telefono gli dissi che sarei andato da lui dopo quella lunga pausa che ci aveva tenuti divisi per un lungo periodo urlacchiò contento che mi avrebbe picchiato perché mi stavo dimenticando di lui, poi quando fui in stazione nei panni di mercurio mi abbracciò prima di sapere del mio oneroso compito; gli mostrai il suo biglietto alla volta della grande città e come era suo solito intuì immediatamente quel che rappresentava. In fondo gliel'avevo detto che era nato. Due giorni dopo avevamo il treno ma non sembrava volerci pensare, la sera del mio arrivo andammo a bere in un pub, mi stupii che ce n'era uno in quel paese orribile e triste; in fondo non mi ci aveva mai portato. -allora che mi racconti?- gli chiesi davanti alla mia vodka alla pesca e lui mi rispose dopo aver sorseggiato la sua bitta scura alla spina -ho iniziato a fare educazione fisica- ammise quasi imbarazzato -davvero?- era da anni che non prendeva parte a quelle lezioni e il fatto che me ne parlasse come se fosse un segreto da mantenere era indice del fatto che ci si stava impegnando ad essere un normale liceale. Annuì guardandomi appena -quindi ne hai parlato con qualcuno, no?- annuì ancora -con il professore, esplicitamente, qualcun altro credo l'avesse comunque intuito- fui io ad annuire -lo zio è una brava persona, anche se sembra un burbero falegname dei boschi- risi, non potei farne a meno, aveva perfettamente ragione, specialmente quando si ostinava a mettere quelle oscene camice a quadri che tendevano al rosso slacciate con la canotta della salute sotto. -comunque tuo zio non è male nemmeno visivamente se solo stesse un po' più attento al look- gli dissi, ormai per me era deformazione professionale – già ma perderebbe quel non so che di burbero che si ritrova- sospirò -Vincent. Ti piace?- inarcai un sopracciglio, quel sospiro non mi piaceva per niente -è dolce con me- ovviamente dai suoi racconti, per lo meno dagli ultimi che mi aveva fatto, non c'era assolutamente nulla di dolce in lui. -che è successo che mi sono perso?- lui mi sorrise -un sacco di cose che non ti racconterò così impari ad escludermi dalla tua vita- mi mostrò l'indice come puro segno d'amore. Ridacchiai, non potevo far altro due giorni più tardi tornammo entrambi in città, sul treno era più che silenzioso, tanto che se non mi fossi accertato visivamente che lui era lì con me avrei potuto cadere nel dubbio che fossi partito dimenticandomelo in stazione come un vecchio bagaglio d'esubero.  Guardava fuori e osservava il suo respiro appannare il vetro tanto ci era appiccicato. -non ti sei portato niente- costatai e lui mi guardò -ho ancora tanti vestiti a casa- faticò nel dire “a casa” quel luogo non l'aveva mai sentita una casa, men che meno dalla morte di suo fratello -mi fa strano andare al battesimo di... non so nemmeno come si chiama. Mi sembra tanto che sia un sostituto di Horge.- mi disse vacuo -si chiama Steve.- lo illuminai e lui sospirò -sono tagliato fuori, lo vedi no? Allora perché per una cosa del genere dovrei tornare?- mi chiese ma la risposta la sapevamo perfettamente entrambi. -sono degli ipocriti di merda – lui mi annuì -oggi farò il bravo- mi confidò quasi come se si stesse aggrappando all'ultima speranza di sopravvivenza che aveva, con un aria piatta, di rassegnazione. Negai automaticamente con la testa, non che non volessi che facesse il bravo, ma quello non era Vincent, lui non era una natura morta, lui era vivace ed esuberante. -stare  lì ti fa pi male che bene.- lui tornò a guardare fuori, lo sapeva perfettamente. Mi avvicinai a lui baciandogli piano il collo e ben presto si voltò per ricevere quelle attenzioni sulle proprie labbra rispondendo ai miei contatti. Una coppia vicino a noi s'impose di distogliere il proprio interesse da noi iniziando a porgerlo altrove. Su una rivista di trekking ad esempio, come quella che c'era abbandonata da chissà quanto nel sedile accanto al loro. A vederli nessuno dei due aveva una minima vena di sportività in corpo, cosa si arriva a fare pur di non rimanere intrappolati in qualcosa di cui non si è certi di voler scoprire, eh?

-Vic, non lasciarmi solo con lui- mi chiese nascondendosi sul mio collo e gli carezzai i capelli annuendo -stava iniziando ad andare bene, avevo la mia dimensione, e arriva lui e distrugge le fondamenta che iniziavo a costruire, come ha sempre fatto. Ha il potere innato di farmi quel che vuole e io non so se lo voglio più-  lo zittii continuando ad accarezzargli i capelli -tu finirai in carcere per averli ammazzati tutti.- gli dissi e lui si mise a ridere -no, ucciderò loro due e scapperò con Steve, e tu verrai con me in qualche isola sperduta dove ci nasconderemo vita natural durante.- fui io a ridere -non ti aspettare un amore di bambino, è orribile- lui s'alzò incuriosito, -davvero?- annuii -non ha ripreso ne da tua madre ne da tuo padre, è completamente differente da te e non assomiglia nemmeno ad Horge.- lo vidi ridacchiare -menomale- ammise per poi continuare -mia madre si sarà fatta scopare da qualche barbone, quella puttana- i due davanti a noi ne furono allibiti tanto che si alzarono per cambiare posto, evidentemente potevano “passare sopra” al fatto che ci fossimo baciati ma non all'appellativo di un figlio nei confronti della madre.

Il viaggio continuò vedendomi a tranquillizzare Vincent e a infondergli coraggio. Appena arrivati in stazione prendemmo la metropolitana per arrivare al quartiere signorile in cui vivevamo, dovetti lasciarlo solo per quella mezza giornata, ci saremmo visti il giorno dopo, a casa sua dove la cerimonia avrebbe preso corpo.

 

*

 

non avevo mai visto casa loro addobbata come in una grande festività; non erano mai stati soliti adornare con lustrini colorati e festoni nessuno dei compleanni dei loro bambini o per i giorni di festa comune che potevano essere il natale, la pasqua o che so io. Non ero abituato a vedere Vincent vestito elegante, le due cose, per me, non si accoppiavano, era come abbinare un paio di infradito con i calzini, non erano indicate le une con le altre. A conti fatti non ci stava male ma non sembrava lui;  se ne stava accanto al padre con lo sguardo perso mentre questi gli teneva le spalle come a volerlo tenere sotto controllo. Con sua moglie poco distante tutta contenta di avere la sua nuova creatura tra le mani.

 

Quando provai ad avvicinarmi a lui fui sorpassato dal fotografo che voleva immortalare la famiglia al completo, beh per lo meno i sopravvissuti.

Anche se c'era tanta confusione in quella casa che sciamava in un chiacchiericcio infernale mi sembrava di essere di fronte ad un patibolo; come vedere un condannato a morte che pensa a chissà quali stranezze prima di essere appeso per il collo. A che stava pensando Vincent? Cosa aveva in mente di fare? Lo vidi prendere aria, come se nella testa le immagini del “dopo” gli fossero passate nitide come un presentimento dalle solide basi piantate nella realtà.

 

Il padre lo attirò più vicino a sé e la moglie li raggiunse, sorrisero compiaciuti di tutte quelle attenzioni per il loro figliolo, Steve. Il fotografi gli ripeteva che erano perfetti e io sentii dire ad una signora, altolocata quanto tutti gli altri, a bassa voce ad una sua amica pettegola “se pure questo gli dura” la guardai ma lei non se ne accorse, come poteva dire una cosa del genere?

La morte di Horge era stata un mistero quanto un fulmine a ciel sereno; si era ucciso per una delusione d'amore, avevano detto ai pochi intimi di turno, consci che anche quelli non avrebbero tenuto la bocca chiusa; sembrava quasi una mossa studiata.

 

Mi venne il dubbio che avessero mandato via Vincent con l'intento di avere un altro figlio, come se fosse qualcosa da fare senza che lui lo sapesse se non a fatti avvenuti, come poi era stato, visto e considerato che non sapeva nemmeno come si chiamava il suo nuovo fratello.

 

-prendi tu il bambino, piccolo- lo esortò il fotografo e lui guardò il padre che gli annuì, come in un tacito accordo di mafia lei guardò il marito, che era il boss, e gli annuì e lei eseguì gli ordini. Lo tenne fra le braccia e lo guardò a lungo e lui cercò di allungare una manina per toccargli il viso, vagendo un gridolino divertito, evidentemente gli piacevano i suoi capelli biondo cenere;  lo vidi allontanarlo da se e restituirlo alla madre per poi andare via, lo seguii per potergli parlare ma il signor D, suo padre, mi precedette. Erano al piano superiore e io ancora sulle scale quando sentii che avevano iniziato a discutere.

 

Ormai sul suo patibolo ci era salito, non poteva che morire decorosamente.

 

Lo guardai dallo scorcio che mi offrivano le scale, colmo di lacrime troppo a lungo trattenute; -è il sostituto di Horge vero?- gli chiese rabbioso -lo amerai come facevi con lui no?!- sembrò un accusa -che ti ho fatto io?!- gli ringhiò in faccia e prima che lui potesse quantomeno desiderare di rispondere lui riprese a sputargli addosso il suo veleno -perché non sono mai stato come lui e come questo nuovo mostro che avete messo al mondo?!- si sfregò una mano sugli occhi e mi fece tanta tenerezze, la sua disperazione aveva toccato il fondo. - non solo ho cercato di essere come Horge, ho cercato di essere più di lui ottenendo che cosa?! Indifferenza. Mi odi fino a questo punto??- tirò su con il naso, il padre sembrò annoiato e volenteroso che quel discorso finisse al più presto -tu sei malato nel cervello- gli disse semplicemente con aria seccata -ora se hai finito torniamo alla festa di tuo fratello.- Vincent negò -tu mi hai mai amato?- gli chiese esaurendo ogni forza e lui non rispose avvicinandoglisi -rispondimi!- scattò lui sulla difensiva allontanandosi -quando hai iniziato ad odiarmi così tanto?!- gli urlò in faccia -quando mi hai tolto la cosa più bella della mia vita.- gli rispose atono il padre e vidi Vincent gelarsi. Cosa gli aveva tolto di così importante? Mi si bloccò il respiro quando capii. Non poteva essere realmente fattibile. 

 

Vidi il signor D fare dietrofront e fuggii via per nascondermi se m'avesse visto sarebbero stati cavoli amari per tutti. Attesi che passasse dal mio nascondiglio e ritornai sulle scale per andare dal mio amico. Era seduto per terra, intento a soffocarsi di lacrime -voglio andare via- mi disse quando mi misi seduto accanto a lui -Vic voglio andarmene.- lo consolai senza dirgli nulla, gli accarezzai i capelli e gli asciugai le lacrime baciandolo, le parole erano le ultime cose di cui aveva bisogno.

 

*

 

durante il resto della cerimonia apparì impassibile a tutto, non osai immaginare cosa potesse montargli dentro dopo quella discussione. Fu la prima volta che sentii che c'era una barriera che mi impediva di raggiungerlo e non mi piacque affatto come sensazione. La sera lo trascinai a casa mia rubandolo al suo ruolo di figlio non voluto nella sua famiglia.

Non appena entrati in casa endrew e Andrea ci sono saltati addosso, sono due pesti quei due gemelli, lui odia Vincent lei lo adora e, di conseguenza non sopporta me. È strano come siano sempre riusciti ad andare d'accordo rappresentando uno l'antipodo dell'altra. Eddy ha provato a seguirci, ma non era aria di avere marmocchi lamentosi ed appiccicosi, per quel giorno; entrati in camera lo vidi mettersi seduto sul mio letto -non ti azzardare- gli dissi e lui mi guardò stupito -a tagliarmi fuori intendo.- gli spiegai ma lui aveva già capito a cosa mi riferissi, in fondo aveva la coscienza sporca era ovvio che intuisse in un secondo. -non lo sto facendo apposta Vic.- ammise guardandomi quasi tristemente -è che penso e penso e voglio prima capire bene come mi sento e devo farlo da solo- negai -tu lo sai come ti senti, solo che hai paura di ammetterlo. Il Vincent che conosco io non ha paura, non teme niente e nessuno- lo informai, evidentemente di era scordato chi era Vincent.

Lui annuì  -Vincent non avrebbe paura di dire che vuole tornare da suo zio- disse parlando di sé in terza persona e io annuii -di cosa altro non avrebbe paura Vincent?- gli domandai spronandolo a continuare -non avrebbe paura di dire che qui non ci vuole stare perché vuole stare bene- gli sorrisi avvicinandomi a lui -e con chi starà Vincent non appena sarà maggiorenne?- lo vidi sorridere -con l'amore della sua vita- lo baciai annuendo -Miami, mi raccomando, mi piace e poi ti ci vedo a fare la pubblicità dei costumi da bagno, con la treccia, posso farti la treccia?- cambiò argomento così repentinamente che mi venne da ridere, era tornato ad essere l'esuberante Vincent che andava a tremila. Annuii e gli diedi la schiena e lui mi pettinò i capelli passandoci in mezzo le dita -stai bene con la treccia, sembri un australiano, ti manca solo la tavola da surf e la collana con il dente di squalo. Appena ne trovo una te la regalo.- mi confidò dividendomi i capelli in tre ciocche pressappoco della stessa stazza. Iniziò ad intrecciarle -perché non provi a fare la pubblicità dei costumi da bagno?- risi -non sono io a chiedere in giro se mi vogliono per le pubblicità Vin, sono loro che mi cercano- risi della sua inesperienza e lui mi strattonò i capelli adirato dalla mia ironia -tu farai la pubblicità in veste di australiano a Miami. Punto.- gli annuii come si faceva ai bambini che dovevano, per forza di cose, avere sempre ragione -mi sembri Eddy, ti giuro.- lui se ne sorprese -non sono come lui Vic, Edward è insopportabile!-me lo abbracciai facendolo stendere sul letto -appunto- gli dissi -solo che tu sei un amore, oltre che insopportabile, e più grande, lui è insopportabile e piccolo e basta- mi mostrò nuovamente con amore il medio accigliandosi e io glielo baciai facendolo arrossire; da quanto non vedevo Vincent arrossire? Troppo tempo. -senti domani torni con me? Stai un po' di giorni a casa con me e zio, mi farebbe piacere- sospirò probabilmente sentendosi sulla pelle la mia risposta negativa -lo sai che io non vado molto a scuola e ogni tanto devo fare dei test, in questi giorni devo farli piccolo, non prendertela, appena escono i risultati sono da te, promesso.- gli baciai la fronte -mi hai chiamato “piccolo”- mi fece notare -uhm, si credo di si- Vincent annuì illuminandomi poi sul fatto che ci aveva letto una sorta di libro dove il maggiore dei due personaggi era solito chiamare “piccolo” il compagno più giovane di qualche anno sorrisi chiedendo di raccontarmelo e lui anziché parlarmi della storia di per sé mi parlò dei personaggi, delle sensazioni che gli avevano trasmesso, proprio come era solito fare lui, non guardando affatto contenuti e stile ma concentrandosi su emozioni e sensazioni. -il più grande infondeva sicurezza, come se avesse il libro del destino fra le mani e potesse scriverci su a piacimento. Era sempre tranquillo e pacato e bastava una sua carezza per far sentire la sua principessa tranquillo. Invece quel deficiente di quello piccolo mi stava antipatico. Era una zoccola.- risi, non potei farne a meno. -più che altro il”grande della storia” ci chiamava un po' tutti i suoi amori “piccolo”- notò lui stesso tra i suoi ricordi facendomelo notare -magari me lo presti sto libro- proposi e lui si illuminò tutto.

 

Lo accompagnai in stazione il giorno seguente, poco prima di pranzo, lo vidi salire il primo gradino del treno e poi si voltò -vado a conquistare il mondo- affermò deciso e io gli annuii -buona conquista, piccolo.- e lui mi sorrise tornando indietro per baciarmi, non l'avrei lasciato andare se non l'avesse fatto un'ultima volta prima si salire su quell'ammasso di ferraglie. Gli annuii dopo il bacio e lui salì sul vagone andandosi a mettere seduto, lo seguii passo passo dalla banchina fermandomi dove lui si era seduto, vicino al finestrino; lo vidi abbassarlo e poco prima del fischio che annunciava l'imminente partenza mi urlò di crescere in fretta gli sorrisi -idem vin, cresci in fretta!- ma la mia voce venne coperta dal fischio e lo vidi rientrare dal vetro abbassato tappandosi le orecchie.

Prese il cellulare mentre la vettura iniziava a muoversi mandandomi un messaggio che diceva che era diventato sordo, pressapoco. “non si può non amarti” gli scrissi prima di uscire dalla stazione, una valanga di libri mi aspettavano, a casa.

 

*

 

Vincent era davanti a casa mia e mi aveva un messaggio così andai ad aprirgli, non sapevo fosse già tornato, non mi aveva avvertito altrimenti sarei andato a prenderlo in stazione. -e tu che ci fai qui?- gli chiesi inarcando un sopracciglio, Nelson mi raggiunse in un attimo avendomi visto alzarmi repentinamente dal divano quando mi era squillato il cellulare, sbuffò scontroso tornando a sedersi, feci entrare il biondo e sgridai Nelson. Basta stare tra l'incudine e il martello.

-scusate l'intrusione, ma non mi sono portato le chiavi di casa di zio e lui è fuori e non posso entrare- lo tranquillizzai, aveva fatto bene. -allora? Racconta, come è andata?- lui mi guardò allungo -una merda.- Sospirò -sta volta è come se mi sia reso conto che mi ha cacciato.- ci confidò e Nelson sembrò addolcirsi guardandolo, forse provando tenerezza nei suoi confronti. -mi dispiace- gli dissi con tutta la mia sincerità, era triste e si vedeva. Forse si perse nel ripensare al suo rimpatrio e probabilmente ripensò alle parole che dovevano essersi scambiati, perché in un momento di sconforto venne ad a rifugiarsi tra le mie braccia e lo sentii piangere. Tipo non l'avevo mai visto piangere. Lo rassicurai carezzandogli la schiena e Nelson rimase in silenzio -ha detto che mi odia- ci confidò e io lo strinsi più forte tra le mie braccia, Nelson gli accarezzò i capelli -si dicono tante cose che non si pensano- gli disse  con voce calma e rassicuratrice. Lui negò strusciando il capo sulla mia maglia, -allora è un deficiente che non ha capito niente.- sbottò all'improvviso Nelson, quasi seccato, come se fosse stato veramente dentro l'argomento. -e se lo dico io, cavolo se puoi crederci- gli sorrise quando si voltò a guardarlo, gli diede un pugno su una spalla -non dargliela vinta, non se le merita quelle.- gli indicò le lacrime e Vincent se le asciugò; -ecco, meglio.- era strano sentir Nelson incoraggiare Vincent, consolarlo, per un certo qual modo, proprio lui che non l'aveva mai sopportato? Forse aveva capito che non era quel demonio che credeva.  Una volta calmato prese posto sulla poltrona di fronte al divano che occupavamo io e Nelson, che, a detta sua era più che affamato -tu vuoi qualcosa da mangiare?- chiesi a Vincent mentre mi alzavo per andare in cucina, lui negò e io mi soffermai a guardarlo -no, mi sono abbuffato al battes- mi guardò senza terminare quella frase iniziata velocemente -no non ho fame e basta.-  mi rispose sinceramente -ok, vieni comunque in cucina con noi- non fu una domanda e lo vidi annuire e alzare. Aprii la credenza e tutti e tre sbirciammo dentro, Nelson mi indicò delle merendine a cui non non arrivava e io gliele presi tranquillamente, poi vidi Vincent prendere dei fiocchi di mais, quelli con i quali io facevo regolarmente colazione -vuoi una tazza con il latte?- lui negò – solo un piattino, o un tovaiolo,- gli presi il piatto che mi aveva chiesto e ci mettemmo seduti al tavolo della cucina. Lo vidi versarsene un po' nel piatto, li mangiò così prendendone uno alla volta dal piatto spiluccando come un pulcino -non ho mai visto mangiare i cereali in questo modo- lo scricchiolio dell'incarto della crostatina al cioccolato di Nelson coprì quasi la sua voce e lui inveì contro la pellicola trasparente, era buffo, sembrava essere imbarazzato da una situazione che presumibilmente non si era mai trovato davanti e che non sapeva gestire. -il latte puzza e poi se ce li metto dentro diventano viscidi, a me piacciono solo cose dure- vidi nelson alzare lo sguardo imbarazzato mi misi a ridere, era bello andare d'accordo tutti  e tre -ma sono cose da dire?!- lo sgridò e Vincent non capì a cosa si riferisse, fece mente locale aggrottando le sopracciglia e poi s'illuminò all'improvviso -aah! Beh ma è vero.- la sua spontaneità fece arrossire Nelson -tu devi smettertela di farti dei problemi inutili, ti piace l'uccello, è evidente, ma per qualche strana ragione bigotta te ne vergogni.- gli parlò seriamente e Nelson cercò di dirigere la propria attenzione altrove, cercando, senza riuscirci, oltretutto, di nascondere il suo imbarazzo. -ehi non sto scherzando- gli lanciò un cereale e lo colpì sul collo -che mira- ridacchiò compiacendosi da solo -guardami negli occhi e dimmi “non ho mai pensato ad un ragazzo mentre mi masturbavo”- lo punse sul personale assottigliando gli occhi e Nelson si alzò furente, perfetto, il momento di pace comune era finito; in fondo la faida è faida.

Mi fece sobbalzare quando batté le mani sul tavolo e i cereali di Vincent sussultarono con me. -ok ok lo ammetto, ma non era per piacere ma per gelosia!- sbottò all'improvviso Nelson e io lo guardai inarcando un sopracciglio, sentii Vincent scoccare una risatina sarcastica -non era per piacere?- gli chiese retorico -tranquillo William non te lo porto via- gli fece l'occhiolino e Nelson boccheggiò oltraggiato dal suo comportamento e dalle parole che aveva appena pronunciato; lui mi guardò -gliel'hai detto??!- vidi Vincent illuminarsi all'improvviso, voltarsi verso di me -cosa? Cosa avresti dovuto dirmi?- era curioso come un bambino ed esuberante in egual modo. -no, non mettetemi in mezzo- mostrai ad entrambi i palmi delle mie mani, io in quella discussione c'ero già fin troppo dentro, non ci avrei messo bocca, oltretutto. -spicciatevela tra voi- e comunque ero curioso di vedere come sarebbe andata a finire.  Vincent chiese nuovamente cosa avrei dovuto dirgli, ma lo chiese a Nelson che avvampò  all'istante senza però rispondergli -so essere petulante eh- ci minacciò iniziando a chiedere a raffica “cosa? Cosa? Cosa?” dopo una ventina di quei “cosa” ripetuti costantemente senza fermarsi Nelson si rimise seduto -ci siamo baciati ok?- e vidi Vincent sorpreso per la prima volta, -oohh- batté le mani entusiasta, una volta e le lasciò unite -che carini- ce lo disse come se avesse visto il cucciolo più dolce del mondo -raccontatemi!- ci ordinò ma io già avevo detto che ne sarei rimasto fuori -quando?- Nelson negò -già sai troppo!- negò fortemente con la testa -non devi sentirti in imbarazzo!- lo rimproverò alzandosi per poi andare a sedersi vicino a lui -devi imparare a parlare di quel che senti.- gli disse serio -anche tu- gli disse in risposta Nelson -ti conosco poco e non ti ho mai sopportato, però piangere presumibilmente di nascosto, da solo senza parlare con nessuno non fa bene, come non lo fa a me, non lo fa nemmeno a te.- Vincent sembrò gelarsi e non gli rispose, sospirò, molto semplicemente.

Lentamente si morse le labbra cosciente del fatto che stava predicando il giusto senza muoversi in quelle direzioni tanto decantate. -è un po' più complicato, rispetto ad un bacio tra adolescenti- gli disse più che calmo, non era per manie di grandezza, ne per nascondersi, l'aveva detto pacato, quasi rassegnato. -l'importante poi è trovare una dimensione dove stare bene.- giurai di aver visto venirgli la pelle d'oca sulle braccia; Nelson annuì e gli carezzò i capelli come se fosse stato un cane -giusto e non dirlo solamente, fallo.- gli ordinò e quello annuì con la testa -vale anche per te.- a me sembrò che venissi tagliato fuori, per quel momento, ma andava bene così, si erano chiariti in parte e mi parve che ci fosse stato un armistizio.

 

Nei giorni seguenti, a scuola, per le lezioni che seguivamo in comune eravamo sempre tutti e tre vicini e Vincent sembrava avere delle premure nei confronti di Nelson. Mi piaceva quel nuovo status. Eravamo tre, stavamo bene insieme e gli screzi iniziali dopo un lungo periodo sembravano essere stati superati.

 

 

 

 

   
 
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